Pensioni e previdenza: le verità taciute

In occasione della Relazione annuale dell’istituto di previdenza alla Camera , il presidente dell’Inps Tito Boeri è tornato ad avvertire il governo: “Senza immigrati non si pagano le pensioni”.

Cosa c’è che non convince nella dichiarazione di Boeri?

Nel 2015, secondo la Corte dei Conti, il patrimonio Inps era per la prima volta in rosso perché, sempre secondo questa Corte, le prestazioni furono 307 miliardi mentre le entrate contributive segnavano 215 miliardi. In quell’occasione Boeri aveva tranquillizzato tutti dicendo : “I conti sono garantiti dallo Stato, solo questioni contabili”.

A prescindere dal fatto che anche nel 2013 il patrimonio chiudeva in rosso e nessuno auspicava, giustamente, gli arrivi di barconi dei migranti, e quindi l’anomalia dell’Inps va ricercata altrove.

Boeri sa dove cercare “l’anomalia” ma preferisce fare spallucce e la trimurti Cgil/Uil/Cisl tace.

I contributi sociali sono un obbligo contributivo sul rapporto di lavoro, versati dal datore di lavoro all’ente di previdenza sociale (INPS) per far maturare il diritto del lavoratore alla pensione e alla tutela previdenziale.

In parole più semplici il lavoratore subordinato versa periodicamente all’ente una quota del suo stipendio/salario destinandola ad un’assicurazione di vecchiaia, ovviamente proporzionata ai contributi versati. E’ cura dell’ente, come tutte le assicuratrici, investire il capitale raccolto per garantire la sua giusta rivalutazione.

Da questo punto di vista si fatica a comprendere come una compagnia assicuratrice possa mai chiudere in rosso. Eppure la Corte dei Conti certifica di tanto in tanto questo fenomeno nei riguardi dell’Inps.

Perché succede questo?

Boeri lo sa che a carico dell’ente, sono state iscritte tutte le prestazioni previdenziali e tutto quello che è attinente alle prestazioni di natura assistenziale.

In forza di ciò l’assioma di Boeri viene capovolta e cioè, anziché “senza immigrati non si pagano le pensioni”, verrebbe da dire che “il pagamento delle pensioni può fare facilmente a meno degli immigrati”. Per correttezza bisogna qui chiarire che il maggior aggravio alla situazione INPS non deriva certo dalla presenza degli immigrati..

Altro è il fardello che porta l’ente, fardello che dovrebbe riguardare la fiscalità generale e non si comprende perché il lavoratore subordinato e solamente il lavoratore subordinato dovrebbe sopportare un pesantissimo carico delle prestazioni previdenziali e tutto quello che è attinente alle prestazioni di natura assistenziale.

Alle prestazioni pensionistiche sono state affiancate prestazioni assistenziali finanziate con i contributi dei lavoratori come il Rei, Reddito di Inclusione attivo dal 1 gennaio 2018. Quest’ultimo consiste in una misura di contrasto alla povertà composta, dà un supporto di tipo economico, pari a 308 euro mensili, e che risulta variabile a livello territoriale, con un intervallo tra i 242 euro della Valle d’Aosta ai 338 euro della Campania.

Secondo una pubblicazione dell’Osservatorio sul Reddito di Inclusione, nel primo semestre 2018 sono stati erogati benefici economici a 267 mila nuclei familiari raggiungendo 841 mila persone. Dal 1 gennaio 2018 il Rei ha sostituito un’altra misura di contrasto alla povertà, il SIA – Sostegno per l’Inclusione Attiva, raggiungendo così circa 311 mila nuclei.

Se si moltiplica il numero medio dei nuclei per la media del beneficio erogato si avrà una media mensile di
euro : 311.ooo x 308 = euro 95.788.000 che moltiplicata per 12 mesi si avrà la media annua di euro 1.149.456.000.

Se a questo miliardo e passa, si dovessero aggiungere poi i versamenti per gli assegni sociali, ovverosia le prestazioni assistenziali che dal 1996 sostituiscono, le pensioni sociali e che per il 2017 furono liquidati n.78.470 assegni, aggiungendo ancora il controvalore di tutti gli assegni per il nucleo famigliare dei comuni, quello per la cassa integrazione guadagni ordinaria, quello per l’indennità di accompagnamento, quello per le varie forme di indennità di disoccupazione, quello per la mobilità ovvero l’intervento a favore di particolari categorie di lavoratori dipendenti, licenziati da aziende in difficoltà, indennità che garantisce una prestazione di sostegno al reddito sostitutivo della retribuzione. Se si dovesse aggiungere tutto questo ed altro al calderone INPS, si avrà un quadro più che chiaro del carico che la contribuzione del lavoratore subordinato è costretta a sopportare indebitamente.
Che sia domani con l’introduzione del nuovo “reddito di cittadinanza”? Cercheranno la copertura e c’è da scommettere che la troveranno addossando anche questo a carico della contribuzione del lavoratore.

Con questo passo, come potrà mai tornare attivo il patrimonio dell’Inps!

