Gran Bretagna, bye bye Europa: a mezzanotte Londra fuori dalla UE

Con il consenso ufficiale della regina Elisabetta II all’accordo per la Brexit, sono stati compiuti tutti i passi formali per il divorzio tra il Regno Unito e l’Unione Europea. Allo scoccare della mezzanotte, quando a Londra il Big Ben batte le 23, si chiude il periodo di transizione e la Gran Bretagna lascia il mercato comune, concludendo il cammino iniziato il primo gennaio 1973 con l’ingresso nella Cee.

Dal 1 gennaio 2021, i rapporti tra le due sponde della Manica vengono regolati dal trattato concordato con Bruxelles dal governo di Boris Johnson, dopo nove mesi tesissimi durante i quali è aleggiato più volte lo spettro di un ‘no deal’ dalle conseguenze imprevedibili.

Per i 27 si apre forse la chance di una maggiore integrazione, quella “even closer union” che Downing Street ha sempre avversato, forse facendo da involontaria sponda a una Germania che non ha finora condiviso appieno le spinte francesi per un’accelerazione verso un’unione politica e militare. Per Johnson ora il “destino” del Regno Unito “torna fermamente nelle mani” dei suoi cittadini.

Un Paese diviso

Il processo, che si è aperto con la vittoria di stretta misura dei ‘Leave’ al referendum del giugno 2016 e che ha dominato negli ultimi anni il dibattito politico britannico, lascia però un Paese diviso, con la Scozia, dove i ‘Remain’ avevano trionfato, che insiste su un terzo referendum per l’indipendenza e alcune categorie, come i pescatori, che già mugugnano per un compromesso che non ha limitato, come speravano, l’accesso dei concorrenti europei alle pescose acque britanniche.

Forti interrogativi albergano anche nel vitale settore finanziario, che attende di comprendere come potrà continuare a lavorare nel territorio Ue una volta detto addio al mercato comune. Senza il passaporto europeo, le transazioni degli operatori della City saranno sottoposte allo stesso complesso regime di equivalenza previsto per le società americane o giapponesi. Nel cuore finanziario del vecchio continente si vivono situazioni contrastanti.

Da una parte c’è ottimismo e si guarda alla prospettiva di una Gran Bretagna di nuovo proiettata sugli oceani, verso i mercati asiatici, come promesso da Johnson, che nei mesi scorsi ha a volte rievocato il passato imperiale come faro per il futuro. Dall’altra c’è un certo malumore per una trattativa che si è concentrata prevalentemente sul commercio e che ha fatto sentire un po’ ai margini un settore che dalla Ue trae un quarto del suo giro d’affari. BoJo sembra però intenzionato a mantenere l’impegno ad aprire il più possibile la Gran Bretagna ai mercati globali. Gli ultimi giorni lo hanno visto attivissimo sul fronte commerciale: oltre che con l’Europa, sono stati siglati accordi con Giappone, Canada, Singapore e Turchia. I prossimi obiettivi sono un’intesa con l’India, dove il primo ministro intende recarsi il mese prossimo, e con gli Stati Uniti, con i quali è già stato siglato un patto per la continuità doganale lo scorso 16 dicembre.

Le incognite restano: il 43% delle esportazioni del Regno Unito sono dirette verso l’Unione Europea, che dipende invece da Londra per solo l’8% delle proprie esportazioni. E gli effetti concreti dell’uscita dal mercato comune, anche in termini di approvvigionamenti di beni primari, si conosceranno appieno solo nei prossimi giorni.

L’hard boarder scongiurato e la moral suasion di Joe Biden

E’ stata un’ottima notizia l’aver scongiurato il ripristino di un ‘hard border’ tra le due Irlande, che avrebbe violato gli accordi del Venerdì Santo del 1998 e avrebbe potuto far risorgere la minaccia, dormiente ma mai scomparsa, di un ritorno dell’Ira. Ha contato molto, su questo fronte, la ‘moral suasion’ esercitata dal presidente eletto degli Stati Uniti, Joe Biden, un cattolico di origini irlandesi che non avrebbe mai tollerato una marcia indietro rispetto agli impegni che posero fine a trent’anni di violenze tra repubblicani cattolici e unionisti protestanti.

