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Primarie Partito Democratico: partito il count down per eleggere il nuovo segretario nazionale

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L’appuntamento politico con le primarie del Partito Democratico per scegliere il nuovo segretario nazionale è fissato per domenica 26 febbraio dalle ore 8 alle 21.

Le votazioni saranno aperta dalle 8.00 alle 20.00 del 26 febbraio 2023 con un’unica modalità di voto possibile per la quasi totalità dei partecipanti: il voto in presenza presso i gazebo del Partito Democratico che saranno disseminati nelle piazze di tutta Italia.

La candidata Elly Schlein aveva chiesto la possibilità di una votazione online, così da rendere la partecipazione ancora più massiccia e permettere il voto anche a chi vive lontano dai seggi. Niente da fare, la tradizione non è stata cambiata, ma un piccola concessione è stata fatta: solo in pochissime circostanze sarà possibile votare online.

Le eccezioni al voto in presenza

Le eccezioni al voto in persona ai gazebo del PD sono state messe nero su bianco sul nuovo regolamento:

persone residenti e/o domiciliate all’estero
persone impossibilitate a recarsi ai seggi per condizioni di disabilità, malattia o altri impedimenti definiti dalla Commissione nazionale per il Congresso, che autocertifichino tali condizioni persone residenti in località la cui distanza dai seggi renda particolarmente difficoltoso l’esercizio del voto, sulla base di criteri determinati dalla Commissione nazionale per il Congresso.
Chi rientra in queste eccezioni si deve essere pre-registrato entro il 12 febbraio 2023 sull’apposita piattaforma, compilando il modulo con i dati richiesti e fornendo un documento di riconoscimento. Per gli utenti residenti in Italia sarà sufficiente utilizzare lo SPID per le operazioni di identificazione.

Il Partito Democratico è alla ricerca di una nuova guida dopo i risultati tutt’altro che soddisfacenti del 25 settembre 2022. Enrico Letta, in carica come segretario del PD dal 14 marzo 2021, sta guidando ormai da settimane quella che dovrebbe essere una rivoluzione per il PD, ma quale sarà la direzione che il partito prenderà dipenderà da chi sarà scelto per sostituire Letta.

I candidati sono:

Stefano Bonaccini, Elly Schlein, Paola De Micheli e Gianni Cuperlo

Mozione Bonaccini

La mozione di Stefano Bonaccini, presidente in carica della Regione Emilia-Romagna, è la più lunga e si intitola “Energia popolare per il Pd e per l’Italia”. Il testo, di 44 pagine, è suddiviso in nove capitoli, che affrontano diversi temi, dall’organizzazione del partito all’obiettivo di arrivare al governo nel 2027, passando per i diritti. Il documento dà ampio spazio al lavoro, in particolare al ruolo degli imprenditori, suggerendo un nuovo ‘contratto sociale’, una nuova intesa tra governo, imprese e lavoratori. Bonaccini, come evidenzia il sito Pagella Politica, è il candidato alla segreteria che nella sua mozione nomina di meno la parola ‘sinistra’: 12 volte, in media circa una volta ogni quattro pagine. Riserva, invece, grande attenzione agli avversari del Partito democratico: la parola ‘destra’ viene nominata 52 volte

Mozione Cuperlo

La mozione presentata da Gianni Cuperlo, deputato Pd e già candidato alla segreteria nel 2013, è lunga 43 pagine ed è intitolata “Promessa democratica”. Dedica due pagine esclusivamente alla Costituzione, che definisce “la nostra bussola”, richiamando una serie di articoli. Tra questi, l’articolo 11, che impone all’Italia il rifiuto della guerra come strumento di offesa. La mozione di Cuperlo è l’unica che contiene delle immagini. Per quanto riguarda gli altri contenuti, si concentra soprattutto sull’organizzazione futura del partito e chiede, tra le varie cose, di eliminare la possibilità per i dirigenti del partito di svolgere “doppi e tripli incarichi”. Tra le altre cose, la mozione si concentra sul tema del lavoro, chiedendo l’abolizione del Jobs act, la riforma del mercato del lavoro introdotta nel 2014 dal governo guidato da Matteo Renzi. Il documento affronta poi i temi della tutela dell’ambiente e del welfare state.

