Bologna, quello strano traffico all'Università: l'intervista shock ad una studentessa


di Andrea Barbi


BOLOGNA –  Giovedì scorso, al numero civico 36 di via Zamboni, nel centro storico del capoluogo emiliano e in piena zona universitaria ha avuto luogo una di quelle scene che mai si vorrebbero né dovrebbero vedere, specialmente nel luogo, per eccellenza, deputato alla cultura, l'Ateneo. Una delle biblioteche, con annessa aula studio, della facoltà di Lettere e Beni culturali è stata messa a soqquadro durante gli scontri tra alcuni studenti del Collettivo Universitario Autonomo e le forze dell'ordine della Polizia in assetto antisommossa. Diversi filmati, uno in particolare, che è stato caricato, in tempo reale su YouTube, mostrano la suddetta aula studio sottosopra, libri a terra, tavoli e sedie scaraventati un po' ovunque; immagini che fanno rabbrividire chiunque abbia un minimo di sensibilità nei confronti della cultura. Tutti i quotidiani nazionali si sono già ampiamente occupati delle dinamiche di questi fatti e il mondo della politica, come sempre, si è diviso su fronti opposti di giudizio riguardo questa vicenda. Sono stati intervistati i massimi rappresentanti del rettorato del più antico ateneo al mondo, l'Alma Mater Studiorum di Bologna, ma quello di cui quasi nessuno si è curato è il parere degli stessi studenti riguardo l'accaduto. Senza lo volontà di provare a ricostruire una dinamica dello scontro, con lo scopo di scaricare tutte le colpe su qualcuno o a puntare il dito su una categoria di persone etichettandole come violente e sovversive nel caso degli studenti, o reazionarie e dispotiche nel caso delle forze dell'ordine. Perché non solo non sarebbe utile ma, in questo caso, si continuerebbe a gettare benzina sul fuoco di una polemica che  fin dall'inizio ha mostrando i toni demagogici e populisti della becera strumentalizzazione politica. Quello che risulterebbe interessante e anche utile al fine di permettere, anche a chi è estraneo agli ambienti universitari e non risiede a Bologna, di potersi fare una idea obiettiva su quanto stia capitando nel capoluogo emiliano, sarebbe sentire il parere di una persona super partes che sia informata sulla vicenda e viva in prima persona quell'ambiente universitario.
 
A tal proposito L'Osservatore d'Italia ha deciso di intervistare una studentessa che non fa parte di alcun movimento politico e quel giorno si trovava, per pura casualità, a passare per via Zamboni. Si chiama S. A Bologna si trova benissimo ed è entusiasta di poter assaporare quel fermento culturale e quell'apertura mentale tipica delle grandi città e in particolare del capoluogo emiliano, che scarseggia nelle piccole realtà di provincia, come quella dalla quale proviene lei.
 
Quel giorno Sara, poco dopo le 18, stava uscendo da una delle aule studio, frequentatissime dagli studenti dei vari corsi della facoltà di lettere con sede in via Zamboni, sita al numero civico 33, cioè a pochi metri dalla biblioteca ove si erano asserragliati gli studenti del collettivo in segno di protesta. Stava per andare a recuperare la sua bicicletta, come sempre, che usa per i suoi spostamenti in città, quando si è trovata di fronte alla fase finale degli scontri tra le forze dell'ordine e gli studenti. Afferma di non conoscere le esatte dinamiche della situazione che si era creata, ma sostiene il fatto che da entrambe le parti la situazione sia sfuggita di mano. Come spesso accade, durante questo tipo di manifestazioni, tutti sono stati presi alla sprovvista: gli studenti non si aspettavano l'arrivo di uno schieramento così grande di poliziotti in assetto antisommossa e probabilmente le forze dell'ordine non avevano previsto una forte resistenza da parte degli stessi studenti. Fatta questa premessa abbiamo chiesto alla nostra intervistata di spiegarci come si sia arrivati a questa situazione, culminata in un sgombero forzato, e quale sia il suo parere di giovane ragazza estranea ai fatti, ma con un grande senso civico e personalmente molto interessata ed impegnata per le cause inerenti la tutela diritti civili per cui non esita a spendersi e mettersi in gioco.

 
Sara come e quando è nata la questione?
 
“Lo scorso 25 gennaio l'università ha fatto montare i tornelli all'entrata del civico 36 di via Zamboni in previsione di tenere aperta quell'aula studio fino a mezza notte, per dare la possibilità, agli studenti che ne hanno bisogno, di studiare fino a quell'ora. Da quel momento, i toni del malcontento, che già aleggiava nell'aria da un po', si sono concretizzati e alcuni studenti del collettivo hanno iniziato a fare volantinaggio tra gli studenti di lettere per diffondere la loro contrarietà a questo a provvedimento preso dall'alto, senza consultare i frequentatori della stessa aula studio.”
 
 
In cosa consistono questi tornelli?
 
“Sono come quelli presenti anche nei supermercati, o altri luoghi come gli aeroporti ecc… Servono per controllare l'afflusso di persone che entra in un determinato luogo. In questo caso bisogna inserire il proprio badge, quello di cui tutti gli studenti sono provvisti, nell'apposito spazio collegato ad un sistema elettronico che riconosce i tuoi dati anagrafici, in modo tale da riservare l'ingresso ai soli studenti e controllare le affluenze.”
 
 
Sono presenti anche in altre aule studio?
 
“Certo, in quasi tutte le aule studio a Bologna si usa questo sistema e dove non c'è, comunque ti viene richiesto, dagli addetti, un documento di identità. Quella era l'unica aula studio ad ingresso completamente libero e non controllato.”

 
Qual è la situazione di quella aula studio, chi la frequenta?
 
“Chiunque può frequentarla, anche io ci sono andata diverse volte, ma preferisco recarmi in altri posti per studiare come al civico 33, dov'ero giovedì pomeriggio.”
 
Perché?
 
“Per diversi motivi. Primo perché la stessa struttura di quel luogo spesso mi impedisce di concentrarmi. Ad esempio il fatto che sia dislocata su due piani collegati fra loro da una vecchia scala in legno che fa molto rumore al passaggio di chiunque, scricchiola e il rumore dei passi rimbomba in tutto il piano terra. Questo mi disturba. Poi c'è un costante via vai di persone che si recano nella zona nella quale ci sono le macchinette del caffè. E' l'unica posto nella facoltà dove oltre a studiare ci si può anche prendere una pausa sorseggiando un caffè e fumando un caffè in compagnia, in quanto c'è anche una panchina all'aperto alla quale si accede proprio dalla stanza delle macchinette per il caffè.”

Riguardo al fatto che sia mal frequentata è stato detto di tutto. Qual è la verità?
 
