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Economia e Finanza

Elezioni marzo 2018, i colpi di coda del Pd: stipendi maggiorati ai funzionari Anac

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Un quotidiano ha riportato ultimamente la notizia dell’emendamento voluto da Renzi, su richiesta di Cantone, della possibilità, dal 2019, di raddoppiarsi gli stipendi autonomamente, emendamento inserito nella manovra di bilancio ‘in articulo mortis’, cioè appena prima dello scioglimento delle Camere.

La notizia, non rimbalzata su altre testate, merita sicuramente un approfondimento

‘Quis custodiet ipsos custodes?’ recitava Giovenale, in una delle sue satire. Chi controllerà i controllori? Che proprio i controllori dei tanto citati 30 miliardi di evasione fiscale debbano essere ‘solleticati’ nei confronti dell’ex presidente del Consiglio da questo emendamento così appetitoso? Sappiamo cosa succede – e ciò che accade alle Regioni ne fa fede – quando in Italia si da’ agli organi amministrativi la possibilità di legiferare su argomenti così sensibili come gli emolumenti. Un sospetto è più che legittimo, visto che siamo in ‘modalità campagna elettorale’, e cioè che senza colpo ferire don Matteo, con la sua solita astuzia ai limiti della correttezza – che qualcuno chiama ‘capacità politica’, ma solo perché vota PD – abbia voluto ipotecare il futuro a suo favore, non solo l’immediato ma anche quello un po’ più in là nel tempo.

Non vogliamo entrare nel merito di ciò che potrebbe significare avere dalla propria parte i funzionari ANAC riguardo al caso di papà Renzi:

Questo lo stabilirà la Magistratura, ed è un sospetto legittimo per l’uomo della strada. Ma, come diceva Cicerone, la moglie di Cesare non deve soltanto essere onesta, ma tale apparire agli occhi di tutti. Risulta quindi senz’altro inopportuno avere inserito l’emendamento in oggetto nella legge di bilancio, soprattutto a camere quasi sciolte, in extremis. Siamo sotto elezioni, e ogni illazione è perfettamente comprensibile. L’Italia, a sentir ciò che si dice in TV e sui giornali, è in deficit soprattutto per l’evasione fiscale e la corruzione: essendo la corruzione un reato, a combatterla dovrebbero essere sufficienti le Forze dell’Ordine, Polizia, Finanza, Carabinieri, eccetera. Da noi invece s’è sentito il bisogno di creare un organismo dedicato, l’ANAC. Ma se anche questo dovesse essere in odore di favoritismi, allora saremmo proprio rovinati. L’evasione riguarda traffici di denaro su cui nessuno paga le tasse, e la corruzione riguarda traffici di denaro illeciti: ambedue ricadono sotto la stessa classifica dell’evasione fiscale, dato che nessuno mai potrà, per assurdo, pagare le tasse su di una mazzetta. Allora di che stiamo parlando? Dov’è la vera evasione fiscale?

Se la finanza stabilisce che l’evasione in Italia è di 30 miliardi l’anno, euro più, euro meno, come fa a calcolarne l’ammontare?

Semplice, in maniera induttiva con dei parametri fissi che derivano da dati incrociati di consumo. Ma ciò che produce la prostituzione, o ciò che produce lo spaccio di droga, non verranno mai alla luce nei parametri di calcolo, pur essendo individuabili attraverso i dati che la finanza incrocia. Quindi stiamo parlando di una evasione endemica, non recuperabile: a meno che non si voglia concedere la partita IVA alle prostitute, e far loro pagare le tasse. Anche se non si sa su quale modello 730 sarebbe possibile detrarre le cifre relative. Stesso discorso per la droga. La Flat Tax, o meglio, quel provvedimento che riguarda la riforma fiscale di Trump, si legge in questi giorni sui quotidiani, ha convinto Marchionne a salutare la Fiat in Italia, per trasferirsi definitivamente in USA con un investimento di un miliardo di dollari, bonus in busta paga di 2.000 dollari ciascuno ai 60.000 dipendenti, e la creazione di 2500 nuovi posti di lavoro. Il tutto originato dalla nuova riforma fiscale dal tento deprecato – in Italia – governo Trump. Noi diciamo che un miliardo di dollari Marchionne avrebbe potuto investirli in Italia, un paese a cui non manca certo la mano d’opera, e anche forse migliore di quella americana. I 2500 nuovi posti di lavoro, a dispetto dei fantomatici milioni di Renzi, – che poi si rivelano essere una bolla di sapone, sostenuta solo da un Jobs Act fallimentare, che quando avrà esaurito i suoi vantaggi a carico dello Stato mostrerà cos’è davvero, con un licenziamento improvviso di centinaia di migliaia di occupati in realtà a carico dello Stato italiano – Marchionne, come altri investitori internazionali che fuggono dall’Italia, avrebbe potuto crearli in patria, e non finanziati dallo Stato, ma da una vera, reale, autentica ripresa economica, presente soltanto nella fantasia dei nostri burocrati.