Mozione De Micheli

La mozione della deputata ed ex ministra dei Trasporti Paola De Micheli è intitolata “Concretamente, prima le persone”: è lunga 18 pagine, suddivise in altrettanti capitoli. Uno dei temi principali è quello del “nuovo umanesimo”, che per l’ex ministra significa tornare a mettere al centro del discorso politico la “dignità umana”, invece degli “astratti dati economici e modelli finanziari”. De Micheli propone di far valere doppio il voto degli iscritti nelle consultazioni interne del Partito democratico e di ripristinare il finanziamento pubblico ai partiti. Tra le altre cose, suggerisce la riduzione dell’orario di lavoro, l’introduzione di un reddito universale, per garantire a tutti “una vita dignitosa” e l’introduzione del cosiddetto ‘ius scholae’ per fare ottenere la cittadinanza italiana ai minori stranieri che abbiano frequentato le scuole italiane. Nella mozione De Micheli viene poi data molta attenzione al tema della transizione ecologica, mentre non ci sono riferimenti ai diritti della comunità Lgbt

Mozione Schlein

La mozione di Elly Schlein, deputata ed ex vicepresidente della Regione Emilia-Romagna, è lunga 33 pagine ed è intitolata “Parte da noi!”, che è anche lo slogan della sua campagna elettorale. Il testo è definito “un progetto collettivo per cambiare il Pd e l’Italia, una visione di futuro che coniuga giustizia sociale e climatica” al cui centro ci sono “tre sfide cruciali e intrecciate che le destre non nominano mai: disuguaglianze, clima e precarietà”. La mozione di Schlein è quella più vicina alle istanze della sinistra: nel testo viene data molta attenzione ai diritti della comunità Lgbt, all’accoglienza dei migranti e alla redistribuzione della ricchezza. Inoltre, questa è l’unica mozione che dedica un capitolo intero alla legalizzazione della cannabis. Schlein propone anche l’introduzione in Italia del cosiddetto ‘ius soli’, che estenderebbe la cittadinanza a tutti i bambini nati sul suolo italiano. Per quanto concerne l’organizzazione del partito, propone di adottare il voto online per tutte le votazioni interne, e di riformare il finanziamento pubblico alla partiti attraverso una maggiorazione dell’attuale sistema del 2 per mille.

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Economia e Finanza

Quale futuro per i diritti dei lavoratori? intervista al professor Alberto Lepore, professore associato di diritto del Lavoro

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Alberto Lepore classe 1972, professore associato in Diritto del Lavoro presso l’Università di Roma 3, membro del Labour Law Group presso l’University College of London. Decine di pubblicazioni in ambito del Diritto al Lavoro ma, principalmente, un grande amico.

Alberto ci diamo del tu, ovviamente: ieri, 1° Maggio, Festa del Lavoro e dei Lavoratori mi è venuta spontanea l’idea di rivolgerti qualche domanda in merito al Diritto al Lavoro proprio per comprendere se, ancora oggi, quelle conquiste sociale figlie dell’800 hanno ancora valore.

La prima domanda prende spunto dall’articolo 1 della nostra Carta Costituzionale: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Quanto valore ha, ancora oggi, questa affermazione nel nostro Paese?
Quanto affermato dall’articolo 1 della nostra Costituzione ha ancora un grande valore e una portata fondamentale perché a seguito della promulgazione della Costituzione del 1948 vengono superati quell’insieme di privilegi, di retaggio aristocratico e feudale che caratterizzavano l’ordinamento monarchico preesistente.
Secondo l’articolo 1 della Costituzione il cittadino si qualifica all’interno della società non più attraverso quello che ha, ma attraverso quello che fa. Il lavoro quindi diventa da un lato ciò che qualifica la persona, nel contempo il lavoro è anche lo strumento attraverso cui la persona trova la sua collocazione all’interno della società.
Il lavoro diventa in forza dell’articolo 1 il collante tra cittadino e corpo sociale; senza l’esecuzione di una prestazione lavorativa il cittadino non può partecipare al corpo sociale, non può avere una collocazione nella società e non può neanche ricoprire una determinata posizione economica; rimane sostanzialmente emarginato; tagliato fuori dalla società. Quindi l’articolo 1 ha ancora un ruolo fondamentale all’interno della nostra Repubblica, tant’è che si è detto appunto che la Repubblica italiana è una Repubblica lavorista. Ma il principio da questo espresso va protetto perché i privilegi possono sempre, in altra forma, rinascere e, pertanto, bisogna stare sempre in guardia.

