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MARINA MILITARE, "OLTRE IL FIUME OCEANO": L'ULTIMO LIBRO DELL’AMMIRAGLIO CRISTIANO BETTINI

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Tempo di lettura 5 minuti Bettini: "L’identità europea oggi appare ancora molto fragile e quindi è opportuno trattare la società odierna con la logica del rischio"

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di Tiziana Bianchi

La brillante carriera dell’Ammiraglio di Squadra Cristiano Bettini (già autore di La formazione etica e di Processi decisionali in ambiente complesso), si caratterizza per alcuni particolari elementi dai quali, nel tempo, sembrano essere maturate le motivazioni che lo hanno condotto verso la stesura del suo ultimo lavoro, Oltre il fiume Oceano. Prime, fra tutti, la formazione classica con gli studi umanistici, successivamente l’ingresso in Accademia Navale e, certamente non meno importante, l’amore per la navigazione a vela che lo ha visto al Comando delle Unità STELLA POLARE e CORSARO II, con cui ha effettuato due navigazioni transatlantiche, dopo alcune altre su imbarcazioni d’altura, dal Mar Nero ai mari del Nord, oltreché in Mediterraneo. Per completare il quadro, negli anni dal 2002 al 2005, ha assunto l’incarico di Addetto Navale e per la Difesa presso l’Ambasciata Italiana a Londra, con accreditamento per l’Irlanda, ove rappresentava gli interessi nazionali in materia di difesa e sicurezza. Non ultime le sue conoscenze di architettura navale e di yacht design.

Man mano che ci s’immerge nella lettura di Oltre il Fiume Oceano, si può distintamente percepire quanto l’esperienza dell’autore si sia tradotta in preziosi approfondimenti apportati da diverse discipline quali l’archeologia, la storia, la filologia, la nautica, la geografia e persino la numismatica. Un lavoro eccezionalmente documentato che, ricostruendo le tre spedizioni del 55 e 54 a.C. di Giulio Cesare, del 43 d.C. di Claudio e del 296 d.C. di Costanzo Cloro, offre una dettagliata testimonianza della grandezza dell’impresa dei Romani nella conquista della Britannia, sfidando l’ignoto di una navigazione ‘oltre il fiume oceano’; si tratta di quel fiume che secondo le pagane credenze dell’epoca, circondando le terre emerse, separava il mondo dei vivi da quello dei morti, l’Ade. Un’impresa titanica, considerando che il potere militare dei Romani trovava la sua massima espressione per la via terrestre e non anche per quella navale ma che, grazie alla superiorità` tecnologica e logistica, e` riuscita a sostenere le proprie forze combattenti. In tal senso il libro fornisce anche una dettagliata ricostruzione dell’attuale modello “expeditionary”, cioe` di logistica integrata, intesa come capacita` delle forze armate di proiettarsi rapidamente ed operare con continuità in teatri esterni e distanti. Un modello che, ripreso dalla Gran Bretagna nella fase imperiale e perfezionato dagli Stati Uniti dopo la II Guerra Mondiale e`, ancora oggi, scelto dalle forze armate di tutti i maggiori Paesi occidentali.

Come largamente riconosciuto, questo libro colma un vuoto nella letteratura accademica internazionale laddove l’autore, senza sacrificare l’impianto divulgativo, fornisce una descrizione degli eventi integrata dalle diverse discipline e, in maniera particolare, per le spedizioni successive a quella di Giulio Cesare ben documentata nel De Bello Gallico comunque “…da leggere anche tra le righe, nelle sue apparenti omissioni ed in un’ottica di propaganda per i successi ottenuti in nove anni di presenza di Cesare in Gallia..”. Infatti, grazie a tale approccio, andando controcorrente, nel capitolo IV si evidenziano molte reticenze e cose, militarmente, poco verosimili di Cesare sugli eventi preliminari alla prima spedizione (55 a.C.) che, solo a posteriori, giustificano mancanze o errori di valutazione, con cui supplì con la “pristina fortuna” che egli stesso si attribuiva. Inoltre, sempre Cesare, per la seconda spedizione (54 a.C.), come ben dimostrato, impose modifiche di configurazione alle navi che risultarono tutte dannose alla stabilità e sicurezza della navigazione.