Già, i burocrati come il ministro Padoan, che è andato da Lucia Annunziata solo per parlar male della Flat Tax:

Quelli che guardano solo a cosa perdono nell’immediato, senza minimamente spingere lo sguardo oltre il loro naso. L’Italia è prigioniera del burocrati e della burocrazia, e non si può più credere alla loro buone fede. Hanno in mano il potere reale, e lo tengono ben stretto: che tutto cambi purchè tutto rimanga invariato. Fanno fatica, questa gente, a capire che la aliquote basse incentivano il mercato, sciolgono le briglie all’economia, mettono le ali al paese e alla fine lo Stato incassa di più Fanno fatica, questa gente, a capire che il guadagno dello Stato è sul giro dei soldi: più è veloce, più tasse gli imprenditori lasciano nelle casse del Ministero delle Finanze. Aumentando le aliquote, invece, si incoraggia l’evasione, si blocca la crescita, si allontanano gli investitori. Oggi tanti vanno all’estero per fare un leasing automobilistico, dato l’assurdo costo del bollo di circolazione e delle assicurazioni. Grazie al taglio delle tasse di 1500 miliardi di dollari, altre aziende americane hanno annunciato premi ai loro dipendenti. La Walmart ha aumentato il salario da 9 a 11 dollari l’ora, ampliando i benefit per i congedi parentali. La compagnia telefonica A&T, come altre aziende. Ha annunciato gratifiche di mille dollari ai dipendenti. Più denaro circola, più tutti guadagnano, anche lo Stato americano che recupererà i 1500 miliardi di tagli con gli interessi. Il denaro versato nelle casse dello Stato italiano non produce un fico secco, quello nelle tasche dei cittadini fa volare l’economia.

Ma certo, in Italia siamo più furbi di tutti:

Pretendiamo che si paghi un caffè con il Bancomat, così l’evasione fiscale sarà sconfitta, e i finanzieri, invece di andare a controllare i conti dei soliti noti, o di alcune ben note cooperative, notoriamente mancanti sotto il profilo adempimenti fiscali, staranno fuori dei bar per controllare che chi esce abbia in mano lo scontrino, e, da ora in poi, anche la ricevuta del bancomat. Cosa dovrà fare il barista per coprire le nuove spese di POS e di carta magnetica, se non aumentare il prezzo? Sappiamo che i bar, nella maggior parte, lottano con le tasse e le imposte comunali, sempre più esose da quando lo Stato ha chiuso i cordoni della borsa. In realtà le tasse le pagheremo noi avventori, cioè coloro su cui alla fine vanno a pesare tutte le spese, comprese quelle dell’ANAC di Cantone. Con buona pace di coloro a cui basta una telefonata per mettere sottoterra una cartella esattoriale. Dov’è l’evasione? Giudicate voi, non certo in una tazzina di caffè. Purtroppo da qualche parte non si riesce a capire che abbassando le aliquote fiscali si incassa di più: oppure non lo si vuol capire, per continuare a tenere la nazione sotto il tallone.

Vien da pensare che a qualcuno la corruzione e l’evasione facciano comodo:

Altrimenti sono due piaghe che già da tempo sarebbero state sconfitte. Come la mafia. Si parla tanto male dei rigurgiti fascisti, ma l’unico che aveva messo fuori combattimento la mafia è stato il ventennio. Un pensiero va all’allora colonnello Rapetto della G.d.F., dimessosi per aver scoperto un’evasione di dodici miliardi di euro a carico della lobby delle macchinette, condonati con un versamento di due miliardi e mezzo, e senza Equitalia. Siamo in Italia, dove alcuni non pagano, affinchè altri lo facciano al posto loro. Ma non con un caffè.

