Guerriglia urbana sulle antiche mura
Ferrara, massacro di Renazzo: 60 anni di carcere per i due assassini di Cloe Govoni
di Andrea Barbi
FERRARA -. E' finita l'attesa per i familiari di Cloe Govoni, uccisa, durante una rapina nella sua casa di Renazzo (una frazione di Cento, nel ferrarese) il 6 Novembre 2015. Due ragazzi rumeni quella notte entrarono in una villetta di campagna sperando di potersi accaparrare un ricco bottino ma, dopo essere stati colti in fragrante dall'anziana padrona di casa, l'ottantaquattrenne ex insegnante in pensione e da sua nuora, la cinquantatreenne Maria Humenic che da tempo l'accudiva; massacrarono di botte le due malcapitate. Fu proprio la badante di Cloe a riuscire a chiamare i soccorsi. Entrambe furono portate d'urgenza all'ospedale, ma per l'anziana ogni tentativo dei medici di salvarle la vita si rivelò vano, morì pochi giorni dopo il ricovero al Sant'Anna di Cona a causa delle gravi ferite subite durante la barbara aggressione, mentre la moglie di suo figlio, ferita anche lei gravemente, fortunatamente si salvò. Ieri è arrivata la sentenza del processo iniziato lo scorso ottobre.
il giudice Piera Tassoni, dopo aver valutato le richieste dell'accusa (ergastolo) e le tesi presentate dalle difese (riduzione a omicidio preterintenzionale e non voluto), ha condannato a 30 anni di carcere due giovani che abitavano nei pressi di Castelfranco: Leonard Veissel, 27 anni, e Florin Constantin Grumeza, di 23. Il giudice ha valutato che l'omicidio dell'anziana e il tentato omicidio della donna che la accudiva erano punibili con l'ergastolo, ma per via della riduzione dovuta al rito (in abbreviato, sconto di un terzo) la pena è scesa a 30 anni di carcere.
Il massacro di Renazzo sconvolse non solo l'intera comunità locale, ma ebbe grande eco anche a livello nazionale. Molti, infatti, furono i politici che non mancarono di commentare la vicenda.
Lo stesso comune di Cento decise fin da subito di costituirsi parte civile al processo contro i due malviventi.
Anche il comune, così come i famigliari, ha avuto la sua parte al termine del processo. Il giudice ha stabilito infatti un risarcimento da 15 mila euro, che va a sommarsi ai 60 mila fissati per Andrea Ardizzoni (figlio della vittima)e ai 60 mila per Maria Humeniuc, miracolosamente scampataalla furia omicida. Ora non resta che attendere le motivazioni della sentenza, per le quali il gup si è preso 90 giorni di tempo.
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Ferrara: la piena del Po in transito nel punto cruciale
di Andrea Barbi
FERRARA – Sta transitando il colmo della piena del grande fiume padano a Pontelagoscuro, frazione rivierasca di Ferrara che rappresenta da sempre un punto delicato, se non il più a rischio esondazione di tutto l’intero corso del Po. In questo punto, infatti, il letto del fiume si restringe, inspiegabilmente, parecchio rispetto al tratto che la prevede, per poi ritornare ad allargarsi dopo poche centinaia di metri, riprendendo il suo normale corso verso il mare Adriatico.
Come se la natura avesse volutamente scherzato, uno scherzo di cattivo gusto, tenendo conto che quella specie di enorme imbuto naturale convoglia le acque padane le quali si innalzano pericolosamente, facendo temere il peggio ad ogni piena di questa portata. L’autunno e la primavera, i due periodi dell’anno maggiormente interessati a precipitazioni di tipo piovoso sono ovviamente le stagioni in cui i fiumi fanno parlare di sé e come spesso capita il protagonista è il più grande di loro, il Po che dopo aver provocato molti danni in Piemonte sembra risparmiare le altre regioni che attraversa. Il merito è del mare che fortunatamente come dicono gli abitanti del luogo “tira bene”, ovvero la forte corrente d’acqua riesce a defluire agevolmente nell’Adriatico, poiché la corrente marina è favorevole. In caso contrario, se cioè la corrente dovesse essere contraria, nel delta del Po si formerebbe una sorta di “tappo” che impedirebbe l’afflusso delle acque dolci.