Una lettura ricca, affascinante e coinvolgente; un tuffo a tutto tondo in un lontano passato che si lega, incredibilmente, alle odierne criticità della nostra Europa. Un’Europa certamente piu` simile alla società dell’impero Romano del III e IV secolo che, dopo una rapida espansione, si avviava alla decadenza, causata da quelli che Polibio (Historie, VI, 57), definiva imprevedibili fattori esterni, come ad esempio gli attuali flussi migratori, o da fattori interni, come potrebbe considerarsi l’innalzamento dei muri di confine da parte di alcuni Stati Membri protagonisti dell’allargamento dell’UE nel 2004.

Ammiraglio Bettini, la grandezza dell’Impero Romano nell’espandersi alla fine ne ha decretato la decadenza. Corriamo lo stesso rischio, oggi, in Europa?
La storia ci ha insegnato come una società troppo aperta comporti, inevitabilmente, una perdita di compattezza nella propria identità collettiva; l’identità europea oggi appare ancora molto fragile e quindi è opportuno trattare la società odierna con la logica del rischio, essere, cioè consapevoli della quantità di rischio che vogliamo e siamo in grado di accettare (risk managment) e, quindi, sviluppare le conseguenti strategie sociali.

Lei ha avuto una vita densa di impegni professionali e non, legati al mare. Da dove nasce l’esigenza di misurarsi con quest’ultimo lavoro?

Negli anni di permanenza a Londra in qualità` di Addetto per la Difesa e la Marina, ho potuto constatare quanto il modello politico, sociale e militare Romano sia ancora oggi rilevante nella cultura britannica. Gli interrogativi più ricorrenti dei miei interlocutori riguardavano molto di più la conquista dell’Isola e la successiva decadenza da parte dell’Impero Romano, che non la visione nazionale in tema di Difesa e Sicurezza. Quegli anni sono stati senz’altro da stimolo, ed ho così iniziato ad approfondire, anche attraverso letteratura inglese e la visita e conoscenza diretta dei luoghi archeologici.

Per quale ragione il mondo anglosassone rimane cosi legato a quello Romano?

Probabilmente perché il modello di vita del cittadino romano, pienamente immerso nella vita quotidiana delle lontane province, era retto da un architrave di regole che riusciva a tenere insieme etnie diverse, senza distruggere la comunalità della governance interna. In tal senso, solo l’impero britannico dell’era moderna ha ereditato la visione romana nella modalità di governo dei popoli assoggettati.

Oltre il fiume oceano e` ricco di approfondimenti che abbracciano diverse discipline, dalla geografia alla nautica, storia, archeologia, filologia fino alla numismatica. Quanto tempo ha dedicato alla ricerca delle fonti e per la redazione?

Lo studio comincia nel 2005 e per scriverlo sono stati necessari due anni.  Ho cercato di operare una ricostruzione degli eventi legati all’impresa navale e non a quella terrestre, se non quando strettamente rilevante per la comprensione del ruolo operativo o logistico della flotta, incrociando, quindi, dati di varie fonti e discipline.

I Romani non erano di certo una potenza navale, come sono riusciti a portare a termine una simile impresa?

L’impresa e` stata davvero enorme, ed è soltanto collegando la storia al mondo della navigazione romana che si puo` comprendere la grandezza dei romani. 45.000 uomini partiti verso aree ancora poco conosciute, volendo mantenere una totale autonomia logistica  (soprattutto approvvigionamento di acqua e viveri). Misure spropositate per l’epoca. Sono riusciti a portarla a termine per diversi fattori: la tempra degli uomini, la tecnologia e la logistica. I legionari erano uomini fedeli all’imperatore e fidelizzati con i loro comandanti, pronti a seguirli oltre ogni dovere; più che un’istituzione, i soldati erano una classe sociale. Inoltre, rispetto alle altre popolazioni erano tecnologicamente avanzati nella costruzione delle imbarcazioni e con un pragmatismo attraverso il quale imparavano rapidamente dall’esperienza concreta. Per tali ragioni non dobbiamo sorprenderci del fatto che, in uno studio del 1908, preparato per lo Stato Maggiore dell’Esercito britannico, le tabelle di marcia e carico utilizzate, facessero ancora riferimento a quelle redatte dai romani nel corso delle spedizioni per la conquista della Britannia.

Il tema di questo suo terzo libro e` molto diverso da quelli dei precedenti. A quale dei tre si sente piu` legato e perché?

