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Editoriali

Visco e Boldrini, inadempienze: istituzioni latitanti e partiti allo sbando

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Che sia più inadempiente il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco oppure la presidente (presidenta?) Laura Boldrini non è dato a noi deciderlo. Per stabilire le responsabilità del governatore se ne occuperà un’apposita commissione parlamentare. Sul suo rinnovo si è scatenato uno scontro politico, ma Visco è deciso ad affrontare la commissione e ha già presentato le carte del caso. Comprovare l’inadempienza della presidente (presidenta?) Laura Boldrini resta invece un compito meno macchinoso, senza scomodare costituzionalisti, giuristi e politologi. Qualcuno nel transatlantico mormora : “La Boldrini ha colpito ancora”, riferendosi, senza meno al voto di fiducia che ha concesso in occasione del Rosatellum. Le giustificazioni date allora dalla signora, sostenendo che nel passato già ci sono stati dei precedenti, non la giustifica. L’argomento della Boldrini non regge, perché quello che era irregolare ieri non potrà cambiare le regole di oggi.

Qual è il tema che sta aggiungendo confusione al già poco chiaro quadro politico? Questa settimana il PD ha presentato in Aula alla Camera una mozione di dubbia legittimità costituzionale. In una mozione con oscurità deliberata, uno stile sfuggente ed evasivo, mirante a non rinnovare l’incarico del governatore di Bankitalia Ignazio Visco, è stata convalidata e messa ai voti dalla presidente (presidenta?) Laura Boldrini. Evitiamo qualsiasi commento su chi c’era dietro quella mozione, sorvoliamo sui fini ultimi che muovevano gli ideatori della mozione, non entriamo in merito se Gentiloni sapeva o meno della mozione, facciamo finta di non immaginare l’eventuale coinvolgimento della sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri nel Governo, la signora Maria Elena Boschi, accantoniamo tutto questo anche se tutto questo è importantissimo.

 

Accantoniamo perché il problema qui è un altro, e l’unico che l’ha notato e dichiarato è stato Lamberto Dini, ex presidente del Consiglio, oltre a tante altre alte cariche che aveva coperto nella sua lunga carriera governativa. Non sta nei diritti dei partiti presentare mozioni per il rinnovo o la nomina del governatore di Bankitalia. Non sta nei poteri della Camera discutere tale mozione. Sta invece negli obblighi della presidente, l’obbligo e la facoltà di respingere tale mozione. La signora Boldrini ha scelto di ignorare quanto le detta la legge. Come giustamente riportato nella “discussa” mozione: “L’articolo 19, comma 8, della Legge 28 dicembre 2005, n. 262 (Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari afferma che la nomina del governatore è disposta con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia. Il procedimento si applica anche per la revoca del governatore”. La presidente (presidenta?) Boldrini questo articolo lo conosce e su questo non ci possono essere dubbi. Perché lo ha ignorato? Nessuno vuole minimamente pensare che l’alta carica di Montecitorio si sia assunta delle responsabilità che non le spettavano! Nessuno oserebbe mai pensare che abbia subito delle pressioni! Dunque?

 

Montecitorio ha scritto un’altra brutta pagina. Troppe pagine brutte per una sola legislazione! Le responsabilità di Visco emergeranno a conclusione dei lavori della Commissione parlamentare e solo allora si saprà in quale misura sono stati danneggiati i risparmiatori. Le inadempienze della presidenza della Camera sono invece una macchia d’inchiostro nero sulla Carta Costituzionale che offende le Istituzioni e mortifica la democrazia parlamentare.

Dietro l’angolo non s’intravede alcuna speranza, latitano le istituzioni ed i partiti sono allo sbando. La saggia voce del Colle non arriva nell’emiciclo tanto meno al segretario del partito di maggioranza lanciato ad alta velocità sul treno dei suoi desideri.

Emanuel Galea

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Cronaca

Aggredito giornalista de “La Stampa”: l’ennesimo attacco alla libertá di stampa

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Parto da un fatto semplice, apparentemente banale, ma che dovrebbe, condizionale d’obbligo, far riflettere tutti: la violenza va condannata senza se e senza ma.
E quando la violenza parte da un presupposto di odio da parte di un gruppo la condanna deve essere fatta ancora con più forza e con più decisione.
E va fatta con ancora più veemenza quando l’aggressione viene rivolta a chi, da sempre, è in prima linea per consentire ad un paese democratico che verità ed informazione possano essere sempre un connubio di libertà: un collega giornalista.
L’ aggressione ai danni di Andrea Joly, giornalista de La Stampa di Torino, è l’ennesima dimostrazione di come l’odio troppo spesso popoli il nostro paese. Dietro di esso si nasconde il tentativo forte di delegittimare una categoria, quella dei giornalisti, da sempre coscienza libera in quanto lettori attenti ed obiettivi della realtà.
Diventa necessaria, quindi, una levata di scudi dell’intera classe politica nazionale per ristabilire un argine di rispetto e di sicurezza che eviti i troppi tentativi di bavaglio che violano il principio, sancito dalla nostra Carta Costituzionale, della libertà di stampa.
Scriveva Thomas Jefferson:
“Quando la stampa è libera e ogni uomo è in grado di leggere, tutto è sicuro”.
Mai parole sono state così attuali.

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Editoriali

19 luglio 1992: un maledetto pomeriggio

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Lo ricordo come allora quel tragico 19 luglio 1992.
Un caldo improponibile, come quello di questi giorni.
Ma era sabato e con gli storici amici del paese l’appuntamento era fisso: “… ci vediamo più tardi al chiosco, verso le 5, e poi decidiamo dove passare pomeriggio e serata …“.
E cosi facemmo!
Arrivammo un po’ alla spicciolata (cellulari, WhatsApp ed altro sarebbero arrivati anni dopo).
Per ultimo, ma non per questo meno importante, uno dei nostri amici, all’epoca cadetto alla scuola sottufficiali dei Carabinieri.
Lo sguardo basso, ferito oserei dire.
Il passo lento, non era il suo solito passo.
Gli occhi lucidi che facevano presagire che qualcosa di grave era successo.
“Hanno ammazzato pure Paolo”, furono le sue uniche indimenticabili parole.
In un momento i nostri sorrisi, la nostra voglia di festeggiare quel sabato si ruppe.
Non erano passati neanche due mesi dell’attentato di Capaci in cui Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta erano stati ammazzati per ordine della Mafia ed ora anche Paolo Borsellino e la sua scorta erano lì dilaniati dall’ennesimo atto vigliacco di Cosa Nostra.
Giovanni e Paolo incarnavano i sogni di quella nostra generazione pronta a scendere in piazza per dire “NO ALLA MAFIA”.
Una generazione che aveva fatto dell’impegno politico e sociale la propria stella polare.
Quei due uomini seppero farci capire quanto l’impegno dovesse essere sempre animato da uno spirito di sacrificio personale.
Ci fecero capire che per cambiare il mondo il primo impegno era mettersi in gioco.
Quel pomeriggio i nostri sogni di ragazzi che volevano un mondo migliore saltarono in aria come quella maledetta bomba in via d’Amelio.
Ma capimmo, anni dopo, che dalla loro morte sarebbe germogliato quel seme che avrebbe fatto crescere la pianta rigogliosa della legalità.
Oggi a più di 30 anni dalla loro morte tengo in mente due loro pensieri:

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

L’ importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza (Giovanni Falcone)
La paura è umana, ma combattetela con il coraggio (Paolo Borsellino)


Ecco paura e coraggio … le loro vite, il loro impegno, il loro sacrificio ci hanno insegnato che possono convivere e farci essere grandi uomini.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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