È una fortuna che ciò accada poiché secondo il parere di Gianluca Zanichelli responsabile di Aipo (Agenzia Interregionale per il Po): “la portata d’acqua di questa piena è davvero molto consistente, abbiamo effettuato delle registrazioni idrometriche (altezza dell’acqua) che ci hanno allarmato nei giorni scorsi, ma fortunatamente la corrente è costante e le acque scorrono velocemente senza creare problemi.”
Questione di libertÃ
Di Andrea Barbi
Avendo assistito a tanti dibattiti in merito alla riforma costituzionale che il prossimo 4 dicembre saremo chiamati a votare ho capito che, a prescindere dalla conoscenza giuridica e dai buoni propositi di chi vi partecipa, tutte queste discussioni hanno in comune un dato incontrovertibile, ovvero, sono incomprensibili alla maggioranza di chi li ascolta. Persino chi ha compiuto percorsi di studi universitari o si interessa di politica, fatica a seguire per intero un dibattito sulla costituzione; molti ne escono più confusi di prima. Non è mia intenzione, quindi, entrare nel merito della riforma per discuterne ogni passo, ma tentare di essere il più chiaro possibile per far capire a chiunque legga questo articolo i rischi concreti che la nostra democrazia sta correndo.
E’ perfino imbarazzante dover illustrare concetti che dovrebbero far parte dello scontato bagaglio culturale condiviso da ogni cittadino che abbia assolto l’obbligo scolastico. Eppure sono le cronache politiche di questi mesi a evidenziarne la necessità.
Ma queste sono, ormai, tutte considerazioni travolte dalla brutalità della realtà politica dell’Italia di questi mesi. Oggi si è arrivati al punto che la decisione politica effettiva di cambiare la costituzione non è stata assunta in una sede parlamentare. E non è nata neppure nell’ambito dei gruppi parlamentari, o di partiti, che rappresentino la prescritta maggioranza dei due terzi, o almeno quella assoluta. Tanto meno il progetto di riforma è stato presentato, discusso e dibattuto pubblicamente in una campagna elettorale, prima di essere perfezionato. Partiti, gruppi parlamentari ed elettori dovrebbero trangugiare tale e quale una decisione di tale portata, solo in quanto essa ha costituito l’esito di un incontro avvenuto fra due capi politici, uno dei quali ha ricevuto dal parlamento un voto di fiducia come presidente del Consiglio dopo essere stato legittimato nient’altro che da una votazione di partito, e l’altro è addirittura decaduto dallo stato di parlamentare per indegnità, in quanto condannato con sentenza definitiva per avere commesso un grave delitto e non essere riuscito, per una volta, ad acchiappare un ennesimo proscioglimento per prescrizione. Questa procedura ridicola è stata giustificata dal governo e dalla sua maggioranza con l’argomento che le riforme si decidono tutti assieme. Cioè in due, e quando uno dei due, strumentalmente si è tirato indietro, l’altro ha preteso di andare avanti lo stesso, dopo avere addirittura apportato modifiche al patto stretto con il suo degno sodale.
Il governo fa della bassa demagogia, quando accusa chi critica le sue proposte di essere contrario al cambiamento, di voler conservare semplicemente l’esistente. Si può anche condividere l’idea che sia opportuno superare il bicameralismo perfetto, ma queste non sono buone ragioni per avvallare riforme che, così come sono concepite, costituiscono un radicale e pericolosissimo peggioramento dell’esistente.
Se questi appena descritti non sono i chiari segni di una deriva autoritaria del nostro paese, non saprei come interpretarli diversamente.