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Editoriali

Zingaretti, Salvini e quell’accordo non scritto…

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Le cose che attengono la strategia possono anche essere incomprensibili ai più ma sono chiarissime a chi la elabora.

Salvini ha passato la palla a Zingaretti. Il primo ha aperto la crisi e il secondo ha ora in mano tutte le opzioni per chiuderla, nuovo governo o elezioni che siano. Se come tra loro c’è stata condivisione strategica allora molte delle azioni che vediamo sono di natura tattica, di posizionamento.

Nessuno può pensare che i due leader potessero far cadere il governo, sciogliere le camere e convocare gli italiani al voto, portando a termine l’intera strategia da soli. Come è noto, dopo l’apertura di ogni crisi entra in campo il Capo dello Stato che, interpretando le volontà dei gruppi parlamentari (non il popolo ma i suoi rappresentanti in parlamento) verifica le condizioni per formare un nuovo governo e in mancanza di queste ultime scioglie le camere e convoca gli italiani al voto. Quindi una strategia nata per gli obiettivi sopra menzionati non avrebbe potuto ignorare il terzo attore, il più importante, Mattarella.

Una moltitudine di soggetti negli ultimi giorni si è affannata a dichiarare “nuovo governo per il paese”, “elezioni subito”, “tradimento” Etc. Questa moltitudine di soggetti, da Renzi alla Meloni, da Grillo a Berlusconi, passando per Grasso e la Lorenzin hanno messo in atto (consapevolmente o meno) una atteggiamento tattico volto a tirare Mattarella sulla soluzione gradita.

Salvini e Zingaretti no.

I due non hanno dichiarato semplicemente la propria posizione preferita ma hanno assunto posizioni tattiche, utili a portare Mattarella sulla propria strategia.

Zingaretti all’inizio ha tentennato prima di arrivare a concedere l’assenso all’apertura della trattativa con i 5Stelle per la formazione di un nuovo governo. Poi (prima azione tattica) ha detto si ma a determinate condizioni, le quali inizialmente sono sembrate assolutamente accettabili e poi, quando declinate sui fatti concreti, sono apparse di chiusura (vedi il diniego alla riduzione dei parlamentari).

Salvini dal canto suo ha tatticamente attenuato i toni dello scontro con i 5Stelle fino a dichiarare che con Di Maio premier, Giorgetti all’economia e se stesso al Viminale si poteva continuare con il contratto di governo (riduzione dei parlamentari compresa).

Di Maio alla fine ha declamato i dieci punti irrinunciabili (di fatto il contenuto del contratto di governo con la lega che al primo punto riporta la riduzione dei parlamentari) e ha chiesto di poter trattare la formazione del nuovo governo.

Questo atteggiamento ha irritato il Capo dello Stato, il quale non ha potuto mascherare il proprio disappunto alle telecamere al termine delle consultazioni.

Con tale stato d’animo ha dato 5 giorni alle forze politiche (attenzione non al PD e a 5Stelle ma alle “Forze Politiche“ presenti in parlamento) per portare una proposta per un governo solido, stabile, duraturo e di ampio respiro.

Questi 5 giorni dovrebbero essere paragonati ai 20 giorni che la legge concede ai sindaci di comuni anche di 500 abitanti per comporre la giunta. Per dire la difficoltà intrinseca a partorire una soluzione solida, stabile, di ampio respiro per comporre il nuovo governo del paese tra due forze che fino a qualche giorno fa dialogavano a insulti e invettive.

Ora delle due l’una o Zingaretti rinuncia ai suoi 3 punti irrinunciabili, Di Maio si accorda anche con punti semiconcordati (senza scriverli sulla pietra) oppure si ripiega su un incredibile ritorno al passato con un nuovo governo giallo/verde che già in premessa recepisce i 10 punti irrinunciabili dei grillini stuzzicando DiMaio con Palazzo Chigi. È ovvio che le due dichiarazioni, i 3 punti di Zingaretti e la riapertura di Salvini sono posizioni tattiche che mirano a destabilizzare un quadro già di suo è giunto al delirio.

In 5 giorni il Pd deve mantenersi compatto, i 5Stelle devono ingoiare qualche rospo, la sirena Salvini con la sua nuova proposta deve essere ignorata da quel cinquanta percento di 5Stelle che la condivide.

Inoltre sempre in 5 giorni devono riuscire a comporre una compagine di governo PD/5Stelle da proporre a Mattarella.

Sembra che gli unici due che potrebbero avere una strategia, Zingaretti e Salvini, con le loro attuali posizioni tattiche stiano continuando a tessere la tela per riuscire ad indurre Mattarella a compiere i due passi successivi, scioglimento delle camere e voto.

Però, c’è sempre un però, la strategia potrà andare a compimento se i due, Zingaretti e Salvini, resteranno granitici difensori dell’ipotetico accordo non scritto.

All’inizio il ruolo determinante lo ha avuto Salvini e lo ha portato a compimento facendo cadere il governo ora è Zingaretti a dover essere determinato per impedire che nasca un nuovo governo.

