CERVETERI, VIAGGIO HI-TECH NEL MONDO DEGLI ETRUSCHI CON “TOUCH ON GLASS”

Luca Pagni

Cerveteri (RM) – Al Museo Nazionale Archeologico di Cerveteri è stata presentata un’iniziativa capace di entusiasmare anche i più giovani  alla storia degli Etruschi e non solo. Grazie a ‘teche parlanti’ uniche al mondo che con un semplice tocco sul reperto, si trasformano in autentici touch screen e diventano multimediali e interattive grazie a realtà aumentata, video e divulgazioni d’autore a cura di Piero Angela e Paco Lanciano. Si chiama ‘Touch on glass’ ed è la tecnologia che da oggi fa il suo esordio al Museo Nazionale Archeologico di Cerveteri con ‘Museo Vivo’, le ultime installazioni di Filas nell’ambito del Distretto Tecnologico per i beni e le attività Culturali (Dtc), gestito dalla Finanziaria Laziale di Sviluppo per conto della Regione Lazio. L’iniziativa – allestita da Mizar e realizzata in accordo con la Soprintendenza dell’Etruria Meridionale – è stata presentata ieri a Cerveteri dal Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, l’assessore alla Cultura e Sport della Regione Lazio, Lidia Ravera, la Soprintendente per i beni Archeologici dell’Etruria Meridionale, Alfonsina Russo Tagliente, il Sindaco di Cerveteri, Alessio Pascucci, il Presidente Filas, Michele Pasca Raymondo ed il giornalista e divulgatore Piero Angela.

Grazie a ‘Museo Vivo’ i millenari reperti archeologici riprendono vita per raccontare storia, curiosità e segreti sull’affascinante mondo degli Etruschi. ‘Touch on glass’ funziona come uno smartphone: sfiorando il vetro in corrispondenza dell’oggetto, le speciali teche museali si animano e generano realtà aumentata su buccheri etruschi, anfore per l’olio e bicchieri per il vino, con l’ausilio di spettacoli di luce, effetti sonori, ricostruzioni 3D e proiezioni audiovisive. Al tocco le luci della teca si spengono per dare risalto al reperto prescelto; si attiva poi un breve video che ne descrive usi e costumi e lo riporta virtualmente nel luogo in cui è stato ritrovato. Il tutto è accompagnato dalle divulgazioni di Piero Angela. Oltre alle installazioni nelle teche, il museo mette a disposizione anche il filmato introduttivo con Piero Angela a grandezza naturale che accoglie e accompagna il visitatore durante tutta l’esposizione. Cerveteri diventa così l’area archeologica, patrimonio dell’umanità, più hi-tech al mondo. ‘Museo Vivo’ si aggiunge infatti agli allestimenti multimediali realizzati in otto tombe della Necropoli della Banditaccia, sito Unesco.

Tali interventi sono stati realizzati nell’ambito delle azioni del Dtc, il sistema integrato per valorizzare il patrimonio culturale del territorio attraverso le tecnologie digitali. Grazie ad avanzate tecniche di spettacolarizzazione, proiezioni audiovisive in sei lingue, ricostruzioni virtuali e effetti sonori, le installazioni mostrano ‘dal vivo’ nelle tombe stesse come queste erano più di duemila anni fa, riproducendo le atmosfere del tempo e i loro tesori con assoluto rigore scientifico e rispetto per la sacralità dei luoghi. Ad arricchire la visita, anche un’applicazione mobile che funge da guida interattiva: la App gratuita Cerveteri mostra la mappa della Necropoli su cui sono dislocati i vari punti di interesse corredati da immagini, file audio e schede descrittive. Museo Vivo, realizzato da Filas per conto della Regione Lazio, rappresenta un’ulteriore leva per  il rilancio dell’economia del territorio, a cominciare dal turismo. Basti pensare che nel 2012 grazie alle installazioni del Dtc, la Necropoli di Cerveteri ha registrato una crescita di afflussi di circa il 10% sul 2011 in controtendenza con il dato nazionale (-9% Dati MIBAC) e invertendo una tendenza in costante declino che ha visto dimezzare i visitatori delle necropoli negli ultimi 10 anni. Un comparto, quello dei beni culturali, strategico per il Lazio (regione con la più alta concentrazione di musei, monumenti e aree archeologiche statali), dove l’innovazione e la tecnologia possono portare un ritorno economico importante. Obiettivo del Dtc è infatti creare una rete fra imprese hi-tech, industrie creative (7mila con 250mila addetti solo a Roma), aziende nella filiera per i beni culturali (1.800) e del turismo culturale (30mila), incentivando l’innovazione e l’indotto sul territorio. Tutte le informazioni sul progetto Cerveteri e gli Etruschi sono presenti sul sito www.futouring.com




ROMA, ULTIMI PREPARATIVI PER EXPANDERE L'EVENTO B2B

Redazione

Roma – Al padiglione 8 della Nuova Fiera di Roma, torna l’appuntamento con Expandere, l’evento B2B ideato da Compagnia delle Opere Roma e Lazio, pensata per offrire alle imprese del territorio un’occasione di incontro e scambio di opportunità per favorire lo sviluppo di una rete tra imprenditori, anche non associati,  e la definizione di nuove strategie di business. In un periodo di crisi come quello che sta vivendo la nostra Economia, sono sempre di più le imprese a valutare di ricorrere all’outsourcing e alla definizione di sinergie tese ad ottimizzare spunti progettuali e gestionali tramite la condivisione di conoscenze ed esperienze. Proprio in quest’ottica, Expandere si propone come terreno fertile su cui far crescere una rete di contatti e concretizzare opportunità di sviluppo, intensificando il network tra operatori, clienti e partner tramite incontri prefissati. Ampio spazio sarà dedicato alla formazione: tavole rotonde, seminari informativi e workshop approfondiranno temi legati a diversi settori aziendali.

Durante la giornata, il campione italiano di Rugby Andrea Lo Cicero, consegnerà il Premio “Il Valore di un Percorso” , un riconoscimento che intende premiare le due imprese – una profit e una no profit – che avranno saputo dar seguito ad un incontro con il Case History migliore sulla base di innovazione, collaborazione con altre imprese e attenzione al capitale umano.

All'evento saranno presenti i rappresentanti delle Istituzioni locali tra cui Nicola Zingaretti, Presidente della Regione Lazio e Gianni Alemanno, Sindaco di Roma. Come nelle precedenti edizioni, la CCIAA di Roma ha dato un significativo contributo e sarà rappresentata dal Presidente Giancarlo Cremonesi.

I dati della precedente edizione, circa 300 aziende partecipanti e 6000 appuntamenti, hanno mostrato che dal confronto e dall’incontro con altri operatori, sono nati progetti condivisi e collaborazioni stabili che hanno permesso la crescita e lo sviluppo della propria azienda o l’allargamento del proprio mercato di riferimento.

"Ad Expandere si mettono insieme gli interessi, si fanno alleanze, ma soprattutto si crea una rete di persone che si sostengono nel condurre l'azienda, lo studio professionale, l'opera sociale e ne fanno un bene per tutti. – spiega Marcello Piacentini, Presidente di CDO Roma e Lazio."
 