Altrove, invece, tornano i controlli alla frontiera

Nonostante l’accordo di libero scambio, ai due lati della Manica si allungheranno i tempi per il passaggio di merci e persone. Il canale tra Francia e Inghilterra è attraversato ogni giorno da 60 mila passeggeri e 12 mila mezzi pesanti. Michael Gove, ministro per l’Ufficio di Gabinetto britannico, ha avvertito che potrebbero esserci “intoppi”. Ad allungare i tempi di transito, sia via mare sia attraverso il tunnel, sarà il controllo dei passaporti. Secondo le stime delle autorità francesi, la durata media dei controlli passerà da 20 a 60 secondi circa. I sudditi di Sua Maestà potranno essere soggetti ai controlli dell’ufficio immigrazione transalpino e potranno restare nel territorio Ue per 90 giorni, dopo i quali avranno bisogno di un visto. Per le merci arriva in soccorso la tecnologia per evitare rallentamenti eccessivi. Ma non è detto che tutto funzioni e subito.

I due lati della Manica

Gli esportatori da entrambi i lati della Manica dovranno dichiarare online i beni che passeranno la frontiera prima che i carichi partano. I camion dovranno presentare una documentazione contenente un codice a barre che gli agenti della dogana scansioneranno e invieranno, insieme al numero di registrazione del mezzo, alla loro controparte d’oltremanica.

Il codice consentirà alle autorità di identificare il contenuto del carico e stabilire se sono necessarie ispezioni. I prodotti animali o vegetali di provenienza britannica verranno dirottati verso gli appositi controlli sanitari qualora le norme comunitarie lo esigano. A tale scopo verranno dispiegati 230 veterinari nei porti di Calais, Dunkirk e Boulogne-sur-Mer. Questi controlli, secondo le stime delle autorità francesi, riguarderanno il 10-12% dei carichi. Saranno esenti dai controlli i prodotti animali trasportati dall’Irlanda al Regno Unito.

Parigi ha investito 40 milioni di euro e assunto 700 nuovi addetti per mettere in campo gli strumenti necessari a scongiurare ingorghi in seguito al ritorno della frontiera. Nei porti francesi sulla Manica sono stati costruiti 6 mila parcheggi aggiuntivi per la sosta dei mezzi che risultino privi della documentazione sufficiente o richiedano controlli approfonditi. Il governo britannico ha stanziato, da parte sua, 200 milioni di sterline (222 milioni di euro) per adeguare le infrastrutture portuali. Il direttore del porto di Dover, Doug Bannister, ha però lamentato il mancato raddoppio dei gabbiotti per il controllo dei passaporti francesi. In assenza di tale intervento, Bannister paventa “attriti” e “ritardi”. Numerosi esportatori hanno cercato di concentrare nel mese di dicembre più consegne possibili per evitare di intasare il canale. E c’è chi teme che gli imbottigliamenti verificatisi in seguito alla temporanea chiusura della frontiera francese, seguita alla scoperta della contagiosissima variante “britannica” del coronavirus, siano stati solo l’inizio.




Bye bye Europa: la Brexit è realtà

La Gran Bretagna saluta l’Ue e
la Manica torna a essere un confine europeo, fra il continente e l’isola
. E’ bastato lo scoccare di un
secondo, segnato dal countdown sulla facciata di Downing Street e sulle bianche
scogliere di Dover, a chiudere una pagina di storia durata quasi mezzo secolo,
dal ’73 a oggi: quella del matrimonio, d’interesse eppure non privo di frutti,
di Londra con Bruxelles.

La Brexit diventa realtà nella
notte
,
l’Union Jack e la bandiera azzurra con le stelle europee si separano, ammainate
nei rispettivi palazzi del potere, fra i festeggiamenti colorati, a tratti
rabbiosi, e il boato del popolo euroscettico riunito in folla a Londra; e le
recriminazioni, il rammarico, il dolore di chi questo epilogo non avrebbe
voluto: nel Regno come altrove. Il suggello del Brexit Day è arrivato dall’uomo
che in questi mesi è riuscito far saltare il banco e a mettere fine allo
stallo, dopo aver già condotto in prima fila la campagna pro Leave del
referendum del giugno 2016: Boris Johnson, controverso, ma vincente nell’ora
destinata a segnarne l’eredità e in attesa del giudizio dei posteri. In un
messaggio alla nazione il primo ministro Tory ha fatto sfoggio di ottimismo e
richiamato all’unità un Paese profondamente lacerato, anche se in maggioranza
forse sollevato dalla sensazione di aver dato almeno un primo taglio alle
incertezze. Ha definito questo passaggio – comunque epocale – “l’alba di
una nuova era”, che “non segna una fine, ma un inizio”. 

