Napoli, si accendono i riflettori su via Caracciolo per il pizza village

NAPOLI – Conto alla rovescia per l’ottava edizione del ‘NAPOLI PIZZA VILLAGE’ dal 1° al 10 giugno sul suggestivo lungomare di Via Caracciolo del capoluogo partenopeo, dove saranno protagonisti, su 30.000 mq,  cinquanta rinomate “firme” di pizzaioli e centinaia di addetti ai lavori del mondo della pizza. La manifestazione è organizzata dalla società Oramata Grandi Eventi in collaborazione con la radio RTL 102.5 che anche quest’anno è nuovamente la Radio della grande kermesse, ed inoltre tanti artisti importanti di fama nazionale che accompagneranno le serate con le loro canzoni, per dieci serate il Festival di Sanremo si trasferisce a Napoli, infatti tra gli ospiti il vincitore dell’ultima kermesse Sanremese Fabrizio Moro con “Non mi avete fatto niente”, Ultimo, Noemi, Dear Jack, Mario Biondi e Nesli, Le Vibrazioni, Annalisa e Lo Stato Sociale ed in più un tributo a Pino Daniele ed il giorno 9 giugno ci sarà l’ospite a sorpresa.

La pizza e i suoi protagonisti sono in “scena” a Via Caracciolo

negli anni sono diventati una realtà oramai consolidata, infatti la grande kermesse è uno degli happening più attesi e grandi d’Italia. Nel 2017 l’arte dei pizzaioli – antichissimo mestiere – ha avuto il riconoscimento dall’Unesco come Patrimonio immateriale dell’umanità ed è a questo proposito un anno speciale della pizza e i pizzaioli. Per dieci giorni il lungomare di Via Caracciolo ospita il “Villaggio” dedicato alla pizza, si tiene da precisare che non è una competizione, ma una festa della pizza e dei pizzaioli ed insieme si festeggia la bontà, la tradizione e le proprie radici come tengono a precisare gli organizzatori durante la presentazione a Palazzo S. Giacomo nella Sala Giunta – Comune di Napoli il 29 maggio.

Hanno partecipato alla presentazione del Comune di Napoli

l’Assessore al Bilancio, al lavoro ed Attività economiche Enrico Panini, Assessore alla Cultura e Turismo Gaetano Daniele, Ceo Oramata Grandi Eventi Claudio Sebillo e Alessandro Marinacci, Antimo Caputo AD Mulino Caputo, Alessandra Bucci Responsabile Marketing & Sales Trenitalia, Fulvio Giuliani di RTL 102,5 Caporedattore.

La kermesse ha una grande progettualità

ed è sempre in crescita come tengono a precisare gli organizzatori, infatti si è consapevoli di vivere in un mondo globalizzato e competitivo dove niente è scontato e quindi che “strizza” l’occhio sii alla tradizione, ma guardando l’orizzonte e sempre alla ricerca di innovazioni. Questa kermesse sta dando al capoluogo partenopeo una nuova pagina per la storia di Napoli e anche d’Italia perché la pizza e i suoi addetti mette d’accordo tutti oltre i confini del “bel paese”, con il tempo l’appuntamento con i pizzaioli sul lungomare è diventato uno dei più grandi attrattori turistici proclamandolo tra gli eventi più grandi a livello internazionale.

Tutta l’intera exibithion è una sinergia di grandi “firme”

partendo dai 50 pizzaioli insieme agli sponsor tra cui ‘Il Mulino di Napoli Caputo’ che organizza la 17° edizione del Campionato Mondiale del Pizzaiolo – Caputo Cup all’interno della manifestazione in tre giornate di gara con oltre 600 pizzaioli giunti da 40 paesi e da ogni continente del globo. A confermare la partenership è ancora l’Acqua Ferrarelle, di ritorno la Coca Cola, Trenitalia che con la sua promozioni “Speciale Eventi” consente di avere uno sconto per i turisti e tanti altri sponsor importantissimi.
Chiedere di mangiare una pizza insieme è un chiaro segno di amicizia sincera, di un incontro informale, di voler essere noi stessi, ed è un modo di rompere il ghiaccio e di emozionarsi insieme a distanza di secoli da quando è stata creata.

