Roberta Ragusa: condannato a 20 anni Antonio Logli

 
di Angelo Barraco
 
PISA – La sentenza che tutta Italia stava aspettando con trepidante attesa  finalmente è arrivata. Antonio Logli è stato condannato a vent’anni di reclusione con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere della moglie Roberta Ragusa, scomparsa misteriosamente la notte tra il 13 e il 14 gennaio del 2012 dalla sua casa di Gello di San Giuliano Termo. L’uomo nell'arco di tutti questi anni ha sempre respinto le accuse nei suoi riguardi e si è sempre proclamato innocente.  Una pena ridotta di un terzo per la scelta del rito abbreviato. La difesa aveva chiesto l’assoluzione di Antonio Logli. 
 
“L'amore è un miraggio, un inganno, che dopo averci attirati sulla soglia d'un meraviglioso giardino si dissolve, scompare e ci lascia nel buio” scrisse il celebre scrittore Piero Chiara nel suo romanzo del 1976 “La stanza del Vescovo”. Pagine sbiadite di una storia ormai dissoluta dove il fiorire del sentimento si tramuta in silente abbandono , che lentamente si appresta a scomparire all’interno di un varco quasi invalicabile fatto di nebbie, misteri e segreti che celano ombre minacciose. Le parole dello scrittore Piero Chiara sembrano quasi un sottile e oscuro presagio di quella che poi sarebbe stata la vita di una giovane donna di Gello di San Giuliano Termo,  Roberta Ragusa,  donna devota alla famiglia e ai figlia, legata saldamente ai valori che costituiscono le solide fondamenta per un matrimonio e legatissima ai suoi due figli. Una donna innamorata della vita e del suo uomo con il quale da un po’ di tempo però, sembravano insorti dei problemi e quella che all’apparenza sembrava essere una storia d’amore limpida e cristallina, si interrompe bruscamente la notte tra il 13 e il 14 gennaio del 2012 quando Roberta scompare misteriosamente da casa sua. In merito alla scomparsa di Roberta Ragusa si è detto e scritto tanto, in una prima fase di è parlato di scomparsa volontaria e tale tesi è stata avvalorata alla luce delle dichiarazioni rese dal marito Antonio Logli nel corso di un’intervista alla trasmissione “Chi l’ha visto?” in cui ha riferito che la moglie poco tempo prima aveva battuto la testa e tale trauma avrebbe potuto causarle una perdita di memoria e uno smarrimento psicofisico. Puntualizza inoltre che i rapporti con la moglie sono buoni e che non vi sono problemi di alcun tipo se non i classici diverbi che una coppia affronta nella normalità, ma i riscontri oggettivi non danno credito alle dichiarazioni dell’uomo. In una prima fase vengono vagliate delle testimonianze in merito a presunti avvistamenti di Roberta, i titolari di una rosticceria vedono una donna che secondo loro corrisponde alla donna scomparsa a Gello ma dopo accurate verifiche la testimonianza risulta senza riscontro. La prima testimonianza che ha una valenza sulle indagini è quella di Loris Gozi. Gozi riferisce di aver visto e sentito litigare Logli, intorno all’01.30 di notte, con qualcuno in Via Gigli e di aver visto caricare con forza una donna all’interno di una C3 azzurra, proprio come la macchina di Roberta. La sua testimonianza è confermata dalla moglie di Gozi poiché costui si trovava prima in macchina con lui ed entrambi hanno incrociato Logli lungo quel tragitto di strada, poi Loris torna a casa, lascia a casa la moglie e porta fuori il cane e proprio in quel momento vede la scena sopracitata. Con il passare del tempo si arriva ad un numero di quattro testimoni che confermano ciò che ha riferito Gozi e un altro testimone riferisce di aver sentito anch’esso le urla di una donna. Oltre alle prove visive che inchioderebbero Logli, vi è la prova dei cani molecolari. I cani molecolari fiutarono la presenza di Roberta Ragusa tra la sua abitazione e un punto preciso di Via Gigli nei pressi della ferrovia. Ci sono degli elementi che hanno destato sospetto agli inquirenti e che hanno portato loro ad indagare sulla persona di Antonio Logli. Un elemento importante è Gozi e la sua testimonianza. Gozi racconta che giorni dopo la scomparsa di Roberta, Antonio Logli si recò da lui chiedendogli se avesse visto Roberta e si è affacciato dalla loro finestra per verificare se da lì si potesse vedere qualcosa. Un altro elemento che ha insospettito gli inquirenti è stata la scarsa collaborazione di Logli alle indagini. Antonio Logli alle 07.30 del mattino seguente, chiama la sua giovane amante, Sara Calzolaio e comunica ad essa di gettare il cellulare. Lei stessa successivamente si recherà in caserma dicendo di essere l’amante di Logli e di aver gettato il telefono, apparecchio  verrà recuperato dagli inquirenti dove, tramite i tabulati, verranno trovati dei riscontri importanti che riguardano anche alcune chiamate intercorse tra i due la sera della scomparsa di Roberta.
 
Un altro elemento che ha fatto parlare molto è stato che Logli, non molto tempo dopo, porta ufficialmente a casa sua Sara e quest'ultima convive con lui allo stato attuale. Per gli inquirenti anche questo atteggiamento dimostra che Logli è sicuro che Roberta non tornerà e ciò è dimostrato dal fatto che ha portato Sara con se e da come si comporta anche durante la prima fase delle indagini, freddo e distaccato. Durante questo iter si viene a conoscenza di lettere scritte da Roberta (tramite la trasmissione “Chi l’ha visto?”) in cui la donna manifesta il suo malessere nei confronti di un marito che la ignora come donna e si evidenzia una situazione tragica e al limite poiché la donna tenta di salvare un rapporto che il marito ignora. Una lettera anonima segnala che Logli, il giorno dopo la scomparsa si mobilità presso il cimitero di Orzignano. Logli dice che va lì per verificare se Roberta è andata in quel luogo per piangere sulla tomba della madre che è sepolta lì, ma questa versione non convince gli inquirenti, soprattutto per il fatto che nel cimitero vi sono sei botole vuote. Il 2 di dicembre si è tenuta davanti al giudice Elsa Iadaresta l’udienza in cui è stata formulata la richiesta di condanna per Antonio Logli. Prima ha parlato il procuratore capo Crini, poi il sostituto Mantovani ovvero il magistrato che sin dall’inizio ha seguito la vicenda.
 
