Arce, omicidio Serena Mollicone e morte del Brigadiere Santino Tuzi: due facce della stessa medaglia?

La famiglia del brigadiere dei carabinieri Santino Tuzi è
stata ammessa, insieme all’Arma dei carabinieri, come parte civile nel
procedimento penale che, se il Gup del Tribunale di Cassino riterrà sufficienti
le prove addotte dalla pubblica accusa, si svolgerà a carico del Maresciallo
dei carabinieri Franco Mottola, di sua moglie e di suo figlio Marco, indagati
con altri due militari dell’Arma per la morte di Serena Mollicone e per il
reato di istigazione al suicidio riguardante appunto la morte del brigadiere Santino
Tuzi.

Addentrarsi nel caso del suicidio del brigadiere Santino
Tuzi è come avventurarsi nelle sabbie mobili di una palude in cui alla fine si
perde il senso d’orientamento. Una donna che dichiara di essere stata l’amante
del brigadiere, riferisce il fatto che Santino si sarebbe tolto la vita con un
colpo di pistola al petto di cui lei ha sentito la deflagrazione attraverso il
cellulare durante una conversazione con Santino, dopodichè il telefonino è
stato chiuso.

Il cadavere del brigadiere è stato trovato riverso sul sedile di guida della sua Fiat Marea, con la pistola d’ordinanza posta sul sedile accanto, quello del passeggero. E questi sono gli unici fatti certi, di cui esistono immagini, tranne quelle, che sarebbero state preziosissime, del corpo del brigadiere.

La famiglia, ed in particolare la figlia Maria, nega ogni possibilità che il brigadiere Santino Tuzi avesse una relazione extraconiugale, e che addirittura la ragione del suicidio sia da trovare nell’intenzione della sua amante di lasciarlo per un’altra persona.

L’intervista all’avvocato Rosangela Coluzzi e Maria Tuzi figlia del Brigadiere dei Carabinieri Santino Tuzi

Viene anche posto in dubbio il fatto che il brigadiere, descritto come marito affettuoso, in procinto di andare in pensione per dedicarsi al nipotino, avesse una relazione adulterina.

Viene adombrato il dubbio che qualcuno sia intervenuto nella sua morte, che cioè sia stato ‘suicidato’, dato che a breve sarebbe stato ascoltato in merito alla morte di Serena Mollicone, quale unico testimone che avesse visto Serena, in quella fatidica mattina del primo giugno, entrare nella caserma per non uscirne più, fino a quando il Tuzi era di piantone. Né vogliamo addentrarci qui in considerazioni che sarebbe troppo lungo esperire. L’unico fatto oggettivo è la morte del brigadiere.

È chiaro però un fatto: nessuna indagine scientificamente esatta è stata fatta dai carabinieri o da chi per loro sul luogo della morte di Tuzi, né sono state poste in essere tutte quelle cautele che riguardano una che oggi possiamo definire una scienza esatta, cioè l’esame della scena del crimine.

Non si sa se esistessero due fondine d’ordinanza, né perché sia stato dichiarato che una era stata reperita nell’armadietto del brigadiere, e l’altra sul sedile posteriore dell’auto. Non sono stati fatti esami comparativi con la pistola d’ordinanza, ritrovata sul luogo della morte di Tuzi, dell’ogiva che lo ha ucciso, per stabilire se effettivamente era l’arma del delitto. Non è stato fatto alcun esame per rilevare tracce di polvere da sparo (stub) sulle mani del brigadiere, per vedere se fosse stato lui a sparare.

Non sono stati fatti rilevamenti per stabilire se lo sparo fosse avvenuto nell’abitacolo dell’auto. Ha generato sospetti il fatto che la pistola fosse sul sedile del passeggero, ma nessuno ha chiesto ai carabinieri intervenuti (della caserma di Isola Liri, dove Tuzi era stato da poco trasferito) se per caso avessero toccato l’arma, ne avessero ripulito le impronte e l’avessero spostata; anche se il medico legale prof. Costantino Ciallella ha dichiarato che sparandosi un colpo al petto probabilmente il Tuzi avrebbe potuto impugnare l’arma con ambedue le mani, e quindi il fatto che la stessa sia stata trovata su quel sedile ci sta tutto.

