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Sanità pubblica, medici allo stremo delle forze: il vero problema sono le assunzioni

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Le assunzioni, il vero problema della sanità. Le conseguenze? Lentezza dei servizi, già di fatto macchinosi e farraginosi, medici allo stremo delle forze e dell’attenzione. Un caso che abbiamo riscontrato all’ospedale San Giuseppe di Marino, in provincia di Roma nella zona dei Castelli Romani, è quello che riguarda il settore del diabete. Una patologia che desta più di 2.500 decessi l’anno (dato ISTAT) e che colpisce più di 3 milioni di italiani. Anche se il reparto presenta rapidità ed efficienza rispetto alle lunghe attese dei comuni ambulatori, siamo andati a controllare come, secondo il Piano Regionale Malattia Diabetica, si prevede, per strutture di terzo livello – specializzate –, l’orario di apertura che comprende 6 giorni settimanali inclusi due pomeriggi. Il problema è che alla teoria non seguono concretamente i fatti, dato che deve essere rivisto concretamente il numero del personale per una struttura che propone anche i day-hospital. È proprio alla carenza di personale che si riferisce Natale Di Cola, segretario della Fp CGIL Roma, il quale fa presente come negli ultimi 10 anni si siano perse circa 11.500 unità lavorative nel Lazio e durante il commissariamento circa il 20 percento della forza lavoro nella sanità pubblica.

 

Memorabile lo scontro a marzo 2017 tra il ministro della sanità Lorenzin ed il Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. Questo ultimo dopo avere apposto la firma ad un decreto che prevedeva 35mila assunzioni nel settore della sanità pubblica (circa 17.000 l’anno), è stato attaccato dalla ministra che invece pianificava l’assunzione di soli 400.

 

I fondi la causa del diverbio: una delle conseguenze che derivano dalla mancata risposta della sanità pubblica laziale da circa 20 anni è la sua privatizzazione a modello statunitense. È chiaro, ad oggi, che il prezzo di un ticket è di poco inferiore al costo di una visita privata. Spese concorrenziali alle quali si aggiungono costi di assicurazioni, che non fanno altro se non traghettare i pazienti pubblici verso istituti privati (sempre secondo le linee di efficienza e rapidità dei servizi).

 

Ma non solo. Anche i giovani medici oggetto di concorsi pubblici senza fine: si inizia rientrando in graduatoria e se si riesce ad essere assunti inizia una carriera tutta a tempo determinato per l’acquisizione fondamentale dell’esperienza con rimbalzi da un ospedale all’altro al ritmo di circa 8 mesi dopo i quali si viene trasferiti (si registrano casi anche di 13 anni). Se invece si è già inseriti nel mondo del lavoro medico e si prospetta un avanzamento di carriera, interviene la lentezza burocratica. Infatti i risultati del bando interno delle unità lavorative della ASL impiegano un iter di circa 10 mesi tra pubblicazioni e promozioni.

 

Insomma un rimbalzo di responsabilità senza una fine, od almeno una fine serena. La medicina e la sua applicazione concreta nella piccola realtà personale è uno dei cardini indispensabili della società moderna. Ma perché essa possa essere efficiente e veloce necessità di due prerogative: esperienza e nuova forza lavoro. Le due corrono di pari passo, senza la seconda non ci ci può essere la prima e viceversa. Compito delle istituzioni secondo l’articolo quarto della Costituzione è rendere affettivo il diritto al lavoro che si prefigge come fine il bene materiale e spirituale della comunità. In tal caso bisogna garantire ai giovani medici ed infermieri la possibilità di avere un lavoro solido che permetta perciò la formazione di una necessaria esperienza allo scopo non già di un bene personale quanto della società intera.

Gianpaolo Plini

Cronaca

Aggredito giornalista de “La Stampa”: l’ennesimo attacco alla libertá di stampa

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Parto da un fatto semplice, apparentemente banale, ma che dovrebbe, condizionale d’obbligo, far riflettere tutti: la violenza va condannata senza se e senza ma.
E quando la violenza parte da un presupposto di odio da parte di un gruppo la condanna deve essere fatta ancora con più forza e con più decisione.
E va fatta con ancora più veemenza quando l’aggressione viene rivolta a chi, da sempre, è in prima linea per consentire ad un paese democratico che verità ed informazione possano essere sempre un connubio di libertà: un collega giornalista.
L’ aggressione ai danni di Andrea Joly, giornalista de La Stampa di Torino, è l’ennesima dimostrazione di come l’odio troppo spesso popoli il nostro paese. Dietro di esso si nasconde il tentativo forte di delegittimare una categoria, quella dei giornalisti, da sempre coscienza libera in quanto lettori attenti ed obiettivi della realtà.
Diventa necessaria, quindi, una levata di scudi dell’intera classe politica nazionale per ristabilire un argine di rispetto e di sicurezza che eviti i troppi tentativi di bavaglio che violano il principio, sancito dalla nostra Carta Costituzionale, della libertà di stampa.
Scriveva Thomas Jefferson:
“Quando la stampa è libera e ogni uomo è in grado di leggere, tutto è sicuro”.
Mai parole sono state così attuali.

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Editoriali

19 luglio 1992: un maledetto pomeriggio

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Lo ricordo come allora quel tragico 19 luglio 1992.
Un caldo improponibile, come quello di questi giorni.
Ma era sabato e con gli storici amici del paese l’appuntamento era fisso: “… ci vediamo più tardi al chiosco, verso le 5, e poi decidiamo dove passare pomeriggio e serata …“.
E cosi facemmo!
Arrivammo un po’ alla spicciolata (cellulari, WhatsApp ed altro sarebbero arrivati anni dopo).
Per ultimo, ma non per questo meno importante, uno dei nostri amici, all’epoca cadetto alla scuola sottufficiali dei Carabinieri.
Lo sguardo basso, ferito oserei dire.
Il passo lento, non era il suo solito passo.
Gli occhi lucidi che facevano presagire che qualcosa di grave era successo.
“Hanno ammazzato pure Paolo”, furono le sue uniche indimenticabili parole.
In un momento i nostri sorrisi, la nostra voglia di festeggiare quel sabato si ruppe.
Non erano passati neanche due mesi dell’attentato di Capaci in cui Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta erano stati ammazzati per ordine della Mafia ed ora anche Paolo Borsellino e la sua scorta erano lì dilaniati dall’ennesimo atto vigliacco di Cosa Nostra.
Giovanni e Paolo incarnavano i sogni di quella nostra generazione pronta a scendere in piazza per dire “NO ALLA MAFIA”.
Una generazione che aveva fatto dell’impegno politico e sociale la propria stella polare.
Quei due uomini seppero farci capire quanto l’impegno dovesse essere sempre animato da uno spirito di sacrificio personale.
Ci fecero capire che per cambiare il mondo il primo impegno era mettersi in gioco.
Quel pomeriggio i nostri sogni di ragazzi che volevano un mondo migliore saltarono in aria come quella maledetta bomba in via d’Amelio.
Ma capimmo, anni dopo, che dalla loro morte sarebbe germogliato quel seme che avrebbe fatto crescere la pianta rigogliosa della legalità.
Oggi a più di 30 anni dalla loro morte tengo in mente due loro pensieri:

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

L’ importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza (Giovanni Falcone)
La paura è umana, ma combattetela con il coraggio (Paolo Borsellino)


Ecco paura e coraggio … le loro vite, il loro impegno, il loro sacrificio ci hanno insegnato che possono convivere e farci essere grandi uomini.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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