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Cronaca

STRAGE DI ERBA: PELI NELLA FELPA DEL PICCOLO YOUSSEF POTREBBERO FAR RIAPRIRE IL CASO

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Tempo di lettura 9 minuti Il Collegio difensivo di Olindo Romano e Rosa Bazzi, accusati del massacro, ne ha chiesto l’acquisizione

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di Angelo Barraco
 
Milano – Si torna a parlare della Strage di Erba avvenuta 2006, un terribile mattanza in cui furono uccise 4 persone tra cui un bambino di appena due anni, il piccolo Youssef Marzouk. Sono emersi degli elementi molto importanti che potrebbero fare riaprire il caso. Gli elementi in questione sono alcuni peli trovati allora sulla felpa del bambino. Il Collegio difensivo di Olindo Romano e Rosa Bazzi, accusati del massacro, ne ha chiesto l’acquisizione. L’avvocato Fabio Schembri riferisce: “Ci siamo trovati di fronte a questo elemento per caso, nel corso del carteggio tra le procure che si rimpallano la competenza sulla nostra istanza di acquisizione dei vecchi reperti ancora in carico a Ris e Università di Pavia, cioè quelle di Como e Brescia. Ora sappiamo due cose: che sono stati trovati dei peli sulla felpa del bambino vittima della strage, e che questi reperti non sono stati analizzati. Ci sembra doveroso farlo ora, visto che potremmo non trovare nulla di anomalo o al contrario trovare qualche nuovo attore sulla scena del delitto“. 
 
La vicenda. Un delitto che ha scosso l’Italia, tre donne uccise brutalmente e un bambino di non ancora due anni sgozzato, e un unico sopravvissuto. Questo è quanto accaduto l’11 dicembre del 2006 intorno alle 20.00, nella corte di Via Diaz, in una palazzina denominata la Palazzina del Ghiaccio quando divampa un incendio all’interno di uno degli appartamento di una delle palazzine. Vedendo il fumo due vicini salgono e trovano Mario Frigerio, unico sopravvissuto, il corpo privo di vita di Raffaella Castagna che sarebbe morta mediante ferimento di una spranga e 12 coltellate e sgozzamento, Paola Galli, la madre, uccisa a sprangate e coltellate e il bambino di Raffaella, Youssef, dissanguato sul divano in seguito al taglio della gola. Proprio in quella palazzina nel 2000 andò ad abitare Raffaella Castagna, nel periodo in cui vi erano entrati Olindo Romano e Rosa Bazzi. 
 
Raffaella Castagna,  era giovane e sola quando giunge in via Diaz. In aula, quando il Pubblico Ministero chiede ai Teste se ricordano se ricordano se la Signora Castagna avesse dei problemi all’interno della palazzina, la risposta del teste è “Olindo Romano e Rosa Bazzi”, il Pubblico Ministero chiede di che cosa si lamentavano questi signori, il teste riferì che si lamentavano “del baccano, del casino, dei rumori”. Nel processo emerge inoltre che Raffaella Castagna aveva preso delle precauzioni per evitare lamentele, il teste infatti riferisce che utilizzava tappeti e molta cautela tant’è che faceva togliere le scarpe agli ospiti per evitare screzi con i coniugi Romano. Inoltre il teste racconta un episodio che evidenza un grande problema, racconta infatti che si trovavano a casa di Raffaella Castagna a prendere il Thè e una sua amica muove bruscamente la sedia, dopo pochi minuti suona il citofono e l’amico di Raffaella riferisce in aula che la donna consiglia loro di evitare di far rumori, fare piano, ma dieci minuti dopo suona ancora il citofono, la terza volta quando risponde o Olindo o Rosa chiedono di smetterla di fare rumore. Ma l’insistenza dei coniugi Romano non finisce qui, poiché continuano  citofonare e decidono di scendere tutti quanti dal signor Romano e chiedono come mai, perché questo. Ma le testimonianze che parlano di atteggiamenti aggressivi contro Raffaella Castagna messi in atto da Olindo e Rosa sono tanti. Tali episodi riguardano il antecedente il matrimonio con Azouz Marzouk.
 