Certamente Oltre il fiume Oceano! Attraverso questo lavoro ho condotto un mio personale viaggio nelle passioni di sempre, quelle che hanno segnato la mia vita da marinaio.

 

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Friuli Venezia Giulia, prosegue con successo il Festival delle Dimore Storiche

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Prosegue con successo con la seconda edizione il Festival delle Dimore Storiche organizzato da ADSI FVG (Associazione delle Dimore Storiche): quattro giorni per conoscere la storia del Friuli Venezia Giulia, visitando e vivendo il ricco patrimonio artistico ed architettonico della regione che spesso resta nascosto dietro siepi e cancelli.
 
Dal 25 al 28 aprile, con l’apertura straordinaria delle dimore e dei parchi, è stato realizzato un ricco programma di eventi organizzati grazie all’iniziativa dei proprietari: degustazioni, concerti, presentazioni di libri, esercizi di cucina..
 
Sono 21 le dimore private, ancora oggi abitate, che hanno aperto le porte e proprio i proprietari hanno fatto da guida per raccontarne non solo storia e caratteristiche architettoniche, ma anche aneddoti e curiosità dei luoghi che si tramandano da generazioni.
 
“È una grande soddisfazione poter organizzare il secondo Festival dopo la sfida della prima edizione: il nostro obiettivo era proprio quello di renderlo un appuntamento annuale; – sottolinea il presidente di Adsi Fvg Raffaele Perrotta –lavorando da mesi per costruire un programma ricco e vario in modo da attrarre sia chi vive sul territorio sia chi arriva da fuori regione e da oltre confine. Si tratta di un’occasione unica per far conoscere un patrimonio unico in Europa per storia, per valore culturale ed artistico.”
 
Sono sedici le dimore ad aver aperto in provincia di Udine: partendo dalla Carnia con Palazzo De Gleria (Comeglians), scendendo nelle colline a nord della città con Casa Asquini (Fagagna), La Brunelde Casaforte d’Arcano (Fagagna), Villa del Torso Paulone (Brazzacco di Moruzzo), Villa Gallici Deciani (Cassacco), Villa Schubert (Marsure), passando per il centro di Udine con Palazzo Orgnani,  Palazzo Pavona Asquini e Villa Garzoni, fino ad arrivare a sud con Casa Foffani (Clauiano), il Folador di Villa Rubini (Trivignano), Villa Iachia (Ruda), Villa Lovaria (Pavia di Udine), Villa Pace (Campolongo Tapogliano), Villa Ritter de Zahony (Monastero di Aquileia), Villa Vitas (Strassoldo di Cervignano del Friuli).          
 
Tre dimore invece nel goriziano, Villa Attems Cernozza di Postcastro (Lucinico), Villa del Torre (Romans d’Isonzo) e Villa Marchese de Fabris (San Canzian d’Isonzo), e due nel pordenonese, il Palazzo d’Attimis Maniago (Maniago) e Palazzo Scolari (Polcenigo).
 
Il programma è risultato ricco e variegato con oltre 40 eventi comprendenti aperitivi in villa e degustazioni, cene, presentazioni di libri, mostre d’arte e fotografiche, concerti, conferenze, spettacoli teatrali.
 
Per la visita guidata alle dimore era richiesta un’offerta minima di 10 euro a persona: i fondi raccolti serviranno a sostenere ulteriori progetti di valorizzazione del patrimonio culturale privato ADSI FVG e del territorio circostante. Bambini e ragazzi fino a 17 anni entravano gratis.
 
Il programma completo delle aperture e degli eventi con luoghi, orari e prezz disponibile su: bit.ly/3VryIWM, oppure consultando i profili social (Instagram e Facebook del Festival).
Privo di virus.www.avast.com

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A Milano l’arte elegante del pugliese parigino

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Palazzo Reale a Milano  sta celebrando, per la prima volta, con una mostra monografica, il talento di Giuseppe De Nittis esponendo una novantina dipinti, tra oli e pastelli, provenienti dalle principali collezioni pubbliche e private, italiane e straniere, tra cui il Musée d’Orsay e il Petit Palais di Parigi, i Musée des Beaux-Arts di Reims e di Dunquerke, gli Uffizi di Firenze – solo per citarne alcuni – oltre allo straordinario nucleo di opere conservate alla GAM di Milano e una selezione dalla Pinacoteca di Barletta, intitolata al Pittore, che ne conserva un eccezionale numero a seguito del lascito testamentario della vedova Leontine De Nittis.
 