“Bé la maggioranza di chi la frequenta è iscritta all'università e ci va per studiare, poi purtroppo è vero, talvolta gli spacciatori del centro vanno in quei locali, specialmente nei mesi invernali, perché possono stare al caldo e nessuno li controlla. Questo significa che anche i loro acquirenti si rechino lì per fare i loro acquisti che avvengono principalmente nei bagni maschili. Questo è innegabile, ma non significa che chi la frequenti sia un drogato o un criminale, ripeto la maggioranza sono studenti normalissimi.”
 
 
Ma tu come giovane donna non hai paura di frequentare un luogo dove avvengono questi traffici?
 
“A me non è mai capitato alcunché da quando sono a Bologna e io non ho mai paura di andare in giro sola per la città anche la sera, ma se devo essere sincera quando mi capita di studiare fino a tardi preferisco evitare quell'aula studio proprio perché so che non è controllata e potrebbe esserci  qualche persona poco raccomandabile.”
 
Quindi ti senti più sicura quando studi in un luogo controllato?
 
Certo, mi sembra ovvio. Specialmente se devo rimanerci fino a tardi.

 
Allora qual è il motivo che ha spinto il collettivo studentesco ad opporsi in modo così estremo a quei tornelli che sarebbe utili per la sicurezza degli stessi studenti?
 
“Personalmente credo che il significato della protesta non derivi tanto dal non volere i tornelli in sé, ma dall'opporsi ad una totale mancanza di dialogo da parte delle autorità nei confronti degli studenti che per questo non si sentono considerati. Questa è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso, i tornelli sono solo il simbolo di una continua imposizione da parte del rettorato di decisioni prese in modo univoco. Da quando sono qui alcuni rappresentanti degli studenti si battono e protestano contro il continuo aumento di alcuni servizi come quello della mensa che ora costa molto, per non parlare del continuo aumento delle stesse tasse di iscrizione ad una università che diventa sempre più chiusa e proibitiva per chi non ha grandi capacità economiche. Limitare l'ingresso a quel luogo che da molti è vissuto anche come un ruolo di aggregazione oltre che di studio è stata vista come una ulteriore privazione da parte del collettivo che inizialmente ha cercato di manifestare il proprio dissenso in modo pacifico, poi quando nessuno dei rappresentanti dell'Ateneo li ha ascoltati come provocazione hanno staccato i tornelli e li hanno portati davanti al rettorato, sperando così di riuscire a farsi ascoltare. Il rettorato ha invece deciso di chiudere quell'aula studio e così gli studenti del collettivo l'hanno considerato un affronto al quale hanno risposto occupandola. A quel punto è stata chiamata la polizia per effettuare uno sgombero forzato.”
 
 
Qual è la tua opinione a riguardo?
 
“Io credo che tutti abbiano sbagliato e la situazione sia stata gestita nel peggiore dei modi. Innanzitutto io mi dissocio da ogni tipo di violenza, perché la violenza genera solo altra violenza e non risolve i problemi. Tuttavia se un atteggiamento sbagliato da parte di certi studenti lo posso anche perdonare proprio in virtù dell'inesperienza e dell'esuberanza che caratterizza noi giovani che veniamo all'università proprio per imparare, non riesco a tollerarlo da parte dei rappresentanti delle istituzioni. Sono loro ad avere la responsabilità di dare il buon esempio alle nuove generazioni, se loro sono i primi a mancarci di rispetto, come possono pretendere che noi lo abbiamo nei loro confronti? Se l'università non fosse completamente indifferente ai bisogni dei propri studenti che pagano per frequentarla, non si sarebbe mai verificata questa situazione spiacevole. Quello che il collettivo ha fatto è stato un gesto sbagliato dettato dall'esasperazione di chi si batte per tutelare i diritti della propria categoria senza ottenere la minima considerazione.”
 
 
Gli altri studenti che ne pensano?
 
“Riguardo la questione dei tornelli molti erano perplessi, non avevano una opinione precisa in merito, alcuni erano favorevoli, ma tutti come me sono scossi da quanto è successo, anche perché come spesso capita in queste situazioni sono state coinvolte persone che non avevano nulla a che vedere con la protesta del collettivo. Ci sarei potuta capitare in mezzo anche io agli scontri con la polizia e non mi sarebbe piaciuto prendermi una manganellata in testa solo perchè passavo di fronte alla mia facoltà. Spero che almeno quanto è successo farà capire, a chi di dovere, che bisogna iniziare ad ascoltare gli studenti, specialmente quelli pacifici, perché l'università siamo noi.”