Ha rivendicato l’addio come “una scelta sana e
democratica” sancita “due volte dal giudizio del popolo”, tanto
nel 2016 quanto alle elezioni del dicembre scorso. E ha esaltato le speranze di
un rinnovato slancio all’interno, di un ruolo europeo e globale
“indipendente” del Regno, ma anche di una “cooperazione
amichevole” di buon vicinato con gli ex partner dell’Ue. In un contesto
nel quale ha spronato i compatrioti a “scatenare il potenziale” d’una
nazione che fu impero, a credere nel cambiamento come alla chance di un
“clamoroso successo”. Non senza insistere sulla convinzione che la
direzione intrapresa dal club europeo, pur “con tutte le sue ammirevoli
qualità”, non fosse più adatta al destino britannico. Parole accompagnate
da toni di comprensione verso “il senso di ansia e smarrimento” di
quella metà del Paese che alla Brexit ha guardato come a un errore storico o a
un azzardo. E dall’impegno del governo a cercare la strada per ricondurre ora
il Regno “all’unità” in modo da poter guardare avanti
“insieme”.

Le incognite del
futuro restano d’altronde numerose e tutte da affrontare. A iniziare dal
cruciale negoziato, da chiudere nei soli 11 mesi di transizione che Londra
intende concedersi sino al 31 dicembre 2020 sulle relazioni post divorzio –
commerciali in primis – con i 27; e dalle scommesse sulle parallele intese di
libero scambio auspicate con gli Usa e con altre potenze terze. Senza contare
le promesse sul controllo dell’immigrazione, sugli investimenti in
infrastrutture e servizi, sull’alleggerimento delle disparità a beneficio di
aree depresse come il nord dell’Inghilterra, dove l’esecutivo ha tenuto nel
Brexit Day un consiglio dei ministri simbolico nell’euroscettica Sunderland.
Traguardi da conciliare con le stime affannate del Pil e con non poche
contraddizioni interne. Contraddizioni che oggi si sono riflesse nelle piazze
di Londra e non solo. Dove sono scesi dapprima, fra rimpianti e lacrime,
gruppetti di remainer non pentiti, rappresentanza di una fetta ampia di Paese
che continua a masticare amaro, rispecchiandosi nel “cuore spezzato”
del sindaco laburista della capitale, Sadiq Khan, nonostante l’invito di chi –
come Tony Blair o Gina Miller – li invita a riconoscere la realtà d’una
battaglia perduta per diversi anni a venire. Poi i sostenitori della Brexit,
molti provenienti da fuori Londra, e arringati dalle parole del pioniere Nigel
Farage, radunatisi a decine di migliaia in serata fino a riempire Westminster
Square, in barba alla pioggia, per far sventolare – tra fuochi, brindisi, inni
e comizi – bandiere e simboli nazional-patriottici. E contraddizioni che non
smettono di agitare le nazioni del ‘no’: l’Irlanda del Nord, dove ha rifatto
capolino una linea di frontiera pur invisibile con Dublino; e soprattutto la
Scozia, dove la piazza di Edimburgo ha risposto a quella di Londra e la first
minister indipendentista Nicola Sturgeon è tornata a invocare l’obiettivo di un
secondo referendum secessionista.

Intanto da Bruxelles
e dalle varie capitali continentali, la consapevolezza del momento
“storico” si è unita ad accenti di “tristezza”, talora
d’allarme, nelle voci dei leader: da Giuseppe Conte a Emmanuel Macron, passando
per il presidente dell’Europarlamento, David Sassoli, e per il commissario
Paolo Gentiloni. Mentre Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, ha
tenuto a lasciare aperta la porta al “miglior partenariato possibile”
con il Regno che va via, ma ricordando che nessun accordo potrà mai essere come
“la membership”. E dicendosi certa che non sarà “lo splendido
isolamento” la soluzione ai problemi del domani.




Regno Unito, maggioranza assoluta per Boris Johnson: Brexit diventa irreversibile e la sterlina vola sui mercati valutari

Le elezioni britanniche consegnano a Boris Johnson e ai Tory un’ampia maggioranza assoluta a Westminster, le chiavi di Downing Street per i prossimi 5 anni e il lasciapassare per una Brexit che, a 3 anni e mezzo dal referendum del 2016, diventa irreversibile.