Roberto Ragone

Castelli Romani

Bcc Colli Albani, assemblea dei soci: un impegno concreto per il futuro del territorio

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Presenti circa 1.500 persone al PalaCesaroni di Genzano

Nel suggestivo scenario del Palacesaroni di Genzano, si è svolta l’assemblea annuale della Banca di Credito Cooperativo (Bcc) Colli Albani, un evento che ha evidenziato il solido stato di salute finanziaria dell’istituto e il suo impegno verso la comunità locale.

Il focus principale dell’assemblea è stato il bilancio e la relazione del 2023, che hanno confermato l’ottima performance della Bcc Colli Albani nel corso dell’anno precedente. Grazie a una gestione oculata e prudente, la banca ha continuato a crescere in modo stabile e sostenibile, garantendo ai soci e ai clienti una solida base finanziaria.

Presente il deputato e sindaco di Lanuvio Andrea Volpi che si è complimentato pubblicamente: “Ciò che apprezziamo oggi – ha detto – è il frutto di un lavoro iniziato quasi 80 anni fa, un risultato maturato grazie al lavoro di uomini illuminati e da soci che nel tempo hanno visto ripagata la fiducia prestata. La fortuna di poter contare su una BCC locale risiede nella prossimità, risiede nell’umanità e nei valori che rappresenta, risiede nella capacità di sostenere e partecipare iniziative imprenditoriali.  La traccia di questo segno è ben evidente in tantissime azioni sul sociale, sulla sostenibilità, sullo sport, sulla cura degli spazi pubblici. Continueremo a lavorare in sinergia avendo ben in mente l’obiettivo primario della cura del bene comune e del sostegno ai nostri Comuni”.

Presenti anche il sindaco di Genzano Carlo Zoccolotti, il primo cittadino di Marino, Stefano Cecchi, il Vescovo di Albano Vincenzo Viva, il Direttore Generale Anbi (Associazione Nazionale Consorzi di Bonifica dott. Massimo Gargano.

Non è mancata la partecipazione delle Forze dell’Ordine. Polizia Locale, Carabinieri di Genzano, Albano e Nemi. Inoltre la Protezione Civile di Genzano ha prestato servizio per la sicurezza dei numerosi presenti unitamente al servizio di vigilanza privato incaricato dalla BCC Colli Albani.

Un aspetto particolarmente rilevante emerso durante l’assemblea è l’accentuato impegno della Bcc Colli Albani verso l’ambiente e il risparmio energetico. A tal fine, l’istituto ha annunciato la fondazione di una comunità energetica, un’iniziativa innovativa che mira a promuovere la sostenibilità ambientale e a favorire la transizione verso fonti energetiche rinnovabili nella comunità locale.

Inoltre, la Bcc Colli Albani ha evidenziato il suo ruolo sociale attraverso la Mutua Cam, fondata proprio dalla banca, che garantisce rimborsi spesa sanitaria ai soci e supporta una vasta gamma di servizi culturali, tra cui teatro, sport e turismo. Questa iniziativa dimostra l’impegno della banca nel promuovere il benessere e lo sviluppo della comunità locale, oltre a offrire vantaggi tangibili ai propri soci e clienti.

Il Presidente della Bcc Colli Albani, Maurizio Capogrossi, è stato elogiato durante l’assemblea per il suo esemplare impegno e la sua leadership nella gestione dell’istituto di credito. Capogrossi è considerato un esempio tangibile di vicinanza al territorio e di collaborazione con le amministrazioni locali, la Asl, le istituzioni militari, religiose e civili. La sua visione inclusiva e orientata alla comunità ha contribuito in modo significativo al successo e alla reputazione della Bcc Colli Albani nella regione.

L’assemblea della Bcc Colli Albani al Palacesaroni di Genzano ha confermato il ruolo cruciale dell’istituto di credito nella promozione dello sviluppo economico e sociale della comunità locale. Attraverso iniziative innovative, come la fondazione di una comunità energetica e la promozione di servizi culturali e sanitari, la Bcc Colli Albani continua a dimostrare il suo impegno verso il benessere e il progresso della sua comunità di riferimento.