I testimoni raccontano di come Raffaella aveva paura dei coniugi Romano perché la trattavano male, la insultavano, che quando era incinta aveva ricevuto percosse. Il matrimonio e la nascita di Youssef Marzouk aggravano una situazione ormai critica, fino a quando non si arriva al 3 aprile del 2005 quando Paola Galli viene chiamata in lacrime dalla figlia Raffaella e, giunta in Via Diaz subisce un’aggressione dai coniugi Romano, terrorizzata chiama il marito che, anch’esso, viene aggredito. Ma i coniugi Romano litigavano anche con il resto del vicinato? Dal processo emerge che si, litigavano con il resto del vicinato. Un teste racconta che sua moglie non poteva mettere fuori le lenzuola perché c’erano subito discussioni con Rosa Bazzi, mentre loro facevano quello che volevano, non rispettando ordine e pulizia e senza chiedere niente a nessuno.
 
Ma come mai Olindo e Rosa Bazzi vengono accusati di essere gli autori del massacro? Il tutto avviene principalmente dal risveglio di Mario Frigerio, l’unico sopravvissuto al massacro –morto nella notte del 16-09-2014- che in aula ha raccontato quella terribile sera. Frigerio racconta i aula di aver cenato alle 7 con sua moglie , alle 8 la moglie sua moglie si era preparata per accompagnare il cane a fare i bisogni, e mentre era pronta per uscire, ha raccontato in aula Frigerio, sentono un paio d’urli. L’uomo in aula ha raccontato che in quel momento, a seguito degli urli, ha riferito alla moglie di aspettare un po’ prima di uscire e appena si calma la situazione poteva scendere. “Mia moglie dopo circa un quarto d’ora rientra e mi dice guarda che c’è un bel po’ di fumo, sembrava un attimino spaventata” prosegue Frigerio, raccontando che gli si è aperta la porta e gli è apparta una persona, che sottolinea di aver riconosciuto in quella persona in signor Olindo Romano, che secondo il racconto di Frigerio si trovava all’entrata “e mi guardava con due occhi d’assassino”, e conferma l’assoluta certezza che era Olindo. Poi lo ha trascinato giù per terra, lo ha preso per il collo e ha iniziato a picchiarlo, poi ha estratto un coltello e gli ha tagliato la gola. Il racconto di Frigerio agghiaccia l’aula e riferisce che mentre il killer gli tagliava la gola sua moglia urlava e poi ad un certo punto non urlava più, anche il cane è stato ucciso. Ha cercato di muoversi in quella terrificante scena e cercava di urlare ma il sangue gli grondava dalla gola e non era facile nemmeno muoversi. Quando il Pubblico Ministero chiede a Frigerio se al momento dell’aggressione avesse percepito la presenza anche di una seconda persona, l’uomo risponde con fermezza “di due persone”, anche se puntualizza la sicurezza in merito alla presenza di Olindo sulla scena del delitto. Un elemento su cui la corte punta il dito in direzione Olindo – Rosa è il semplice fatto che la coppia in casa non parla della strage e in auto viene intercettata mentre si suggeriscono di non parlare del caso perché qualcuno avrebbe potuto aver messo “qualcosa”. Ma a compiere l’atroce strage sono stati realmente Olindo Romano e Rosa Bazzi?
 
I coniugi Romano prima confessano, ma all’udienza preliminare Olindo ritratta la sua confessione e anche la moglie fa lo stesso.Il 29 gennaio 2008 si svolge l’udienza di primo grado, in questa sede Olindo accusa i carabinieri che lo hanno interrogato e che, secondo lui, avrebbero esercitato una pressione coercitiva nei suoi confronti convincendolo a confessare. I coniugi Romano sono stati condannati all’ergastolo il 20 aprile del 2010 dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano, con isolamento diurno per tre anni. Il caso è chiuso, ma sono loro i colpevoli? Vediamo quali sono i punti che fanno pensare l’esatto contrario.
 