La sterlina vola sui mercati valutari nel cambio con il dollaro e l’euro dopo: la valuta inglese passa di mano a 1,3446 sul dollaro (+2,1%) e a 0,8303 sull’euro (+1,8%). La moneta unica è scambiata invece in avvio di giornata senza sensibili variazioni sul dollaro.

Il partito conservatore ha incassato oltre 360 seggi su 650, mentre al Labour di Jeremy Corbyn ne vengono attribuiti circa 200. “Una decisione inconfutabile dei britannici”, commenta Johnson che aggiunge: “Con questo mandato realizzaremo la Brexit”.

Un risultato che non si vedeva dai tempi di Margaret Thatcher e segna invece la disfatta peggiore da decenni per il Labour.

Ed è guerra all’interno del partito, ma Jeremy Corbyn rimanda le dimissioni. Non guiderà il partito “in un’altra elezione”, ma per ora resta in Parlamento e “guiderà il Labour in una fase di riflessione”.

Il verdetto è chiarissimo. Il messaggio di BoJo, sintetizzato nella promessa-tormentone ‘Get Brexit done’, è passato. E il controllo Tory sulla Camera nega ogni credibile spazio di manovra al fronte dei partiti che s’erano impegnati a convocare un secondo referendum sull’Europa per offrire agli isolani una chance di ripensamento.

Shock anche per i liberaldemocratici: la 39enne neo-leader del partito più radicalmente anti-Brexit del lotto, Jo Swinson, che aveva cercato di proporsi addirittura come una rivale diretta di Boris Johnson e di Jeremy Corbyn, non solo non è riuscita a far avanzare la sua formazione, ma è stata bocciata anche a livello personale nel collegio di Dumbartonshire East: scalzata per 149 voti da Amy Callaghan, indipendentista scozzese dell’Snp. Swinson non però annunciato le dimissioni da leader.

Nigel Farage non considera una sconfitta il risultato negativo – peraltro previsto dai sondaggi – del suo Brexit Party alle elezioni politiche britanniche. Il partito è rimasto al palo, con zero seggi secondo l’exit poll, di fatto riassorbito dal partito conservatore di Boris Johnson dopo il trionfo nel voto (proporzionale) delle Europee di maggio. Ma secondo Farage, intervistato a caldo dalla Bbc, ha comunque contribuito a favorire il successo Tory e a evitare lo spettro di un Parlamento senza maggioranza (hung Parliament): sia non presentando candidati in oltre 300 collegi già controllati dai conservatori, sia togliendo voti ai laburisti di Jeremy Corbyn in diverse circoscrizioni del cosiddetto ‘muro rosso’ dell’Inghilterra centro-settentrionale e del Galles, tradizionalmente di sinistra, ma in maggioranza pro Brexit e contrarie a un secondo referendum.




Uk, verso l’uscita dalla Ue: tornano i passaporti senza la scritta “European Union”

Il governo britannico ha già cominciato, questa settimana, a distribuire passaporti senza la scritta ‘European Union’ sulla copertina, nonostante la premier Theresa May abbia proposto un rinvio della Brexit fino al 30 giugno. I nuovi documenti, riporta la Bbc online, erano stati realizzati in vista dell’uscita del Paese dall’Ue il 29 marzo.

Il ministero degli Interni di Sua Maestà ha comunque spiegato che continuerà a emettere i vecchi passaporti – quelli con la scritta ‘European Union’ – finche’ non finiranno le scorte e che i cittadini non avranno la possibilità di scegliere tra le due versioni.

In ogni caso, non si tratta dei passaporti definitivi. Dalla fine di quest’anno, infatti, i documenti subiranno un altro cambiamento: dall’attuale colore rosso bordeaux si passerà gradualmente al blu, il tradizionale colore dei passaporti britannici fino al 1988.




Brexit, 4 piani b al voto: governo battuto sulla procedura

La Camera dei Comuni ha approvato con 322 contro 277, sconfiggendo ancora una volta il governo di Theresa May, la procedura per la seconda sessione dei voti indicativi d’iniziativa parlamentare sulle opzioni di piano B alternative all’accordo sulla Brexit della premier Tory.
Lo speaker John Bercow ha poi ridotto le opzioni a 4: due in favore di una Brexit più soft (unione doganale e mercato unico 2.0), una sull’ipotesi di referendum bis e una per attribuire di fatto poteri sovrani al Parlamento sul governo.