Tutti contro le trivelle

Argenta (Fe). “Vogliamo ribadire con forza la nostra posizione contraria alla prospezione geologica finalizzata all’estrazione di idrocarburi nell’area delle Valli di Comacchio e nel territorio del comune di Argenta”. Così il sindaco di Argenta Antonio Fiorentini, spiega qual è la posizione dell’Amministrazione in merito all’istanza di prospezione geofisica nel permesso “La Stefanina” presentato da Aleanna Resources.
In merito la giunta ha presentato un odg dello stesso segno in cui esprime “parere negativo, per tutte le considerazioni espresse in narrativa, quale espressione della volontà di un’intera comunità, al rilascio del permesso di ricerca in questione. L’esigenza primaria di tutela del territorio e del paesaggio agrario e naturale del Comune di Argenta, non puo in alcun modo conciliarsi con la possibile futura ricerca di idrocarburi a cui è direzionata la prospezione geofisica oggetto della domanda di Via”. Inoltre, “si impegna a conferire mandato al sindaco per l’adozione di ogni atto che si renda necessario per ribadire tale parere” e “dispone di trasmettere copia del presente atto al Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare quale autorità competente del procedimento”. Infine, l’odg prevede che “tutte le informazioni e documenti su tale istanza siano rese pubbliche e fruibili alla cittadinanza nel più breve termine attraverso i canali istituzionali”.
Quello dei permessi per la ricerca della presenza di idrocarburi nel sottosuolo dell’Emilia e della Romagna è un argomento che ha creato molte polemiche fin da quando con decreti ministeriali, tra il 2015 e il 2016 il governo ha dato il via libera ad alcune società tra le quali Aleanna Resources e la nostra Eni di procedere. Se si dovesse rilevare una presenza importante di gas naturale in un’area di circa 80 km quadrati tra le province di Ferrara e Ravenna, in questa zona inizierebbero le operazioni di estrazione: grandi trivelle, gasdotti e piazzali verrebbero costruiti qua e là nel comprensorio del parco regionale del delta del Po, che è stata riconosciuta come sito MAB dall’Unesco, che ne decreta la sua importanza paesaggistica e ambientale. Questo angolo d’Italia al confine tra la terra e il mare è infatti unico per la sua flora e la sua fauna. Tantissime specie di volatili nidificano proprio qui, per non parlare dei pesci il cui esemplare più rappresentativo è sicuramente la famosa anguilla di Comacchio. Paludi, sacche e boschi si alternano a campi coltivati. Un equilibrio tra natura e attività umana molto fragile.
Tutto questo è in balia di un’attività come quella estrattiva che oltre a danneggiare il paesaggio con le trivelle implica una grande produzione di rifiuti speciali. Fanghi industriali che devono essere trasportati e smaltiti. A tal proposito abbiamo intervistato Marco Chiarini, assessore alle politiche ambientali del comune di Argenta e responsabile del medesimo incarico presso per “l’Unione dei comuni valli e delizie” che ci ha rilasciato le seguenti dichiarazioni:
“Per quanto riguarda le attuali operazioni svolte nel nostro territorio con lo scopo di rilevare eventuali giacimenti di gas naturale, posso garantire che non sono operazioni invasive per il nostro territorio e per la popolazione che vi risiede. Non si tratta infatti di trivellazioni, ma segnali elettromagnetici che, tramite apposite sonde montate su camion, vengono mandati nel terreno per poi rilevarne il tempo e l’entità del ritorno. Si parla quindi di un processo che è soltanto all’inizio. Anche se dovessero rilevare la presenza di idrocarburi ci vorranno anni prima che inizino le operazioni di estrazione. Tuttavia, parlando a nome non soltanto del consiglio comunale di Argenta, ma anche per conto dell’Unione dei comuni valli e delizie, siamo assolutamente contrari ad una eventuale installazione di trivelle sul nostro territorio. I motivo di questa contrarietà che rappresenta l’opinione di tutta la cittadinanza risiede in diverse motivazioni. Tanto per iniziare i rischi sono maggiori degli eventuali benefici al quale il nostro territorio verrà  esposto. In termini di opportunita’ lavorative l’attività estrattiva non porterà nessuna nuova occasione lavorativa per i nostri concittadini; le aziende porteranno le loro risorse lavorative da fuori e i camion che trascorreranno il materiale di scarto delle trivellazioni, i fanghi che sono rifiuti speciali da trattare appartengono ad aziende specializzate, essendo un tipo di trasporto che richiede una apposita attrezzatura, che anch’esse utilizzano già una manodopera che non risiede sul territorio. Questo a fronte di un rischio sismico dovuto alle operazioni estrattive per il quale nessuno può garantirci di stare tranquilli. Di fatto se l’attività provoca terremoti lo sapremo solo qualora avverranno terremoti. Inoltre a livello paesaggistico consideriamo un controsenso il fatto che in una zona di circa 80 km quadrati che in gran parte appartiene al parco regionale del delta del Po inserito dall’Unesco tra i siti MAN, ovvero tra i siti di grande interesse naturale e faunistico per l’umanità, il paesaggio venga deturpato dalla costruzione di grandi trivelle. Per non parlare dell’impatto che un elevato traffico di mezzi pesanti può avere su un ecosistema fragile e delicato come il nostro, pieno di paludi e vegetazione che ospita una varietà davvero notevole e unica in Italia di volatili di ogni specie, alcune anche protette dal wwf perché a rischio di estinzione. Tanto che gli appassionati di birdwatching, di fotografia e di pesca considerano i nostri luoghi come meta ideale per passare giorni di vacanza rilassanti coltivando i loro hobby, intervallando queste attività con visite nei tanti siti di interesse storico culturale come le antiche ville dei fichi d’Este, i siti archeologici etruschi e una pausa da dedicare alla buona cucina in uno dei tanti agriturismi che offrono delizie culinarie tipiche, oltre ad attività sportive come equitazione, tennis e nuoto in piscina. Tutte le forze politiche e l’intera popolazione dei territori interessati a questo scempio sono concordi nel pensare che sia meglio sfruttare il nostro territorio dal punto di vista naturale per favorire il turismo votato alla tutela ambientale e storico-culturale. Mantenendo così quel difficile e spesso precario equilibrio tra attività umane e ambiente che con una agricoltura sostenibile siamo riusciti a mantenere. Vogliamo puntare all’energia proveniente da fonti rinnovabili, settore nel quale molti imprenditori locali e privati cittadini hanno investito in questi ultimi anni, costruendo impianti per le biomasse e impianti fotovoltaici, anche grazie a fondi europei. Consideriamo per tanto inaccettabile che il governo abbia accettato di dare i permessi per una attività estrattiva che risulta invasiva, obsoleta e paradossale rispetto agli obiettivi che le amministrazioni locali si sono date.”



Ferrara: l’ombra del satanismo dietro al furto di ostie consacrate

 

di Andrea Barbi



FERRARA
– Da indiscrezioni sembra la pista del satanismo quella più accreditata come movente del furto di una possiede contenente le sacre particolare consacrate avvenuto lo scorso 21 gennaio in via Giovecca nella Chiesa di Santa Chiara, la Chiesa che contiene le spoglie mortali di suor Veronica del SS Sacramento. A darne l’annuncio il giorno seguente era stato proprio  l’arcivescovo Luigi Negri al termine della messa celebrata in onore dei santi di Casa d’Este.

 

Prima della benedizione finale il capo della diocesi è infatti tornato al microfono per annunciare, indignato e triste, che "da una chiesa della nostra Diocesi è stata sottratta una pisside contenente molte ostie consacrate. E’ un dolore, ha aggiunto, che colpisce e addolora il cuore. In queste ore ho perduto la pace". Rivolgendosi poi a chi ha compiuto l’atto blasfemo, ha commentato: "Riprendendo ciò che affermò Gesù, anch’io dico ‘meglio per lui che non fosse mai nato’". Nel tempio oggetto della profanazione verra’ celebrato domani pomeriggio alle 18.00 un rito riparatorio secondo il formulario del messale per la remissione dei peccati. lI vescovo aveva anche sollecitato i sacerdoti ad essere più attenti nella custodia delle ostie data anche «la complessità di molte parrocchie". Visti i precedenti per quanto riguarda i furti di questo tipo avvenuto in varie altre località d’Italia, le ipotesi erano fin da subito le peggiori riguardo l’utilizzo della refurtiva.

 

Gli oggetti consacrati, solitamente usati durante le celebrazioni ecclesiastiche sono molto ricercati dagli amanti dell’occulto che proprio in virtù della loro sacralità li usano per i loro riti propiziatori considerandoli una sorta di sfregio al cristianesimo al quale certe sette sono avverse. In particolare, per quanto riguarda le ostile che per i cristiani non solo rappresentano metaforicamente il corpo di Cristo, ma grazie alla transustanzazione (atto Che attraverso la consacrazione secondo la dottrina cattolica trasforma la materia delle ostie nel corpo del Figlio) sono considerate il vero e proprio corpo di Cristo stesso, si pensa a possibili utilizzi durante riti satanici.




Ferrara: l'ombra del racket dell'estorsione dietro l'incendio di una discoteca

 

di Andrea Barbi

FERRARA – L’ombra del crimine organizzato aleggia sull’incendio doloso di questa notte appiccato nei locali della discoteca New Kontiki di Vigarano Mainarda piccolo comune alle porte di Ferrara. Sul luogo dell’incendio è stato trovato un biglietto sul quale rivolgendosi al gestore del locale gli si intima di: ’pagare se non vuoi avere problemi’. Da quanto si apprende da fonti confidenziali, tutto avrebbe avuto inizio sabato scorso, quando una persona si è presentata nella discoteca chiedendo soldi a uno dei gestori. Dal rifiuto opposto si sarebbe quindi scatenata la ritorsione a qualche giorno di distanza.