Dubbi, teorie, ipotesi.  La deposizione chiave, come detto poc’anzi, fu quella di Mario Frigerio fatta in aula dove accusava senza ombra di dubbio Olindo Romano, ma quella non fu la sua prima e unica deposizione poiché dopo essersi svegliato dal coma . Inoltre lo stesso giorno che Frigerio riconosce Olindo come assassino, vengono rinvenute nella macchina dei coniugi Romano tracce di sangue di una delle vittime, Valeria Cherubini, moglie di Frigerio. Due giorni dopo l’arresto confessano, e lo fanno in modo accusato, dettagliato e soprattutto coincidente. Olindo e Rosa, nella corte di Via Diaz sono noti per il loro rapporto simbiotico, perché vivono sempre incollati uno con l’altro. La coppia non ha figli e non ha amici e sono talmente uniti che chiedono alla corte di stare in una cella matrimoniale a patto che non vengano separati. Le vittime della strage sono Frigerio e moglie, che vivono in una mansarda all’ultimo piano, poi la famiglia Marzouk-Castagna al primo piano e al piano terra vivono i coniugi Romano. La prima parte della strage si consuma al primo piano, è l’11 dicembre del 2006 e sono le 20.00. Valeria Cherubini stave per uscire dalla mansarda del secondo piano per portare il cane a fare i bisogni, ma dal piano di sotto sente delle urla molto forti e si blocca sulla soglia di casa, la donna però poi decide di proseguire dopo aver aspettato qualche minuti.
La signora rientra verso le 20.20 e vede uscire del fumo dall’appartamento di Raffaella Castagna, avverte il marito e scendono nell’appartamento di Raffaella. In quel momento la porta si apre, si chiude e si apre ancora e Frigerio vede di fronte a se l’assassino. In aula non ha alcun dubbio Frigerio sull’identità di quell’uomo, in aula precisa che si tratta del tuo vicino di casa Olindo Romano e lo indica pure. Ma questa sicurezza di Frigerio arriva soltanto 15 giorni dopo la mattanza, il 26 dicembre del 2006. Frigerio prima aveva descritto il suo aggressore con connotati totalmente diversi e che non corrispondono assolutamente ad Olindo. Il soggetto descritto da Olindo era alto, pelle scura, occhi scuri e capelli neri corti, la descrizione corrisponde ad un nord africano dunque. Tale descrizione la fa anche al primo Magistrato che il 15 dicembre, ben 4 giorni dopo la strage, lo ascolta in ospedale. Il PM chiede: “Era Bianco di carnagione, scuro?” e Frigerio risponde: “No era scuro..non era di qua…”, il PM incalza e chiede: “Ma nero, nero o…?” e Frigerio: “Olivastro, Olivastro”, il Pm continua: “Olivastro?” e Frigerio descrive così: “Olivastro, capelli corti, tanti capelli ma corti”. Aggiunge inoltre che i capelli erano neri, il pm chiede poi se gli occhi erano neri o chiari e Frigerio dice che erano neri. Una domanda importante del pm è : “Lei non ha mai visto quella persona?” e Frigerio risponde: “No, non l’ho mai visto”. Frigerio fa mettere a verbale che nell’appartamento di sotto c’era un via vai di nord africani. Qualche giorno dopo emergono altri dettagli sull’aggressore, dati da Frigerio stesso, ovvero che era forte e altro 6/10 cm più alto di lui. Olindo non è più alto di Frigerio, anzi è più basso. Viene fatto un identikit ma quando viene realizzato ormai Olindo e Rosa sono stati messi dietro alle sbarre. L’identikit e l’uomo descritto da Frigerio rappresenta l’antitesi di Olindo poiché quest’ultimo ha la pelle chiarissima, gli occhi chiari, è basso e tarchiato. Ma come uscì il nome di Olindo? Sarebbe avvenuto il 20 dicembre 2006 durante un colloqui in ospedale in cui viene chiesto a Frigerio: “Lei conosce il sig. Olindo. Il suo vicino di casa? Che abita nella palazzina lì vicino?”, viene chiesto se lo saprebbe riconoscere e se lo avesse visto se lo avrebbe potuto riconoscere. Chi fa le domande a Frigerio chiede:”se lei avesse avuto di fronte l’Olindo avrebbe saputo che era Olindo?” e Frigerio risponde “Penso di si” . Il nome di Olindo non era mai venuto fuori se non in questa occasione e la registrazione di quel colloquio non fu ammessa dal PM. Il 26 dicembre dice invece che era sicuramente Olindo. Un altro punto interrogativo è la foto della macchina dove è stata rinvenuta la traccia di sangue di Valeria Cherubini
 
