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Dossier 113: un altro successo per il vecchio numero di soccorso. Il 112 ancora nella polemica

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Tempo di lettura 5 minuti Prosegue la serie dedicata “Al 113 con amore”. Ebbene laddove il 113 è ancora funzionante fa miracoli. È di ieri la notizia che la polizia ha arrestato una banda specializzata in furti d’appartamento. Come è andata?

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Bisogna migliorare la funzionalità del numero unico di soccorso 112. La gestione ancora non è messa a fuoco e questa è la grossa problematica che si intende evidenziare oggi nella puntata dedicata al caro e vecchio 113, una eccellenza tutta italiana che è stata dismessa in nome del nuovo numero unico che ancora desta plemiche.

Il Messaggero a firma Maria Lombardi ha riportato un ennesimo episodio di come l’attesa può costare una vita. Il titolo è “La bimba in codice rosso e l’attesa al 112”. Sostanzialmente si parla di un codice rosso pediatrico ravvisato da un infermiere fuori servizio «specializzato in area critica, lavoro al 118 da sette anni» . “Lui è agitato – si legge nell’articolo –  Aspetta, maledice l’attesa a cui è obbligato, finalmente risponde un’operatrice del 112, il numero unico delle emergenze. L’infermiere chiede «cortesemente» di essere messo subito in contatto con un collega del 118, si qualifica, «lavoro lì, chiamo per un codice rosso pediatrico». «Mi dispiace, la prassi prevede che lei spieghi tutto a me e solo allora io posso metterla in contatto con il 118». Quindi il soccorritore deve raccontare alla centralinista del 112 «nel dettaglio» il motivo della richiesta di soccorso, per poi ripetere tutto qualche minuto dopo al collega del 118. «Non parliamo di un codice verde – s’indigna l’infermiere su fb – sono minuti persi, minuti preziosi, minuti che potrebbero salvare una vita. In questo caso di una bambina». A volte non si può perdere nemmeno un minuto. E invece di tempo ne passa dalla chiamata al 112 al momento in cui la richiesta viene smistata a un altro centralino. Questa estate il numero delle emergenze è andato più volte in tilt, troppe chiamate per gli incendi. C’è chi ha ascoltato la voce registrata anche per 20 minuti. In italiano, inglese e spagnolo.

L’episodio della voce che risponde in più lingue non è rimasto indifferente a molti. Questa settimana c’è una lettera del collegio Direttivo IPASVI a seguito del drammatico evento che ha coinvolto la famiglia di Valentina Ruggiu, figlia di Gianfranco, che nella lettera-denuncia su Repubblica raccontò delle sei telefonate disperate per richiesta di soccorso alle quali ha risposto la voce registrata invitandola a rimanere “in attesa”. E questo racconto è perché nessun altro padre, marito o figlio, nessun altro amico o cugino, possa morire con una voce che ti dica “Rimanga in attesa”.

Ecco il testo: “Vorremmo tentare un’analisi con spirito propositivo esprimendo anzitutto vicinanza per quanto accaduto a Valentina Ruggiu. La frase finale dell’articolo a sua firma pubblicato in data 09/08/2017 su La Repubblica, è una lezione profonda per tutte le professioni del soccorso pubblico, avendo riportato al centro la mission di un sistema integrato di sicurezza che negli ultimi anni è andata perduta. Valentina purtroppo deve sapere che già in Lombardia nel 2013, avvenne un caso simile a quello che ha causato la morte del papà. Si doveva rivedere allora l’attuazione di questo modello organizzativo del Nue112 e non solo ora, come affermato dal Presidente della Regione Toscana. Per non parlare delle “meno gravi” situazioni in cui non solo i tempi d’intervento sono aumentati, ma si registra una risposta non competente in un momento delicato (e magari unico), come la chiamata di emergenza. Il pensiero di Valentina, ci riporta ai contenuti innovativi di una tesi di Laurea in Scienze Strategiche dal titolo “UN MODELLO ORGANIZZATIVO INTERFORZE NELL’AMBITO DEL 112 NUE”, conseguita nel 2015 da un collega infermiere di Torino, Stefano Agostinis, ove si legge che mai il richiedente dovrebbe sentirsi dire “..attenda che le passo..”. Della Catena del Soccorso universalmente riconosciuta che mira a ridurre i suoi anelli performandoli, che se ne è fatto? In Italia abbiamo circa 800 Centrali Operative di Emergenza. Costi e organizzazione non sono più sostenibili. Ne basterebbero 50, ma interforze, integrate e interconnesse, bilanciate in base ad epidemiologia di eventi e caratteristiche territoriali. Il Dpr del ‘92 istitutivo del Soccorso Sanitario 118 in poche righe lanciava una previsione di evoluzione che all’atto di organizzare il Nue112, nessuno ha ricordato, gettando alle spalle 25 anni di storia.