Che Boeri lo sa e tace ormai ci si è fatta una ragione. Tanto per lui va tutto bene : “I conti sono garantiti dallo Stato, solo questioni contabili”.

Il fatto però che le associazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil non si fanno promotori per una separazione netta delle due gestioni, quella pensionistica e quella previdenziale, fa molto preoccupare perché questa volta non si tratta di “questioni contabili” bensì di cose serie da cui dipende il futuro di tanti pensionati.

Emanuel Galea




Lavoro e pensioni, Di Maio: “Da oggi lo Stato siamo noi”

Rivedere il Jobs Act e superare la legge Fornero. E’ l’impegno preso dal neo ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio dal palco della manifestazione M5S del 2 giugno. “Nulla sarà semplice”, premette, ma ora “abbiamo il potere di cambiare le cose”. “Dobbiamo metterci a lavoro – sottolinea – per creare lavoro e dare una pensione a chi ha lavorato una vita”.
Parlando di lavoro, il neo ministro dice: “Deve esistere un salario minimo orario”. E ancora: “Il lavoro non può essere un lavoro iperprecario , il Jobs Act va rivisto. Dobbiamo dare la possibilità alle persone di crearsi un futuro”.

Riguardo alle pensioni, Di Maio sottolinea: “Dare una pensione a chi ha lavorato una vita significa superare la legge Fornero. Mi ci metterò a lavoro con tutte le mie forze – promette – con quota 100”. Poi l’omaggio a Sergio Bramini, “un imprenditore che in questi anni vantava un credito con lo Stato, che non lo ha pagato. Questo ha causato il fallimento della sua azienda. Lo Stato gli ha pignorato anche la casa”. Alla folla che fischia mentre lui racconta la storia dell’imprenditore, il neo ministro dice: “Non c’è bisogno di fischiare, da oggi lo Stato siamo noi”. “Sergio – annuncia poi Di Maio – verrà a lavorare con me per elaborare una legge per aiutare tutti gli imprenditori di questo Paese”.

“Senza Grillo – sottolinea Di Maio – non saremmo mai arrivati fino a qui… Ieri c’è stato dato un potere nelle mani, quello di cambiare le cose. Il potere di utilizzare il potere per i cittadini e non per se stessi. Non sarà semplice. Non saremo quelli che si autocertificheranno i risultati. Non dovremo perdere il contatto con le persone, voi – conclude Di Maio – ci dovrete dire se avremo migliorato la qualità della vostra vita”.




Le pensioni, l’Inps e le galline di Auschwitz

Si dice che gallina vecchia faccia buon brodo. In effetti, a tutti capita, almeno una volta all’anno, di trovare sui banchi del macellaio, o del supermercato, la ‘gallina’, piuttosto che il solito pollo a busto o parti di esso. Alle galline ovaiole si tira il collo quando non sono più in grado di produrre, e questo ricorda tanto Auschwitz, un lager in cui la vita umana non aveva alcun valore.

Si lasciavano morire gli internati, senza alcun intervento, – era uno dei tanti campi di sterminio, forse il più noto – e soltanto i più robusti sono sopravvissuti. Ora, non sappiamo a quale categoria associare i nostri pensionati. Certamente, come la galline ovaiole, quando non sono più in grado di produrre, gli viene ‘tirato il collo’, sono messi in rottamazione: quella effettiva, non come quella dell’Equitalia – ennesima truffa, soltanto una maggior dilazione che consente allo Stato di recuperare somme per lo più inesigibili.

 

I pensionati, per definizione, cambiano status sociale, escono dal contesto umano corrente, per entrare in una categoria ad esaurimento. Prima di questo, ognuno di loro era un individuo, e aveva una ben precisa denominazione: operaio metalmeccanico, rappresentante, muratore, scalpellino, commerciante e così via. Non tocchiamo le categorie dei professionisti, i quali, pur essendo ‘pensionati’ a tutti gli effetti, continuano a lavorare: anche se pensionati, sono privilegiati sotto il profilo economico, perché pur attendendo la pensione, che verrà loro erogata a compimento del’età prevista, hanno di che andare avanti, continuando l’attività abituale.

 

Lasciamo da parte i politici, che furbescamente si sono sfilati da tutte le categorie. Ora, calcolando l’erogazione della pensione secondo l’età media degli Italiani, si commette un grande errore, in malafede. Si calcola, infatti, che una parte dei pensionandi lascerà questo mondo di lacrime anzitempo, procurando ell’Ente preposto, l’INPS, un vantaggio. Che magari andrà a coprire lo sforamento del contadino sardo che vive fino a più di cent’anni. Ma chi muore anzitempo subisce un’ingiustizia, e con lui i beneficiari della reversibilità.

 

Le pensioni, e questo il governo dovrebbe metterselo bene in testa, per prima cosa non sono un reddito, ma il frutto di un accantonamento calcolato negli anni di lavoro, e quindi non andrebbero tassate, almeno al di sotto di una cifra di sopravvivenza, che oggi possiamo calcolare in 1000/1200 euro. È ridicolo e vessatorio dare al 60% dei pensionati italiani meno di mille euro al mese, per poi applicarvi l’IRPEF, senza tener conto del fatto che denaro in più andrebbe ad alimentare i consumi. Mentre poi, demagogicamente, si pretende, con fallimenti come il Jobs Act, o con l’elemosina di 80 euro, di far ripartire l’economia e l’occupazione.