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Economia e Finanza

Agricoltura, decreto fotovoltaico: sì ai pannelli solari sui terreni coltivati, ma solo se sollevati

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Sì ai pannelli solari sui terreni coltivati, ma solo se sollevati da terra, in modo da permettere l’attività agricola sotto.

Gli impianti potranno anche essere realizzati in cave e vicino ad autostrade. Sono fatti salvi anche i progetti previsti dal Pnrr e quelli che hanno già presentato l’istanza per la realizzazione. E’ questa la decisione presa dal Cdm sul punto più spinoso del Decreto di aiuti al settore agricolo che il ministro Francesco Lollobrigida ha portato oggi in Consiglio dei ministri. “C’è stata grande serenità – ha detto Lollobrigida al termine della riunione – col collega dell’Ambiente Pichetto su un norma del 2021.

Dopo quattro anni poniamo fine alla installazione selvaggia di fotovoltaico a terra, ovviamente con grande pragmatismo. Abbiamo scelto di limitare ai terreni produttivi questo divieto, quindi nelle cave e nelle aree interne ad impianti industriali si potrà continuare a produrre queste agroenergie. Il tutto a salvaguardia dei piani Pnrr che non intendiamo mettere in discussione in alcun modo”. L’obiettivo, ha poi aggiunto, è quello di non sottrarre all’agricoltura terreni di pregio. La bozza del provvedimento prevedeva di fatto un divieto per l’agrivoltaico, cioè il fotovoltaico sui terreni agricoli: “le zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici sono aree non idonee all’installazione degli impianti fotovoltaici con moduli collocati a terra”.

Un divieto chiesto da tempo a gran voce da Coldiretti. e sostenuto con convinzione dal ministro Francesco Lollobrigida. Sembra anzi che il titolare dell’Agricoltura considerasse lo stop come il punto più importante del suo decreto di aiuti. Il problema è che l’agrivoltaico è considerato invece strategico dal Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, per sviluppare le fonti rinnovabili in Italia. Il Mase a febbraio ha varato un decreto che stanzia 30 milioni all’anno per vent’anni per questo settore. L’obiettivo è di arrivare a oltre 1 Gigawatt di potenza installata già nel 2026. Quando la bozza ha cominciato a girare la scorsa settimana, il Ministero guidato da Gilberto Pichetto ha fatto subito sapere che il divieto dell’agrivoltaico “non era condiviso”. Il ministro non ha gradito la fuga in avanti del collega, che evidentemente aveva deciso sulla materia senza consultarlo, nonostante fosse anche di sua competenza. Dalla fine della scorsa settimana, è partita una trattativa fra i due ministeri per arrivare a un compromesso. Raggiunto in Cdm.

“Rafforziamo il ruolo del commissario per la siccità Nicola Dell’Acqua, che ha predisposto un piano straordinario e lo autorizziamo a svolgere gli interventi di urgenza per riuscire a efficientare il sistema idrico italiano”. Così il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, illustrando il decreto varato in Consiglio dei ministri, dove è stato audito il governatore della Sicilia Renato Schifani. Serve una “pianificazione per affrontare in termini infrastrutturali una criticità ormai ciclica – ha aggiunto -: la siccità non è un’emergenza, ogni cinque anni circa colpisce in modo devastante il nostro territorio, in questo caso la Sicilia ma è capitato ad altre regioni. Con il cambio climatico gli effetti rischiano di aumentare”.

Su proposta del ministro per la Protezione civile Nello Musumeci, il Governo ha deliberato lo stato di emergenza nazionale per 12 mesi, in relazione alla situazione di grave deficit idrico in atto nel territorio della Regione Siciliana. È stato anche deliberato un primo stanziamento di 20 milioni di euro per consentire alla Regione di far fronte all’attuazione degli immediati interventi.

“Diamo la possibilità di ampliare il ruolo di guardia venatoria alle associazioni legittimate allo svolgimento dell’antibracconaggio e del controllo dello svolgimento regolare di tutte le attività previste per legge”, dice il ministro Lollobrigida. “Questo – ha spiegato – ampia lo spettro delle associazioni che potranno avere, con una certificazione che deve essere data a coloro che svolgono questa funzione, il controllo in particolare dell’antibracconaggio, che è l’elemento sul quale auspichiamo si muovano le guardie che hanno questo tipo di configurazione”.