Nel verbale però manca la foto della luminescenza che evidenza la traccia di sangue nel battitacco della macchina, la foto dovrebbe esserci. Un elemento da tenere in evidenza è che la traccia di sangue poteva avercela portata chiunque poiché il sangue veniva calpestato e poteva essere involontariamente calpestato. Olindo abitava nella corte e poteva aver calpestato quella traccia e averla trascinata involontariamente. Quando Olindo e Rosa vengono arrestati e successivamente interrogati negano di aver commesso i brutali omicidi e riferiscono di essere andati a Como quella sera e di aver mangiato da MacDonald. Per due giorni vengono rinchiusi in cella, separati uno dall’altro. Il 10 gennaio due marescialli dei carabinieri si recano presso il carcere di Como, devono prelevare le impronti digitali di Olindo. Le impronte erano state prelevate all’uomo e soltanto uno dei due marescialli è autorizzato a vedere Olindo. Per prelevare le impronte ad una persona bastano pochi minuti, loro invece si soffermano con Olindo per ore e parlano di sconti di pena e dei vantaggi che può avere in caso di una piena confessione.
 
L’uomo fa avvisare i magistrati che vuole proferire parola con loro, ma in realtà l’ha fatto per vedere sua moglie. Ma gli dicono che non la vedrà più, anche se successivamente la incontra. Nell’incontro tra i due parlano della vicenda e Olindo, pur non separarsi con la moglie, dice palesemente che vuole confessare e la moglie dice chiaramente che non sono stati loro. Rosa poi decide di confessare, ma dimostra di non conoscere molti particolari della vicenda come la posizione dei corpi e inoltre dice che nella casa della Castagna la luce era accesa, quando in realtà il contatore era stato staccato circa due ore prima della strage. Quando Olindo sente la confessione di Rosa dice che la moglie mente e che non ha fatto niente e che loro non hanno fatto niente. Successivamente confessa, ma il suo racconto è ritenuto più credibile e anche perché l’uomo lesse il mandato di cattura e li è riportato quanto accaduto. Rosa è analfabeta e non lo ha potuto leggere. Malgrado ciò vi sono tanti “non ricordo”, oppure “non so”. I Ris di Parma prelevano i vestiti di Olindo e Rosa, anche dalla lavatrice, e non trovano la minima traccia di sangue in quei vestiti. Perché la Procura di Como non si avvalse di quelle indagini? Le indagini dei Ris durarono 5 mesi. I Ris dopo il primo arresto si ubicano a casa Romano e la ispezionano per bene, da cima a fondo e viene utilizzato il luminol ma in quella casa non viene trovato assolutamente nulla. Eppure quella è la casa di due persone accusate di aver commesso atroci delitti e in teoria dovevano pur essere sporchi di sangue dalla testa ai piedi. Nessuna traccia di Olindo e Rosa nemmeno sulla scena del delitto, ma viene trovato sangue delle vittime e di soggetti sconosciuti. E se fosse il sangue degli assassini? Inoltre bisognerebbe analizzare il modus operandi utilizzato da chi ha commesso il delitto, ovvero taglio della gola. Sembra una strage compiuta da qualcuno con l’intento di uccidere per vendetta personale e il modus operandi ricorda delle pratiche di uccisione, come il taglio della gola, tipica di altri popoli.  

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1943/1944, “linea Gustav”teatro di feroci combattimenti: Medaglia d’Oro al Valor Civile per la Provincia di Frosinone

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“Territorio di rilevante importanza strategica, in quanto posto a ridosso della ‘Linea Gustav’ e attraversato dalla via Casilina, maggiore arteria di collegamento tra la Capitale ed il Sud del Paese, dal 10 settembre 1943 fu teatro di una violenta occupazione militare e subì devastanti bombardamenti che causarono la distruzione di ingente parte del patrimonio edilizio e culturale. La popolazione, oggetto di feroce barbarie e costretta allo sfollamento, sorretta da eroico coraggio, profonda fede nella libertà ed altissima dignità morale, sopportava la perdita di un numero elevato di concittadini ed indicibili sofferenze, offrendo un luminoso esempio di abnegazione, incrollabile fermezza ed amore patrio”. 1943/1944 – Provincia di Frosinone.
 