Per Antonio Logli sono stati chiesti 30 anni di carcere, ma con l’effetto della riduzione prevista dal rito abbreviato la sua pena si totalizza in 20 anni. L’accusa non ha dubbi: “Antonio Logli, il marito di Roberta Ragusa, è colpevole e va condannato a 30 anni di carcere”, la difesa invece ha marcato una tesi differente “Roberta è viva e molto probabilmente ha bisogno di aiuto. Per questo bisogna continuare a cercarla perché forse  in giro per l'Italia, spaesata”, la difesa di Logli si è poi espressa in merito ai supertestimoni Loris Gozi e Silvana Piampini definendoli “non credibili perché il primo mente e la seconda  una donna con evidenti difficoltà psicologiche”. La difesa aveva chiesto l’assoluzione. Esattamente il 25 novembre, il supertestimone Loris Gozi ha scritto il seguente post sulla sua pagina facebook “Ciao amici volevo darvi una notizia se io sono il supertestimone questa persona e il super super super testimone sapete che io ho tante conoscenze 3 giorni prima del mio arresto una persona vicino alla famiglia di….. mi avrebbe fatto una confidenza Robera è stata cremata al cimitero di pisa.Io speravo in un processo ordinario così potevo togliermi qualche altro sassolino dalle scarpe ma la difesa a scelto il rito abbreviato anch'io avrei voluto sentire il collabboratore della scuola guida per fargli due domande ma non posso farlo spero che il giudice accetti di ascoltarlo e che veramente si arrivi alla verità.Un grande abbraccio al mio avv.Antonio Cozza e al nucleo dei carabinieri che Dio vi benedica”. Un messaggio che ha fatto il giro del web ma che lo stesso Gozi ha ulteriormente confermato il 1 dicembre “Mi riferisco a quello che ho scritto giorni fa quello che ho detto è tutto vero il mio avv.Antonio cozza è informato e anche i carabinieri sanno chi è.Un grande abbraccio a tutti i miei amici”.



Roberta Ragusa: tensione in aula per la sentenza su Antonio Logli


di Angelo Barraco
 
PISA – C’è grande attesa e fermento al Tribunale di Pisa per la lettura della sentenza che oggi decreterà l’innocenza o la colpevolezza di Antonio Logli, marito di Roberta Ragusa e imputato per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Un processo che si svolge con rito abbreviato e che stamane ha avuto il suo tanto atteso inizio dinnanzi al Gup Elsa Laderesta, che ha ascoltato la replica del Pm Aldo Mantovani che ha chiesto per Logli una condanna a 30 anni, che sarà ridotta a 20 per la scelta del rito abbreviato che comporta la riduzione di un terzo della pena prevista.
 
Il Pm ha motivato inoltre la richiesta di custodia cautelare in carcere con pericolo di fuga e reiterazione di reato. In aula sono presenti le cugine di Roberta che da anni attendono impazienti verità e giustizia per la loro congiunta. La famiglia di Antonio Logli invece attente l’esito della sentenza, che è prevista per le ore 13, a casa. Tanti i giornalisti e i curiosi che passano di fronte l’aula di Tribunale per carpire nuovi ulteriori sviluppi in merito a quello che si preannuncia il processo dell’anno. Il Giudice Elsa Iadaresta intanto si è ritirato in camera di consiglio per decidere sulla richiesta di condanna e relativa custodia cautelare in carcere. 



Palermo, frode sportiva: perquisizioni e indagati alcuni tennisti

 

di Paolino Canzoneri

 

PALERMO – Frode sportiva per incontri tennistici disputati in Italia e all'estero. E' questa l'accusa della Procura della Repubblica di Palermo che ha dato disposizione agli investigatori della Squadra Mobile della Polizia di Stato per effettuare perquisizione locale, informatica e di sequestro, con contestuale Informazione di Garanzia per alcuni soggetti fra cui alcuni tennisti palermitani.
 
I provvedimenti di perquisizione coadiuvati dal dirigente della Squadra Mobile  Rodolfo Ruperti sono ancora in atto in diverse città come Palermo, Prato, Firenze e Milano. Le indagini della Sezione Anticorruzione sono coordinate dai Sostituti Procuratori Dario Scaletta e Francesca Dessì e dal Sostituto Procuratore Aggiunto Salvatore De Luca. All'origine dell'inchiesta il caso del tennista palermitano Marco Cecchinato di 23 anni già estromesso dalla Federtennis per il suo incontro del torneo Mohammedia disputato in ottobre 2015 in Marocco contro il polacco Majchrzak. Incontro vinto dal ventenne polacco che smosse un flusso di scommesse eccessivo seguito poi da divesi tornei tra Polonia e Russia che fomentò un giro di "betting" anomalo che non passò inosservato agli inquirenti. L'avviso di garanzia è stato inoltrato a notificato anche a Riccardo Accardi di 22 anni anch'egli deferito per violazione degli tabella 1 e 10 del regolamento di giustizia relativi ai doveri di lealtà sportiva, probità e correttezza compiendo atti diretti ad alterare lo svolgimento di un incontro. La frode sportiva è un reato molto diffuso in tutti i continenti e riguarda molte discipline sportive. La storia ricorda  che negli Stati Uniti d'America, durante il proibizionismo, una intera squadra di Baseball venne sqalificata perchè aver truccato degli incontri per instascarsi le vincite delle scommesse. 
 