Brexit, record di firme per chiedere nuovo referendum. Gli inglesi: “Vogliamo l’Ue”

Gremita la manifestazione di protesta contro la Brexit in corso a Londra, con migliaia di persone radunatesi presso la centralissima Park Lane e in marcia verso Parliament Square a Westminster da Hyde Park Corner, con la conseguente chiusura di diverse strade nella zona. Le bandiere azzurre con le stelle gialle dell’Ue la fanno da padrona tra la folla. Record formalizzato, oltre le 4,2 milioni di firme, per la petizione popolare lanciata sul web per chiedere al Parlamento britannico la revoca dell’articolo 50, e quindi lo stop della Brexit, a dispetto del voto referendario di 3 anni fa. Lo riportano i media sulla base dei numeri dal sito di Westminster che segnalano il sorpasso rispetto a un’analoga iniziativa condotta nel 2016 dallo stesso fronte pro Remain per invocare (allora invano) un referendum bis.

Sono più di un milione le persone scese in piazza a Londra nel grande corteo anti Brexit di oggi per invocare un secondo referendum. Lo affermano i promotori della piattaforma ‘People’s Vote’, parlando di una partecipazione “straordinaria”. La cifra, non corroborata da fonti indipendenti, va oltre quella indicata nella precedente manifestazione analoga svoltasi sempre nel cuore della capitale britannica nell’ottobre scorso con una stima accreditata di 700.000 persone circa.




Regno Unito, Teresa May ottiene la fiducia: ora l’obiettivo è attuare la brexit

La Camera dei Comuni ha respinto la mozione di sfiducia con 325 voti contro 306. Il governo mantiene così la maggioranza per 19 voti, nonostante la sconfitta pesante di martedì sull’accordo sulla Brexit.

Theresa May è pronta a incontrare tutti i leader dell’opposizione a partire da stasera per cercare di trovare una linea comune con l’obiettivo di “attuare la Brexit”, ha detto la stessa premier Tory ai Comuni dopo aver superato la mozione di sfiducia in Parlamento.

May ha aperto quindi anche a un incontro faccia a faccia con Jeremy Corbyn, finora negato. Il Parlamento – ha detto la premier – “ha confermato la fiducia nel governo”, ora bisogna attuare la Brexit perché “il Paese continui ad aver fiducia nel Parlamento”.

Il leader dell’opposizione laburista britannica, Jeremy Corbyn, si è detto disposto a incontrare Theresa May sul dossier Brexit, dopo la sconfitta di misura della mozione di sfiducia presentata contro il governo , ma ha chiesto alla premier Tory di “togliere dal tavolo” qualunque ipotesi di divorzio no deal dall’Ue. Anche il capogruppo degli indipendentisti scozzesi dell’Snp, Ian Blackford, ha detto sì a un confronto “costruttivo” con May, pur ribadendo la differenza delle posizioni.




Brexit, via libera di 27 leader all’accordo di “divorzio”

I 27 leader Ue hanno dato il via libera politico all’Accordo di divorzio” dal Regno Unito “e alla Dichiarazione politica congiunta” sulle relazioni future, lo ha fatto sapere il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.

I 27 leader Ue hanno adottato il testo di conclusioni del vertice sulla Brexit, in cui si invitano “Commissione, Parlamento europeo e Consiglio, a fare i passi necessari per garantire che l’accordo possa entrare in vigore il 30 marzo 2019, in modo da assicurare un recesso ordinato” del Regno Unito. Si legge sull’account Twitter di Preben Aamann, portavoce del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.

Se qualcuno pensasse al Parlamento britannico “di rigettare questo accordo” sulla Brexit, pensando di poter ottenere un’intesa migliore, resterebbe deluso un attimo dopo la bocciatura, perché questo è l’unico accordo possibile“, ed “è la migliore intesa possibile”, ha detto il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, al termine del vertice, sottolineando che “oggi è un giorno triste”.

“Di fronte a noi c’è un difficile processo di ratifica” dell’accordo di recesso del Regno Unito e “nuovi negoziati” ha detto il presidente del Consiglio europeo, Tusk al termine del vertice sulla Brexit -. Ma col Regno Unito “resteremo amici fino alla fine dei giorni, e anche un giorno di più”.