 

L’altra considerazione è l’affidabilità delle statistiche: non c’è maggiore ingiustizia di un dato statistico, per cui ognuno di noi in Italia ha un reddito attorno ai 3000 euro al mese, o se uno mangia un pollo intero, ne hanno mangiato mezzo per uno, lui e chi digiuna. Questo è palesemente falso. Che poi, sempre secondo i dati ISTAT – da prendere con le pinze – il popolo italico abbia tesaurizzato-risparmiato-accantonato cifre importanti negli ultimi anni, più che falso è criminale.

 

Oggi del 60% dei pensionati nessuno, o quasi riesce ad arrivare a fine mese, oltre al fatto che parecchi di loro devono ancora aiutare i figli disoccupati. Consideriamo anche che l’esercito dei poveri assoluti – italiani – ingrossa sempre di più le sue file. E che ci sono pensionati minimi che fanno parte a tutti gli effetti della schiera degli ‘Homeless’, i senza casa, non riuscendo a far nulla, neanche ad aver un tetto sulla testa o un pasto caldo, se non alla Caritas. Questo è inumano, indegno di uno stato civile e che si professa democratico. Allora, seguendo i numeri e elucubrazioni di alcuni ministri, oggi bisogna andare in pensione sempre più tardi, seguendo l’ipotetico aumento della vita media, e guardando solo i numeri. Oppure bisogna calcolare che alcuni lavori sono più usuranti di altri, e quindi la gallina smette prima di fare le uova.

 

Fuor di metafora, è inumano calcolare la capacità lavorativa o l’aspettativa di vita con il pallottoliere. Dovremmo, o meglio si dovrebbe, da parte dei preposti alla nostra vita terrena, considerare il popolo italiano come una grande famiglia, con un reddito e una contabilità. La partita doppia si insegna alle commerciali, non c’è bisogno di una laurea: persino il salumiere illetterato ne ha una, altrimenti chiuderebbe dopo una settimana, con tutto il rispetto per i salumieri, che oggi, a fronte dei grandi spazi commerciali, hanno grosse difficoltà. Quindi da una parte le entrate, e dall’altra le uscite. Se in famiglia il reddito è insufficiente, si va a vedere di correggere il tiro. E se nel complesso, invece, sarebbe sufficiente, si va a vedere dove sono le sperequazioni. Se il denaro dell’INPS non è sufficiente, non si va – non si deve andare – a tagliare le pensioni, o ad aumentare l’età in cui esse verranno erogate: sarebbe comportarsi come i tedeschi ad Auschwitz, lasciare la natura fare il suo corso, e far sopravvivere soltanto i più forti.

 

Tanti si sono suicidati, con moglie e figli, perché senza più prospettive; oppure coppie di anziani che non ce la facevano più ad andare avanti. Galline ovaiole che non producono più, ma che non si vogliono tenere in vita perché troppo onerose. Non si può giocare con la vita degli esseri umani guardando soltanto i numeri. Questo sì, è inumano. Se il denaro dell’INPS – e bisogna guardare fino in fondo – non è sufficiente per restituire ai lavoratori di qualsiasi genere i loro legittimi e sacrosanti accantonamenti, che esso hanno effettuato obbligatoriamente per trenta o quarant’anni, bisogna mettere da parte la statistiche, e piuttosto si deve – ed è un dovere cristiano, più che sociale ed istituzionale – andare a tagliare gli sprechi, le plusvalenze, le sperequazioni, le spese non conformi, tutto ciò che non riguarda la previdenza, prima di tutto, e trasferirlo ad altro bilancio: esempio, la Cassa Integrazione. Viene da pensare che se i versamenti INPS fossero fatti a vantaggio di una pensione privata, dopo quarant’anni darebbero ben altra cifra. Poi bisogna guardare molto attentamente quali sono i tetti di spesa: se in famiglia il denaro è poco, si devono tagliare alcuni consumi. Le pensioni d’oro sono ingiuste, anche se giustificate dai versamenti, e non si capisce perché i sacrifici al limite della fame li debbano fare i pensionati da meno di mille euro al mese e non chi ne prende quindici o venti volte di più.

 

Un altro fattore da tener presente è la cifra complessiva versata: ci sono alcune pensioni che vengono erogate nonostante i beneficiari abbiano versato circa il 30% del dovuto. Oltre ai vantaggi dei politici, dei quali non mette conto di parlare. Per concludere: non possiamo continuare a sacrificare quella categoria che è considerata ad esaurimento, gli ‘anziani’, i ‘pensionati’, e quando i servizi del Tiggì ce ne parlano ci mostrano sempre dei vecchietti al sole sulle panchine, che aspettano solo l’estrema unzione, oppure che giocano a scopa nel bar. Non è così. Questa visione di una falsa realtà, in pectore giustifica tutte le riduzioni e i tagli che al governo verrà in mente di fare, al fine di preservare i privilegi della Casta e di coloro che della Casta ricevono la luce e i riflessi: che diamo a fare soldi a persone improduttive, magari in preda all’Alzheimer o a demenza senile, che non hanno altra prospettiva che quella di calare un asso di bastoni o un sette di denari? Se avessimo persone di coscienza a gestire queste situazioni, le cose andrebbero ben diversamente.