È questa la motivazione con la quale stamattina, presso il salone di rappresentanza dell’Amministrazione provinciale di Frosinone, il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha fissato sul gonfalone della Provincia di Frosinone, la Medaglia d’Oro al Valor Civile. Alla cerimonia di conferimento, dall’alto profilo istituzionale, accolti dal Presidente dell’Amministrazione provinciale Luca Di Stefano, hanno preso parte il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il Prefetto di Frosinone Ernesto Liguori, il sindaco di Frosinone Riccardo Mastrangeli e lo storico e giornalista Paolo Mieli. Presenti in sala anche le massime autorità civili, militari e religiose, gli amministratori provinciali e tantissimi sindaci del territorio.
 
A scandire i vari momenti della cerimonia è stata la presentatrice Valeria Altobelli che ha anche letto una testimonianza di Giuseppina Capuano, nata ad Aquino il 19-10-1905 e residente a Piedimonte San Germano in via Petrone, defunta il 16 aprile 2009, tratta dal libro ‘Tra le pieghe della memoria’ di Elena Montanaro.
 
 
IL PRESIDENTE DI STEFANO: “UN TRIBUTO AI NOSTRI VALOROSI CITTADINI”
 
“La Medaglia D’Oro al Merito Civile è un segno tangibile dell’ammirevole coraggio e della straordinaria resilienza dimostrata dalla nostra provincia durante i terribili eventi legati alla seconda guerra mondiale. Le ferite del passato hanno modellato il nostro presente, ma non hanno mai minato la nostra determinazione e la nostra speranza nel futuro” ha detto il Presidente dell’Amministrazione provinciale Luca Di Stefano.
 
“Quando ogni pilastro era stato raso al suolo, abbiamo trovato la forza di ricostruire, quando il destino sembrava contro di noi, abbiamo trovato la forza di resistere. Il conferimento di questa alta onorificenza su cui ho l’obbligo morale e istituzionale di ringraziare, per l’impegno profuso, il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ci insigne di un compito ancora più importante: quello di impegnarci solennemente ad assicurare che le sofferenze patite non siano vane, che le vite perdute non siano dimenticate, e che le lezioni apprese siano tramandate alle future generazioni”, ha aggiunto.
 
“Questa medaglia rappresenta un tributo ai nostri valorosi cittadini, che hanno dimostrato con la loro forza d’animo che la vita e la speranza possono risorgere anche dalle ceneri della distruzione. In questo giorno solenne, giuriamo di onorare il passato, di abbracciare il presente e di costruire un futuro che rifletta la forza e la dignità che ha sempre contraddistinto il nostro territorio” ha concluso il Presidente di Stefano.
 
 
IL SINDACO MASTRANGELI: “LA NOSTRA POPOLAZIONE HA SUBITO L’IMMANE DRAMMA DELLE VIOLENZE”
 
Il primo cittadino della città capoluogo di Provincia ha ripercorso brevemente quei drammatici momenti. “La nostra è stata una popolazione civile che ha vissuto sulla propria pelle anche l’immane dramma delle violenze ad opera dei goumiers francesi su donne, uomini e bambini” ha spiegato in un passaggio il sindaco di Frosinone Riccardo Mastrangeli ricordando le ‘marocchinate’. Inoltre ha anche sottolineato “l’altissimo prezzo pagato dalla Città di Frosinone nel corso del sanguinoso conflitto bellico”. 
 