PIOGGIA DI MILIONI PER L’AGRICOLTURA LAZIALE

Redazione

La Regione approva i bandi per l'erogazione di circa 30 milioni di euro dei fondi europei del Piano di Sviluppo Rurale per l'annualità 2013. "Un primo passo – ha detto il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti – per il rilancio della nostra agricoltura, un settore fondamentale per l'economia laziale, vitale per la ripresa economica del nostro territorio". "Grazie a un rimodulazione finanziaria concordata in sede comunitaria – ha aggiunto Zingaretti – abbiamo evitato di perdere queste importanti risorse rivolte alla valorizzazione dell'ambiente, al benessere animale e alla cosiddetta 'agricoltura blu', azione questa che poche altre Regioni sono riuscite ad attivare nei propri programmi e che prevede, tra l'altro, la possibilità di remunerare quegli agricoltori che introducono in azienda tecniche di produzione ecocompatibili ed innovative". Nelle prossime settimane la Regione Lazio approverà altri provvedimenti che vanno nella direzione dello snellimento delle procedure e dello sblocco dei fondi previsti dal Piano di Sviluppo Rurale. 

"E' il primo traguardo raggiunto per l'ottenimento di importanti risorse. Un passaggio – ha commentato l'assessore all'Agricoltura, Caccia e Pesca, Sonia Ricci – che riteniamo fondamentale per la valorizzazione dell'attività agricola in tutto il nostro territorio regionale. Valuteremo scrupolosamente la qualità delle domande che arriveranno per premiare i progetti finalizzati alla tutela e alla salvaguardia dell'ambiente con particolare attenzione alle caratteristiche di innovazione e di sostenibilità cui la nostra azione politica è rivolta".  La raccolta delle domande di accesso ai bandi è prevista entro la data del 15 maggio 2013 e verrà effettuata per via informatica semplificando così le procedure burocratiche e facilitando l'erogazione dei fondi.




ZINGARETTI STACCA LA SPINA ALLA PICCOLA “PREDAPPIO”

Redazione

Il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti ha chiesto agli uffici regionali di sospendere il finanziamento concesso al Comune di Affile, originariamente destinato al 'completamento del Parco Rodimonte' e alla 'realizzazione di un monumento al soldato', cioè al milite ignoto. Il Comune impropriamente ha poi deciso di dedicarlo a Rodolfo Graziani. "A parte le palesi violazioni rispetto all'utilizzo del finanziamento pubblico, la nostra amministrazione – afferma Zingaretti – non avallerà mai qualsiasi tentativo di distorsione o falsificazione della memoria storica, tanto più nel caso di una figura come quella del generale Graziani, su cui la storia ha già emesso da tempo il suo giudizio: per i crimini di guerra compiuti nel corso dell'aggressione coloniale nei confronti dell'Etiopia, con l'uso di gas, bombardamenti indiscriminati e rappresaglie contro la popolazione civile, con la costruzione di campi di concentramento, con la reclusione coatta delle popolazioni nomadi; per il suo sostegno indiscusso al regime fascista e al proseguimento della guerra affianco alla Germania nazista fino all'ultimo giorno nella Repubblica di Salò. Per il suo apporto convinto alla guerra civile contro la Resistenza, da cui mai prese le distanze e che gli valse una condanna a 19 anni di reclusione con l'accusa di collaborazionismo,  mentre rimasero pendenti i suoi trascorsi in Africa e le accuse di crimini contro l'umanità a lui rivolte da più parti". "Già sei mesi fa, quando non ero ancora presidente della Regione – conclude Zingaretti – avevo chiesto un passo indietro. A questo punto non possiamo che prendere atto della palese illegittimità del comportamento del Comune di Affile, sospendendo l'erogazione del saldo di 180mila euro per la realizzazione dell'opera fino al ripristino della proposta progettuale originariamente finanziata. Questo vuol dire apportare delle modifiche strutturali al monumento e intitolarlo come originariamente concordato 'al soldato', facendo scomparire qualsiasi riferimento a Rodolfo Graziani e cancellando questa provocazione, che rappresenta non solo un atto scorretto dal punto di vista legale e amministrativo, ma  un'inaccettabile offesa alla libertà, alla democrazia e alla memoria di tutti gli italiani".

LEGGI ANCHE:

12/08/2012 AFFILE, GRANDE FESTA PER IL "MARESCIALLO D'ITALIA"… ORA AFFILE COME PREDAPPIO



INIZIA IL BALLETTO DEI RIFIUTI DEL LAZIO

Angelo Parca

Roma – Nicola Zingaretti non trascura il tema dei rifiuti e alla vigilia della chiusura di Malagrotta che decreterà lo stop ai rifiuti non trattati nella discarica e che avverrà giovedì 11 Aprile pensa di chiedere aiuto “temporaneo” ai presidenti delle altre Regioni:  ''Giovedì alla conferenza dei presidenti delle Regioni – dice il governatore del Lazio – chiederò ad altre Regioni di accogliere i rifiuti di Roma per un periodo transitorio per essere lavorati. Altrimenti Roma è in difficoltà e confido nella solidarietà di altre Regioni''.


Intanto il sindaco Gianni Alemanno fa sapere che a breve sentirà il ministro e il commissario per vedere cosa è stato elaborato.”La mia preoccupazione – dice il sindaco capitolino –  non è per i rifiuti in strada ma è evitare l'infrazione comunitaria che c'è su Malagrotta per rifiuti del 'tal quale'. Da cinque anni abbiamo chiesto, prima a Marrazzo, poi alla Polverini e a Zingaretti di fare un piano complessivo per poter fare un'alternativa a Malagrotta. Questo piano non è venuto fuori, le proposte che sono uscite non erano accettabili, adesso siamo vicini a una soluzione perché si è trovata la strada per trattare tutti i rifiuti – ha continuato Alemanno – Si poteva evitare tutto questo cominciando molto prima, ma ribadisco che Roma Capitale è vittima di tutto questo. Il Comune raccoglie i rifiuti li tratta, li differenzia, sta aumentando la differenziata poi però lo smaltimento non è compito nostro ma delle strutture più grandi di noi che devono darci indicazioni precise. Attendiamo che il commissario e il ministro – ha concluso – traccino una linea chiara. Non c'è il rischio Napoli a Roma perché il problema non è la chiusura di Malagrotta in quanto tale, ma di non mettere i rifiuti del 'tal quale' dentro Malagrotta”.

La tirata di giacchetta di Alemanno e Zingaretti nei confronti dell’ex governatore del Lazio ha fatto pronunciare la parola “scaricabarile” al neo deputato Polverini, la quale ha tuonato: “Sulla vicenda rifiuti vedo solo passi indietro e poca memoria ma, soprattutto, la solita pratica dello scaricabarile tra Istituzioni – dice Polverini –  che non vogliono assumersi responsabilità. Abbiamo tolto il Lazio dalla procedura d’infrazione avviata da Bruxelles approvando, dopo dieci anni d’attesa, il Piano regionale dei rifiuti e assumendoci la responsabilità di indicare siti alternativi a Malagrotta lavorando affinché, grazie agli investimenti della mia Giunta, si potesse dare concretezza alla raccolta differenziata. Tutto questo surrogando funzioni che altri avrebbero dovuto esercitare ed in presenza di veti, soprattutto della Provincia, che non si è mai seriamente preoccupata di offrire alternative percorribili.