 

In Ungheria l’economia è ripartita soltanto diminuendo la pressione fiscale e aumentando le pensioni. Ma finchè in Italia continueremo ad aumentare le tasse, anche quelle occulte, per poterci poi vantare, come fanno Padoan, Renzi e tutto il Piddì, di avere abbassato l’imposizione fiscale – altra menzogna quella del milione di posti di lavoro, che nessuno ha visto, se non l’ISTAT – guardando solo quello che si incasserebbe di meno, e non l’effetto che ne avrebbe l’economia, la gente continuerà a pagare meno tasse, a evadere di più e a non versare i contributi previdenziali; come, ad esempio, fanno i cari migranti che per rimanere in Italia aprono un’impresa: altro che pagarci le pensioni! Oltre a quelli che la pensione la ricevono, pur essendo ritornati in Nordafrica da decenni. Il denaro dato in più ai pensionati sarebbe speso in consumi, e questo sarebbe un grande vantaggio per l’economia di tutto il paese. Quanto all’evasione fiscale, sarebbe molto facile eliminarla quasi del tutto, o almeno delle sacche ben precise, se si rendessero detraibili tutte le spese di un certo genere, ma immediatamente e totalmente, e non a pezzi e bocconi, in percentuale, e solo oltre una certa cifra.

 

Se le spese fossero detraibili, a tutti farebbe comodo avere le fatture di ogni spesa: le tasse le pagherebbero i beneficiari di quelle somme, e lo Stato recupererebbe grandi quantità di evasione. Questa è una soluzione molto semplice, l’uovo di Colombo, sistema americano, più volte prospettata ma mai attuata, non si sa se per miopia o per quella mania di voler sempre guardare a ciò che si perderebbe e non a ciò che si metterebbe in moto, caratteristica peculiare dei nostri burocrati che puzzano di polvere. Ma finchè si dovranno pagare le tasse anche su ciò che si spende, e l’IVA sarà una spesa inutile e improduttiva, nessuno si farà fatturare i lavori o quel che sia, chiedendo, anzi, in una mutua complicità antistato, uno sconto, perché ‘in nero’, e in contanti.

 

Allora, basta con le galline a cui tirare il collo, basta con i lager virtuali in cui i pensionati sono costretti a vivere dopo una vita di lavoro e di sacrifici. Basta con le pensioni d’oro, a cui va messo un tetto: certamente 5.000 euro al mese sono più che sufficienti a vivere molto bene, senza rinunciare anche alle proprie costose abitudini: non certo i 350 euro di cui Poletti assicura che possono garantire una vita dignitosa. Chi lavora tutta la vita, e versa all’INPS una parte considerevole del proprio guadagno, si aspetterebbe di poter fare, in vecchiaia, almeno in parte, ciò che non ha potuto fare durante il periodo attivo. Non si aspetta certo di essere messo in una Auschwitz virtuale, ma sostanziale, in attesa che qualcuno gli tiri il collo perché non fa più le uova.

 

Roberto Ragone




Pensioni: ai giovani assegno minimo 650-680 euro


Redazione

 

I giovani che sono interamente nel sistema contributivo e hanno avuto carriere discontinue, in futuro, potrebbero andare in pensione prima dei 70 anni e con 20 anni di contributi avendo maturato un trattamento pari a 1,2 volte l'assegno sociale (448 euro), invece dell'attuale 1,5. E' l'indicazione arrivata dal governo al tavolo con i sindacati. In sostanza, la soglia verrebbe ridotta da 1,5 a 1,2 e quei giovani uscirebbero con un assegno minimo di circa 650-680 euro, perché verrebbe aumentata anche la cumulabilità tra assegno sociale e pensione contributiva.

Abbiamo registrato una disponibilità del governo ad affrontare i temi legati alla prospettiva previdenziale per i giovani e alla previdenza complementare", sottolinea al termine dell'incontro il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. In particolare è stato evidenziato come "la base di una pensione adeguata non possa essere 1,5 volte l'assegno sociale ma che appunto la soglia vada rivista al ribasso", soprattutto per chi ha una carriera discontinua o carente a livello delle retribuzioni.

Il segretario confederale della Cisl, Maurizio Petriccioli, sottoliena però la necessità di "rimuovere anche il vincolo che lega la possibilità di pensionamento nel contributivo a 63 anni e 7 mesi al raggiungimento di una soglia di importo minimo della pensione pari a 2,8 volte il valore del l'assegno sociale ed eliminare l'aggancio dei requisiti pensionistici all'aspettativa di vita, perché nel sistema contributivo i lavoratori vengono doppiamente penalizzati dato che l'aspettativa di vita incide sia sull'aumento dei requisiti pensionistici, sia sul calcolo della pensione attraverso la riduzione periodica dei coefficienti di trasformazione".