La consacrazione di Giuseppe de Nittis come uno dei grandi protagonisti della pittura dell’Ottocento europeo è avvenuta grazie alla fortuna espositiva di cui ha goduto a partire dalla magnifica retrospettiva dedicatagli nel 1914 dalla 11a Biennale di Venezia. Altre tappe fondamentali sono state la mostra ‘Giuseppe De Nittis. La modernité élégante’ allestita a Parigi al Petit Palais nel 2010-11, e nel 2013 la fondamentale monografica a lui dedicata a Padova a Palazzo Zabarella.
 
In ‘De Nittis. Pittore della vita moderna’ si intende esaltare la statura internazionale di un pittore che è stato, insieme a Boldini, il più grande degli italiani a Parigi, dove è riuscito a reggere il confronto con Manet, Degas e gli impressionisti, con cui ha saputo condividere, pur nella diversità del linguaggio pittorico, l’aspirazione a rivoluzionare l’idea stessa della pittura, scardinando una volta per sempre la gerarchia dei generi per raggiungere quell’autonomia dell’arte che è stata la massima aspirazione della modernità.
 
I francesi e De Nittis, che si è sempre sentito profondamente parigino di adozione, hanno affrontato gli stessi temi, come il paesaggio, il ritratto e la rappresentazione della vita moderna che De Nittis ha saputo catturare lungo le strade delle due metropoli da lui frequentate, in quegli anni grandi capitali europee dell’arte: Parigi e Londra. Ha saputo rappresentare con le due metropoli, in una straordinaria pittura en plein air, i luoghi privilegiati della mitologia della modernità, che saranno collocati al centro di un percorso espositivo articolato lungo un arco temporale di vent’anni, dal 1864 al 1884, ricostruendo un’avventura pittorica assolutamente straordinaria, conclusasi prematuramente con la sua scomparsa a soli 38 anni di età. I risultati da lui raggiunti si devono a un’innata genialità, alla capacità di sapersi confrontare con i maggiori artisti del suo tempo, alla sua curiosità intellettuale, alla sua disponibilità verso altri linguaggi. È inoltre tra gli artisti dell’epoca che meglio si è saputo misurare con la pittura giapponese allora diventata di moda.La mostra vede infine la collaborazione di METS Percorsi d’Arte, che ha contribuito al progetto espositivo con l’apporto di un importante nucleo di opere provenienti da collezioni private, tra le quali il Kimono color arancio, Piccadilly e la celeberrima Westminster.
 
Tutto questo è sottolineato dalla mostra e dal ricco catalogo Silvana Editoriale.
 
Una vita breve ma sufficiente per entrare nella storia dell’arte
 
Giuseppe De Nittis nacque a Barletta il 25 febbraio 1846. A pochi mesi dalla sua nascita, il padre si suicidò dopo due anni di carcere per motivi politici e Giuseppe crebbe con i tre fratelli nella casa dei nonni paterni. Fin dall’infanzia manifestò una forte propensione alla pittura e, nonostante il parere contrario della famiglia, si iscrssee nel 1861 all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Insofferente agli schemi accademici, fu espulso due anni dopo ed iniziò a dipingere en plen air con altri artisti, come Federico Rossano e Marco De Gregorio. Nel 1866 partì per Firenze dove prese contatto con il gruppo dei Macchiaoli. Dopo aver visitato Palermo, Roma, Venezia e Torino, nel 1867 si trasferì a Parigi dove due anni dopo sposò Léontine Lucile Gruvelle. Nel 1869 partecipò per la prima volta al Salon con opere molto vicine al gusto parigino. Il soggiorno napoletano del 1870 vide il suo stile arrivare alla maturità e all’indipendenza artistica e il ritorno a Parigi nel 1872 segnò il suo successo con la partecipazione al Salon dell’opera ‘Una strada da Brindisi a Barletta’. Il dipinto ‘Che freddo!’ esposto al Salon nel 1874 rappresentò l’affermazione definitiva dell’artista, che si meritò anche l’appellativo ‘peintre des Parisiennes’ (pittore della parigine). Nello stesso anno partecipò con ben cinque tele alla prima esposizione di quello che sarà il gruppo impressionista tenutosi nello studio del fotografo Nadar. In cerca di nuovi stimoli partì poco dopo per Londra, dove realizzò una serie di opere dedicate alla vita quotidiana della città. Partecipò all’Esposizione Universale di Parigi nel 1878 con dodici lavori che polarizzarono l’attenzione sia del pubblico che della critica. Negli ultimi anni si concentrò particolarmente sulla tecnica del disegno a pastello. Colpito da una forte bronchite nel 1883, rimase per mesi bloccato a letto e dipingere diventò sempre più difficile; morì a  Saint-Germain-en-Laye (Francia)   il 21 agosto del 1884 a causa di un ictus cerebrale. È sepolto a Parigi, nel cimitero di Père-Lachaise (divisione 11) ed il suo epitaffio fu scritto da Alessandro Dumas figlio. Sua moglie Léontine donò molti suoi quadri alla città natale del pittore, ora conservati nella Pinacoteca De Nittis collocata nel Palazzo della Marra a Barletta.
 