Critico al riguardo anche il coordinatore dei Socialisti Riformisti Donato Robilotta che afferma: “Mi sono sempre chiesto in questi giorni: come faremo a chiedere alle altre Regioni di prendersi i rifiuti di Roma quando le amministrazioni locali di Albano e Frosinone li hanno rifiutati? Sul no ai rifiuti di Roma dei nostri territori è stato assordante il silenzio della classe politica e degli amministratori locali e regionali che non hanno mosso un dito e ora lanciano appelli alla solidarietà delle altre Regioni”.

Condanne dal Veneto dove il presidente della Regione Luca Zaia punta il dito e sostiene un chiaro no: ''La prima regola e' che ognuno e' padrone e responsabile a casa propria. Restiamo fermamente contrari a ricevere rifiuti da Roma, un no ribadito a più riprese e non solo nei confronti del Lazio''.
 
 




ASL ROMA E, SITUAZIONE DRAMMATICA. LA UIL FPL SI APPELLA A ZINGARETTI: “NECESSARIO IL COMMISSARIAMENTO”

Redazione

Roma – La Uil Fpl di Roma ha condotto una indagine sui tempi di attesa nell’Asl Roma E, ed i risultati ci riportano una situazione drammatica.

A comunicare i dati aggiornati a Sabato 6 Aprile 2013 è il Segretario Organizzativo della Uil Fpl di Roma Paolo Dominici. Se un cittadino dovesse fare una Risonanza Magnetica del Cervello e del Tronco Encefalico, o una Rmn della Colonna Lombosacrale, Cervicale o Dorsale si deve rivolgere ad un'altra Asl perché in questa non è possibile prenotarla ( o per liste chiuse, o piene, o perché sono oltre i 365 giorni). Ma non è finita qui, anche per le Risonanze “meno impegnative” la situazione è tragica; nessuna disponibilità neanche per una Rm Spalla e Braccio o per una Rmn Gamba. Passiamo alle Ecografie. Per un Ecografia Addome Completo occorre attendere 210 giorni presso il San Zaccaria Papa, presso Via Offanengo, presso l’Oftalmico, in Via Boccea 625, a Palazzo di Giustizia; ancor di più presso Viale Tor di Quinto e Lungo Tevere della Vittoria. Nessuna disponibilità all’Ospedale Santo Spirito. Altro esame molto richiesto è Ecografia Capo e Collo che non è disponibile in tutta l’Asl Roma E. Vediamo la situazione di alcuni esami diagnostici strumentali cardiologici. Per una Ecografia Cardiaca – Ecocardiogramma nessuna disponibilità in tutta l’Asl Roma E, idem per l’Ecocolordoppler Cardiaco a riposo o dopo sforzo; anche in questi casi, un cittadino deve andare altrove. Per un Ecg con Cicloergometro occorre attendere 210 giorni circa presso l’Ospedale Santo Spirito. Per una Mammografia Bilaterale occorre attendere circa 120 giorni presso l’Oftalmico, circa 150 presso il Santo Spirito e 210 presso Santa Maria della Pietà. Insomma, cosa come possiamo definire questa indagine se non drammatica?

E’ inammissibile che una A.S.L. come quella della Roma E, assolutamente strategica per la città, che copre una superficie di Km/q 392.26 ed una popolazione residente di c.a 530.000 abitanti, più delle Regioni Val d’Aosta e Molise messe insieme,  offra questi servizi ai cittadini.

Anche  questo – conclude Dominici –   rafforza quello che stiamo ripetendo da  diversi  giorni; la Regione Lazio dovrebbe intervenire quanto prima per Commissariare una Asl come quella della Roma E, gestita da un Direttore Generale il quale dovrebbe maggiormente preoccuparsi di rendere efficace l'assistenza ai malati piuttosto che utilizzare le sue energie in una guerra intestina senza esclusione di colpi. Non possiamo dimenticare, inoltre, provvedimenti come quello sul San Carlo di Roma (Gruppo Idi) relativo alla sua chiusura, per fortuna scongiurata, che lo stesso Governatore della Giunta Regionale del Lazio Nicola Zingaretti ha considerato "al di la delle intenzioni regionali".




ENTI DI FORMAZIONE UN CAMPO DA ESPLORARE, UN MONDO SCONOSCIUTO.

Emanuel Galea

Succede sempre così. Nessuno vede, nessuno sente, nessuno parla.

Un bel giorno arriva il servizio della coraggiosa Milena Gabanelli, Premio Reporteros del Mundo, come esempio di giornalismo critico che lotta per la libertà. La giornalista vede un filo di fumo salire da qualche parte dell’isola, s’avvicina, sente puzza di bruciato, punta le sue antenne, inizia una indagine e fa venire fuori, non più l’acro del bruciato bensì un tanfo nauseabondo che scuote persino gli stomaci più robusti, quelli che di solito si trincerano con una coltre di pelo scuro.

Il servizio dello scorso 9 dicembre  sugli Enti di formazione professionale in Sicilia, fa suonare la sveglia al Governatore Rosario Crocetta che, detta con tutta onestà, risponde tempestivamente e con energia. Immediatamente dà disposizioni di “bloccare i pagamenti nei confronti di associazioni, enti, cooperative, società che gestiscono la formazione e siano riconducibili a deputati regionali e a loro parenti prossimi”. Le indagini, ancora in corso, hanno portato alla luce che tanti politici,attraverso loro parenti hanno rapporti con gli enti di formazione e che costano ogni anno circa 500 milioni di euro. Gli interessi sono trasversali, riguardano politici del Pd, ma anche di Fli, Pdl, Udc, Pds-Mpa e altri. La “formazione professionale” è bella, la “formazione professionale” è giusta, la “formazione professionale” è conveniente.

L’inchiesta della Gabanelli non basta. Dalla Ue arrivano seri provvedimenti. La Commissione Europea "congela" 4,4 miliardi del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale e decide di non erogare 257 milioni per corsi organizzati tra il 2002 e il 2006 a causa di alcune irregolarità.

Crocetta si ribella e grida all’arroganza. Il commissario Ue alle Politiche regionali Johannes Hahn non tarda ad arrivare: "Non applichiamo la politica della “taglia unica'", afferma il suo portavoce Shirin Wheeler. "Ci preme che gli investimenti Ue siano usati nel modo migliore per creare posti di lavoro duraturi e promuovere la crescita della Sicilia". Una storia complicata e di esiti incerti. Da notizie che riusciamo a raccogliere sembra che ci siano circa 8.000 assunti a tempo determinato, tutti a carico del “finanziamento dei corsi di formazione professionale”, oltre naturalmente ulteriori 2.000 a tempo indeterminato che orbitano intorno ai primi.  Sembra che ci siano circa 2500 enti di formazione di cui 230 circa, anonimi, sconosciuti. A Palermo, iscritti al corso di parrucchiere sono in 1.000. L’estetica sembra una cosa a cui si tiene di più da quelle parti. Ormai si è capito benissimo, i corsi di formazione professionale, nel caso specifico, non sono altro che, una forma di welfare. La Sicilia è lontana da noi, siamo pure divisi dal mare, dallo stretto di Messina. Sono problemi che dovrebbe sbrogliare Rosario Crocetta, anche se, senza meno, sentiremo anche noi qualche onda anomala bagnare le nostre spiagge.