Il Collegio Infermieri della Provincia di Brescia, in quanto Ente ordinistico a tutela dei cittadini e rappresentante di una quota  di professionisti del Soccorso Sanitario, fu tra i primi ad accorgersi dell’anomalia di un modello organizzativo anacronistico, acquisendo le testimonianze e i pareri degli iscritti operanti nel contesto, con un’analisi che, purtroppo, si sta avverando ovunque tale modello si attivi. Il Collegio, partecipando a incontri locali e non, pubblicando contributi tematici di singoli iscritti, lettere e comunicati stampa, ha sostenuto e vuole sostenere (offrendo disponibilità alla stesura e realizzazione progettuale), le rappresentanze delle altre due componenti del Soccorso Pubblico quali i Vigili del Fuoco e la Polizia di Stato. I vantaggi funzionali, strutturali ed economici di un Sistema Integrato di Sicurezza che comprenda le Centrali Operative Interforze afferenti al Nue 112, sono noti e sono una tendenza europea. Il Collegio di Brescia è tra i Collegi Lombardi che hanno presentato ricorso al TAR  in quanto anche nelle Centrali Operative del Soccorso Sanitario si è introdotto un passaggio in più (il secondo dopo quello del Nue112), ovvero la presenza di operatori non sanitari e non professionisti, che svolgono la funzione di triage telefonico, che per legge è di competenza infermieristica (anzi, di infermieri con esperienza e alta formazione). Già il Coordinamento Regionale dei Collegi Ipasvi della Toscana con una ottima azione professionale, politica e amministrativa scongiurò il medesimo pericolo facendo modificare gli atti deliberativi regionali. Questo per ribadire che l’emergenza sanitaria extraospedaliera in un contesto di Soccorso Pubblico, Difesa Civile e Protezione Strategica è una Scienza nelle Scienze. Occorrono coscienza, consapevolezza, appropriatezza, competenza e autorevolezza nei confronti del cittadino. Ancora poco si scrive di questi valori che devono essere propri delle professioni operanti nelle centrali operative dell’emergenza. La “moda” di professionalizzare figure che non esistono giuridicamente è lesivo in primis della nostra Carta Costituzionale. L’aspetto tecnologico cui si invoca la soluzione di tutti i mali, non è la “pezza” e la sostituzione delle professionalità: l’Italia è il fanalino di coda in Europa in tema di digitalizzazione. Significa che non siamo ancora coscienti e preparati sul tema. Che vi sia la necessità di rivedere la formazione accademica e le modalità operative del personale dei tre Enti citati, rendendole trasversali, è ormai una necessità intrinseca a una riforma del Soccorso Pubblico non più procrastinabile. Il Nue112 non è solo un obbligo! E’ una opportunità che con un modello organizzativo all’altezza può fare del bene al nostro paese, il cui Sistema di Soccorso, Sicurezza e Protezione Strategica è costantemente in affanno. L’organizzazione del Nue112 è la spina dorsale di un sistema integrato di sicurezza. Le responsabilità sono a carico di tutti gli attori: Governo, Conferenza Stato-Regioni, organizzazioni sindacali, professionali, classe dirigente, associazioni di tutela, che ancora non si sono posti con lungimiranza politica e professionale l’obiettivo della Sicurezza quale bene comune. La Sicurezza è di tutti ed è il vanto dei paesi che la pongono al primo posto come obiettivo di sviluppo del paese. Danno e beffa: di fronte a una sanzione non siamo stati capaci di presentare un progetto di Sistema Integrato di Sicurezza che avrebbe avuto un ritorno finanziario utile a far evolvere il sistema. Al Governo il compito di bandire una selezione nazionale di esperti veri, incondizionati, liberi, slegati da ogni compromesso. Una tempesta di cervelli seria che produca, anche “copiando” dal migliore e reale sistema integrato di sicurezza, un sistema evoluto. Allo stesso modo la Politica (anche professionale), faccia emergere le testate d’angolo e non le sabbie facilmente “mobili”. Abbiamo bisogno di persone prima di tutto. Altrimenti perdiamo tutti. Per non dimenticare quanto accaduto a Valentina. E ad altri che non hanno voce”.

E al caro vecchio 113 come fare un omaggio anche questa settimana? Ebbene laddove il 113 è ancora funzionante fa miracoli. È di ieri la notizia che la polizia ha arrestato una banda specializzata in furti d’appartamento. Come è andata? I furfanti hanno preso a noleggio un’auto e da Catania si sono portati a Ragusa per compiere furti in abitazioni. Quattro giovani tutti residenti a Catania sono stati bloccati e tratti in arresto a seguito di una brillante operazione coordinata tra gli uomini della Sezione Volanti della Questura di Ragusa e della Sezione di Polizia Stradale.