Le fiamme che si sono sviluppate in una sala e, grazie anche al funzionamento del sistema antincendio fortunatamente non si sono propagate negli altri ambienti, hanno distrutto la consolle, mentre il forte calore sprigionatosi dall’incendio ha danneggiato le luci a led e alcuni pannelli in poliuretano. All’interno pareti e mobili anneriti, con fuliggine presente in quasi tutta la discoteca. I vigili del fuoco intervenuti non hanno riscontrato problemi strutturali, ma ci vorranno probabilmente un paio di settimane per ripristinare i danni del locale e riprendere l’attività, normalmente aperta al pubblico il sabato e il lunedì.


Sul posto, oltre ai pompieri si sono portati i carabinieri e la scientifica, per raccogliere ogni elemento utile a chiarire l’inquietante episodio, dalle eventuali tracce di combustibile utilizzato per appiccare il fuoco fino alle impronte che potrebbero aver lasciato i responsabili, che avrebbero forzato la porta d’ingresso sul retro – non visibile dalla strada, così da permettere di agire senza essere scoperti – per poi penetrare nel locale e, infine, lasciare all’interno lo scritto intimidatorio.
Tutti i dettagli fanno pensare che dietro all’episodio vi sia l’ombra criminale di un racket, più o meno organizzato per controllare attività economiche nel territorio. Ma gli investigatori non escludono comunque altre ipotesi e stano indagando a 360 gradi.

 




paura e delirio nella bassa modenese

A dieci giorni di distanza da quella folle notte durante la quale un atto di vandalismo insensato sfregiò il centro storico di Mirandola distruggendo vetrine di negozi, cospargendo di rifiuti le strade, danneggiando molte auto in sosta ecc… La storia si ripete nella bassa modenese. Questa volta è il comune di Concordia sulla Secchia ad essere stato preso di mira dai vandali, più precisamente una zona limitrofa al suo piccolo centro storico (uno dei più martoriati dal sisma del 2012) e alcune vie di una sua frazione, Fossa. Le dinamiche sono leggermente diverse però. Il raid verificatosi nelle ore notturne, si parla di un orario compreso tra L'una e le 3, ha infatti risparmiato vetrine di spazi commerciali e arredi urbani, concentrandosi principalmente sulle automobili parcheggiate nel bel mezzo di tranquille zone residenziali abitate principalmente da anziani e famiglie. Sono decine le auto con i parabrezza distrutti, probabilmente mandati in frantumi da spranghe di ferro o martelli dalle quali, a differenza di quanto era capitato a Mirandola la notte del 13 gennaio scorso, sono stati rubati alcuni oggetti. A stupire gli stessi proprietari delle automobili, che questa mattina si sono recati in massa a fare denuncia verso ignoti presso la caserma dei carabinieri di Concordia sulla Secchia, è però la scarsa entità economica del maltolto. Il bottino consisterebbe infatti nel materiale che era depositato dentro gli abitacoli delle vetture in questione. Parliamo di alcuni pacchetti di sigarette, penne, accendini, una piccola borsa con tabella per il fai da te e altri oggetti privi di qualsiasi valore intrinseco. L'unico oggetto di relativo valore rubato è un vecchio navigatore satellitare. I danni maggiori per i malcapitati sono rappresentati dai costi necessari alla riparazione dei veicoli danneggiati. Sembrerebbe dunque non esserci un collegamento tra i fatti di questa notte e quelli di Mirandola, anche se le dinamiche appaiono simili: molte proprietà private danneggiate in un lasso di tempo piuttosto breve e il fatto che tra i residenti delle zone interessate nessuno abbia visto o sentito alcunché. Cosa difficile da credere anche in virtù di questa evidente cappa di menefreghismo mista ad omertà che si continua a percepire nell'aria. Provando a chiedere informazioni in uno dei due bar della piccolissima frazione di Fossa alle persone presenti (anziani pensionati per lo più), anche senza palesarsi come giornalisti si riscontrano reazioni molto ostili che spesso valicano il limite della maleducazione, proprio qui in Emilia che un tempo era considerata la terra della cordialità e dell'ospitalità.




Mirandola: quella strana storia del vandalo ubriaco

 

di Andrea Barbi

MIRANDOLA (MO) – Era la mattina dello scorso 13 gennaio quando Mirandola, il centro più importante dell'area nord della provincia di Modena, si svegliava sfregiata proprio nel cuore del suo centro storico. Quel bellissimo centro che per secoli è stato sede della signoria dei Pico (la nobile casata che ha dato i natali al filosofo umanista Giovanni Pico) e che porta ancora i segni evidenti di quel maledetto terremoto che tra maggio e luglio 2012 ha sconvolto la vita di migliaia di persone.

Tombini in ghisa scagliati sui parabrezza delle automobili, inferriate dei cantieri divelte, contatori elettrici provvisori sradicati, vetrine dei negozi in frantumi, cassonetti del porta a porta vandalizzati. Sembra un reportage di guerra il traumatico risveglio toccato a molti cittadini mirandolesi. Le fotografie, diffuse via social network in mattinata, parlano tristemente chiaro: alle auto in sosta sono stati pure tolti i cerchioni, qualcuna è stata sommersa dai rifiuti prelevati proprio dai cassonetti danneggiati. Neppure gli interni sono stati risparmiati dalla stupidità di un gesto che nessuno riesce ancora a spiegarsi.

 

Pochi giorni dopo i quotidiani diedero la notizia che i carabinieri avevano fermato un uomo, che sarebbe il solo colpevole di tutto quel disastro. Il nome non è ancora stato rivelato dalle autorità che hanno soltanto parlato di un 30enne del luogo, ubriaco nel momento in cui ha compiuto il malfatto. E' stato inoltre fatto presente che l'uomo in questione non è stato arrestato perché i danni da lui compiuti non sarebbero da considerare di grave entità secondo gli inquirenti. Dichiarazioni che oltre a provocare reazioni di sconcerto tra i proprietari delle automobili e dei negozi in questione, pochi sono disposti a considerare veritiere. Abbiamo più volte tentato di contattare l'arma dei carabinieri per avere chiarimenti a riguardo, ma ci è stato risposto che non possono fare dichiarazioni di alcun tipo. La reazione della politica locale, in particolare quella del sindaco di Mirandola Maino Benatti (PD) non ha fatto altro che aumentare nei cittadini la sensazione di abbandono da parte delle istituzioni che si sono solamente preoccupate di chiarire che non c'è alcuna emergenza reale riguardo la sicurezza locale, in quanto questi sarebbero singoli atti vandalici isolati. Nessun riferimento al fatto che in tutto il centro storico le pochissime telecamere di sorveglianza installate non siano attive, nessuna volontà di aumentare i controlli notturni almeno nel centro storico, niente di niente. Nessuno si è nemmeno preoccupato di contattare le famiglie e le persone interessate per constatare la loro situazione.