Roberta Ragusa: assolto Antonio Logli

di Angelo Barraco
 
Pisa – Antonio Logli è stato assolto per l’omicidio della moglie Roberta Ragusa, per il quale era stato imputato con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere. Accolta quindi la richiesta di assoluzione presentata dalla difesa che scalza definitivamente via quella che era la richiesta di condanna a 30 anni, che si riduceva a 20 con il rito abbreviato, presentata dall’accusa. Antonio Logli, nell’arco di questi lunghi anni, si è sempre professato innocente e ha sempre ribadito la sua estraneità in merito alla misteriosa scomparsa della moglie avvenuta la notte tra il 13 e il 14 gennaio del 2012 dalla sua casa di Gello di San Giuliano Termo. Dov’è Roberta? Questo è l’interrogativo che adesso si pongono i familiari che in questi lunghi e dolorosi anni attendevano una risposta concreta e invece adesso sembra tutto un ritorno al punto d’origine, in cui l’ignoto e il dubbio prevalgono sulle poche certezze che in questo lungo tempo hanno prevalso e fatto leva sulla speranza nell’ottenimento di una risposta. Dov’è Roberta Ragusa?
 
“L'amore è un miraggio, un inganno, che dopo averci attirati sulla soglia d'un meraviglioso giardino si dissolve, scompare e ci lascia nel buio” scrisse il celebre scrittore Piero Chiara nel suo romanzo del 1976 “La stanza del Vescovo”. Pagine sbiadite di una storia ormai dissoluta dove il fiorire del sentimento si tramuta in silente abbandono , che lentamente si appresta a scomparire all’interno di un varco quasi invalicabile fatto di nebbie, misteri e segreti che celano ombre minacciose. Le parole dello scrittore Piero Chiara sembrano quasi un sottile e oscuro presagio di quella che poi sarebbe stata la vita di una giovane donna di Gello di San Giuliano Termo,  Roberta Ragusa,  donna devota alla famiglia e ai figlia, legata saldamente ai valori che costituiscono le solide fondamenta per un matrimonio e legatissima ai suoi due figli. Una donna innamorata della vita e del suo uomo con il quale da un po’ di tempo però, sembravano insorti dei problemi e quella che all’apparenza sembrava essere una storia d’amore limpida e cristallina, si interrompe bruscamente la notte tra il 13 e il 14 gennaio del 2012 quando Roberta scompare misteriosamente da casa sua. In merito alla scomparsa di Roberta Ragusa si è detto e scritto tanto, in una prima fase di è parlato di scomparsa volontaria e tale tesi è stata avvalorata alla luce delle dichiarazioni rese dal marito Antonio Logli nel corso di un’intervista alla trasmissione “Chi l’ha visto?” in cui ha riferito che la moglie poco tempo prima aveva battuto la testa e tale trauma avrebbe potuto causarle una perdita di memoria e uno smarrimento psicofisico. Puntualizza inoltre che i rapporti con la moglie sono buoni e che non vi sono problemi di alcun tipo se non i classici diverbi che una coppia affronta nella normalità, ma i riscontri oggettivi non danno credito alle dichiarazioni dell’uomo. In una prima fase vengono vagliate delle testimonianze in merito a presunti avvistamenti di Roberta, i titolari di una rosticceria vedono una donna che secondo loro corrisponde alla donna scomparsa a Gello ma dopo accurate verifiche la testimonianza risulta senza riscontro. La prima testimonianza che ha una valenza sulle indagini è quella di Loris Gozi. Gozi riferisce di aver visto e sentito litigare Logli, intorno all’01.30 di notte, con qualcuno in Via Gigli e di aver visto caricare con forza una donna all’interno di una C3 azzurra, proprio come la macchina di Roberta. La sua testimonianza è confermata dalla moglie di Gozi poiché costui si trovava prima in macchina con lui ed entrambi hanno incrociato Logli lungo quel tragitto di strada, poi Loris torna a casa, lascia a casa la moglie e porta fuori il cane e proprio in quel momento vede la scena sopracitata. Con il passare del tempo si arriva ad un numero di quattro testimoni che confermano ciò che ha riferito Gozi e un altro testimone riferisce di aver sentito anch’esso le urla di una donna. Oltre alle prove visive che inchioderebbero Logli, vi è la prova dei cani molecolari. I cani molecolari fiutarono la presenza di Roberta Ragusa tra la sua abitazione e un punto preciso di Via Gigli nei pressi della ferrovia. Ci sono degli elementi che hanno destato sospetto agli inquirenti e che hanno portato loro ad indagare sulla persona di Antonio Logli. Un elemento importante è Gozi e la sua testimonianza. Gozi racconta che giorni dopo la scomparsa di Roberta, Antonio Logli si recò da lui chiedendogli se avesse visto Roberta e si è affacciato dalla loro finestra per verificare se da lì si potesse vedere qualcosa. Un altro elemento che ha insospettito gli inquirenti è stata la scarsa collaborazione di Logli alle indagini. Antonio Logli alle 07.30 del mattino seguente, chiama la sua giovane amante, Sara Calzolaio e comunica ad essa di gettare il cellulare. Lei stessa successivamente si recherà in caserma dicendo di essere l’amante di Logli e di aver gettato il telefono, apparecchio  verrà recuperato dagli inquirenti dove, tramite i tabulati, verranno trovati dei riscontri importanti che riguardano anche alcune chiamate intercorse tra i due la sera della scomparsa di Roberta.
 