Il voto alla Camera dei Comuni sulla Brexit si dovrebbe tenere il 10-11 dicembre, secondo le indicazioni della premier britannica Theresa May al vertice. Lo si apprende da fonti europee.

Ora è giunto il momento che ognuno si assuma le sue responsabilità“, in quanto “questo accordo” di divorzio “è il passo necessario per costruire la fiducia tra l’Ue e la Gran Bretagna per costruire i prossimi passi”. Così il capo negoziatore Ue Michel Barnier all’arrivo al vertice straordinario sulla Brexit. “Resteremo partner, alleati e amici” con Londra, ha concluso, ricordando di aver “sempre negoziato con e non contro la Gran Bretagna”. Barnier ha quindi ringraziato i team di negoziatori, i 27 e l’Europarlamento.

Questo è un Consiglio europeo storico ma che scatena sentimenti misti” in quanto “la Gran Bretagna se ne va dall’Ue dopo 25 anni ma noi rispettiamo la decisione del popolo britannico”. Così la cancelliera tedesca Angela Merkel al termine del vertice Ue straordinario sulla Brexit, sottolineando che “la cooperazione tra i 27, la Commissione Ue e il Parlamento europeo è stata eccellente” e che l’accordo di divorzio “è nel nostro interesse”. “Ho una sensazione di sollievo per aver ottenuto quanto è stato ottenuto”, ha concluso.

Non ci deve essere un secondo referendum“. Theresa May taglia corto al riguardo a Bruxelles nella sua conferenza stampa dopo la formalizzazione dell’accordo sulla Brexit con l’Ue, secondo una delle citazioni riportate con evidenza dai media britannici. “L’opinione pubblica – ribadisce la premier conservatrice – si aspetta che sia ora il Parlamento a votare l’accordo. La maggior parte della gente nel Regno Unito vuole un accordo fatto e che ci concentriamo più chiaramente sui suoi problemi, quelli che contano ogni giorno”.

Intanto in una “lettera alla Nazione” pubblicata in vista del vertice Ue, la premier britannica chiede il sostegno del suo popolo al suo accordo con l’Unione europea sulla Brexit, affermando che si tratta di un’intesa che permetterà al Regno Unito un “più luminoso futuro”, come riferisce Bbc News online.

Quando il prossimo anno la Gran Bretagna lascerà l’Unione, scrive la premier, il Paese vivrà “un momento di rinnovamento e riconciliazione” e l’inizio di “un nuovo capitolo nella nostra vita nazionale”. Un momento, continua la premier, che “deve segnare il punto in cui mettiamo da parte per sempre le etichette di ‘uscire’ e ‘rimanere’, e torniamo ad essere di nuovo un solo popolo”.

Ma “per fare questo – sottolinea Theresa May – abbiamo bisogno di andare avanti con la Brexit ora, sostenendo questo accordo”.

“Con la Brexit conclusa”, sottolinea inoltre la premier, il governo sarà poi in grado di concentrarsi su questioni come l’economia, il sistema sanitario nazionale e la costruzione di case




Inghilterra, Theresa May firma per la Brexit: divorzio di Londra dall'Ue

 

INGHILTERRA – La premier britannica Theresa May ha firmato la lettera per la notifica dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona che, nel momento della consegna al presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, segnerà l'avvio formale dell'iter della Brexit, il divorzio di Londra dall'Ue sancito dal referendum del 23 giugno scorso. Lo riporta la Bbc. La lettera – poche cartelle – sarà consegnata alle 13,30 a Tusk dall'ambasciatore del Regno Unito a Bruxelles. E farà scattare i due anni di negoziati previsti per il divorzio.

"E' il momento di essere uniti". Così la premier britannica, secondo le anticipazioni dei media del Regno Unito, si rivolgerà più tardi al Paese annunciando l'inizio della Brexit. Nel suo richiamo all'unità dopo le divisioni del referendum ricorda come "siamo una grande unione di persone e nazioni con una storia di cui andar fieri e un brillante futuro".

La May, sempre secondo le anticipazioni dei media, si impegna a "rappresentare ogni persona in tutto il Regno Unito, inclusi i cittadini Ue". Secondo la leader conservatrice, i milioni di residenti europei nel Regno "hanno fatto di questo Paese la loro casa".