La pizza nella storia

La pizza nei secoli è diventata il simbolo per eccellenza dell’Italia nel mondo e negli anni ha avuto tante innovazioni, ma la versione che è riconoscibile in ogni parte del globo è la Pizza Margherita in onore alla Regina Margherita in visita a Napoli nell’estate del 1889 insieme al Re Umberto I, infatti la sovrana apprezzò tantissimo la pizza pomodoro e mozzarella tanto che elogiò per iscritto il pizzaiolo Raffaele Esposito che realizzò la pizza nel forno di campagna ancora attivo al Casamento Torre Bosco di Capodimonte. Già nel 1773 ebbe un grande estimatore, infatti grazie a Vincenzo Corrado cuoco, filosofo e letterato partenopeo nel suo libro “Il cuoco galante” fu il primo a valorizzare la grande cucina regionale italiana e a far conoscere la “Cucina Mediterranea”, egli scrisse un pregevole trattato sulle abitudini della città di Napoli e anche della pizza. La pizza nasce intorno al 1600, ma ben diversa dalla pizza margherita che intendiamo noi, infatti si trattava di pasta per pane cotta in forno a legna, condita con aglio, strutto e sale grosso, ma c’era anche la versione più opulenta, con caciocavallo e basilico.

Giuseppina Ercole




Napoli, VitignoItalia 2018: oggi l’ultimo giorno della kermesse

Finalmente la grande Kermesse VITIGNOITALIA 2018 è iniziata domenica 20 maggio proseguirà fino a oggi martedì 22 in una location davvero eccezionale, infatti si svolge presso l’imponente Castel dell’Ovo di Napoli sull’isolotto di Megaride e a rendere ancor di più la giornata di festa complice il sole. Per tre giorni la città partenopea è capitale del vino non solo del Centro-Sud, ma anche d’Italia e a livello internazionale, infatti ha attirato tantissimi turisti stranieri che non si sono di certo lasciti scappare l’occasione di divertirsi in una location davvero speciale.

La XIV edizione del salone dei vini di eccellenza e dei territori vitivinicoli italiani ospiterà ben 250 aziende e 2.000 etichette di vini. Il programma della kermesse prevede anche degustazioni, incontri, presentazioni e workshop dando ai partecipanti uno sguardo complessivo a tutto tondo sul mondo produttivo del vino e i suoi protagonisti odierni. La presentazione del programma dell’intera manifestazione si è svolta presso la Regione Campania giovedì 17 maggio nella Sala Giunta di S. Lucia, erano presenti all’incontro diverse personalità d’eccellenza tra cui il Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, l’imprenditore Antimo Caputo, il giornalista del giornale il Mattino Luciano Pignataro, il Sommelier AIS Alessandro Scorsone, il giornalista Giorgio dell’Orefice del giornale il Sole 24 ore e Maurizio Teti di Vitignoitalia.

In programma un calendario ricco di incontri con aziende vinicole e professionisti del settore eno-gastronomico, fra questi “Le ragioni del piedirosso” che si è tenuto domenica condotto con il giornalista Luciano Pignataro e l’enologo Sebastiano Fortunato. Ieri pomeriggio in programma il seminario Regimi di qualità, Dop e Igp, la tutela delle produzioni e l’evocazione dei toponimi, aspetti sanzionatori a cura dell’OTACL. Interessante è anche il connubio che si terrà con il Festival della filosofia in Magna Grecia martedì 22, l’incontro prevede interventi con piccoli monologhi teatrali-filosofici dedicati al mondo del vino a cui seguiranno altre degustazioni, e tanti altri incontri interessanti in tutti i tre giorni di kermesse.