 

Abbiamo deciso di farlo noi de L'Osservatore d'Italia; ma non è stato facile. E' stato sorprendente constatare come anche nel cuore della pianura padana, in una zona al confine tra le ricche e moderne Emilia e Lombardia ci sia una sorta di omertà inspiegabile tra la popolazione. Ognuno sembra soltanto volersi fare gli affari propri e quando gli si chiede di rilasciare qualche dichiarazione se ne va indispettito. Fortunatamente abbiamo trovato una famiglia, paradossalmente di origine campana, disponibile a parlare dei danni che ha subito quella notte e a proporci un punto di vista diverso da quello ufficiale. Per motivi di riservatezza hanno preferito che i loro nomi non siano pubblicati, ma il loro contributo è stato prezioso e ci ha messo al corrente di dettagli inquietanti di cui nessun quotidiano aveva parlato. A esporci i fatti sono stati una ragazza di poco più di 20 anni, sua madre e suo padre insieme ad un amico di famiglia. In un secondo momento ci ha raggiunti anche il figlio maggiore, quasi 30 enne della coppia di mezza età. Dopo averci mostrato e descritto i danni subiti abbiamo parlato anche dei particolari di quella strana notte. Sono persone molto ospitali e gentili che giustamente lamentano l'ennesima ingiustizia subita. Infatti prima di trasferirsi nel centro di Mirandola, a pochi passi dal Duomo, raccontano di essere vissuti per tanti anni in un piccolo comune limitrofo fino al maledetto sisma del 2012 che ha reso inagibile l'edificio che da tanti anni abitavano. La casa non era di loro proprietà, ma tutto il mobilio, tutte le suppellettili, tutta la loro vita, è andata distrutta e nessuno gli ha mai rimborsato un solo euro. E' una famiglia umile, abituata a sudarsi ogni singolo euro che guadagna. Il padre di famiglia dopo aver lavorato per tanti anni in una fonderia, negli ultimi dieci anni è stato impiegato come manovale nell'edilizia, uno dei lavori manuali più duri e usuranti rimasti, mentre la giovane figlia già da diversi anni è impiegata in una locale fabbrica biomedicale come operaia turnista. Un lavoro che non le piace, ci confessa, ma va avanti stringendo i denti perché di questi tempi trovare un lavoro soddisfacente, ci dice, è diventato un lusso anche per i più giovani. Il fratello infatti, volontario autista di ambulanze, nonostante il diploma tecnico non trova lavoro. Hanno fatto molti sacrifici per ricomprare i mobili e tutto ciò che hanno perduto nelle macerie e fanno molta fatica a pagare l'esoso affitto di quel vecchio e umido appartamento al quarto piano di un condominio senza ascensore, nel quale ora vivono, ma non si sono mai dati per vinti. Nell'ultimo periodo erano riusciti a rimettersi in sesto e chiedendo un piccolo finanziamento sono riusciti a comprare una nuova auto utilitaria per la figlia. Dopo due giorni dal ritiro della nuova automobile, questa insieme alla vecchia utilitaria del padre sono state prese di mira da quella stupida e insensata fame di distruzione che quella notte si è scatenata proprio sotto casa loro. I danni ammontano a circa 2000 euro. Per quanto riguarda la nuova auto, la maggior parte dei danni verranno coperti dall' assicurazione, mentre per quanto riguarda la vecchia auto si arrangeranno con pezzi di ricambio usati.

 

Anche loro sono convinti che una persona sola in poche ore non possa aver fatto tutti questi danni, specialmente se, come dicono era annebbiata dai fumi dell'alcool. Su una delle due automobili addirittura è stato scaraventato un pesantissimo tombino di ghisa che è stato sradicato dalla pavimentazione urbana e ha distrutto parabrezza e cofano della vettura. “Come può una persona ubriaca farlo da sola?” continua a ripetere, incredulo, il padre di famiglia. I dettagli dei loro racconti diventano ancora più inquietanti quando ci svelano che quella mattina in mezzo a tutta quella devastazione, con la strada cosparsa di cocci di vetrine dei negozi mandati in frantumi e immondizia sparsa un po' ovunque si notavano anche delle scritte sui muri, scritte che la sera prima non c'erano e sono state immediatamente cancellate dagli addetti comunali che si sono occupati di ripulire a zona. Erano simboli di due tipi diversi ed erano presenti vicino ai portoni di diversi condomini della zona vandalizzata, scritti con bombolette spray nere a caratteri cubitali. Si distinguevano benissimo delle svastiche e delle 'A' cerchiate (simbolo dell'anarchia). Un particolare di cui nessun giornale ha parlato ma di cui i testimoni oculari non si sono dimenticati. Mi fanno notare che una persona in stato confusionale avrebbe difficoltà a disegnare correttamente quei simboli con una bomboletta spray, tra l'altro illuminato solo dalla fioca luce delle vecchie luminarie pubbliche e poi per quale motivo lo stesso individuo avrebbe disegnato due simboli rappresentanti due ideologie agli antipodi come il nazismo e l'anarchia? “Non ha senso, qualcosa non torna”, affermano. Sono diversi, quindi, gli indizi che fanno dubitare riguardo la veridicità della versione ufficiale che riconduce la responsabilità di tutto questo alla bravata di una sola persona che ha alzato il gomito. Se così fosse, poi, quale sarebbe il motivo di tutta questa riservatezza da parte delle autorità?? Potrebbe esserci stata una sorta di guerriglia urbana tra due fazioni politicamente rivali quella notte? Nessuno dei pochi residenti della zona (la maggioranza delle abitazioni sono state rese inagibili ed evacuate a causa del sisma) si è accorto di nulla?? Veniamo a sapere che quella notte una chiamata era stata fatta ai carabinieri, avvertiti da qualche passante che si era accorto della presenza di un'auto parcheggiata gravemente danneggiata. Secondo voci, non confermate, i militari sarebbero passati con una volante, ma se ne sarebbero andati subito dopo aver constatato la presenza dell'automobile senza preoccuparsi di fare ulteriori accertamenti.