Informazioni:
 
Una mostra Comune di Milano – Cultura | Palazzo Reale | CMS.Cultura
 
A cura di Fernando Mazzocca e Paola Zatti , fino al  30.06.2024
 
Orario: Da martedì a domenica ore 10:00-19:30, giovedì chiusura alle 22:30. Ultimo ingresso un’ora prima. Lunedì chiuso.
 
Biglietti
 
Aperto: € 17,00; Intero: € 15,00;Ridotto: € 13,00; Esclusi i costi di prevendita.
 
Info e prenotazioni: palazzorealemilano.it     mostradenittis.it
 
Privo di virus.www.avast.com

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Isola delle rose e isola dei famosi: due esperimenti sociali agli antipodi

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L’Isola delle Rose e l’Isola dei Famosi rappresentano due realtà molto diverse tra loro, sia dal punto di vista sociologico che motivazionale, che riflettono cambiamenti significativi nella società nel corso del tempo.

L’Isola delle Rose è un’isola artificiale costruita nel 1967 al largo della costa italiana vicino a Rimini. Fu creata come una micronazione autoproclamata dallo scienziato e ingegnere italiano Giorgio Rosa, con l’obiettivo di sfidare la sovranità territoriale italiana e promuovere l’ideale di libertà e indipendenza. L’Isola delle Rose rappresenta una sperimentazione sociale e politica, con l’idea di creare una comunità utopica basata sulla cooperazione e l’autogestione.

D’altra parte, l’Isola dei Famosi è un reality show televisivo in cui un gruppo di persone famose viene portato in un’isola remota e deve affrontare sfide fisiche e mentali per sopravvivere e guadagnare premi. L’Isola dei Famosi è incentrata sull’intrattenimento e sulla competizione, con l’obiettivo di attirare l’attenzione del pubblico e generare interesse attraverso il dramma e le dinamiche interpersonali.

Le differenze sociologiche tra le due realtà sono evidenti:

  1. Finalità e motivazioni: L’Isola delle Rose era motivata da ideali di libertà, indipendenza e sperimentazione sociale, mentre l’Isola dei Famosi è incentrata sull’intrattenimento, la competizione e la celebrità.
  2. Struttura sociale: L’Isola delle Rose aveva una struttura sociale basata sull’autogestione e la cooperazione tra i membri della comunità, mentre l’Isola dei Famosi ha una struttura gerarchica con ruoli definiti e dinamiche di potere.
  3. Approccio alla vita quotidiana: Sull’Isola delle Rose, i residenti dovevano affrontare le sfide della vita quotidiana in un ambiente isolato e autonomo, mentre sull’Isola dei Famosi i concorrenti affrontano sfide create artificialmente per l’intrattenimento televisivo.
  4. Rapporto con il mondo esterno: L’Isola delle Rose era isolata dal resto del mondo e tentava di sfidare le autorità nazionali, mentre l’Isola dei Famosi è un programma televisivo che ha una forte connessione con il mondo esterno attraverso la trasmissione televisiva e i social media.

In conclusione, l’Isola delle Rose e l’Isola dei Famosi rappresentano due esperimenti sociali molto diversi tra loro, che riflettono valori, ideali e obiettivi differenti. Mentre l’Isola delle Rose rappresentava un tentativo di creare una comunità utopica basata sulla libertà e l’autogestione, l’Isola dei Famosi è un programma televisivo che si concentra sull’intrattenimento, la competizione e la celebrità.

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