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Economia e Finanza

Quale futuro per i diritti dei lavoratori? intervista al professor Alberto Lepore, professore associato di diritto del Lavoro

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Alberto Lepore classe 1972, professore associato in Diritto del Lavoro presso l’Università di Roma 3, membro del Labour Law Group presso l’University College of London. Decine di pubblicazioni in ambito del Diritto al Lavoro ma, principalmente, un grande amico.

Alberto ci diamo del tu, ovviamente: ieri, 1° Maggio, Festa del Lavoro e dei Lavoratori mi è venuta spontanea l’idea di rivolgerti qualche domanda in merito al Diritto al Lavoro proprio per comprendere se, ancora oggi, quelle conquiste sociale figlie dell’800 hanno ancora valore.

La prima domanda prende spunto dall’articolo 1 della nostra Carta Costituzionale: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Quanto valore ha, ancora oggi, questa affermazione nel nostro Paese?
Quanto affermato dall’articolo 1 della nostra Costituzione ha ancora un grande valore e una portata fondamentale perché a seguito della promulgazione della Costituzione del 1948 vengono superati quell’insieme di privilegi, di retaggio aristocratico e feudale che caratterizzavano l’ordinamento monarchico preesistente.
Secondo l’articolo 1 della Costituzione il cittadino si qualifica all’interno della società non più attraverso quello che ha, ma attraverso quello che fa. Il lavoro quindi diventa da un lato ciò che qualifica la persona, nel contempo il lavoro è anche lo strumento attraverso cui la persona trova la sua collocazione all’interno della società.
Il lavoro diventa in forza dell’articolo 1 il collante tra cittadino e corpo sociale; senza l’esecuzione di una prestazione lavorativa il cittadino non può partecipare al corpo sociale, non può avere una collocazione nella società e non può neanche ricoprire una determinata posizione economica; rimane sostanzialmente emarginato; tagliato fuori dalla società. Quindi l’articolo 1 ha ancora un ruolo fondamentale all’interno della nostra Repubblica, tant’è che si è detto appunto che la Repubblica italiana è una Repubblica lavorista. Ma il principio da questo espresso va protetto perché i privilegi possono sempre, in altra forma, rinascere e, pertanto, bisogna stare sempre in guardia.

Lo sai, sono nato il 20 maggio 1971 ad un anno esatto dalla promulgazione dello Statuto dei Lavoratori. Qualcuno dice che sia stata profondamente scardinata dal Job Act di Matteo Renzi.
Cosa di buono mantiene questa intuizione di cui fu padre putativo Gino Giugni?

Il Jobs Act di Matteo Renzi ha colpito al cuore lo Statuto dei lavoratori (Legge 20 maggio 1970 n.300 n.d.s.), perché ha abrogato una norma di civiltà e cioè l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che prevedeva, a certe condizioni, qualora il licenziamento fosse illegittimo la reintegrazione nel posto di lavoro, in altri termini, il ritorno nello stesso posto di lavoro come se il licenziamento non fosse mai stato intimato.
Con il decreto legislativo n. 23 del 2015 il Jobs Act ha sostanzialmente modificato la tutela prevista in caso di licenziamento illegittimo sostituendola con la tutela indennitaria: la reintegrazione è stata conservata soltanto in casi marginali, mentre nella maggior parte dei casi nelle ipotesi di licenziamento illegittimo al lavoratore verrà pagata un’indennità monetaria commisurata alla durata del rapporto.
La cancellazione della reintegrazione nel posto di lavoro come tutela generale rende la posizione del lavoratore nel rapporto di lavoro molto più debole.
Il Jobs Act di Renzi poi ha colpito un’altra norma molto importante che tutela la professionalità del lavoratore e cioè l’articolo 13 dello Statuto dei lavoratori introduttivo del 2103 del codice civile sulle mansioni: ha previsto che è oggi possibile demansionare in ipotesi molto ampie tra cui anche per ragioni economiche legate alle esigenze dell’impresa. Anche questa norma che colpisce la professionalità e la progressione di carriera lede un’altro dei patrimoni del lavoratore e rende molto più debole la sua posizione; anche la norma sul divieto dei controlli sul posto di lavoro (art.4 dello Statuto dei lavoratori n.d.s.) è stata riformata nel senso di consentire controlli molto più pervasivi sul posto di lavoro.
Lo Statuto conserva ancora norme importanti soprattutto nella dimensione collettiva come gli articoli 19 e seguenti che introducono i diritti sindacali; l’articolo 28 sulla repressione della condotta antisindacale; l’articolo 15 sulla non discriminazione.
C’è quindi ancora molto nello Statuto di buono e di protettivo per il lavoratore ma certamente la cancellazione dell’articolo 18 ha creato un vulnus notevole perché ha sostanzialmente monetizzato il posto di lavoro: il datore di lavoro oggi può anche intimando un licenziamento illegittimo sapere che anche se perde in causa dovrà pagare solo una somma di denaro commisurata alla durata del rapporto di lavoro per togliersi dai piedi un lavoratore non più desiderato.