La nostra riflessione è un’altra. Possibile che nella Regione dei Fiorito, si può guardare dall’alto in basso verso la Sicilia dicendo, “ma qui è tutta un’altra cosa?”  Non avevo ancora finito di fare questa riflessione, quando a Roma scoppia il caso dei giudici che reclamano il diritto all’hotel. Ormai tutti sanno come si è risolto il caso. “Un viaggio pagato grazie ad un convegno organizzato ad hoc per  loro dall’Ufficio studi, massimario e formazione,un corso intitolato: ”Trasparenza  e Privacy nell’amministrazione e nella giustizia amministrativa” Chi se lo sarebbe mai immaginato! Anche alla  Regione Lazio ci sono i sindacati che gestiscono i corsi di formazione, anche qui ci sono i diversi enti di formazione, anche qui ci sono i politici, le associazioni, la Confcommercio, le agenzie di lavoro interinale. I corsi di formazione sono i più svariati con i contributi della Provincia, Regione, Ue. Per esempio uno dei corsi è “formazione ingresso in impresa” che in questi giorni specifici fa un pò ridere. Attualmente  si chiude un’impresa al giorno. Di quale ingresso si parla? L’elenco regionale dei soggetti accreditati, come da Portale Istruzione Sirio , aggiornato al 31dicembre 2012 conta n. 375 enti privati. Enti delle più svariate formazioni, conformazione e natura giuridica : S.a.s – S.r.l.  S.p.A, Onlus e non solo. Senza dilungarmi ulteriormente, l’esperienza Sicilia docet e il comportamento del governatore Crocetta dovrebbe fare scuola. Per nostra fortuna, alla Regione Lazio, il nuovo governatore Zingaretti ci fa ben sperare e ci rasserena per quanto concerne il futuro. Chi è pronto a mettere la mano sul fuoco per il passato?




BRACCIANO, BRACCIO DI FERRO CON I VERTICI DI TRENITALIA NEL CORSO DELL’INCONTRO DI IERI IN VIA MARSALA

Luca Pagni

Bracciano (RM) – “Ci vuole un equilibrio tra quelle che sono le esigenze dei passeggeri di Viterbo e di Roma rispetto a quelle del lago di Bracciano. Vanno cercate soluzioni condivise e soprattutto che vedano la partecipazione dei pendolari e delle istituzioni locali, senza creare questioni di carattere sociale per studenti e lavoratori penalizzati dalla soppressione delle fermate nelle ore di punta del mattino sulle corse Viterbo-Roma. Trenitalia ci dice che il servizio della fl3 sarebbe migliorato di 5/6 punti. Ma ritengo che la valutazione di questo miglioramento ci sia solamente perché si è presa in esame tutta la tratta del servizio. Ci dicano al contrario se ci sia stato un miglioramento o magari un peggioramento del servizio, come noi riteniamo, valutando la regolarità da Viterbo a Cesano, senza comprendere la parte di tratta metropolitana romana”.  E’ quanto ha detto ieri il sindaco di Bracciano Giuliano Sala, facendosi portavoce del  malcontento generale, nel corso dell’incontro ieri in via Marsala con i vertici di Trenitalia Lazio in merito ai disservizi del nuovo orario entrato in vigore il 10 marzo scorso.

“Non è possibile che le pur legittime esigenze dei pendolari di Viterbo – ha aggiunto Sala – ricadano sui pendolari della zona del lago di Bracciano”. Sala, presente assieme ad altri sindaci del territorio- Francesco Pizzorno per Anguillara, Bruno Bruni per Manziana, Graziella Lombi per Oriolo e Sandrino Aquilani per Vetralla, ha condiviso inoltre appieno l’analisi fatta da Luciana Randazzo del comitato pendolari Paspartù la quale ha commentato che “i pendolari sono persone e non numeri”.

“Non è possibile – ha precisato ancora Sala – fare riferimento a presunti incrementi della puntualità tutti da verificare e non considerare che i passeggeri sono persone e non numeri. Sopprimere quelle fermate al San Filippo, al Gemelli e a Monte Mario, per permettere ai treni semidiretti di Viterbo di risparmiare dieci minuti, significa creare fortissimi disagi per anziani, studenti e lavoratori”.

Evidente nel corso della riunione è apparsa la soddisfazione dei rappresentanti dei pendolari di Viterbo i quali con il nuovo orario hanno ottenuto corse dirette che accorciano i tempi. Un dualismo di trattamento stigmatizzato anche dal sindaco di Oriolo Graziella Lombi la quale ha affermato che non ci possono essere “passeggeri di serie A e di serie B”. Aniello Semplice, direttore di Trenitalia Lazio ha precisato che alcuni aggiustamenti dell’orario potranno essere introdotti o a partire dal 14 aprile o dal 9 giugno.

Nel suo intervento il sindaco Sala, oltre a sottolineare l’incremento della popolazione nell’area del lago di Bracciano di questi ultimi anni, ha parlato della necessità di considerare nuovamente l’ipotesi del raddoppio dei binari, almeno fino a Manziana, progetto in parte già finanziato e poi accantonato.

Sala si è detto pronto poi, assieme ad altri sindaci dell’area del lago di Bracciano, a costituire un comitato della linea fl3 che a livello istituzionale, affiancandosi ai comitati esistenti tra cui Paspartù che peraltro sta portando avanti una class action contro Trenitalia, possa portare la questione dei disservizi di Trenitalia all’attenzione della Regione Lazio, ed in particolare all’attenzione del neogovernatore Nicola Zingaretti e del neo assessore ai Trasporti Michele Civita.

“La questione del trasporto regionale – ha sottolineato Sala a margine dell’incontro – è fondamentale nella strategia di potenziamento del trasporto su ferro che Zingaretti ha annunciato per la Regione Lazio”. 

LEGGI ANCHE:

27/03/2013 TRENITALIA/FRI E REGIONE LAZIO: L'INCONTRO TRA I SINDACI E I PENDOLARI

 




RIETI, LO STATO DEL CARCERE

Redazione

Rieti – La delegazione radicale composta da Marco Giordani, Alessio Torelli e Valeria Centorame di Sabina radicale, insieme al sindaco di Rieti Simone Petrangeli e al presidente delle Camere Penali di Rieti Marco Arcangeli hanno visitato il Carcere di Rieti.

"La struttura si presenta molto diversa da quelle classiche all'italiana. – dichiara Rocco Berardo, consigliere regionale del Lazio – I detenuti sono in una cosiddetta sorveglianza dinamica – prosegue Berardo – quindi hanno la possibilità di accedere liberamente nei corridoi della sezione."

I detenuti attualmente presenti sono 312 di cui 161 stranieri. 220 di questi sono definitivi. Il carcere di Rieti attualmente può ospitare 369 detenuti. Nove sezioni sono state aperte sulle 11 disponibili.

L'amministrazione penitenziaria non ha ancora previsto una pianta organica per questo carcere tuttavia lo standard che dovrebbe prevedere un agente per ogni due detenuti – e quindi dovrebbero essere 155 circa gli agenti di polizia penitenziaria – è ricoperto solo in parte: sono infatti 114 gli agenti presenti attualmente.