Un altro elemento che ha fatto parlare molto è stato che Logli, non molto tempo dopo, porta ufficialmente a casa sua Sara e quest'ultima convive con lui allo stato attuale. Per gli inquirenti anche questo atteggiamento dimostra che Logli è sicuro che Roberta non tornerà e ciò è dimostrato dal fatto che ha portato Sara con se e da come si comporta anche durante la prima fase delle indagini, freddo e distaccato. Durante questo iter si viene a conoscenza di lettere scritte da Roberta (tramite la trasmissione “Chi l’ha visto?”) in cui la donna manifesta il suo malessere nei confronti di un marito che la ignora come donna e si evidenzia una situazione tragica e al limite poiché la donna tenta di salvare un rapporto che il marito ignora. Una lettera anonima segnala che Logli, il giorno dopo la scomparsa si mobilità presso il cimitero di Orzignano. Logli dice che va lì per verificare se Roberta è andata in quel luogo per piangere sulla tomba della madre che è sepolta lì, ma questa versione non convince gli inquirenti, soprattutto per il fatto che nel cimitero vi sono sei botole vuote. Il 2 di dicembre si è tenuta davanti al giudice Elsa Iadaresta l’udienza in cui è stata formulata la richiesta di condanna per Antonio Logli. Prima ha parlato il procuratore capo Crini, poi il sostituto Mantovani ovvero il magistrato che sin dall’inizio ha seguito la vicenda.
 
Per Antonio Logli sono stati chiesti 30 anni di carcere, ma con l’effetto della riduzione prevista dal rito abbreviato la sua pena si totalizza in 20 anni. L’accusa non ha dubbi: “Antonio Logli, il marito di Roberta Ragusa, è colpevole e va condannato a 30 anni di carcere”, la difesa invece ha marcato una tesi differente “Roberta è viva e molto probabilmente ha bisogno di aiuto. Per questo bisogna continuare a cercarla perché forse  in giro per l'Italia, spaesata”, la difesa di Logli si è poi espressa in merito ai supertestimoni Loris Gozi e Silvana Piampini definendoli “non credibili perché il primo mente e la seconda  una donna con evidenti difficoltà psicologiche”. La difesa aveva chiesto l’assoluzione. Esattamente il 25 novembre, il supertestimone Loris Gozi ha scritto il seguente post sulla sua pagina facebook “Ciao amici volevo darvi una notizia se io sono il supertestimone questa persona e il super super super testimone sapete che io ho tante conoscenze 3 giorni prima del mio arresto una persona vicino alla famiglia di….. mi avrebbe fatto una confidenza Robera è stata cremata al cimitero di pisa.Io speravo in un processo ordinario così potevo togliermi qualche altro sassolino dalle scarpe ma la difesa a scelto il rito abbreviato anch'io avrei voluto sentire il collabboratore della scuola guida per fargli due domande ma non posso farlo spero che il giudice accetti di ascoltarlo e che veramente si arrivi alla verità.Un grande abbraccio al mio avv.Antonio Cozza e al nucleo dei carabinieri che Dio vi benedica”. Un messaggio che ha fatto il giro del web ma che lo stesso Gozi ha ulteriormente confermato il 1 dicembre “Mi riferisco a quello che ho scritto giorni fa quello che ho detto è tutto vero il mio avv.Antonio cozza è informato e anche i carabinieri sanno chi è.Un grande abbraccio a tutti i miei amici”.



Goro, la verità sull'arrivo dei migranti: l'intervista esclusiva al sindaco Diego Viviani


di Andrea Barbi


FERRARA –  Diego Viviani, primo cittadino di Goro, piccolo comune nel basso ferrarese balzato su tutte le prime pagine di cronaca nazionali quando, lo scorso ottobre, i cittadini di una sua frazione, Gorino, hanno improvvisato delle barricate sulle strade del paese per impedire l'arrivo di 20 venti richiedenti asilo, di cui 12 donne e 8 bambini, smentisce, durante un'intervista, concessa in esclusiva per L'Osservatore d'Italia, di aver ricevuto pressioni politiche da parte della regione Emilia Romagna mirate ad accogliere l'arrivo di nuovi migranti.

E' della scorsa settimana, infatti, la notizia pubblicata sulla stampa locale della provincia di Ferrara, poi ripresa anche dal nostro quotidiano, di un ipotetico ricatto del governo regionale ai danni del sindaco Viviani e della locale cooperativa dei pescatori. Secondo questa tesi, mai dimostrata da prove empiriche, la “politica regionale”, volendo riscattare la pessima immagine che i fatti di Gorino hanno dato della gestione del fenomeno migratorio, avrebbe convinto l'amministrazione locale e i rappresentanti dei lavoratori della zona ad accettare il nuovo arrivo di un gruppo di profughi con mezzi non convenzionali.

D'altronde la vicenda è stata strumentalizzata da alcuni esponenti di partiti di minoranza che non hanno perso l'occasione di presentare la protesta dei goresi come fallimento della filosofia dell'accoglienza a tutti i livelli. Per questo non era difficile immaginare che qualcuno volesse rimediare all'onta mediatica subita. Nello specifico si parlava di una sorta di tacito accordo tra i palazzi di Bologna, i cui rappresentanti si sarebbero impegnati al rilancio della fragile economia locale, e le istituzioni del piccolo comune deltizio che avrebbero garantito l'accoglienza di profughi, da sistemare in alcune strutture di proprietà della suddetta cooperativa. La posta in gioco, sarebbe stata molto alta, consistendo nella costosa manutenzione della “Sacca di Goro”, uno specchio d'acqua tra la laguna e il mare che rappresenta il fulcro dell'economia basata sulla pesca del comune in questione. Un'economia, come già anticipato, fragile, poiché fragile è l'ecosistema dalla quale dipende. A causa del naturale avanzamento del territorio del delta del Po, dovuto al continuo deposito dei detriti che il più grande fiume italiano trasporta nella corrente delle sue acque, la sacca necessita di una costante manutenzione per impedirne il progressivo insabbiamento.

Un'accusa infamante perché riguarderebbe una condotta vigliacca e scandalosa soprattutto se proveniente da un' istituzione pubblica.