L’interesse lo abbiamo detto c’è sia nell’uno che nell’altro ma Zingaretti ha anche sulle spalle la necessità di non tradire la granitica posizione della Sinistra Italiana dal ‘94. Una posizione che stabilisce che se esiste il rischio che nell’anno del rinnovo del Capo dello Stato possa esserci un parlamento a maggioranza di centro destra bisogna fare di tutto per non votare mantenendo la maggioranza presente in parlamento ad ogni costo fino al rinnovo della Presidenza della Repubblica

Essendo questo il caso, con le elezioni anticipate virtualmente vinte dal centrodestra, allora bisogna fare di tutto per non votare mantenendo in parlamento gli attuali assetti fino alla scadenza di Mattarella.

È ovvio che Zingaretti si gioca una partita importantissima sia nell’uno che nell’altro caso. Ora bisognerà vedere se i due leader del futuro, Zingaretti e Salvini, riusciranno a sostenere a vicenda le proprie leadership o ci ritroveremo nella palude parlamentare con un governo senza prospettiva tra PD e 5Stelle. Nel frattempo Di Battista, Gentiloni, Renzi, Centinaio ed altri stanno pensando ad agitare le acque e Orlando oggi è arrivato a chiedere, per conto del PD, una dichiarazione Grillina di chiusura definitiva del dialogo con la Lega.

Quanto fin qui asserito Potrebbe essere una deduzione fantasiosa? Vedremo

Marco Mattei

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Cronaca

Aggredito giornalista de “La Stampa”: l’ennesimo attacco alla libertá di stampa

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Parto da un fatto semplice, apparentemente banale, ma che dovrebbe, condizionale d’obbligo, far riflettere tutti: la violenza va condannata senza se e senza ma.
E quando la violenza parte da un presupposto di odio da parte di un gruppo la condanna deve essere fatta ancora con più forza e con più decisione.
E va fatta con ancora più veemenza quando l’aggressione viene rivolta a chi, da sempre, è in prima linea per consentire ad un paese democratico che verità ed informazione possano essere sempre un connubio di libertà: un collega giornalista.
L’ aggressione ai danni di Andrea Joly, giornalista de La Stampa di Torino, è l’ennesima dimostrazione di come l’odio troppo spesso popoli il nostro paese. Dietro di esso si nasconde il tentativo forte di delegittimare una categoria, quella dei giornalisti, da sempre coscienza libera in quanto lettori attenti ed obiettivi della realtà.
Diventa necessaria, quindi, una levata di scudi dell’intera classe politica nazionale per ristabilire un argine di rispetto e di sicurezza che eviti i troppi tentativi di bavaglio che violano il principio, sancito dalla nostra Carta Costituzionale, della libertà di stampa.
Scriveva Thomas Jefferson:
“Quando la stampa è libera e ogni uomo è in grado di leggere, tutto è sicuro”.
Mai parole sono state così attuali.

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Editoriali

19 luglio 1992: un maledetto pomeriggio

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Lo ricordo come allora quel tragico 19 luglio 1992.
Un caldo improponibile, come quello di questi giorni.
Ma era sabato e con gli storici amici del paese l’appuntamento era fisso: “… ci vediamo più tardi al chiosco, verso le 5, e poi decidiamo dove passare pomeriggio e serata …“.
E cosi facemmo!
Arrivammo un po’ alla spicciolata (cellulari, WhatsApp ed altro sarebbero arrivati anni dopo).
Per ultimo, ma non per questo meno importante, uno dei nostri amici, all’epoca cadetto alla scuola sottufficiali dei Carabinieri.
Lo sguardo basso, ferito oserei dire.
Il passo lento, non era il suo solito passo.
Gli occhi lucidi che facevano presagire che qualcosa di grave era successo.
“Hanno ammazzato pure Paolo”, furono le sue uniche indimenticabili parole.
In un momento i nostri sorrisi, la nostra voglia di festeggiare quel sabato si ruppe.
Non erano passati neanche due mesi dell’attentato di Capaci in cui Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta erano stati ammazzati per ordine della Mafia ed ora anche Paolo Borsellino e la sua scorta erano lì dilaniati dall’ennesimo atto vigliacco di Cosa Nostra.
Giovanni e Paolo incarnavano i sogni di quella nostra generazione pronta a scendere in piazza per dire “NO ALLA MAFIA”.
Una generazione che aveva fatto dell’impegno politico e sociale la propria stella polare.
Quei due uomini seppero farci capire quanto l’impegno dovesse essere sempre animato da uno spirito di sacrificio personale.
Ci fecero capire che per cambiare il mondo il primo impegno era mettersi in gioco.
Quel pomeriggio i nostri sogni di ragazzi che volevano un mondo migliore saltarono in aria come quella maledetta bomba in via d’Amelio.
Ma capimmo, anni dopo, che dalla loro morte sarebbe germogliato quel seme che avrebbe fatto crescere la pianta rigogliosa della legalità.
Oggi a più di 30 anni dalla loro morte tengo in mente due loro pensieri:

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

L’ importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza (Giovanni Falcone)
La paura è umana, ma combattetela con il coraggio (Paolo Borsellino)


Ecco paura e coraggio … le loro vite, il loro impegno, il loro sacrificio ci hanno insegnato che possono convivere e farci essere grandi uomini.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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