"Il problema principale della struttura – ha inoltre dichiarato il consigliere regionale Rocco Berardo –  tuttavia è rappresentato da quello sanitario che faremo presente al presidente della Regione Nicola Zingaretti:"

Attualmente i medici che coprono il servizio sanitario sono solo presenti di giorno, infatti dalle 20 fino alle 8 non vi è presenza medica all'interno della struttura penitenziaria mentre sono tre gli infermieri per ogni turno, dalle 7 alle 21. Il reparto di radiologia c'è  ma non è funzionante: manca controllo e collaudo sulle macchine, più il personale tecnico. Lo spostamento in ospedale per una semplice lastra risulta logisticamente difficile e economicamente oneroso. Sono 44 i detenuti lavoranti mentre sono quattro quelli che hanno fatto richiesta per accedere ai corsi universitari mentre non è ancora attivata la scuola elementare e media provocando grande disagio per i tanti detenuti che vorrebbero iscriversi. I 10 computer disponibili nell'area informatica vengono utilizzati raramente anche perché non sono stati ancora avviati i corsi di formazione.

Rocco Berardo conclude le dichiarazioni con tre informazioni:
La carta dei diritti dei detenuti e degli internati che dovrebbe essere consegnata all'ingresso non risulta  consegnata.
L'ufficio del magistrato di sorveglianza  non è istituito a Rieti: dunque quello di Viterbo è costretto a dividersi fra le due province.
Alle ultime elezioni, anche se in 106 hanno sottoscritto la presentazione della Lista Amnistia Giustizia, hanno votato solo in otto, molti per mancanza di diritto di voto ma tanti anche per scarsa informazione.

LEGGI ANCHE:

19/03/2013 CARCERI AL COLLASSO: APPELLO A BOLDRINI E GRASSO
19/02/2013 LAZIO CARCERI, I DETENUTI SONO QUASI IL DOPPIO RISPETTO AI POSTI DISPONIBILI. CARENTE IL 25 PER CENTO DI POLIZIA PENITENZIARIA
25/01/2013 LAZIO, EMRGENZA ACQUA ALL'ARSENICO NELLE CARCERI: ALLARME A VITERBO, LATINA E CIVITAVECCHIA
15/12/2012 LAZIO CARCERI. IN 7 ANNI I RECLUSI ISCRITTI ALL’UNIVERSITA’ SONO AUMENTATI DEL 570 PERCENTO
28/10/2012 EMMA BONINO E I CAVALLI DI BATTAGLIA DEI RADICALI: "CARCERI PIENE PER REATI LEGATI A UNA LEGGE CHE ANDREBBE CAMBIATA"
11/10/2012 LAZIO, CARCERI: ASSISTENZA RELIGIOSA E DIRITTO AL CULTO NON SONO UNA PRIORITÀ. IL LORO RISPETTO AFFIDATO ALLA VOLONTÀ E RESPONSABILITÀ DEGLI OPERATORI PENITENZIARI.
18/09/2012 LAZIO, SOVRAFFOLAMENTO CARCERI: CRESCONO ALLARME E… SILENZI
30/08/2012 LAZIO, CARCERI AL COLLASSO. CONDIZIONI DI VITA AL LIMITE
22/08/2012 LAZIO SOVRAFFOLLAMENTO CARCERI, HA PROBLEMI DI SALUTE E GLI VIENE REVOCATO L'AFFIDAMENTO AI SERVIZI SOCIALI: TORNA IN CARCERE PER SCONTARE SEI MESI
15/08/2012 LAZIO FERRAGOSTO SICURO, I CONSIGLI DEL CORPO FORESTALE DELLO STATO
15/08/2012 LAZIO, SOVRAFFOLAMENTO CARCERI: OLTRE 7MILA I DETENUTI PASSERANNO IL FERRAGOSTO IN CARCERE

 




REGIONE LAZIO: IL PRIMO ATTO FORMALE DEL GOVERNATORE ZINGARETTI

Redazione

“Carissimi, ho ritenuto giusto che il primo atto formale dopo il mio insediamento fosse scrivere questa lettera, rivolgendomi a tutte le lavoratrici e i lavoratori della Regione Lazio per avviare insieme un percorso comune”. Inizia così il testo delle lettera che il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti ha inviato oggi a tutti i dipendenti. “Per me, certo, inizia un’avventura nuova, complessa ed entusiasmante, che già in questi giorni sto cercando di affrontare con tutto il mio impegno, le mie competenze e le mie capacità. Ma questa avventura di governo non è e non sarà mai la mia avventura personale. Perché di una cosa, nella vita, sono sempre stato convinto: il cambiamento non si afferma nella solitudine di un uomo al comando, ma solo dentro la forza di un’organizzazione collettiva, fatta del lavoro di donne e di uomini impegnati per il bene comune.

La Pubblica Amministrazione, come ben sapete vivendo ogni giorno al suo interno, è un organismo complesso, la cui forza, incisività e salute dipendono in primo luogo dalla passione, dalle competenze e dalla motivazione delle donne e degli uomini che lavorano al suo interno.
A questo serve una buona organizzazione e per questo ritengo che essa non possa prescindere dal riconoscimento del valore del lavoro pubblico, ricostruendo e rendendo più forte, anche dentro questa amministrazione, un patto fondato sulla trasparenza, il merito, la capacità di dialogo e la fiducia reciproca.
So che in questa amministrazione trovo una grande passione e molte competenze. Ad esse, insieme alla mia giunta, mi rivolgerò per metterle insieme al servizio della nostra comunità.

Soprattutto in un tempo di crisi come quello che stiamo vivendo, è fondamentale affermare questa priorità mostrando il volto di uno Stato amico, aperto, trasparente, utile perché impegnato fattivamente nella risoluzione dei problemi quotidiani dei cittadini e delle imprese, nel miglioramento dei servizi fondamentali, nella garanzia dei diritti individuali e collettivi, nella realizzazione di un progetto di sviluppo.
Ci attende un grande lavoro. E sono sicuro che insieme sapremo farcela”.
 




CANALE MONTERANO COME TERRITORIO DA VALORIZZARE E COME OSSERVATORIO SPERIMENTALE.

Daniele Natili

Canale Monterano (RM) – La scorsa domenica 10 marzo 2013 vi è stata una visita al territorio di Canale Monterano da parte del Gruppo Operativo dell’Associazione A.PRO.D.U.C. (Associazione per la Tutela delle Proprietà Collettive e dei Diritti di Uso Civico. Notizie nel sito web della stessa: http://www.demaniocivico.it/).