Nella mattinata di sabato al 113 un utente ha segnalato la presenza di due soggetti che erano usciti da un appartamento nella zona alta di Ragusa e con fare sospetto si stavano allontanando precipitosamente a bordo di un’auto bianca, portando con sé un sacco pieno di oggetti vari. Immediatamente gli uomini della sala operativa hanno coordinato le operazioni di tutte le pattuglie sul territorio dando dettagliate descrizioni dell’autovettura allontanatasi e dei soggetti a bordo. E bravo il caro e vecchio 113

Cronaca

Aggredito giornalista de “La Stampa”: l’ennesimo attacco alla libertá di stampa

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Parto da un fatto semplice, apparentemente banale, ma che dovrebbe, condizionale d’obbligo, far riflettere tutti: la violenza va condannata senza se e senza ma.
E quando la violenza parte da un presupposto di odio da parte di un gruppo la condanna deve essere fatta ancora con più forza e con più decisione.
E va fatta con ancora più veemenza quando l’aggressione viene rivolta a chi, da sempre, è in prima linea per consentire ad un paese democratico che verità ed informazione possano essere sempre un connubio di libertà: un collega giornalista.
L’ aggressione ai danni di Andrea Joly, giornalista de La Stampa di Torino, è l’ennesima dimostrazione di come l’odio troppo spesso popoli il nostro paese. Dietro di esso si nasconde il tentativo forte di delegittimare una categoria, quella dei giornalisti, da sempre coscienza libera in quanto lettori attenti ed obiettivi della realtà.
Diventa necessaria, quindi, una levata di scudi dell’intera classe politica nazionale per ristabilire un argine di rispetto e di sicurezza che eviti i troppi tentativi di bavaglio che violano il principio, sancito dalla nostra Carta Costituzionale, della libertà di stampa.
Scriveva Thomas Jefferson:
“Quando la stampa è libera e ogni uomo è in grado di leggere, tutto è sicuro”.
Mai parole sono state così attuali.

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Editoriali

19 luglio 1992: un maledetto pomeriggio

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Lo ricordo come allora quel tragico 19 luglio 1992.
Un caldo improponibile, come quello di questi giorni.
Ma era sabato e con gli storici amici del paese l’appuntamento era fisso: “… ci vediamo più tardi al chiosco, verso le 5, e poi decidiamo dove passare pomeriggio e serata …“.
E cosi facemmo!
Arrivammo un po’ alla spicciolata (cellulari, WhatsApp ed altro sarebbero arrivati anni dopo).
Per ultimo, ma non per questo meno importante, uno dei nostri amici, all’epoca cadetto alla scuola sottufficiali dei Carabinieri.
Lo sguardo basso, ferito oserei dire.
Il passo lento, non era il suo solito passo.
Gli occhi lucidi che facevano presagire che qualcosa di grave era successo.
“Hanno ammazzato pure Paolo”, furono le sue uniche indimenticabili parole.
In un momento i nostri sorrisi, la nostra voglia di festeggiare quel sabato si ruppe.
Non erano passati neanche due mesi dell’attentato di Capaci in cui Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta erano stati ammazzati per ordine della Mafia ed ora anche Paolo Borsellino e la sua scorta erano lì dilaniati dall’ennesimo atto vigliacco di Cosa Nostra.
Giovanni e Paolo incarnavano i sogni di quella nostra generazione pronta a scendere in piazza per dire “NO ALLA MAFIA”.
Una generazione che aveva fatto dell’impegno politico e sociale la propria stella polare.
Quei due uomini seppero farci capire quanto l’impegno dovesse essere sempre animato da uno spirito di sacrificio personale.
Ci fecero capire che per cambiare il mondo il primo impegno era mettersi in gioco.
Quel pomeriggio i nostri sogni di ragazzi che volevano un mondo migliore saltarono in aria come quella maledetta bomba in via d’Amelio.
Ma capimmo, anni dopo, che dalla loro morte sarebbe germogliato quel seme che avrebbe fatto crescere la pianta rigogliosa della legalità.
Oggi a più di 30 anni dalla loro morte tengo in mente due loro pensieri:

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

L’ importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza (Giovanni Falcone)
La paura è umana, ma combattetela con il coraggio (Paolo Borsellino)


Ecco paura e coraggio … le loro vite, il loro impegno, il loro sacrificio ci hanno insegnato che possono convivere e farci essere grandi uomini.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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