Spesso non si coniuga il diritto al lavoro con i doveri che scaturiscono dal lavoro stesso. A tuo avviso dove sta il punto di rottura tra queste due situazioni?
Il diritto al lavoro come anche il dovere di lavorare sono enunciati dall’art. 4 della Costituzione. Questi due principi sono tra loro complementari, perché la repubblica deve far sì che sia garantito il diritto al lavoro, d’altro canto il cittadino deve fare tutto il possibile per poter trovare un’occupazione.
L’articolo 4, però, è una norma programmatica cioè detta praticamente un programma, un progetto che deve essere realizzato attraverso leggi ordinarie e infatti abbiamo assistito nel corso degli anni all’introduzione una serie di leggi per realizzare il diritto al lavoro.
Dalla introduzione degli uffici di collocamento fino alla creazione delle agenzie accreditate per attuare concretamente il diritto al lavoro. Ma essendo l’art. 4 una norma programmatica il diritto al lavoro e’un principio tendenziale, anche perché non vi è una sanzione se il lavoro non è garantito a tutti tant’è che siamo in un’epoca nella quale la disoccupazione è molto elevata, nonostante gli sforzi che la Repubblica ha fatto, la piena occupazione non è stata mai raggiunta.
D’altro canto il dovere di lavorare è fondamentale perché si lega all’art. 1: il cittadino partecipa al corpo sociale e acquisisce una posizione sociale ed economica nella società soltanto se lavora. Indirettamente la Costituzione stessa sanziona colui che non vuole lavorare: l’articolo 38 prevede prestazioni previdenziali, quindi provvidenze economiche di sostegno al reddito o quando il lavoratore è inabile al lavoro oppure quando il lavoratore è disoccupato, quindi abbia già lavorato ma ha perso il lavoro oppure sia subentrato un evento che abbia reso impossibile lavorare. Quando invece non vuole lavorare il sistema previdenziale non lo supporta, essendo il reddito di cittadinanza una parentesi anomala nel nostro ordinamento, se non addirittura incostituzionale, e, infatti, è stato rapidamente espunto dall’ordinamento previdenziale.
È evidente però che se non è garantito il diritto al lavoro, il cittadino non potrà’ nonostante i suoi sforzi adempiere al dovere di lavorare.

Un’ultima domanda: quale è il futuro stesso dei diritti dei lavoratori ai giorni nostri?
A fronte della globalizzazione dei mercati e della competizione mondiale il futuro dei diritti dei lavoratori non mi pare roseo. Già negli ultimi anni abbiamo assistito, come accennato, ad una riduzione notevole dei diritti a tutela dei lavoratori e probabilmente nei prossimi anni assisteremo a un’ulteriore riduzione dai diritti. Oggi, oltretutto, il lavoro è minacciato dalla informatizzazione e dalla meccanizzazione dei processi produttivi. Il lavoro digitale è eseguito attraverso strumenti elettronici e sicuramente ridurrà ulteriormente le chance di trovare lavoro. Quindi le sfide future per i diritti dei lavoratori sono grandi e molto difficili, ma quale lavorista sono pronto ad affrontarle.
Ringraziamo il professor Alberto Lepore per la sua disponibilità e per averci fatto comprendere, con le sue parole, l’alto senso istituzionale della giornata di oggi Primo Maggio Festa del Lavoro e dei Lavoratori.

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