L’A.PRO.D.U.C. ha sede in Roma e fu costituita nel 1989 – sull’onda emotiva provocata dalla scomparsa del grande avvocato demanialista Giudo Cervati – da un gruppo di studiosi, giuristi ed avvocati appassionati delle questioni ambientali e della materia relativa agli usi ed ai demani civici.
Il Gruppo Operativo A.PRO.D.U.C., di cui io stesso faccio parte, sta lavorando alla mappatura dei demani civici italiani, vuole cioè contribuire ad un censimento delle proprietà collettive ancora esistenti nel nostro paese. In questo ambito, tale gruppo di giovani studiosi, cultori e docenti universitari di diverse discipline (storia medievale, economia, architettura ed urbanistica, diritto agrario, diritto degli usi civici) vuole promuovere un progetto pilota, che possa fare cioè da modello per altre simili iniziative, di valorizzazione economica (in modo sostenibile) di una proprietà collettiva. Ciò è di particolare interesse, se si considera l’attuale momento storico di crisi globale delle economie e l’aggressione sempre maggiore che subisce il suolo italiano a causa, soprattutto, della cementificazione.
Il progetto pilota vorrebbe proporre un modello di sviluppo economico che guardi al futuro e, allo stesso tempo, alla nostra tradizione: ossia l’Italia come antica terra di usi civici, dove il feudalesimo ha lasciato in eredità non soltanto scomodi relitti di un passato da superare, come i particolarismi ed i privilegi, ma anche un modello di sfruttamento collettivo della terra. Le popolazioni della Penisola vivevano, infatti, lavorando collettivamente la terra del feudo e soddisfacevano alle esigenze dei singoli nuclei familiari valorizzando le utilità che la natura circostante offriva loro: semina, legnatico, pascolo, pesca, caccia, raccolta dei funghi, il cipollatico, ecc., senza qui completare il lungo elenco dei singoli usi civici, che altro non sono se non forme tipiche di utilizzazione dei beni offerti dalla terra ad una collettività di abitanti. Un modello che si è rivelato un nostro patrimonio storico-culturale, una realtà nascosta nella società rurale, un mondo imbarazzante per la cultura politica e giuridica ufficiale, una consuetudine strisciante e radicata nelle comunità locali e, soprattutto, l’unica esperienza millenaria che abbia dimostrato, nelle società umane, effettiva capacità di economia sostenibile e conservazione dell’ambiente.
Gli usi civici delle popolazioni italiane sono la prova, ancora viva, di “un altro modo di possedere”, come ebbe a dire Carlo Cattaneo e come ha ribadito Paolo Grossi, insigne storico del diritto e giudice della Corte Costituzionle, in un libro celeberrimo del 1977 che dalle parole del Cattaneo ha tratto il titolo.

La visita a Canale Monterano del 10 marzo si è svolta nell’ambito dell’attività che il Gruppo A.PRO.D.U.C. sta portando avanti per realizzare tale progetto pilota. La visita ha avuto ad oggetto la tenuta ‘Pergugliano’, proprietà collettiva gestita dall’Università Agraria, e la Riserva Naturale regionale “Monterano”, con le suggestive rovine dell’omonimo borgo di origine etrusca. Alla giornata erano presenti, fra gli altri, l’Avv. Maria Athena Lorizio, Segretario generale A.PRO.D.U.C. e specialista di diritto degli usi civici, e Gaia Pallottino, ex Segretario generale di “Italia Nostra” e socio fondatore di A.PRO.D.U.C.; a ricevere il gruppo erano presenti il Sindaco di Canale Monterano, Angelo Stefani, e la locale Università Agraria, nella persona del suo Presidente, Belisario Gentili, e dei Consiglieri Giovanni D’Aiuto e Fulvio Magagnini.

La Riserva Naturale “Monterano” ha messo a disposizione il suo personale per le informazioni relative all’istituzione, alle finalità e alle specie animali e vegetali dell’area protetta; l’Archeologa Flavia Marani in rappresentanza della Cooperativa Sociale Lympha – una cooperativa che ha sede a Canale Monterano e che si occupa di visite guidate nei luoghi di interesse storico e naturistico del Lazio – ha guidato il gruppo in un percorso esplicativo degli aspetti archeologici e storico-artistici dell’antico abitato di Monterano. La visita si è conclusa con un piccolo rinfresco, finanziato esclusivamente con donazioni spontanee di alcuni cittadini di Canale Monterano che qui ringrazio; il rinfresco si è tenuto nei locali (c.d. “Granaroni”) messi a disposizione dall’Università Agraria.
Mi auguro vivamente che questa bella giornata possa portare dei frutti concreti, magari una collaborazione fra le autorità di Canale Monterano e A.PRO.D.U.C. in vista dell’interessante progetto pilota da me ricordato. Ciò è importante sotto diversi profili, che trascendono l’ambito del comune di Canale Monterano.

CHE COSA SONO GLI USI CIVICI E LE PROPRIETÀ COLLETTIVE

Dobbiamo innanzi tutto ricordare che per “usi civici” si intendono fenomeni molto diversi fra loro. In senso lato, vi sono usi civici ovunque ciascun membro di una collettività determinata abbia diritto di raccogliere legna o funghi o altro, di esercitare il pascolo, di pescare, ecc. (gli usi civici sono tipici); se la popolazione, attraverso i singoli individui, ha tali diritti su terra di proprietà privata (come se questa fosse gravata da servitù a favore della popolazione), ci troviamo di fronte agli usi civici in senso stretto. Se, invece, una comunità di abitanti esercita tali diritti (funzionali alle esigenze dei nuclei familiari che la compongono) in un comprensorio terriero che appartiene alla comunità stessa, allora siamo di fronte ad una proprietà collettiva o demanio civico in senso stretto.