le stragi famigliari ci colpiscono

di Andrea Barbi

Prima che le televisioni mandino in onda fiumi di discussioni, spesso demagogiche, scontate e anche ipocrite riguardo la tragedia accaduta nella profonda provincia ferrarese, paragonando gli omicidi di Langorino con quelli commessi a Novi Ligure dai fidanzatini Erika e Omar o con quelli commessi 10 anni prima da Pietro Maso aiutato da tre suoi amici nel veronese. Prima che chiunque si improvvisi sociologo, antropologo o filosofo, ergendosi al livello di chi può permettersi di giudicare fatti dai quali pensa di essere completamente immune, perchè ricondotti alla pazzia di un singolo individuo o all'educazione che ha ricevuto in un contesto famigliare e sociale malsano e squilibrato; è doveroso ricordare una persona che nessuno ha ancora preso in considerazione, se non di sfuggita, Alessandro Vincelli. Alessandro è il fratello 25enne di Riccardo, il ragazzino 16enne che martedì nel primo pomeriggio ha avvertito prima i vicini di casa, poi i carabinieri fingendo di aver trovato i cadaveri dei propri genitori. Lui e il suo migliore amico, di un anno più grande, hanno tentato di depistare le indagini degli inquirenti, ma tutta la dinamica del crimine e i racconti del giovani non hanno convinto, fin dall'inizio, gli investigatori. Dopo 10 ore di interrogatori serrati presso la caserma dei carabinieri di Comacchio lui e il suo complice hanno confessato l'orribile dinamica dei fatti. Salvatore Vincelli e Nunzia Di Gianni sono stati uccisi nel sonno a colpi di ascia, nella notte tra lunedì e martedì, proprio dal loro figlio aiutato dal suo compagno di avventure. La coppia di ristoratori aveva anche un altro figlio che studia cinema a Torino. Questo ragazzo appassionato di film d'azione e di manga ora non ha più i genitori per colpa del fratellino con il quale è cresciuto. La sua famiglia è stata completamente distrutta in quella notte di follia sulla quale continuano ad emergere particolari sempre più agghiaccianti. Pare infatti che Riccardo Vincelli avesse programmato l'omicidio da giorni e per convincere l'amico ad aiutarlo gli aveva promesso dei soldi. L'arma del delitto è stata gettata in un piccolo canale non lontano dal piccolo centro abitato di un'altra frazione (Caprile) a pochi km di distanza dal luogo del crimine. Il movente economico è stato escluso dal procuratore di Ferrara durante una prima conferenza stampa. Da indiscrezioni pare che la causa di una tale ferocia omicida sia da ricercarsi nei contrasti che l'adolescente aveva con i propri genitori e in particolare con la madre a causa dello scarso rendimento scolastico del 16enne e in generale del suo stile di vita poco regolare. Sicuramente altri particolari raccapriccianti emergeranno nelle prossime ore e non faranno altro che alimentare quel senso di incredulità e orrore che coglie tutta l'opinione pubblica in questi casi. Vicende come queste non si possono liquidare con facilità tirando in ballo raptus omicidi, malattie mentali o altro, perché siamo di fronte a persone lucide, nel pieno delle proprie facoltà mentali che premeditano le loro azioni. E' proprio questo che spaventa, terrorizza anche più della violenza stessa; i genitori di ragazzi adolescenti in particolare. La normalità quotidiana che diventa cronaca nera nazionale, una villetta in provincia che diviene una casa degli orrori. I contesti ordinari all'interno dei quali vengono partorite queste stragi pazzesche e inconcepibili turbano tutti perché tutti vi si possono immedesimare. Per questo motivo ogni particolare della tragedia diventa importante, si cerca di recepire più informazioni possibili sulla storia di quella famiglia distrutta e sulle personalità dei singoli componenti dai media, in modo quasi ossessivo, con la speranza di trovare una qualche anomalia. Quel qualcosa che ci possa tranquillizzare e convincerci di essere diversi, di vivere in una realtà in cui queste atrocità non accadono. La verità è che, così come non esistono motivi tanto gravi che possano giustificare, o almeno servire a comprendere razionalmente, questi gesti assurdi; non ci sono nemmeno motivi per pensare di esserne immuni. 




Ferrara: 16enne torna a casa e trova i genitori morti. E' giallo

 

di Andrea Barbi

FERRARA
– E' un ragazzino di 16 anni di nome Riccardo che ieri pomeriggio, al suo ritorno da scuola, ha trovato i corpi dei propri genitori privi di vita nella villetta di via Fronte Pontelangorino in provincia di Ferrara. Le vittime sono Salvatore Vincelli, 59 anni, e Nunzia Di Gianni, 45 anni, titolari del ristorante La Greppia di San Giuseppe di Comacchio. 

 

Il cadavere dell'uomo era in garage, mentre quello della donna in cucina. Entrambi i corpi sono stati trovati con sacchetti di plastica in testa, ma non sarebbero morti per asfissia. Stando ai primi dati diffusi dal medico legale che ha effettuato le prime analisi, la causa della morte sarebbe infatti da imputare a forti colpi ricevuti da entrambi i coniugi alla testa da un corpo contundente che non è ancora stato rinvenuto. Talmente violenti da fracassare i rispetttivi cranii. Dunque, ufficialmente, gli inquirenti stanno indagando per cercare un assassino ed è stato proprio il giovane Riccardo ad essere stato interrogato fino a notte fonda dal pm Giuseppe Tittaferrante e dal magistrato Silvia Marzocchi della procura minorile di Bologna. Sentiti dai carabinieri anche gli amici del giovane, in particolare P.R., il coetaneo che ha passato con lui la notte. Prima nella casa di via Fronte (nella piccola dependance che Riccardo aveva ricavato nel garage dell’abitazione dei suoi), poi a partire dalle 5 di mattina a casa sua, poco distante. Entrambi ieri mattina non si sono visti a scuola.

Gli inquirenti stanno ricostruendo il buco che va proprio dalle 5 di mattina alle 13, quando Riccardo scopre i genitori senza vita e dà l’allarme. Oltre agli interrogatori degli amici che erano con lui lunedì sera, sono stati scandagliaati anche i cellulari, tracciando telefonate e conversazioni via whatsapp.

Ad insospettire fin da subito gli investigatori è il fatto che sugli infissi delle entrate dell'abitazione non ci sono segni di effrazione né evidenti segni di una qualche collutazione con l'assassino. Scartata, dunque, l’ipotesi di un’irruzione in casa da parte di estranei, considerando anche che i vicini di casa hanno riferito di non aver sentito rumori sospetti e il cane della coppia (di taglia grande) non avrebbe avuto reazioni di difesa.

Tutto farebbe pensare a una ingenua messinscena organizzata per depistare le indagini.