Svolta Pensioni, accordo sull'Ape agevolata. La Cgil: troppi 30 anni di contributi versati

di Paolino Canzoneri

Il Segretario confederale dell'Unione Italiana del Lavoro UIL Domenico Proietti dopo l'incontro con il governo di ieri rende noto importanti novità riguardo l'anticipo pensionistico, l'APE, a cui potranno accedere  disoccupati e disabili nonchè l'APE detta social che coinvolge determinate categorie di lavoratori impegnati in attività faticose e usuranti come operai edili, maestre, alcune tipologie di infermieri, autisti di mezzi pesanti e macchinisti; tutti con un reddito inferiore ai 1.350 euro lordi. Tale provvedimento sarà in vigore dal primo maggio del 2017 e potrà riguardere quella fascia di lavoratori attivi che hanno accumulato almeno 35 anni di contributi versati e anche i disoccupati con 30 anni di contributi. Al vaglio la possibilità da parte del sindacato dei cittadini UIL di poter aumentare le categorie interessate all'anticipo pensionistico e abbassare ulteriormente i livelli nonostante la Confederazione Generale Italiana del Lavoro CGIL abbia fatto presente con un tweet che 30 anni di contributi sono troppi: "Il governo Renzi si rimangia la parola: 30 anni di contributi invece di 20 per Ape social. Gli antibiotici a Matteo Renzi non fanno effetto". Nel caso di APE volontaria la rata di restituzione del prestito in caso di anticipo pensionistico sarà di 4,5 – 4,6% per ogni anni di anticipo sulla pensione. Proietti stesso ha reso noto che il governo si impegnerà a stanziare delle risorse a copertura di quel 4,5% mancante per coprire il costo degli interessi dell'assicurazione e per coprire parte del capitale del prestito pensionistico da dover restituire in 20 anni da parte del lavoratore entrato in pensione. Il segretario confederale Proietti ha spiegato inoltre che i lavoratori precoci potranno andare in pensione con 41 anni di contributi avendo però versato 12 mesi di contributi prima dei 19 anni o se facenti parte delle categorie relative ai lavori faticosi: "E' importante che sia passato il principio che con 41 anni di contributi si possa andare in pensione". In pratica i lavoratori precoci possono andare quindi in pensione con 41 anni di contributi, prima di aver raggiunto i 63 anni di età, limite previsto per l'accesso all'Ape agevolata. Il governo ha anche confermato l'intenzione di togliere la penalizzazione che sarebbe dovuta tornare nel 2019 per chi va in pensione prima dei 62 anni." Per queste categorie il costo dell’anticipo pensionistico, attraverso un reddito ponte, sarà a carico dello Stato. Le risorse stanziate per il pacchetto pensioni ammonteranno a circa 1,6 miliardi per il 2017 e in totale circa sei miliardi in tre anni




PENSIONI: IL GOVERNO STUDIA NUOVE MISURE

Redazione
 
Roma – Il Governo sta studiando alcune misure che potrebbero essere applicate già quest’anno e che potrebbero agevolare le famiglie italiane. Tali agevolazioni non riguarderebbero soltanto l’Irpef e non sarebbe necessario aspettare il taglio dell’imposta dei redditi che è stato annunciato per il 2018. Palazzo Chigi e Tesoro starebbero lavorando su due fronti molto importanti: da una parte sulla contrattazione aziendale e dall’altra parte sulla riduzione del carico fiscale sulla previdenza complementare. Il Governo voleva far confluire le novità, all’interno del pacchetto atteso per maggio e denominato Finanza per la crescita ma il tutto potrebbe slittare poiché vi è la necessità di trovare risorse per la copertura di alcuni interventi. Da definire nei dettagli invece è la rimodulazione della tassazione sui fondi pensione. L’aliquota è al 20% con la manovra 2015 per i fondi, dall’11,5% precedenti e al 26% per le Casse di previdenza. Vi è comunque un calo delle percentuali all’11% e al 20%. Il lavoro che si sta facendo ha come obiettivo la riduzione del costo del lavoro, con taglio degli oneri contributivi, che devono essere comunque compatibili con prestazioni previdenziali adeguate. Dalla prossima settimana l’Inps invierà circa 8 milioni di buste arancioni con i calcoli degli assegni ai pensionati che verranno. Un altro importante tassello riguarda gli intervento pro-famiglie. Il ministro della salute, Beatrice Lorenzin, ha detto pochi giorni da che “Se non avremo figli possiamo inventarci tutti i modelli che vogliamo ma non ci sarà neppure chi potrà fare la produzione per vendere i prodotti”. Enrico Costa, ministro degli Affari Regionali, ha parlato di misure per agevolare il secondo figlio”. Un paese che tende a cambiare, dove il tasso di natalità è di 1,35 bambini per mamma. L’idea è quella di convogliare le norme a favore della famiglia in un testo unico e da approvare entro l’anno. 