Il problema però non si pone poiché, come garantisce il sindaco Viviani, tutto ciò non è mai accaduto, questa la sua dichiarazione: “Smentisco tutto, non ho mai ricevuto alcun tipo di ricatto o pressioni politiche di qualsiasi tipo, né da parte della regione Emilia Romagna, né da nessun altro. Da quando è accaduta la “vicenda delle barricate a Gorino” ho avuto modo di promuovere diversi incontri pubblici, aperti a tutta la cittadinanza, poiché volevo dialogare con tutti i miei compaesani, volevo capire le loro perplessità, le loro paure e accogliere le loro richieste, per tranquillizzarli e fargli ritrovare la fiducia nelle istituzioni locali che in quei giorni loro hanno percepito come nemiche. Continuo a sostenere che la loro reazione sia stata esagerata, anche in virtù del fatto che personalmente io credo che l'accoglienza sia un dovere e una responsabilità di ogni singolo individuo nei confronti dei più bisognosi. Non voglio quindi giustificare in alcun modo le barricate dalle quali mi sono dissociato fin da subito, ma è stata una situazione improvvisa e inaspettata che ha contribuito ad una interpretazione scorretta, da parte di chi ha manifestato, dell'azione della prefettura, vista come una prevaricazione sui cittadini inconsapevoli. Ciò che è accaduto è stato in seguito strumentalizzato, ma non è stata una manifestazione politica e Gorino non è un covo di razzisti, come certi personaggi sui media ci hanno descritti. Nessun richiedente asilo è attualmente in arrivo nel comune di Goro, ma in accordo con i miei concittadini, sto valutando la possibilità di ospitare migranti qualora qualche privato mettesse a disposizione, volontariamente, un edificio di sua proprietà. Purtroppo nel nostro territorio non abbiamo edifici pubblici dismessi da recuperare per questo scopo e le proprietà private fino ad ora visionate non sono agibili, ma ne valuteremo altre perché è giusto che anche Goro, come gli altri comuni della provincia di Ferrara si faccia carico, nel suo piccolo, di questa terribile emergenza mondiale.”




M5S, firme false: esposto di Nuti, Mannino e Di Vita. La Rocca rompe il silenzio sui social

 

di Paolino Canzoneri

 
PALERMO – Gli esponenti del M5S Riccardo Nuti, Claudia Mannino e Giulia Di Vita, con le colleghe del gruppo Chiara Di Benedetto e Loredana Lupo, indagati per le presunte firme false nelle comunali del 2012, scelgono di rompere il silenzio presentando un esposto all'Ordine degli avvocati e alla Procura. Una vera e propria denuncia contro un presunto "complotto" ai loro danni per mano del giovane avvocato Ugo Forello tra i fondatori di Addiopizzo e candidato alle comunarie del M5S per la carica di Sindaco di Palermo che, a detta dei pentastellati indagati, sarebbe responsabile di aver convinto la parlamentare regionale indagata Claudia La Rocca a presentarsi davanti ai magistrati per rendere dichiarazioni spontanee. Dopo La Rocca anche Giorgio Ciaccio ne ha seguito lo stesso iter e successivamente i due colleghi si sono poi autosospesi cosi come aveva ordinato pubblicamente il leader Beppe Grillo. La tensione oramai è altissima e la situazione sembra sfuggire di mano al gruppo che sembra sempre più slegato e non riesce più a mantenere una certa coesione. 
 
Claudia Rocchi ha commentato nel suo profilo social: "Cosa ci sia di sbagliato in un avvocato che consiglia a diversi soggetti tirati in ballo nei servizi sulle 'firme false', di scegliere un'eventuale collaborazione con la magistratura, specificandone lo scrupolo e attenzione nel lavoro, non è dato saperlo..eppure viene disegnato quasi come un peccato mortale. In tutto questo, fra le righe, anche la mia facoltà di intendere e di volere viene messa in dubbio, visto che sono stata dipinta come una pentita manovrata, quando di fatto ogni mia scelta è stata fatta in autonomia (e ci tengo a precisarlo), lontana da ogni eventuale consiglio e dopo lunghe riflessioni, pensando di fare semplicemente la cosa giusta nei confronti della mia coscienza e per tutto ciò in cui credo. Solo un cieco non vedeva la degenerazione in cui si stava scivolando". 
 
Parole di sconforto e di confusione per la scelta di collaborare con la giustizia contestata dal resto del gruppo che in una apparente posizione "omertosa" preferisce non proferire parola in attesa di chissà quale intervento ripartore o chiaritore per una indagine che giorno dopo giorno sembra appurare e dimostrare la veridicità dell'illecito. Prosegue la parlamentare regionale: "Strano che chi sceglie di collaborare con la giustizia, parlando prima di tutto del proprio coinvolgimento, venga dipinto come irretito da chissà quale inverosimile complotto. Ancora più strano, è essere stata così ingenua al punto da mettere volontariamente in discussione anni di duro lavoro. Praticamente il mondo al contrario". 
 