Lo sai, sono nato il 20 maggio 1971 ad un anno esatto dalla promulgazione dello Statuto dei Lavoratori. Qualcuno dice che sia stata profondamente scardinata dal Job Act di Matteo Renzi.
Cosa di buono mantiene questa intuizione di cui fu padre putativo Gino Giugni?

Il Jobs Act di Matteo Renzi ha colpito al cuore lo Statuto dei lavoratori (Legge 20 maggio 1970 n.300 n.d.s.), perché ha abrogato una norma di civiltà e cioè l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che prevedeva, a certe condizioni, qualora il licenziamento fosse illegittimo la reintegrazione nel posto di lavoro, in altri termini, il ritorno nello stesso posto di lavoro come se il licenziamento non fosse mai stato intimato.
Con il decreto legislativo n. 23 del 2015 il Jobs Act ha sostanzialmente modificato la tutela prevista in caso di licenziamento illegittimo sostituendola con la tutela indennitaria: la reintegrazione è stata conservata soltanto in casi marginali, mentre nella maggior parte dei casi nelle ipotesi di licenziamento illegittimo al lavoratore verrà pagata un’indennità monetaria commisurata alla durata del rapporto.
La cancellazione della reintegrazione nel posto di lavoro come tutela generale rende la posizione del lavoratore nel rapporto di lavoro molto più debole.
Il Jobs Act di Renzi poi ha colpito un’altra norma molto importante che tutela la professionalità del lavoratore e cioè l’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori introduttivo del 2103 del codice civile sulle mansioni: ha previsto che è oggi possibile demansionare in ipotesi molto ampie tra cui anche per ragioni economiche legate alle esigenze dell’impresa. Anche questa norma che colpisce la professionalità e la progressione di carriera lede un’altro dei patrimoni del lavoratore e rende molto più debole la sua posizione; anche la norma sul divieto dei controlli sul posto di lavoro (art.4 dello Statuto dei lavoratori n.d.s.) è stata riformata nel senso di consentire controlli molto più pervasivi sul posto di lavoro.
Lo Statuto conserva ancora norme importanti soprattutto nella dimensione collettiva come gli articoli 19 e seguenti che introducono i diritti sindacali; l’articolo 28 sulla repressione della condotta antisindacale; l’articolo 15 sulla non discriminazione.
C’è quindi ancora molto nello Statuto di buono e di protettivo per il lavoratore ma certamente la cancellazione dell’articolo 18 ha creato un vulnus notevole perché ha sostanzialmente monetizzato il posto di lavoro: il datore di lavoro oggi può anche intimando un licenziamento illegittimo sapere che anche se perde in causa dovrà pagare solo una somma di denaro commisurata alla durata del rapporto di lavoro per togliersi dai piedi un lavoratore non più desiderato.