INPS: 6 PENSIONI SU 10 SONO SOTTO I 750 EURO

I dati forniti dall’inps non sono certo rassicuranti perché ci dicono che almeno 6 pensioni su 10 sono sotto i 750 euro. Ma andiamo per gradi. Alla data del 1 gennaio 2016, secondo i dati dell’Inps, le pensioni vigenti sono 18.136.850 di cui 14.299.048 di natura previdenziale, cioè prestazioni che hanno avuto origine dal versamento di contributi previdenziali (vecchiaia, invalidità e superstiti), durante l’attività lavorativa del pensionato; le rimanenti, costituite dalle prestazioni erogate dalla gestione degli invalidi civili (comprensive delle indennità di accompagno) e da quella delle pensioni e assegni sociali, sono di natura assistenziale, cioè prestazioni erogate per sostenere una situazione di invalidità congiunta o meno a situazione di reddito basso. L’importo complessivo annuo risulta pari a 196,8 miliardi, di cui 176,7 miliardi sostenuti dalle gestioni previdenziali. Oltre la metà delle pensioni è in carico alle gestioni dei dipendenti privati delle quali quella di maggior rilievo (95,7%) è il Fondo pensioni lavoratori dipendenti che gestisce il 49,2% del complesso delle pensioni erogate e il 61,8% degli importi in pagamento. Le prestazioni di tipo previdenziale sono costituite per il 66,1% da pensioni della categoria vecchiaia di cui poco più della metà (55,4%) erogate a soggetti di sesso maschile, per il 7,4% da pensioni della categoria invalidità previdenziale di cui il 48,8% erogato a maschi e per il 26,5% da pensioni della categoria superstiti che presentano un tasso di mascolinità pari all’11,9%. Al crescere dell’età media al pensionamento si incrementa la percentuale delle pensioni nuove liquidate ai superstiti e di invalidità e diminuisce la porzione relativa alle pensioni di vecchiaia.

La percentuale di prestazioni assistenziali sul totale, ha una linea di tendenza crescente e la loro età media alla decorrenza, crescente fino al 2007 (70,1 anni), risulta in diminuzione dal 2008 attestandosi nel 2014 a 68,1 anni. Nel 2015, l’età media delle prestazioni assistenziali aumenta a 68,4 anni con inversione di tendenza; l’età media delle pensioni previdenziali presenta invece inversione di tendenza opposta diminuendo da 66,2 anni nel 2014 a 65,7 nel 2015. L’Italia settentrionale usufruisce del maggior numero di prestazioni pensionistiche in pagamento al 1 gennaio 2016; infatti il 48,1% delle pensioni viene percepito da soggetti residenti in questa zona, il 19,2% viene erogato al centro, mentre il 30,5% in Italia meridionale e isole; il restante 2,3% (416.369 pensioni) viene erogato a soggetti residenti all’estero. L’età media dei pensionati è 73,6 anni con una differenza tra i due generi di 4,5 anni (71 anni per gli uomini e 75,5 anni per le donne). Riguardo le pensioni della categoria Vecchiaia, si osserva che il 23% delle pensioni è erogato a persone di età compresa fra 65 e 69 anni; tale percentuale si alza fino al 24,1% per i pensionati di vecchiaia di sesso maschile. Ciò è giustificato dall’elevato numero di pensioni di anzianità liquidate negli anni passati. Il 49,9% dei titolari di sesso maschile delle pensioni di invalidità previdenziale hanno età compresa fra 50 e 69 anni, mentre le pensionate titolari della stessa categoria di pensione hanno per il 59,6% età superiore o uguale a 80 anni.

Il 63,4% delle pensioni ha un importo inferiore a 750 euro. Questa percentuale, che per le donne raggiunge il 77,1%, costituisce solo una misura indicativa della «povertà», per il fatto che molte pensionati sono titolari di più prestazioni pensionistiche o comunque di altri redditi. Delle 11.502.471 pensioni con importo inferiore a 750 euro, solo il 45,4% (5.216.940) beneficia di prestazioni legate a requisiti reddituali bassi, quali integrazione al minimo, maggiorazioni sociali, pensioni e assegni sociali e pensioni di invalidità civile. In questo caso il divario tra i due generi è accentuato; infatti per gli uomini la percentuale di prestazioni con importo inferiore a 750 euro scende al 45% e se si analizza la situazione della categoria vecchiaia si osserva che questa percentuale scende al 24%, e di queste solo il 24,2% è costituito da pensioni in possesso dei requisiti a sostegno del reddito. Sempre per i maschi, si osserva che oltre un terzo delle pensioni di vecchiaia è di importo compreso fra 1.500 e 3.000 euro




PENSIONI: BUSTE ARANCIONI PER 7 MILIONI DI ITALIANI

A.B.
 