Come si sono formati i diritti di uso civico e le proprietà collettive? Le origini sono molto discusse fra gli studiosi, ma possiamo tenere per certo che in epoca medievale erano consolidate presso le popolazioni forme di godimento comune della terra del feudo del tutto lontane dal moderno modello della proprietà privata. Nascevano regole e si sviluppavano consuetudini concernenti l’utilizzazione collettiva dei fondi, in un mondo nel quale ciascuna comunità di abitanti era parte integrante di un territorio affidato per investitura ad un feudatario. L’investitura feudale implicava, cioè, il riconoscimento in capo agli abitanti del feudo della possibilità di soddisfare alle esigenze della loro sopravvivenza nel territorio dove vivevano.  E questa possibilità si poteva esplicare in due modi: o esercitandola in generale nel feudo (e da questa situazione hanno origine gli usi civici in senso stretto), oppure sfruttando collettivamente una parte soltanto del territorio, che era stata appositamente concessa dal signore alla popolazione e che in tal modo acquisiva un vincolo di esclusiva destinazione ai bisogni essenziali degli abitanti o cives (e così nascevano le prime proprietà collettive). Ad esempio, nonostante si tratti di un episodio successivo all’età medievale, la prima proprietà collettiva di Canale Monterano nacque nel novembre del 1578, quando il duca di Bracciano Paolo Giordano I Orsini concesse ai Monteranesi la tenuta Bandita affinché costoro la usassero per raccogliervi la legna.
Ad ogni modo, il nostro paese, l’Italia, da Nord a Sud ha visto svilupparsi nel corso della sua storia una congerie infinita di queste situazioni possessorie collettive, estranee al modello napoleonico di ‘proprietà privata’. Tali situazioni possessorie devono intendersi non semplicemente come esperienze di economia comunitaria, ma soprattutto come l’espressione più immediata delle diverse tradizioni, culture e autonomie locali. Il vincolo di destinazione alle esigenze della popolazione che caratterizza le proprietà collettive; le regole e gli statuti con i quali l’uso collettivo della terra viene variamente disciplinato; e le diverse forme organizzative che nel corso dei secoli le popolazioni si sono date per gestire i loro patrimoni territoriali (si ha, così, un elenco ricchissimo di comunità organizzate per lo sfruttamento collettivo della terra: pensiamo alle Regole del Cadore e delle altre comunità dell’arco alpino, alle Partecipanze emiliane, alle Società di antichi originari della Lombardia ed alle Associazioni agrarie del Centro-Italia, per fare solo degli esempi) sono i principali aspetti di un fenomeno tanto importante quanto poco conosciuto del localismo italiano: la presenza secolare dei demani civici nel tessuto delle territorio nazionale.
Questo immenso patrimonio fondiario e culturale ha resistito agli attacchi della Rivoluzione Francese e, più in generale, della modernità. Con la Rivoluzione Francese gli usi civici furono visti come un relitto storico, un residuato del feudalesimo che si voleva abbattere. Non si comprese che, in realtà, quel modo di possedere era ben più che un’antiquata sopravvivenza di esperienze medievali; era, infatti, un modo di rapportarsi alla terra connaturato da sempre alla vocazione dell’uomo a vivere in società. In Italia, agli inizi dell’Ottocento, cominciò un percorso legislativo travagliato che ancor oggi non può dirsi conluso.
Nei diversi stati preunitari comparvero le c.d. leggi eversive della feudalità, vale a dire – con estrema semplificazione – normative che tendevano, con procedimenti di liquidazione, ad abolire gli usi civici ed a trasformare in proprietà privata (che l’ideologia borghese riteneva più funzionale ad un’economia moderna) i demani civici. Negli anni successivi all’Unità d’Italia, tuttavia, di fronte ai gravi problemi che il nuovo stato doveva affrontare, vi furono alcune coscienze illuminate nella classe dirigente e nelle forze politiche parlamentari. Vi fu chi, finalmente, si rese conto che tutto l’universo dei modi comunitari di possedere la terra rappresentava non un relitto feudale, ma un fenomeno millenario attraverso il quale le popolazioni avevano dimostrato capacità di svilupparsi e di far vivere la terra con un uso naturale e sostenibile, cioè conservandola e senza alterarne i caratteri morfologici e ambientali.
Insomma, per la prima volta ci si rendeva conto che i diritti di uso civico e le proprietà collettive erano ‘beni comuni’, essenziali alle esigenze delle comunità ivi abitanti. Ne risultarono due leggi specificamente dedicate agli usi civici delle ex Province dello Stato Pontificio: la L. 24 giugno 1888 n. 5489, che seppur trattando della Abolizione delle servitù di pascolo, di seminare […] nelle ex Province Pontificie e quindi apparentemente finalizzata ad abolire gli usi civici nei territori da ultimo acquisiti dallo stato unitario, in realtà conteneva norme che consentivano alle popolazioni di comprare i possedimenti privati gravati di usi civici, ove questi fossero di estensione tale da risultare essenziali per la sopravvivenza delle stesse (c.d. liquidazione invertita di latifondi e feudi). Ad esempio, gli agricoltori ed allevatori di Canale Monterano, nel 1919-1920, grazie a questa legge acquistarono in forma associata l’intero feudo Altieri, cioè la maggior parte dell’attuale territorio comunale; e la L. 4 agosto 1894 n. 397 (Ordinamento dei domini collettivi nelle Province dell’ex Stato Pontificio), che costituiva in Associazioni Agrarie con personalità giuridica (dando origine formale alle attuali Università Agrarie del Lazio) le comunità di agricoltori titolari di porprietà collettive, al fine di permettere che avessero una organizzazione per la gestione dei beni comuni. In sostanza, il parlamento di fine Ottocento riconosceva la realtà ed il valore di queste forme alternative di proprietà. Il Legislatore fascista non vide di buon occhio un fenomeno come quello delle proprietà collettive, in quanto espressioni di libertà, pluralismo ed autonomia e, pertanto, intervenne con la L. 1766/1927 di riordino di tutta la materia. Questa legge è ancor oggi la legge generale sugli usi civici. Essa prevedeva, in primo luogo, le completa liquidazione dei diritti di uso civico gravanti sui terreni privati (ai proprietari si dava il diritto potestativo di affrancare il proprio terreno dalle servitù civiche, pagando un canone agli enti – Comune, Frazione, Associazione agraria – rappresentativi delle comunità di abitanti beneficiarie dei suddetti diritti). Istituiva, poi, procedure di accertamento e verifica degli usi civici e delle proprietà collettive, istituendo i Commissari regionali agli usi civici quali organi responsabili delle relative funzioni amministrative e della soluzione delle eventuali controversie giurisdizionali. Tutte le proprietà collettive italiane, espressioni di gruppi sociali e assetti fondiari fra loro a volte profondamenti diversi, venivano assimilate all’unico modello dei demani comunali del Meridione (attraverso la previsione dell’art. 26 della legge stessa, dove è fissato il principio della necessaria apertura dei beni di usi civico di una Associazione agraria a tutti i cittadini del Comune). Per tali proprietà si prevedeva un procedimento amministrativo di assegazione delle terre a categoria. Le terre comuni assegnate a categoria A (boschi e pascoli permanenti) ottenevano un vincolo di assoluta inalienabilità, imprescrittibilità e indivisibilità (in quanto destinate ad una finalità economica non modificabile) ed erano affidate alle organizzazioni che già le gestivano (Comuni, Università ed Associazioni Agrarie, Regole, Partecipanze, ecc.) in nome e per conto delle popolazioni; quelle assegnate a categoria B (terre di prevalente vocazione agricola) erano destinate alla c.d. quotizzazione, cioè ad essere ripartite fra i coltivatori del luogo, con preferenza per quelli meno abbienti, per essere da questi utilizzati per la coltura agraria. In pratica, con la quotizzazione delle terre di categoria B accadeva che una parte rilevante dei domini collettivi veniva ad essere sottratta alle popolazioni che le possedevano (a volte anche da secoli) per essere assegnata in proprietà privata. La legge generale del 1927 è una legge rigorosa ma compie una scelta consapevole di preferenza per lo sfruttamento individuale della terra piuttosto che per il modello collettivo. E le popolazioni reagirono immediatamente. Infatti, già nel 1928, con il regolamento di attuazione (R.D. 332/1928) della legge generale sugli usi civici, si riconosceva alle Associazioni agrarie composte di determinate famiglie (cioè le collettività chiuse, unite da vincoli di sangue o ‘vincoli agnatizi’, non identificabili con l’intera popolazione di un comune; si trattò, in concreto, delle Partecipanze emiliane), che avessero apportato “sostanziali e permanenti miglioramenti” (art. 65 R.D. 332/1928) alle loro proprietà collettive, di non veder applicate a queste ultime le norme della legge generale del 1927 relative alla quotizzazione delle terre di categoria B. Ciò significava che i demani civici delle Partecipanze emiliane venivano sottratti alla ‘privatizzazione’ consentita dalla legge generale per le terre a vocazione agricola. A partire da allora, si cominciò a distinguere fra proprietà collettive ‘aperte’ a tutta la popolazione di un comune, per le quali la L. 1766/1927 aveva piena applicazione, e proprietà collettive ‘chiuse’, ossie appartenenti a gruppi ristretti di famiglie, che del godimento collettivo della terra facevano la loro ragione di vita e pertanto non dovevano vedersi sottratta tale terra con quotizzazioni a vantaggio di singoli individui.