Riguardo al colloquio con i magistrati: "Ho raccontato al pm solo ciò che effettivamente ricordavo con estrema onestà intellettuale, non una parola di più né una in meno. Le carte lo dimostreranno. Ho sempre sostenuto che alcune ricostruzioni del servizio delle Iene non corrispondessero pienamente alla realtà, come la strumentalizzazione delle mail, del record delle 13 ore in sede o la storia della riunione dove si sarebbe parlato della ricopiatura delle firme. Motivo per cui non c'è nulla che 'stride' fra le mie mail con la Mannino e la mia intenzione di dire la verità ai magistrati, cosa che non ho mai pensato omettere. Sono anche fermamente convinta che i soggetti che hanno portato alla luce questa storia, dopo quattro anni e mezzo, non l'abbiano fatto di certo per amore della verità , ma probabilmente per mal di pancia passati e per creare caos in vista prossime comunali. In qualsiasi caso nulla cambia la realtà di un fatto avvenuto. Il punto è questo. Ci sono tanti comportamenti in questi giorni che mi hanno lasciata perplessa, ad esempio sono convinta che chi è innocente (e non sono io a deciderlo) ha il solo interesse di collaborare per far archiviare quanto prima la propria posizione, senza chiudersi in silenzi o paventate strategie per allungare il brodo. Forse sarebbe stato più sano affrontare con responsabilità una situazione, invece di provare a 'buttarla in caciara'. Purtroppo sembra essersi perso il senso di ragionevolezza e della realtà. In questo momento surreale per vederci chiaro basterebbe fare ragionamenti semplici, oggettivi e logici. Avevo pensato di indire una conferenza stampa, ma a questo punto non lo ritengo più necessario, attendo con fiducia l'esito delle indagini, voglio continuare a credere nel lavoro della magistratura". 
 



Trapani, duro colpo alla mafia: arrestati 11 fiancheggiatori del boss Messina Denaro

 

di Paolino Canzoneri


TRAPANI – Alle prime luci dell'alba la Squadra Mobile di Trapani, Palermo, Mazara del Vallo e Castelvetrano hanno messo a segno un importante blitz con 11 misure cautelari e ponendo sotto sequestro tre imprese gestite da persone vicine al clan di Matteo Messina Danaro. L'operazione dal nome "Ermes 2" ha visto il massiccio impiego di una settantina di agenti coadiuvati dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo siciliano. Inferto un colpo durissimo al clan del superlatitante grazie alle indagini che hanno fatto luce sugli accordi tesi allo spartimento degli appalti tra il clan di Mazara del Vallo retto da Vito Gondola e il clan di Castelvetrano sotto il controllo di Matteo Messina Danaro. Gli arresti sono stati disposti dal GIP del Tribunale di Palermo a seguito della richiesta accolta della Procura Antimafia che ne ha coordinato l'inchiesta. Le imprese poste sotto sequestro erano dirette da alcuni prestanome sorretti dalle famiglie mafiose dell'area di Trapani. Cosa nostra quindi era in grado di infiltrarsi in progetti di rilievo come la ristrutturazione dell'Ospedale e i lavori del parco eolico di Mazara del Vallo. Questo secondo smacco al clan del superlatitante si va ad aggiungere al precedente altrettanto importante e duro avvenuto a distanza di pochi giorni il 13 dicembre in cui venne arrestato l'imprenditore Rosario Firenze accusato di pilotare appalti pubblici della provincia trapanese. Le misure cautelari disposti in 4 arresti e 7 obblighi di dimora hanno coinvolto: gli imprenditori Carlo e Giuseppe Loretta; Paola Bonomo; Andrea Alessandrino; Angelo Castelli; il giornalista Filippo Siragusa (obbligo di dimora); Epifanio Agate (figlio di Mariano Agate, defunto boss di Mazara); Francesco Mangiarcina, Rachele Francaviglia, Nataliya Ostashko, Nicolò Passalacqua. Notificati avvisi di garanzia per Vita Anna Pellegrino,  Filippo Frazzetta e  Maria Grazia Vassallo. In tarda mattinata si è tenuta la conferenza stampa nella Questura di Trapani per rendere noti dettagli e contenuti dell'indagine.
 



Omicidio Lidia Macchi: rinviato a giudizio Stefano Binda

 
di Angelo Barraco

 
VARESE – Stefano Binda, accusato di aver ucciso con 29 coltellate Lidia Macchi, è stato rinviato a giudizio dal Gup di Varese. La madre della giovane massacrata il 5 gennaio del 1987 ha commentato così: “Mi auguro solo che la verità venga a galla, sono distrutta” e ha aggiunto che “In aula Binda mi ha guardata ma non ha parlato. Se è stato lui spero che prima o poi confessi. Chiedo solo che emerga la verità, ci spero fino all'ultimo”. Ricordiamo inoltre che la famiglia si è costituita Parte Civile. I difensori di Stefano Binda hanno depositato un esame calligrafico che lo scagionerebbe  e che dimostrerebbe la non compatibilità della sua scrittura con quella della persona che circa trent’anni fa ha inviato alla famiglia la lettera anonima dal titolo “In morte di un’amica”. Un elemento importante poiché uno degli elementi che inchioda Binda è proprio la scrittura del componimento che, secondo quanto sostiene l’accusa, sarebbe stato redatto dall’assassino. La consulenza calligrafica è stata acquisita dal gup e inoltre i difensori hanno presentato una nuova richiesta di scarcerazione. Il tutto ruota attorno ad alla lettera che in quei giorni concitati e di dolore di quel lontano 1987 fu recapitata alla famiglia Macchi, una lettera dai toni sinistri e precipua nella descrizione che fu resa nota anni dopo da un giornale e da quel momento si è innescata definitivamente la miccia che ha portato al consequenziale iter processuale. Determinante è stata una testimonianza di un’amica sentita il 24 luglio del 2014 “Mi colpiva la grafia in quanto da subito mi sembrava familiare così andavo a riprendere le cartoline che mi aveva spedito in quegli anni Stefano e con sorpresa notavo una grande somiglianza nella grafia”, così la donna ricorda le sue impressioni confermate poi dalla perizia calligrafica. 
 