Roma – Tito Boeri, Presidente Inps, nel corso della presentazione dell’iniziativa “Cittadino Digitale”, ha parlato delle novità che riguardano le pensioni e gli italiani. Ha parlato delle buste arancioni che arriveranno a casa degli italiani e che conterranno una lettera con la previsione della futura pensione. Il progetto ha lo scopo di aiutare e raggiungere chi non usa i sistemi digitali e mira ad invitare queste persone a munirsene attraverso il pin unico per accedere ai servizi on line. Ecco le parole di Boeri: “Finalmente le buste arancioni arriveranno a casa degli italiani", "verranno inviate a 7 milioni di lavoratori nel 2016"  e permetterà di  "raggiungere chi non è digitalizzato invitando queste stesse persone a munirsi di spid", ha aggiunto inoltre che tale intervento “andrebbe fatto adesso, se si facesse con la legge di Stabilità per il 2017, andrebbe certamente bene” e ha precisato che “non andrebbe bene intervenire tra tre anni”.



PENSIONI: 22 MESI DI LAVORO IN PIÙ PER LE DONNE

E. F.

 

Roma – L’argomento pensioni è un tasto dolente nel nostro paese, poiché ogni anno ci sono cambiamenti sull’età pensionabile e gli italiani che vorrebbero godersi il “meritato riposo”, non possono fare altro che posticipare. Nel 2016 ci saranno delle novità in merito alla questione pensioni, soprattutto per le donne. Precisamente per le donne dipendenti nel settore privato, l’età di uscita passa da 63 anni e 9 mesi del 2015 a 65 anni e 7 mesi , le autonome invece potranno accedere alla pensione soltanto dopo aver compiuto 66 anni e un mese. Inoltre la legge di stabilità prevede che le donne che compiono 57 anni e 3 mesi entro il 2015 e hanno accumulato 35 anni di contributi, possono accedere alla pensione. Per le autonome invece devono avere 58 anni. Le donne nate nel 1953 dovranno affrontare degli ostacoli enormi quando (e se) prenderanno la pensione, poiché la prenderanno le 2020, ma nel 2018 –quando avranno raggiunto la soglia dei 65 anni- scatterà un ulteriore aumento e nel 2019 ce ne sarà un altro. Per tutte le donne nate nel 1952 invece è prevista la possibilità di accedere alla pensione con 20 anni di contributi. Dal 2016 ci sarà un aumento di 4 mesi dell’età pensionabile e gli uomini potranno andare in pensione a 66 anni e 7 mesi, fino al 2015 invece a 66 anni e 3 mesi. Per poter accedere alla pensione anticipata sono necessari 42 anni e 10 mesi di contributi. Le donne potranno accedere anticipatamente alla pensione con 41 anni e 10 mesi di contributi. Il nuovo adeguamento sulla speranza di vita verrà deciso per il 2019. Nel 2018 le donne avranno un nuovo scalino per l'età di vecchiaia e potranno andare in pensione alla stessa età degli uomini, cioè a 66 anni e 7 mesi. Scatteranno anche i nuovi coefficienti di trasformazione del montante contributivo. Per gli uomini la riduzione del coefficiente per la quota contributiva è dello 0,99% e per le donne del settore privato la quota aumenta del 4,09%.

 




PENSIONI: 4 SU 10 SONO INFERIORI A MILLE EURO

Redazione

Sono sei milioni e mezzo i pensionati, con un assegno sotto i mille euro al mese e 240mila a poter contare con una pensione “dorata”, sopra i 5mila euro: ecco le due facce di una stessa medaglia rivelate dai dati Istat del 2014. Le pensioni italiane pesano per il 17,7% del Pil. I pensionati che in Italia possono contare su oltre 5.000 euro al mese sono quasi 240.000, appena l'1,4% del totale. Altri 767.000 pensionati (il 4,7% dei 16,25 milioni di pensionati) può contare su redditi da pensione tra 3.000 e 5.000 euro al mese.


Aumenta invece il numero dei pensionati poveri: il reddito medio di chi ha iniziato a ricevere la pensione nel 2014 (13.965 euro) è inferiore a quello dei cessati (15.356) e a quello dei sopravviventi (17.146), coloro che anche nel 2013 percepivano almeno una pensione. Quindi tra le ”new entry” e i già presenti la differenza è di oltre 3 mila euro annui.


Tra il 2011 e il 2014 i pensionati in Italia sono diminuiti di oltre 400.000 unità, tra 16.668.000 del 2011 a 16.259.000 del 2014. Il dato con tutta probabilità risente della stretta sui pensionamenti decisa con la riforma Fornero della previdenza.


Quasi la metà delle pensionate non arriva a mille euro mensili. Nel 2014 il reddito da pensione si ferma prima per il 49,2% delle donne. Le donne con meno di mille euro al mese sono oltre 4,2 milioni. Tra queste possono contare su meno di 500 euro 1.169.000 persone.


Nel 2014 la spesa complessiva per prestazioni pensionistiche ha superato i 277 miliardi di euro con un aumento dell'1,6% sul 2013. L'incidenza sul Pil è cresciuta di 0,2 punti dal 16,97% al 17,7%. Lo rileva l'Istat spiegando che sono state erogate 23,2 milioni di prestazioni.




PENSIONI, ECCO LA PROPOSTA DELL'INPS: TAGLI AI VITALIZI E REDDITO MINIMO PER GLI OVER 55

di Matteo La Stella

Dal reddito minimo per gli over 55 all'uscita dal mondo del lavoro a partire dai 63 anni, il tutto, finanziato tramite tagli considerevoli alle pensioni d'oro e ai vitalizi, da ricalcolare secondo la norma.