Non si sa perché – e non si sa se – dal caricatore della Beretta mancassero non uno ma almeno due cartucce, né si sa se nell’abitacolo siano stati repertati uno o due bossoli; né gli stessi sono stati esaminati per l’evidenziazione di tracce papillari (impronte digitali) di chi l’avrebbe dovuta materialmente caricare, cioè Santino Tuzi. Questo per cominciare.

La leggenda metropolitana, visto anche che la figlia Maria nega recisamente che il padre avesse un carattere tale da portarlo al suicidio e men che meno per una presunta amante che volesse lasciarlo, fa intendere che il Tuzi sarebbe stato ‘suicidato’ perché teste chiave nel procedimento contro la famiglia Mottola, quale unico testimone di un fatto che non è mai stato accertato senza ombra di dubbio, e cioè che Serena Mollicone quella mattina del primo giugno 2001 sia effettivamente andata in caserma dal maresciallo Mottola. E quindi il ‘suicidio’ porterebbe a ben altri scenari, cioè un crimine commesso per coprirne un altro commesso precedentemente. E questo accuserebbe il maresciallo Mottola e la sua famiglia. La morte di Tuzi è stata comunque archiviata come suicidio, e il capo d’accusa che la riguarda, nei confronti dei cinque imputati, è quello di ‘istigazione al suicidio’.

In tanto marasma, un altro fatto è certo: che nei confronti della morte di Santino Tuzi nessuna indagine è stata fatta, o ciò che è stato fatto è stato fatto ‘con i piedi’, per usare un’espressione corrente. Tanti fatti non sono più verificabili, e non sapremo mai la verità.

Vogliamo, in chiusura, riportare una dichiarazione del professor Carmelo Lavorino, consulente della difesa della famiglia Mottola, già artefice dell’assoluzione del carrozziere Carmine Belli dopo diciassette mesi di isolamento, accusato dello stesso omicidio.  

Carmelo Lavorino: “Poiché risulta che il brig. TUZI era UOMO E CARABINIERE onesto, fermo, coerente, coraggioso, con alto senso della LEGALITÀ e tutore dell’ordine, MAI E POI MAI se avesse realmente assistito a un reato (entrata di Serena Mollicone nella caserma e percezione dell’aggressione ai suoi danni così come dicono gli Inquirenti “rumore della colluttazione al piano superiore tanto che Serena veniva sbattuta con forza contro la porta”) avrebbe permesso tale reato e lo avrebbe taciuto: AVREBBE FATTO SICURAMENTE IL SUO DOVERE. MAI avrebbe omesso di avvertire i superiori provinciali e la Procura sorpassando il m.llo Mottola, MAI si sarebbe reso complice di tale misfatto. QUINDI, il brig. Tuzi, proprio per le sue qualità personali, NON HA VISTO NULLA E A NULLA HA ASSISTITO altrimenti non avrebbe omesso per sette anni la verità ed avrebbe sicuramente salvato Serena Mollicone (la reticenza ripetuta è inganno: un carabiniere ha l’obbligo giuridico di dire la verità e di impedire reati). QUINDI, il brig. Tuzi per complicati e delicati fenomeni e processi psichici ha riferito un qualcosa che MAI ha visto (altrimenti non sarebbe stato reticente) e, per motivi da investigare, ha riferito un qualcosa che MAI ha visto. Per la morte di Tuzi, che gli inquirenti hanno archiviato come suicidio dopo due consulenze medico legali, stiamo attendendo il fascicolo per capire noi, in modo indipendente, come siano andate le cose.”