La giovane studentessa di Varese, ricordiamo, fu uccisa con 29 coltellate il 5 gennaio del 1987. L’inchiesta, ricordiamo, ha avuto una svolta il 15 gennaio scorso, poiché dopo 30 anni dal terribile delitto è stato arrestato un ex compagno di liceo di Lidia Macchi, Stefano Binda. Binda nega ogni coinvolgimento nel delitto e si è avvalso della facoltà di non rispondere davanti al sostituto pg di Milano e continua a gridare la sua innocenza. Binda è imputato di omicidio volontario aggravato dai motivi abietti e futili, dalla crudeltà, dal nesso teleologico e dalla minorata difesa. Il 48enne avrebbe violentato Lidia e poi l’avrebbe uccisa. E’ descritto come un uomo colto, laureato in Filosofia e all’epoca dei fatti era ben rispettato per le sue doti intellettive. L’uomo non ha un lavoro fisso e negli anni 90 ebbe problemi di droga. Ricordiamo che nel pomeriggio del 5 gennaio 1987, Lidia Macchi andò a trovare un’amica in ospedale, si fece prestare dal padre anche 10.000 lire per la benzina. Raggiunge dopo 20 minuti l’ospedale di Cittiglio e incontra l’amica, rimanendo con lei fino alle 8.15, poi la saluta dicendo che doveva andare a  casa a cenare. Da quel momento Lidia scompare. La sua auto viene trovata il 7 gennaio in Via Filzi, il suo corpo è coperto da cartone, come se il killer avesse voluto occultarla. Uccisa con 29 coltellate e violentata. In quei giorni di dolore, giunge  casa Macchi una lettera anonima intitolata “In morte di un’amica”, dove vi sono versi come: “la morte urla contro il suo destino. Grida di orrore per essere morte: orrenda cesura strazio di carni. Perché io. Perché tu. Perché in questa notte di gelo, che le stelle son così belle, il corpo offeso, velo di tempio strappato, giace”. Lidia sarebbe morta per le ferite, ma anche per l’agonia e il freddo. Il pg di Milano attribuisce questa lettera a Binda, lettera riconosciuta da un’ex amica di Binda grazie alla trasmissione tv “Quarto Grado” che ha mandato in onda alcune lettere giunte alla famiglia Macchi. In fondo alla lettera c’era un disegno che somigliava ad un’ostia, un elemento che ha fatto entrare nell’inchiesta Don Antonio Costabile, responsabile del gruppo scout che frequentava Lidia. Su di lui si era creato il sospetto in un primo momento, ma la sua posizione è stata archiviata. In questa torbida vicenda è subentrato anche Giuseppe Piccolomo, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Carla Molinari. Le figlie riferivano che l’uomo, quando erano piccole, si vantava dell’omicidio di Lidia Macchi. 
 
Spunta un’altra lettera anonima che è stata firmata “Una mamma che soffre” e che fu inviata 29 anni fa ai genitori di Lidia Macchi. La lettera è stata mandata in onda in alcune trasmissioni tv con lo scopo di aiutare gli inquirenti e di fare in modo che qualcuno, riconoscendo la calligrafia, si faccia avanti. Tale letter fu imbucata il 21 gennaio 1987 a Vercelli giunse in casa Macchi. La lettera riporta frasi relative alla registrazione di un nastro magnetico di origine paranormale che avrebbe pronunciato Lidia dopo la morte “So chi è stato ad uccidermi, è stato un mio amico di Comunione e Liberazione” prosegue “C’era anche lui quando mi hanno trovato è stato proprio lui a trovarmi ed è stato costretto a fingere un grande sgomento e dolore”. Sulla busta è stato rilevato dna femminile, che però non corrisponde a tutti i campioni ad oggi sotto analisi.



Ferrara, guerriglia urbana sulle antiche mura: rissa tra due fazioni rivali armate

 
di Andrea Barbi
 
L’ennesimo episodio di violenza per le strade di una città che i ferraresi reputano sempre meno vivibile. L’antica città estense è sempre stata conosciuta per la sua tranquillità, tanto che Gabriele D’Annunzio in una sua poesia dedicata all’antica capitale del ducato degli Este la definì “città del silenzio”. Negli ultimi anni la situazione è cambiata radicalmente. Ieri sera l’ennesimo episodio inquietante, che si è fortunatamente risolto senza gravi conseguenze. Venti persone armate di accetta, machete e grossi coltelli si sono affrontati sulle mura di via Baluardi, zona sud della città. La richiesta di intervento da parte delle forze dell’ordine è arrivata da un cittadino residente nella via, che dalla finestra della sua abitazione ha visto quello che sembrava l’inizio di una battaglia che poteva finire in una strage. Due gruppi di persone che si stavano azzuffando tra urla, minacce e spintoni.
Secondo il racconto dell’involontario spettatore, le voci che si sentivano erano tutte maschili e parlavano Italiano, ma la distanza e la foschia non gli hanno permesso di osservare particolari utili all’identificazione di nessuno dei malintenzionati. Non ha visto colpi inferti o persone cadere a terra. Tutto è durato pochi minuti, con la rissa terminata in inseguimento. Il gruppo meno numeroso infatti, probabilmente vistosi in pericolo, è fuggito facendo perdere le proprie tracce per le strette vie del centro medievale, attorno a via Ghiara e via Quartieri.
Altri sei o sette sono rimasti per qualche istante sulle mura, prima di dileguarsi anch’essi. Infatti al loro arrivo le forze dell’ordine non hanno trovato traccia della selvaggia rissa. Le pattuglie delle volanti della Polizia di Stato e quelle del nucleo radiomobile dei Carabinieri hanno battuto in auto e a piedi in lungo e in largo il tratto in questione senza rintracciare i responsabili.
La nebbia ha avvolto e coperto gran parte delle schermaglie. Tanto che i parcheggiatori abusivi che stazionano nel parcheggio sopraelevato di via Baluardi sostengono di aver sentito delle urla ma di non aver potuto distinguere alcunchè. Stesso discorso per le persone che avevano appena parcheggiato la propria auto. Uno sguardo verso il muro grigio di nebbia, tra il curioso e l’intimorito, per poi immergersi nelle vie dello shopping natalizio. Un fatto grave, anche in considerazione dell’orario in cui è capitato; non si parla infatti del cuore della notte, ma “dell’ora dell’ aperitivo”, durante la quale molte persone uscore dal lavoro si riversano per le vie della città e quella parte delle antiche mura papaline è spesso battuta da numerosi amanti del jogging.