"Alle 13,20 oggi, l'ambasciatore Tim Barrow mi consegnerà la lettera con la notifica dell'articolo 50", lo scrive il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk su Twitter, ricordando che poco più tardi, alle 13,45, farà una dichiarazione per la stampa.




Londra, Corte Suprema ha deciso: per avvio Brexit serve autorizzazione del Parlamento

 

LONDRA – La Corte Suprema di Londra ha disposto oggi in via definitiva che la notifica dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona per l'avvio dei negoziati con l'Ue per la Brexit dovrà essere autorizzato da un voto del Parlamento britannico. Il verdetto conferma quello di primo grado dell'Alta Corte e dà torto al governo May che aveva presentato ricorso invocando il diritto ad attivare l'articolo 50 d'autorità, nel rispetto della volontà popolare del referendum del 23 giugno.

L'indice Ftse 250 azzera il calo e si porta in rialzo al +0,2% dopo la decisione della Corte Suprema sulla Brexit. Lo Borse europee reagiscono tiepidamente alla decisione della Corte Suprema britannica. Milano viaggia al +1%, Parigi è poco mossa a +0,16%. A Londra il Ftse 100 è a +0,07%.

La Corte ha escluso qualunque potere di veto da parte delle assemblee di Scozia, Galles e Irlanda del Nord sulla Brexit, l'uscita della Gran Bretagna dall'Ue. Lo ha annunciato il presidente della Corte, affrontando il secondo punto del suo verdetto odierno e respingendo il tentativo di far valere in questo caso il potere della devolution.

Il governo britannico di Theresa May e' "deluso" dell'esito della controversia legale che impone un voto del Parlamento per l'attivazione dei negoziati sulla Brexit, ma lo rispetta e attuerà quanto richiesto dal verdetto. Lo ha detto l'attorney general Jeremy Wright, notando peraltro che questo verdetto non mette in discussione il referendum e annunciando per oggi la presentazione alle Camere di una legge ad hoc per l'avvio alle procedure di divorzio dall'Ue.




Brexit: il Parlamento britannico deve votare per avviare l'iter. Miller sfida May

di Paolino Canzoneri

LONDRA – A sorpresa arriva lo storico verdetto dell'Alta corte di Londra che contro ogni previsione ha accolto il ricorso di alcuni attivisti pro Unione Europea che richiedevano il voto del Parlamento di Westminster per avviare il processo Brexit. Il giudice ha umiliato il governo di Theresa May che rivendicava il pieno e assoluto diritto di riferirsi all'articolo 50 del Trattato di Lisbona anche ricorrendo alla Royal Prerogative. Una diatriba legale apertasi con una netto e perrentorio "Il Parlamento è sovrano" che non lascia dubbi sul fatto che i magistrati britannici stabiliscono che malgrado l'esito del referendum popolare sul divorzio dall'UE è il Parlamento che deve decidere ed è risaputo che il Parlamento è costituito da una fortissima maggioranza per il "remain" ma è pur vero che non sarà facile dissentire dalla volontà della popolazione che in forte maggioranza ha scelto di uscire dall'Unione. Eroina del giorno la donna d'affari Gina Miller che ha organizzato la campagna europeista e che fiera ha annunciato la vittoria del suo fronte proprio davanti l'entrata del Parlamento. Adesso dopo il ricorso annunciato dall'esecutivo la palla passerà alla Corte suprema che per i primi di dicembre ufficializzerà il verdetto e qualora il governo ne uscirà nuovamente sconfitto le operazioni di uscita subirebbero un certo ritardo rispetto la tabella di marcia prospettata da Theresa May. Questo rappresenterà una sorta di indebolimento del governo che sempre più dovrà fare i conti con il Parlamento che comunque evidenzia una sorta di spauracchio collettivo e una sempre più crescente impressione di fare da cavia, d'essere i primi a sperimentare sulla loro pelle quello che significa e quello che comporterà l'uscita dall'Unione Europea. Intanto la Scozia sostiene Gina Miller; il governo autonomo gudato dal premier Nicola Sturgeon si schiera con la Miller e la Scozia minaccia di indire a distanza di due anni un secondo referendum per la scissione dal Regno Unito e per la conseguente permanenza nell'Unione Europea. Sembra palese come l'Hard Brexit paventato felicemente dalla May stia sempre più diventando un "soft Exit" perchè la Gran Bretagna sembra sempre più vicina al mantenimento di almeno un piede in Europa.