Spesso non si coniuga il diritto al lavoro con i doveri che scaturiscono dal lavoro stesso. A tuo avviso dove sta il punto di rottura tra queste due situazioni?
Il diritto al lavoro come anche il dovere di lavorare sono enunciati dall’art. 4 della Costituzione. Questi due principi sono tra loro complementari, perché la repubblica deve far sì che sia garantito il diritto al lavoro, d’altro canto il cittadino deve fare tutto il possibile per poter trovare un’occupazione.
L’articolo 4, però, è una norma programmatica cioè detta praticamente un programma, un progetto che deve essere realizzato attraverso leggi ordinarie e infatti abbiamo assistito nel corso degli anni all’introduzione una serie di leggi per realizzare il diritto al lavoro.
Dalla introduzione degli uffici di collocamento fino alla creazione delle agenzie accreditate per attuare concretamente il diritto al lavoro. Ma essendo l’art. 4 una norma programmatica il diritto al lavoro e’un principio tendenziale, anche perché non vi è una sanzione se il lavoro non è garantito a tutti tant’è che siamo in un’epoca nella quale la disoccupazione è molto elevata, nonostante gli sforzi che la Repubblica ha fatto, la piena occupazione non è stata mai raggiunta.
D’altro canto il dovere di lavorare è fondamentale perché si lega all’art. 1: il cittadino partecipa al corpo sociale e acquisisce una posizione sociale ed economica nella società soltanto se lavora. Indirettamente la Costituzione stessa sanziona colui che non vuole lavorare: l’articolo 38 prevede prestazioni previdenziali, quindi provvidenze economiche di sostegno al reddito o quando il lavoratore è inabile al lavoro oppure quando il lavoratore è disoccupato, quindi abbia già lavorato ma ha perso il lavoro oppure sia subentrato un evento che abbia reso impossibile lavorare. Quando invece non vuole lavorare il sistema previdenziale non lo supporta, essendo il reddito di cittadinanza una parentesi anomala nel nostro ordinamento, se non addirittura incostituzionale, e, infatti, è stato rapidamente espunto dall’ordinamento previdenziale.
È evidente però che se non è garantito il diritto al lavoro, il cittadino non potrà’ nonostante i suoi sforzi adempiere al dovere di lavorare.

Un’ultima domanda: quale è il futuro stesso dei diritti dei lavoratori ai giorni nostri?
A fronte della globalizzazione dei mercati e della competizione mondiale il futuro dei diritti dei lavoratori non mi pare roseo. Già negli ultimi anni abbiamo assistito, come accennato, ad una riduzione notevole dei diritti a tutela dei lavoratori e probabilmente nei prossimi anni assisteremo a un’ulteriore riduzione dai diritti. Oggi, oltretutto, il lavoro è minacciato dalla informatizzazione e dalla meccanizzazione dei processi produttivi. Il lavoro digitale è eseguito attraverso strumenti elettronici e sicuramente ridurrà ulteriormente le chance di trovare lavoro. Quindi le sfide future per i diritti dei lavoratori sono grandi e molto difficili, ma quale lavorista sono pronto ad affrontarle.
Ringraziamo il professor Alberto Lepore per la sua disponibilità e per averci fatto comprendere, con le sue parole, l’alto senso istituzionale della giornata di oggi Primo Maggio Festa del Lavoro e dei Lavoratori.

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Costume e Società

A Milano l’arte elegante del pugliese parigino

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Palazzo Reale a Milano  sta celebrando, per la prima volta, con una mostra monografica, il talento di Giuseppe De Nittis esponendo una novantina dipinti, tra oli e pastelli, provenienti dalle principali collezioni pubbliche e private, italiane e straniere, tra cui il Musée d’Orsay e il Petit Palais di Parigi, i Musée des Beaux-Arts di Reims e di Dunquerke, gli Uffizi di Firenze – solo per citarne alcuni – oltre allo straordinario nucleo di opere conservate alla GAM di Milano e una selezione dalla Pinacoteca di Barletta, intitolata al Pittore, che ne conserva un eccezionale numero a seguito del lascito testamentario della vedova Leontine De Nittis.
 
La consacrazione di Giuseppe de Nittis come uno dei grandi protagonisti della pittura dell’Ottocento europeo è avvenuta grazie alla fortuna espositiva di cui ha goduto a partire dalla magnifica retrospettiva dedicatagli nel 1914 dalla 11a Biennale di Venezia. Altre tappe fondamentali sono state la mostra ‘Giuseppe De Nittis. La modernité élégante’ allestita a Parigi al Petit Palais nel 2010-11, e nel 2013 la fondamentale monografica a lui dedicata a Padova a Palazzo Zabarella.
 