 
LO STORICO PAOLO MIELI: “NON DIMENTICHIAMO QUANTA DIGNITÀ LE NOSTRE FAMIGLIE ABBIANO AVUTO NEL RESISTERE”
 
Una attenta e puntuale lectio magistralis, quella tenuta dallo storico e giornalista, professor Paolo Mieli, ringraziato più volte dal Ministro e dal Presidente della Provincia per la sua presenza. Mieli ha raccontato delle “violenze subite da questa provincia” e delle “marocchinate”, evidenziando come “far passare la storia delle sofferenza di questa area solo per le violenze subite dai liberatori è stato un trucco per omettere le sofferenze degli otto mesi che hanno preceduto la liberazione”, che “sono il motivo della medaglia”. “Se potessi vivere in un mondo in cui tutti si comportano come si comportarono i cittadini di questo territorio né sarei lieto” ha ancora detto, mettendo in evidenza la dignità e la resistenza del popolo ciociaro e raccomandando di “non dimenticare quanta dignità le nostre famiglie abbiano avuto nel resistete, nel non farsi abbattere”.
 
 
IL MINISTRO PIANTEDOSI: “L’INTERA CIOCIARIA FU, IN VIRTÙ DELLA SUA VALENZA STRATEGICA, PESANTEMENTE SEGNATA E COLPITA”
 
“Sono lieto di poter consegnare questa medaglia alla Provincia di Frosinone – ha detto fra l’altro il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi -. Un importante riconoscimento voluto  a tributo delle ingenti perdite umane, delle immani sofferenze, delle privazioni, dei diffusi fenomeni di distruzione e devastazione che questo territorio ha dovuto patire durante il secondo conflitto mondiale”.
 
“Un conferimento, quello alla Provincia – ha aggiunto il titolare del Viminale in un altro passaggio – a cui tengo particolarmente, nella consapevolezza che l’intera Ciociaria fu, in virtù della sua valenza strategica, pesantemente segnata e colpita nel corso dei tragici eventi bellici”.
 
“Rievocare le pene sofferte dal popolo ciociaro da parte dei nazifascisti, e anche dalla parte di truppe aggregate degli alleati, deve servire a riconoscere il merito di una comunità che, nonostante le immani sofferenze patite, scelse di proiettarsi e credere nel futuro oltre ogni rivendicazione, senza cedere a tentazioni divisive. I ciociari, come il resto degli italiani, compirono enormi sforzi per contribuire, una volta conclusa la tragedia della seconda guerra mondiale, alla rinascita del nostro paese” ha concluso il Ministro dell’Interno.
 
CENNI STORICI
 
La Linea Gustav è stata una linea difensiva tedesca che si estendeva lungo l’Italia centrale durante la seconda guerra mondiale. Costruita nel 1943-1944 in risposta all’inasprimento dell’offensiva alleata in Italia, la Linea Gustav era uno dei principali ostacoli che l’Asse doveva superare per avanzare verso il nord e liberare il Paese dall’occupazione tedesca.
 
La linea si estendeva approssimativamente da Pescara sulla costa adriatica fino a Grosseto sulla costa tirrenica, attraversando montagne, fiumi e terreni difficili. Era costituita da una serie di fortificazioni, bunker, trincee, campi minati e ostacoli naturali, progettati per rallentare e bloccare l’avanzata delle forze alleate.
 
La battaglia per superare la Linea Gustav è stata estremamente feroce e ha visto pesanti combattimenti tra le forze tedesche e alleate. Gli Alleati hanno lanciato diverse offensive lungo la linea, tra cui la battaglia di Monte Cassino, una delle più celebri e sanguinose della guerra. Questa battaglia, in particolare, ha coinvolto scontri durissimi e pesanti perdite su entrambi i fronti, con gli Alleati che hanno cercato di sfondare le difese tedesche per avanzare verso Roma e il nord Italia.
 
Nonostante le difficoltà e le perdite, gli Alleati sono riusciti a rompere la Linea Gustav nell’ambito dell’operazione Diadem nel maggio 1944. Questo successo ha permesso loro di avanzare verso Roma, liberata il 4 giugno 1944, e di continuare la loro campagna per la liberazione dell’Italia settentrionale.
 
L’avanzata alleata per liberare l’Italia dopo aver superato la Linea Gustav ha rappresentato un momento cruciale nella guerra in Europa, portando alla caduta del regime fascista e alla fine dell’occupazione tedesca nel Paese. Tuttavia, la campagna per la liberazione dell’Italia è stata lunga e difficile, e ha comportato ingenti perdite umane e materiali su entrambi i lati.
 