Famiglia italiana sbattuta sulla strada

di Andrea Barbi

 

«Lo sfratto è esecutivo, raccogliete le vostre cose e andate via». A suonare alla porta di un piccolo appartamento in via Falcone e Borsellino a Rovigo è un gruppo di persone formato dal legale del proprietario dell’immobile e da un ufficiale giudiziario accompagnato da alcuni agenti della questura e della polizia municipale. Sono le 9.30. Il termometro segna meno 5 gradi nel capoluogo polesano. Carlo 46 anni, la moglie Amalia, 34enne, con il figlio disabile di 3 anni e mezzo in braccio, dopo aver riempito poche valige e alcune borse di plastica con i loro pochi averi si incamminano lungo la strada che porta verso il centro della piccola città veneta. Non hanno una meta, non sanno dove andare, cosa fare. C'è troppo freddo e il bambino piange. Si rifugiano in un bar. Non hanno parenti che li possano ospitare e non hanno soldi. Da ieri questa famiglia italiana è stata sfrattata dall'appartamento nel quale da qualche anno viveva in affitto e ora sono ufficialmente dei senza tetto. La loro vita è tutta lì in quei pochi effetti personali contenuti in vecchie e logore valige che con fatica si trascinano verso un futuro di incertezza totale. Il padre di famiglia nelle scorse settimane ha chiesto aiuto a tutti. Ha provato in tutti i modi a convincere la padrona di casa a concedergli una proroga sui pagamenti del canone di locazione e sulle utenze, ma è stato inutile. A quel punto si è rivolto al comune, agli assistenti sociali e alla Caritas locali, ma nessuno l' ha potuto aiutare concretamente. E' lo stesso Carlo a raccontarlo: «E’ da mesi che mi rivolgo ai servizi sociali spiegando la nostra situazione. Da un anno ho smesso di lavorare per seguire le cure di mio figlio. Dopo che i medici gli hanno diagnosticato l’autismo ho deciso di stargli accanto per aiutarlo. Mia moglie era provata psicologicamente dopo la diagnosi. Non abbiamo nessuno a cui appoggiarci. Ora però abbiamo finito tutti i risparmi. Non pagavo l’affitto da qualche mese. La proprietaria di casa non ha voluto avere pazienza, le ho spiegato che ho ripreso da poco la mia attività di libero professionista. Mi sarebbe bastato qualche mese per mettermi in regola con i pagamenti. Ma niente. Da due mesi ci aveva staccato il riscaldamento. Il mio bambino dormiva al freddo. L’ appartamento non era in buone condizioni, era pieno di umidità. Ma era un tetto dove riparare nostro figlio. Ma ora ci ha mandati via. Non sappiamo dove andare. I servizi sociali ci hanno sempre risposto che non ci sono case disponibili a Rovigo. Molte sono chiuse e non hanno i soldi per sistemarle.» Fortunatamente una signora rodigina, dopo aver saputo di questa situazione si è offerta di ospitare per qualche notte, a casa sua, la donna e suo figlio, mentre il marito ha trovato un posto letto provvisorio a Ferrara, presso l'abitazione di un amico di vecchia data.

Una notizia sconvolgente quella di una famiglia italiana in difficoltà che viene sbattuta sulla strada ghiacciata in una mattina di un gelido gennaio, che arriva proprio dal ricco e civile Veneto. In giorni in cui le cronache parlano di clochard morti assiderati al sud e l'opinione pubblica si divide tra chi prova compassione e rabbia e chi più o meno direttamente sostiene o pensa che siano situazioni di disagio lontane dalla realtà quotidiana dell'italiano medio e tutto sommato quei senza tetto se la cerchino la disgrazia. Chiunque la pensi in questo modo ora dovrà tentare di spiegare se non ad altri, almeno alla propria coscienza, in che modo questa famiglia abbia volontariamente scelto di trovarsi in questa situazione e non riuscendoci, forse, capirà il significato delle parole empatia e rispetto.




Ficarolo, migranti ospitati: presto la questione si risolverà

di Andrea Barbi

 

FICAROLO (Ro) – La vicenda di Ficarolo (Ro), risalente allo scorso novembre, è balzata sulle cronache nazionali, quando un imprenditore rodigino, originario di Comacchio, il sig. Luigi Fogli amministratore della società White House s.r.l. si è opposto al sequestro dell' Hotel Lory imposto dal prefetto di Rovigo, il dott. Enrico Caterino con lo scopo di ospitare 72 profughi provenienti dall'Africa subsahariana. L'hotel di proprietà della suddetta società insieme ad altre due contigue attività commerciali (un ristorante di alto livello e un night club), nelle intenzioni del prefetto, avrebbe dovuto ospitare i richiedenti asilo per 6 mesi, durante i quali una cooperativa di Adria (RO) si sarebbe occupata del loro sostentamento. L'imprenditore quasi ottantenne, ma molto combattivo, si era inizialmente opposto facendo ricorso al t.a.r. della regione Veneto poiché, a detta sua, il prezzo giornaliero di 7 euro a persona che gli era stato imposto come rimborso non gli sarebbe bastato nemmeno per coprire le spese per le varie utenze dei locali della struttura ricettiva. Senza contare, inoltre, che la presenza di tutte quelle persone gli faceva temere un collasso delle altre due attività in quanto la sua solita clientela si sarebbe smarrita. Il sindaco del piccolo comune di Ficarolo, Fabiano Pigaiani (lista civica) e la maggioranza della cittadinanza si sono schierati contro la decisione della prefettura in quanto la presenza di così tante persone in un paese di poco più di 2400 abitanti violerebbe la quota massima di profughi fissata al 3% del totale della popolazione residente su ogni singolo territorio comunale. Come al solito la risonanza mediatica di questo fatto ha subito attirato le speculazioni di diversi esponenti della politica locale e nazionale che hanno approfittato della situazione per cercare di avere un po' di visibilità, chi in difesa delle ragioni del Fogli e chi in difesa dell'azione del prefetto Caterino.

La situazione si è risolta alla fine del mese di novembre quando l'imprenditore rodigino ha firmato un accordo con la prefettura. Questo prevedeva che l'hotel in questione avrebbe ospitato soltanto 15 richiedenti asilo per un periodo di tempo inferiore ai sei mesi precedentemente richiesti, in attesa dell'adeguamento di un'altra struttura del paese, una casa di riposo per anziani, che diventerà la nuova residenza di questo gruppo di richiedenti asilo fino a data da destinarsi. Il sequestro della struttura è stato tolto e il prezzo pattuito è stato aumentato rispetto ai 7 euro ad personam giornalieri stabiliti inizialmente, ma in cambio l'imprenditore avrebbe dovuto rinunciare al ricorso al tar.

Ad un mese esatto di distanza dall'arrivo dei 15 subsahariani L'Osservatore d'Italia è andato ad intervistare Luigi Fogli per sapere come procede la situazione. Abbiamo inoltre tentato di avvicinare il responsabile della cooperativa Edeco che ha in appalto i lavori concernenti le operazioni di accoglienza, per chiedere il permesso di intervistare qualche ragazzo ospite della struttura, ma siamo stati allontanati.

 

Signor Fogli come va?

”Se si riferisce alla mia salute; per fortuna bene. Gli affari male”.


Come mai?

”La presenza dei rifugiati ha azzerato completamente la clientela, non solo per quel che riguarda l'hotel, ma anche il ristorante e il night club sono perennemente vuoti, la gente non viene più”

 

Ma questo è dovuto al comportamento dei richiedenti asilo?

”No no, assolutamente. Le devo dire la verità, da un mese a questa parte non hanno causato alcun problema. Non si vedono quasi mai all'esterno della struttura. E' quasi come se non ci fossero. La gente non viene, credo per pregiudizio. Ma io me lo aspettavo.”

 

Ha avuto modo di parlare con qualcuno di loro?