LE TRE LEGGI SULLA MONTAGNA E L’ART. 3 DELLA L. 97/1994 (3A LEGGE SULLA MONTAGNA)

Iniziò un lungo percorso di legislazione e giurisprudenza, attraverso il quale molte comunità – specialmente quelle dell’arco alpino – si sono viste riconoscere il loro statuto giuridico di collettività chiuse, gelose delle proprie tradizioni, della propria autonomia e delle proprie consuetudini; per le quali è oggi inammissibile la privatizzazione del territorio ove si svolge la loro vita e la loro economia comunitaria; un territorio da considerare ‘bene comune’ indivisibile ed inalienabile, portatore, fra l’altro, di valori costituzionali di primissimo rango, come i diritti della persona di cui all’art. 2 Cost., la libertà di associazione, la tutela dell’ambiente e del paesaggio, il rispetto delle autonomie locali, la protezione dei beni culturali.
Tale percorso può essere sinteticamente descritto come un processo di progressiva estensione dello speciale regime delle proprietà collettive chiuse a un numero sempre maggiore di comunità locali, che così hanno visto protetta l’integrità del loro patrimonio fondiario collettivo. Vi sono state tre tappe fondamentali con le tre successive leggi sulla montagna: L. 991/1952, L. 1102/1971 e L. 97/1994.
In particolare, l’art. 34 della legge del 1952 stabilisce che le comunioni familiari nei territori montani – quindi le collettività chiuse di tali aree – “continuano a godere e ad amministrare il loro beni in conformità dei rispettivi statuti e consuetudini riconosciuti dal diritto anteriore”, riconoscendosi pertanto la loro autonomia ed il loro diritto a continuare a vivere conformemente alla loro tradizione storica di comunità locali che godono e amministrano il proprio territorio in forma collettiva. Per queste comunità, la legge generale del 1927 non può trovare applicazione.
L’art. 10 della 2a legge del 1971 ha sottratto alla privatizzazione delle terre collettive molte realtà del Settentrione; esso ha rinnovato la citata disciplina del 1952, escludendo espressamente dall’applicazione della legge del 1927 “le regole ampezzane di Cortina d’Ampezzo, quelle del Comelico, le società di antichi originari della Lombardia, le servitù della Val Canale”.
Infine, l’art. 3 della L. 97/1994 (Nuove disposizioni sulle zone montane; c.d. 3a legge sulla Montagna) è quello più importante. Esso attribuisce alle Regioni il compito di riordinare la disciplina delle comunioni familiari montane secondo il principio della personalità giuridica di diritto privato. Quel che più interessa, è che nella nozione di ‘comunioni familiari montane’ vengono espressamente fatte rientrare le Associazioni agrarie delle ex Province Pontificie. Ciò significa che con la terza legge sulla montagna anche le Università Agrarie del Lazio, come enti esponenziali delle collettività titolari dei demani civici della regione, si verrebbero a trasformare da enti assimilabili agli enti pubblici non economici (come stabilito dalla prevalente giurisprudenza) in semplici associazioni di diritto privato, sebbene dotate di personalità giuridica. La terza legge sulla montagna ha voluto con ciò riconoscere nelle Associazioni agrarie del Lazio la struttura di comunità chiuse, valorizzandole come istituzioni che incarnano le “formazioni sociali” nelle quali l’uomo esercita i propri diritti inviolabili secondo il dettato dell’art. 2 della Costituzione.
L’art. 3 L. 97/1994 prevede una sorta di ‘delega’ legislativa alle Regioni per il riordino della disciplina delle comunità agrarie titolari di proprietà collettive di tipo chiuso e detta i principi fondamentali ai quali le Regioni stesse dovranno attenersi. Oltre al principio della personalità di diritto privato prescritta per tali enti (come modello organizzativo più consono alla natura di collettività chiuse, composte da gruppi di famiglie legate da vincoli di sangue e dal godimento in comune di una terra) e ferma restando la loro autonomia statutaria, la norma statale incarica le Regioni, in particolare: 1) a disciplinare meccanismi per conservare l’originaria consistenza delle proprietà collettive, nel caso in cui una parte di queste terre venisse destinata ad usi diversi da quello agro-silvo-pastorale. Se, per esempio, la Regione autorizza l’ente locale a destinare una porzione della terra collettiva ad uso edificatorio, ciò deve accadere a condizione che la terra sottratta alla proprietà collettiva venga sostituita con l’acquisto di altra terra; 2) a predisporre le garanzie di partecipazione dei membri dell’originaria comunione familiare alla gestione comune della proprietà collettiva. Si vuole, pertanto, che alla gestione dei beni comuni siano coinvolte le collettività proprietarie; 3) a prevedere forme specifiche di pubblicità dei patrimoni collettivi, cioè a far in modo che si abbia una sorta di censimento-registro delle proprietà collettive regionali; 4) a disciplnare meccanismi di gestione sostitutiva in caso di inerzia delle organizzazioni che amministrano le terre collettive.
In sostanza, la legge del 1994 ha voluto individuare nelle proprietà collettive la categoria di beni chiamata a conservare il patrimonio agro-silvo-pastorale italiano. Essa detta i principi fondamentali della materia anche dopo la riforma dell’art. 117 della Costituzione sulla distribuzione delle competenze legislative fra Stato e Regioni. Poiché le comunioni familiari montane hanno gestito e conservato per secoli i loro territori – è un dato storico, cioè, che l’esercizio di usi civici e la gestione in proprietà collettive delle zone agricole e boschive non compromette la loro conservazione – lo Stato difende il territorio nazionale nel momento in cui tutela i diritti inviolabili di autonomia di queste comunità.

LA REGIONE LAZIO E L’ART. 3 L. 97/1994. UNA DOMANDA AL NUOVO PRESIDENTE DELLA NOSTRA REGIONE.

Fino ad oggi, la Regione Lazio ha attuato solo parzialmente l’art. 3 L. 97/1994. Infatti, la L. Reg. Lazio 1/1986 ha, in effetti, previsto un complesso procedimento amministrativo per autorizzare il cambio di destinazione delle terre collettive di uso civico regionale, con contemporaneo recupero della consistenza originaria attraverso l’acquisto di nuove terre in sostituzione di quelle destinate ad eventuale uso edificatorio.
Manca l’attuazione delle restanti disposizioni dell’art. 3 della 3a legge sulla montagna. Per salvaguardare il patrimonio agro-silvo-pastorale e le proprietà collettive del Lazio, la Regione deve provvedere ad una riforma delle Università Agrarie secondo il modello civilistico delle associazioni riconosciute di diritto privato, e dando il maggiore spazio possibile alla loro autonomia statutaria e di gestione.
Ma ciò fino ad oggi non è successo; anzi, un recente progetto di legge di riordino (Proposta di legge n. 259 del 13 ottobre 2011), curato dalla Giunta Regionale del Lazio sotto la presidenza Polverini, andava nella direzione opposta a quella indicata dal Legislatore nazionale del 1994, poiché accentuava l’attuale configurazione pubblicistica delle Università Agrarie.
Le proprietà collettive gestite dalle Università Agrarie sono beni comuni. La 3a legge sulla montagna vuole riavvicinare i singoli cittadini al bene comune. La materia dei beni comuni, in una fase storica come quella attuale, è di primaria importanza. La competenza legislativa regionale, dopo la riforma dell’art. 117 della Costituzione, è anche essa di primaria importanza. La corretta gestione del territorio regionale è raggiungibile solo attraverso il necessario passaggio dell’attuazione dell’art. 3 L. 97/1994.
Per questo, è mio dovere porre pubblicamente una domanda al nuovo Presidente della Regione Lazio: chiedo pubblicamente all’On. Zingaretti, se l’attuazione dei principi posti dalla legge nazionale del 1994 sulle Università Agrarie e sui territori da esse gestiti faccia parte del programma della nuova Giunta Regionale; se l’urgenza di tale attuazione sia stata dovutamente valutata; quali siano, infine, i provvedimenti che la nuova Giunta Regionale intende adottare e gli uffici e le competenze che intenda predisporre per raggiungere un obbiettivo pubblico tanto nobile quanto difficile come quello del rispetto e dell’attuazione dei principi fondamentali sulle proprietà collettive di uso civico.