 
 
 
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Prevenzione e contrasto dei crimini informatici: siglato accordo tra Polizia di Stato e BCC Banca Iccrea

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È stato siglato a Roma l’accordo tra la Polizia di Stato e BCC Banca Iccrea, capogruppo del Gruppo BCC Iccrea, per la prevenzione e il contrasto dei crimini informatici che hanno per oggetto le reti e i sistemi informativi di supporto alle funzioni istituzionali della società.
La convenzione, firmata dal Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza Prefetto Vittorio Pisani e da Mauro Pastore, Direttore Generale di BCC Banca Iccrea, è finalizzata a sviluppare una collaborazione strutturata tra le parti, per l’adozione ed il potenziamento di strategie sempre più efficaci in materia di prevenzione e contrasto al cybercrime, considerato il delicato e strategico settore di intervento del Gruppo.
Il Gruppo BCC Iccrea è il maggiore gruppo bancario cooperativo, l’unico gruppo bancario nazionale a capitale interamente italiano e il quarto gruppo bancario in Italia per attivi. BCC Iccrea, in qualità di Capogruppo esercita le attività di direzione, coordinamento e controllo sulle Società del Perimetro di Direzione e Coordinamento e, in tale ambito, supporta l’operatività bancaria delle BCC, fornendo prodotti, servizi e consulenza al fine di soddisfare le esigenze dei loro Soci, clienti, famiglie e territorio di riferimento.
La tutela delle infrastrutture critiche informatizzate di istituzioni e aziende che erogano servizi essenziali è una delle mission specifiche della Polizia Postale, l’articolazione specialistica della Polizia di Stato deputata alla prevenzione e contrasto della criminalità. La Polizia di Stato assicura attraverso la Polizia Postale e delle Comunicazioni, Organo del Ministero dell’Interno deputato alla sicurezza delle comunicazioni. In particolare, tale compito viene assolto attraverso il Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche (CNAIPIC) che, con una sala operativa disponibile h24, rappresenta il punto di contatto per la gestione degli eventi critici delle infrastrutture di rilievo nazionale operanti in settori sensibili e di importanza strategica per il Paese.
Alla firma della convenzione erano presenti per il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, il Direttore Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato, Prefetto Renato Cortese, il Direttore del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni, Dott. Ivano Gabrielli mentre per BCC Banca Iccrea erano presenti Renato Alessandroni,
Responsabile Sicurezza e Continuità Operativa, Chief Information Security Officer, Pasquale De Rinaldis, Responsabile Sicurezza delle Informazioni, Giuseppe Cardillo, Head of Architecture & Innovation e Raffaella Nani, Responsabile Comunicazione Istituzionale.

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Roma, al Quarticciolo baby spacciatori per evitare imputazioni

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ROMA – Proseguono i controlli antidroga in zona Quarticciolo dei Carabinieri del Comando Provinciale di Roma che, dopo gli 11 arresti eseguiti qualche giorno fa che hanno portato alla luce anche numerosi nascondigli utilizzati per occultare lo stupefacente – cassonetti dei rifiuti, aiuole, fori nei muri e addirittura una trappola per topi – hanno arrestato in flagranza di reato un 16enne romano gravemente indiziato del reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. In compagnia del 16enne c’era anche un 13enne, non imputabile, che è stato segnalato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Roma.
Più nel dettaglio, i Carabinieri della Stazione di Roma Tor Tre Teste, impegnati in un servizio perlustrativo finalizzato alla repressione dei reati in materia di stupefacenti nel quartiere Quarticciolo, hanno sorpreso i due minori cedere dello stupefacente ad alcuni acquirenti in strada, prelevandolo da un nascondiglio di fortuna costituito da un arbusto.
I Carabinieri hanno fermato i due ragazzini e li hanno trovati in possesso di oltre 400 euro in contanti, ritenuti provento di attività illecita, rinvenendo 12 dosi di crack occultate tra gli arbusti.
Su disposizione della Procura per i Minorenni, il 16enne è stato accompagnato al centro di prima accoglienza di via Virginia Agnelli e, su richiesta del Pubblico Ministero, il G.I.P. ha applicato la misura cautelare delle prescrizioni con ordinanza del 30/03/2024, mentre il 13enne è stato affidato ai rispettivi genitori.

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