”No sono molto schivi e come le dicevo sono sempre nelle loro camere, in più i responsabili della cooperativa che si occupa del loro sostentamento non gradiscono che qualcuno tenti di avvicinarli”

 

Cosa fanno per tutto il giorno?

”Di preciso non le saprei dire, ma credo che navighino su internet perchè la prima cosa che la cooperativa mi ha chiesto è se l'hotel era provvisto di wi-fi. Ho visto che ognuno di loro è provvisto di un tablet e di uno smartphone”

 

E' la cooperativa a fornirglieli?

”Non saprei”

 

All'inizio della vicenda era preoccupato che le potessero danneggiare le stanze. Attualmente in che condizioni versano le camere dell'albergo?

”Sinceramente non lo so. Preferisco non vederle nemmeno fino a quando saranno qui. Anche perché è la cooperativa ad occuparsi di tutto. Portano il cibo già pronto, con un furgone, che consumano nella sala conferenze e una volta al giorno vengono inservienti esterni a pulire le stanze. Io, da contratto, mi sono impegnato soltanto a fornire la struttura.”

 

 

Inizialmente le avevano proposto una somma di denaro che lei aveva definito assurda, hanno aumentato le tariffe giornaliere?

”Si i 7 euro al giorno a persona che inizialmente avevano proposto di darmi sarebbero stati insufficienti anche per pagare le spese delle utenze. Ora mi danno un po' di più; non è quanto speravo e avevo richiesto, ma almeno non ci rimetto, in quel senso”

 

Quando se andranno?

 ”Fra poco, dovrebbero essere gli ultimi giorni di permanenza qui, dagli inizi di gennaio le 15 persone presenti nella mio hotel saranno trasferite in un'altra struttura privata di proprietà di una fondazione locale nella quale ha sede una grossa casa di riposo. Ci sono molti anziani ospiti, ma quel posto è molto grande e hanno spazio libero, inoltre sono dotati di ogni servizio. Al momento stanno finendo dei lavori di ristrutturazione e ammodernamento dell'edificio, appena avranno finito li porteranno là e spero che tutto ritornerà come prima”.




Goro, la verità sull'arrivo dei migranti: l'intervista esclusiva al sindaco Diego Viviani


di Andrea Barbi


FERRARA –  Diego Viviani, primo cittadino di Goro, piccolo comune nel basso ferrarese balzato su tutte le prime pagine di cronaca nazionali quando, lo scorso ottobre, i cittadini di una sua frazione, Gorino, hanno improvvisato delle barricate sulle strade del paese per impedire l'arrivo di 20 venti richiedenti asilo, di cui 12 donne e 8 bambini, smentisce, durante un'intervista, concessa in esclusiva per L'Osservatore d'Italia, di aver ricevuto pressioni politiche da parte della regione Emilia Romagna mirate ad accogliere l'arrivo di nuovi migranti.

E' della scorsa settimana, infatti, la notizia pubblicata sulla stampa locale della provincia di Ferrara, poi ripresa anche dal nostro quotidiano, di un ipotetico ricatto del governo regionale ai danni del sindaco Viviani e della locale cooperativa dei pescatori. Secondo questa tesi, mai dimostrata da prove empiriche, la “politica regionale”, volendo riscattare la pessima immagine che i fatti di Gorino hanno dato della gestione del fenomeno migratorio, avrebbe convinto l'amministrazione locale e i rappresentanti dei lavoratori della zona ad accettare il nuovo arrivo di un gruppo di profughi con mezzi non convenzionali.

D'altronde la vicenda è stata strumentalizzata da alcuni esponenti di partiti di minoranza che non hanno perso l'occasione di presentare la protesta dei goresi come fallimento della filosofia dell'accoglienza a tutti i livelli. Per questo non era difficile immaginare che qualcuno volesse rimediare all'onta mediatica subita. Nello specifico si parlava di una sorta di tacito accordo tra i palazzi di Bologna, i cui rappresentanti si sarebbero impegnati al rilancio della fragile economia locale, e le istituzioni del piccolo comune deltizio che avrebbero garantito l'accoglienza di profughi, da sistemare in alcune strutture di proprietà della suddetta cooperativa. La posta in gioco, sarebbe stata molto alta, consistendo nella costosa manutenzione della “Sacca di Goro”, uno specchio d'acqua tra la laguna e il mare che rappresenta il fulcro dell'economia basata sulla pesca del comune in questione. Un'economia, come già anticipato, fragile, poiché fragile è l'ecosistema dalla quale dipende. A causa del naturale avanzamento del territorio del delta del Po, dovuto al continuo deposito dei detriti che il più grande fiume italiano trasporta nella corrente delle sue acque, la sacca necessita di una costante manutenzione per impedirne il progressivo insabbiamento.

Un'accusa infamante perché riguarderebbe una condotta vigliacca e scandalosa soprattutto se proveniente da un' istituzione pubblica.

Il problema però non si pone poiché, come garantisce il sindaco Viviani, tutto ciò non è mai accaduto, questa la sua dichiarazione: “Smentisco tutto, non ho mai ricevuto alcun tipo di ricatto o pressioni politiche di qualsiasi tipo, né da parte della regione Emilia Romagna, né da nessun altro. Da quando è accaduta la “vicenda delle barricate a Gorino” ho avuto modo di promuovere diversi incontri pubblici, aperti a tutta la cittadinanza, poiché volevo dialogare con tutti i miei compaesani, volevo capire le loro perplessità, le loro paure e accogliere le loro richieste, per tranquillizzarli e fargli ritrovare la fiducia nelle istituzioni locali che in quei giorni loro hanno percepito come nemiche. Continuo a sostenere che la loro reazione sia stata esagerata, anche in virtù del fatto che personalmente io credo che l'accoglienza sia un dovere e una responsabilità di ogni singolo individuo nei confronti dei più bisognosi. Non voglio quindi giustificare in alcun modo le barricate dalle quali mi sono dissociato fin da subito, ma è stata una situazione improvvisa e inaspettata che ha contribuito ad una interpretazione scorretta, da parte di chi ha manifestato, dell'azione della prefettura, vista come una prevaricazione sui cittadini inconsapevoli. Ciò che è accaduto è stato in seguito strumentalizzato, ma non è stata una manifestazione politica e Gorino non è un covo di razzisti, come certi personaggi sui media ci hanno descritti. Nessun richiedente asilo è attualmente in arrivo nel comune di Goro, ma in accordo con i miei concittadini, sto valutando la possibilità di ospitare migranti qualora qualche privato mettesse a disposizione, volontariamente, un edificio di sua proprietà. Purtroppo nel nostro territorio non abbiamo edifici pubblici dismessi da recuperare per questo scopo e le proprietà private fino ad ora visionate non sono agibili, ma ne valuteremo altre perché è giusto che anche Goro, come gli altri comuni della provincia di Ferrara si faccia carico, nel suo piccolo, di questa terribile emergenza mondiale.”