“Abbattere del 50% la povertà” tra gli italiani ultra 55enni che ancora non hanno maturato le condizioni per incassare la pensione: questa la dottrina dell'INPS nell'era della trasparenza, scesa in campo al fianco dei più deboli con la pubblicazione del pacchetto di normative “Non per cassa ma per equità”, già consegnato al Governo nel giugno scorso.

Una sorta di salto dell'ostacolo da parte di Tito Boeri, numero uno dell'Istituto e cofondatore della pagina web “lavoce.info”, che dopo aver sondato il disinteresse da parte del Governo, intento – come lui stesso ha sottolineato- ad adottare tramite legge di Stabilità solo “interventi selettivi e parziali” in questo campo, ha optato nella giornata di mercoledì per la pubblicazione in rete della proposta.

La risposta del Governo. La pubblicazione ha mosso in serata la risposta da parte del Governo che ha escluso categoricamente il conflitto con l'INPS. “Nessuno scontro” tra Palazzo Chigi e l'Istituto, la diffusione del documento era concordata. Questa la controffensiva del Governo che successivamente ha passato la parola al ministero del Lavoro, per cui il pacchetto è:“Un contributo utile al dibattito”, salvo sottolineare che le misure: “Mettono le mani nel portafoglio a milioni di pensionati, con costi sociali non indifferenti e non equi”. Mentre, per sciogliere il nodo e: “Non far pagare questi costi ai pensionati servono risorse che, al momento, non ci sono. Si vedrà presto come intervenire in modo organico sul tema, ma senza effetti collaterali”. In fine è intervenuto anche il dicastero dell'interno che tramite Angelino Alfano ha fatto sapere:”Bisogna distinguere la demagogia dalle cose concrete quindi ci sarà da studiare e vedere se l'intero sistema proposto regge”. Una soluzione che, al momento, sembra non incontrare l'appoggio del premier Renzi, convinto che in questo momento l'importante sia regalare solo iniezioni di fiducia al paese, senza approntare tagli alle pensioni che superano i 2mila euro. Un ordine d'arresto, dunque, proveniente non solo dal ministro Poletti, che, anzi, ha suscitato malumore diffuso nella maggioranza dopo la pubblicazione.

16 tabella. Il pacchetto proposto dall'INPS è costituto di 16 norme, utili ad offrire secondo il primo punto ( tabella dal primo all'ottavo, ndr):”una rete di protezione sociale almeno dai 55 anni in su- proprio nella fascia d'età in cui- la povertà è aumentata proporzionalmente di più rispetto alle altre classi di età durante la Grande Recessione e la crisi del debito nell'area euro”.

Tagli alle super-pensioni. Per tamponare i costi della manovra, secondo Boeri, sarebbe sufficiente andare ad attingere dalle 230mila famiglie ad alto reddito, dalle 25mila pensioni d'oro, assegnate tramite gestioni speciali e non giustificate dai contributi versati negli anni e dai circa 4mila percettori di vitalizi per “cariche elettive”. Nel mirino dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, però, sarebbero anche altre classi di super-pensionati, privilegiati rispetto al resto della popolazione perche sottoposti a regole più dolci rispetto al resto degli italiani. Dai piloti di aerei ai ferrovieri, passando per i dipendenti del settore elettrico e quelli delle forze armate fino ai componenti delle Autorità indipendenti e ai dirigenti sindacali.

Via le integrazioni al minimo per i pensionati fuori Ue.
Il documento “Non per cassa ma per equità” contiene, tra le altre misure, l'eliminazione delle pensioni al minimo con maggiorazione degli assegni versati per i pensionati che risiedono fuori dall'area Ue. Infatti, i pensionati emigrati, come spiegato tempo fa da Tito Boeri, avrebbero già diritto all'assistenza nel di base nel paese ospitante.

Reddito minimo per gli over 55. L'articolo uno del testo targato INPS prevede l'inserimento di un reddito minimo garantito per le famiglie con almeno un componente ultra 55enne. L'assegno previsto sarebbe di 500 euro a regime ( 400 euro nel 2016 e nel 2017). In pratica, un nucleo familiare formato da 2 persone con reddito complessivo pari a 500 euro e di cui una over 55, avrebbe diritto ad un “bonus” da 250 euro mensili.

Pensione flessibile dai 63 anni: l'assegno si abbassa. L'uscita flessibile dal lavoro, secondo L'INPS, prevederebbe una diminuzione dell'assegno di previdenza ai “pensionati precoci”. “Il principio è che chi va in pensione prima non può avere diritto ad una pensione piena per quanto riguarda la quota retributiva dovendo spalmare questi diritti su molti più mesi di chi va in pensione più tardi”. Dunque:”Ogni anno in meno di lavoro rispetto alla età normale di pensionamento comporta una riduzione di questi pagamenti mensili”. Un'ipotesi, dunque, che prende in considerazione uscite anticipate ai 63 anni e 7 mesi, con un taglio dell'assegno da applicare alla sola quota retributiva che andrebbe poi a scomparire.
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