Guerriglia urbana sulle antiche mura

L’ennesimo episodio di violenza per le strade di una città che i ferraresi reputano sempre meno vivibile. L’antica città estense è sempre stata conosciuta per la sua tranquillità, tanto che Gabriele D’Annunzio in una sua poesia dedicata all’antica capitale del ducato degli Este la definì “città del silenzio”. Negli ultimi anni la situazione è cambiata radicalmente. Ieri sera l’ennesimo episodio inquietante, che si è fortunatamente risolto senza gravi conseguenze. Venti persone armate di accetta, machete e grossi coltelli si sono affrontati sulle mura di via Baluardi, zona sud della città. La richiesta di intervento da parte delle forze dell’ordine è arrivata da un cittadino residente nella via, che dalla finestra della sua abitazione ha visto quello che sembrava l’inizio di una battaglia che poteva finire in una strage. Due gruppi di persone che si stavano azzuffando tra urla, minacce e spintoni.
Secondo il racconto dell’involontario spettatore, le voci che si sentivano erano tutte maschili e parlavano Italiano, ma la distanza e la foschia non gli hanno permesso di osservare particolari utili all’identificazione di nessuno dei malintenzionati. Non ha visto colpi inferti o persone cadere a terra. Tutto è durato pochi minuti, con la rissa terminata in inseguimento. Il gruppo meno numeroso infatti, probabilmente vistosi in pericolo, è fuggito facendo perdere le proprie tracce per le strette vie del centro medievale, attorno a via Ghiara e via Quartieri.
Altri sei o sette sono rimasti per qualche istante sulle mura, prima di dileguarsi anch’essi. Infatti al loro arrivo le forze dell’ordine non hanno trovato traccia della selvaggia rissa. Le pattuglie delle volanti della Polizia di Stato e quelle del nucleo radiomobile dei Carabinieri hanno battuto in auto e a piedi in lungo e in largo il tratto in questione senza rintracciare i responsabili.
La nebbia ha avvolto e coperto gran parte delle schermaglie. Tanto che i parcheggiatori abusivi che stazionano nel parcheggio sopraelevato di via Baluardi sostengono di aver sentito delle urla ma di non aver potuto distinguere alcunchè. Stesso discorso per le persone che avevano appena parcheggiato la propria auto. Uno sguardo verso il muro grigio di nebbia, tra il curioso e l’intimorito, per poi immergersi nelle vie dello shopping natalizio. Un fatto grave, anche in considerazione dell’orario in cui è capitato; non si parla infatti del cuore della notte, ma “dell’ora dell’ aperitivo”, durante la quale molte persone uscore dal lavoro si riversano per le vie della città e quella parte delle antiche mura papaline è spesso battuta da numerosi amanti del jogging.



Ragusa: da uomo a donna, cambio anagrafico senza intervento

 

di Paolino Canzoneri

 
RAGUSA – Nella sezione civile del tribunale del capoluogo di provincia, su istanza presentata da un 27enne ragusano nel 2014 che chiedeva di cambiare sesso, il presidente Salvatore Barracca a latere Elisabetta Trimani e Alida Bracone, ha disposto e ordinato il cambio di sesso all'anagrafe per il giovane 27enne a seguito del trattamento medico chirurgico che ha adeguato i caratteri sessuali da maschili a femminili. Il caso al momento unico è stato seguito dal legale avvocato Nunzio Citrella che ha visto accolte tutte le sue aspettative solo dopo i dovuti e rigorosi accertamenti della non reversibilità della scelta della assistita. Si può quindi cambiare sesso all'anagrafe senza sottoporsi ad alcun intervento chirurgico per adeguare i caratteri sessuali da maschili a femminili o viceversa. 
 
L'avvocato Citrella ha cosi commentato: "Un procedimento non facile perché all' inizio non c'era alcun supporto giurisdizionale in favore di un pronunciamento in tal senso che sono poi intervenuti successivamente. Il Tribunale di Ragusa previo un rigoroso accertamento fatto sull'istante che la sua scelta è irreversibile nella volontà di cambiare sesso ha accolto la nostra tesi. La scelta del ventisettenne, nato uomo ma che sostiene di sentirsi a tutti gli effetti una donna, è stata dettata dalla volontà e dalla determinazione che prevale in lei, ovvero che la psiche prevale sul corpo ed il riconoscimento nell'ordinamento, relativo alla sessualità non deve essere basato su un organo sessuale ma deve soppesare tutte le componenti dell'identità di genere". 
 
L'interessata ha commentato raggiante: "Le porte ci sono, possono essere spalancate, ci sono le sensibilità e le leggi. Non ho bisogno di apparire, io sono così; ho una armatura bellissima, l'ho creata dal nulla, l'ho chiamata donna, perchè donna ero, sono e sarò".
Ora la strada diventa una discesa: Indipendentemente dai documenti, io voglio anche diventare donna a tutti gli effetti. Come sono? Dolce, schietta, nevrotica, insomma, donna, ce le ho tutte! Ma mi guardo allo specchio ed ancora manca qualcosa. Mi sono privata di molte cose, ora voglio iniziare a farle". Quali cose? Ho preso la patente ma non guidavo la macchina: non avrei accettato un "signorina documenti" per poi essere chiamata con un nome maschile che non riconosco; ho sempre avuto la passione del ballo ma non avrei sopportato uno sguardo di troppo in quella parte del mio corpo che non accetto perchè non corrisponde alla mia sessualità interiore; mi sono privata del lavoro ma oggi il futuro lo vedo rosa. Oggi ho lottato e vinto da sola, perchè in fondo, anche se la famiglia ti sta accanto, la battaglia è profondamente tua, sei tu che esci da casa e affronti il mondo. Io ho vinto".