In ‘De Nittis. Pittore della vita moderna’ si intende esaltare la statura internazionale di un pittore che è stato, insieme a Boldini, il più grande degli italiani a Parigi, dove è riuscito a reggere il confronto con Manet, Degas e gli impressionisti, con cui ha saputo condividere, pur nella diversità del linguaggio pittorico, l’aspirazione a rivoluzionare l’idea stessa della pittura, scardinando una volta per sempre la gerarchia dei generi per raggiungere quell’autonomia dell’arte che è stata la massima aspirazione della modernità.
 
I francesi e De Nittis, che si è sempre sentito profondamente parigino di adozione, hanno affrontato gli stessi temi, come il paesaggio, il ritratto e la rappresentazione della vita moderna che De Nittis ha saputo catturare lungo le strade delle due metropoli da lui frequentate, in quegli anni grandi capitali europee dell’arte: Parigi e Londra. Ha saputo rappresentare con le due metropoli, in una straordinaria pittura en plein air, i luoghi privilegiati della mitologia della modernità, che saranno collocati al centro di un percorso espositivo articolato lungo un arco temporale di vent’anni, dal 1864 al 1884, ricostruendo un’avventura pittorica assolutamente straordinaria, conclusasi prematuramente con la sua scomparsa a soli 38 anni di età. I risultati da lui raggiunti si devono a un’innata genialità, alla capacità di sapersi confrontare con i maggiori artisti del suo tempo, alla sua curiosità intellettuale, alla sua disponibilità verso altri linguaggi. È inoltre tra gli artisti dell’epoca che meglio si è saputo misurare con la pittura giapponese allora diventata di moda.La mostra vede infine la collaborazione di METS Percorsi d’Arte, che ha contribuito al progetto espositivo con l’apporto di un importante nucleo di opere provenienti da collezioni private, tra le quali il Kimono color arancio, Piccadilly e la celeberrima Westminster.
 
Tutto questo è sottolineato dalla mostra e dal ricco catalogo Silvana Editoriale.
 
Una vita breve ma sufficiente per entrare nella storia dell’arte
 
Giuseppe De Nittis nacque a Barletta il 25 febbraio 1846. A pochi mesi dalla sua nascita, il padre si suicidò dopo due anni di carcere per motivi politici e Giuseppe crebbe con i tre fratelli nella casa dei nonni paterni. Fin dall’infanzia manifestò una forte propensione alla pittura e, nonostante il parere contrario della famiglia, si iscrssee nel 1861 all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Insofferente agli schemi accademici, fu espulso due anni dopo ed iniziò a dipingere en plen air con altri artisti, come Federico Rossano e Marco De Gregorio. Nel 1866 partì per Firenze dove prese contatto con il gruppo dei Macchiaoli. Dopo aver visitato Palermo, Roma, Venezia e Torino, nel 1867 si trasferì a Parigi dove due anni dopo sposò Léontine Lucile Gruvelle. Nel 1869 partecipò per la prima volta al Salon con opere molto vicine al gusto parigino. Il soggiorno napoletano del 1870 vide il suo stile arrivare alla maturità e all’indipendenza artistica e il ritorno a Parigi nel 1872 segnò il suo successo con la partecipazione al Salon dell’opera ‘Una strada da Brindisi a Barletta’. Il dipinto ‘Che freddo!’ esposto al Salon nel 1874 rappresentò l’affermazione definitiva dell’artista, che si meritò anche l’appellativo ‘peintre des Parisiennes’ (pittore della parigine). Nello stesso anno partecipò con ben cinque tele alla prima esposizione di quello che sarà il gruppo impressionista tenutosi nello studio del fotografo Nadar. In cerca di nuovi stimoli partì poco dopo per Londra, dove realizzò una serie di opere dedicate alla vita quotidiana della città. Partecipò all’Esposizione Universale di Parigi nel 1878 con dodici lavori che polarizzarono l’attenzione sia del pubblico che della critica. Negli ultimi anni si concentrò particolarmente sulla tecnica del disegno a pastello. Colpito da una forte bronchite nel 1883, rimase per mesi bloccato a letto e dipingere diventò sempre più difficile; morì a  Saint-Germain-en-Laye (Francia)   il 21 agosto del 1884 a causa di un ictus cerebrale. È sepolto a Parigi, nel cimitero di Père-Lachaise (divisione 11) ed il suo epitaffio fu scritto da Alessandro Dumas figlio. Sua moglie Léontine donò molti suoi quadri alla città natale del pittore, ora conservati nella Pinacoteca De Nittis collocata nel Palazzo della Marra a Barletta.
 
Informazioni:
 
Una mostra Comune di Milano – Cultura | Palazzo Reale | CMS.Cultura
 
A cura di Fernando Mazzocca e Paola Zatti , fino al  30.06.2024
 
Orario: Da martedì a domenica ore 10:00-19:30, giovedì chiusura alle 22:30. Ultimo ingresso un’ora prima. Lunedì chiuso.
 
Biglietti
 
Aperto: € 17,00; Intero: € 15,00;Ridotto: € 13,00; Esclusi i costi di prevendita.
 
Info e prenotazioni: palazzorealemilano.it     mostradenittis.it
 
Privo di virus.www.avast.com



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Cronaca

Prevenzione e contrasto dei crimini informatici: siglato accordo tra Polizia di Stato e BCC Banca Iccrea

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È stato siglato a Roma l’accordo tra la Polizia di Stato e BCC Banca Iccrea, capogruppo del Gruppo BCC Iccrea, per la prevenzione e il contrasto dei crimini informatici che hanno per oggetto le reti e i sistemi informativi di supporto alle funzioni istituzionali della società.
La convenzione, firmata dal Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza Prefetto Vittorio Pisani e da Mauro Pastore, Direttore Generale di BCC Banca Iccrea, è finalizzata a sviluppare una collaborazione strutturata tra le parti, per l’adozione ed il potenziamento di strategie sempre più efficaci in materia di prevenzione e contrasto al cybercrime, considerato il delicato e strategico settore di intervento del Gruppo.
Il Gruppo BCC Iccrea è il maggiore gruppo bancario cooperativo, l’unico gruppo bancario nazionale a capitale interamente italiano e il quarto gruppo bancario in Italia per attivi. BCC Iccrea, in qualità di Capogruppo esercita le attività di direzione, coordinamento e controllo sulle Società del Perimetro di Direzione e Coordinamento e, in tale ambito, supporta l’operatività bancaria delle BCC, fornendo prodotti, servizi e consulenza al fine di soddisfare le esigenze dei loro Soci, clienti, famiglie e territorio di riferimento.
La tutela delle infrastrutture critiche informatizzate di istituzioni e aziende che erogano servizi essenziali è una delle mission specifiche della Polizia Postale, l’articolazione specialistica della Polizia di Stato deputata alla prevenzione e contrasto della criminalità. La Polizia di Stato assicura attraverso la Polizia Postale e delle Comunicazioni, Organo del Ministero dell’Interno deputato alla sicurezza delle comunicazioni. In particolare, tale compito viene assolto attraverso il Centro Nazionale Anticrimine Informatico per la Protezione delle Infrastrutture Critiche (CNAIPIC) che, con una sala operativa disponibile h24, rappresenta il punto di contatto per la gestione degli eventi critici delle infrastrutture di rilievo nazionale operanti in settori sensibili e di importanza strategica per il Paese.
Alla firma della convenzione erano presenti per il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, il Direttore Centrale per la Polizia Stradale, Ferroviaria, delle Comunicazioni e per i Reparti Speciali della Polizia di Stato, Prefetto Renato Cortese, il Direttore del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni, Dott. Ivano Gabrielli mentre per BCC Banca Iccrea erano presenti Renato Alessandroni,
Responsabile Sicurezza e Continuità Operativa, Chief Information Security Officer, Pasquale De Rinaldis, Responsabile Sicurezza delle Informazioni, Giuseppe Cardillo, Head of Architecture & Innovation e Raffaella Nani, Responsabile Comunicazione Istituzionale.



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