Vitignoitalia ha la carta vincente della qualità come è stato detto durante la presentazione, negli anni ha registrato un boom crescente di esportazioni. La manifestazione che nacque quando c’era la crisi del vino attualmente è diventata una kermesse identicativa della Campana ed arricchisce il mondo del vino del “Bel paese” perché ha portato l’Italia all’estero diventando la manifestazione stessa un brand d’eccellenza. La kermesse è un’ottima occasione da vivere perché dà ai partecipanti la possibilità di fare un’esperienza edonistica, di vivere nuove sensazioni e “nuove storie” personali grazie alla qualità dei vini degustatie di vedere Napoli in un’altra prospettiva. L’evento è davvero unico perché arricchisce culturalmente grazie anche alla magia della location, infatti la maestosa imponenza del Castello oltre ad essere ricco di fascino e di bellezza con le sue leggende e la sua storia è inoltre anche il più antico castello della citta di Napoli, ed è uno dei beni più visibili del capoluogo campano. Il Castel dell’Ovo e la kermesse danno insieme la possibilità ai “viaggiatori” non solo di gustare degli ottimi vini di eccellenza, ma anche di trovarsi in una scenografia spettacolare avendo un fondale unico a 360° e di fruire il tutto con un calice in mano.

Vitignoitalia si svolge in un luogo ricco di storie e miti, secondo la leggenda il corpo della sirena Parthènope fu sepolto sull’isola di Megaride, essendo stata rifiutata da Ulisse ella si lasciò morire. Il luogo è dove venne fondata Parthènope nell’VIII secolo a.C. per mano cumana. Vitignoitalia è senza dubbio un’esperienza partecipativa per gli appassionati del buon vino, infatti potranno vedere le differenze delle annate con le “verticali” che mettono a disposizione le aziende partecipanti, è assolutamente da non perdere perché rinvia alla storia dell’essere umano; la domesticazione dell’uva come concordano gli storici e grazie anche ai reperti ritrovati è millenaria, il vino assunto in maniera sana riporta alla centralità della terra e alle origini della nostra cultura e alle nostre tradizioni.

L’intera kermesse è una sinergia e fanno parte nomi eccellenti, come i grandi vitigni dell’Irpinia, Fiano, Greco e Aglianico, l’azienda Masciarelli con il suo “Castello di Semivicoli Trebbiano d’Abbruzzo, l’azienda Allegrini, La Campania del vino: i vini e gli spumanti premiati co tre Cornetti Gold.
L’Associazione italiana Sommelier Campania e l’Assessorato all’Agricoltura della Regione Campania presentano la sesta edizione della: Guida – Catalogo delle aziende vitivinicole della Campania con tre Cornetti Gold a cura di AIS Campania. Si svolgerà anche un’importante convegno INCACONSULT. sulle modalità di vendita del vino in Cina tramite il canale dell’E-Commerce.
I Main sponsor altrettanto eccellenti dell’evento sono: il Pastificio Di Martino, Caputo, Caraiba, Fiart Rent, Solania. I calici più adeguati per la degustazione ci penserà il partner tecnico Vdg Glass.
Vitignoitalia si svolge con il patrocinio del Comune di Napoli, MIPAAF, ISMEA e in collaborazione con la Regione Campania, Unioncamere Campania e Italain Trade Agency (ITA)
Per info e vendita biglietti: www.vitignoitalia.it

Giuseppina Ercole




Musei nell’età delle nuove tecnologie digitali: obiettivo “toccare” un’opera senza farlo nella realtà

L’arte e la tecnologia, questo è il tema affrontato a Palazzo Zevillos Stigliano di Napoli lo scorso venerdì 11 maggio

Un evento organizzato dall’Università Suor Orsola Benincasa che ha visto partecipare studenti e professionisti delle più svariate categorie, tra cui storici dell’arte, critici e giornalisti. Tanti gli interventi e le domande sui diversi aspetti dell’applicazione della tecnologia sull’arte e sulle varie scuole di pensiero.

Gli interventi

A fare gli onori di casa e dare inizio ai lavori il Preside della facoltà di lettere e coordinatore del dottorato in Humanities and Technologies professoressa Emma Giammattei che ha preso in esame il dipinto di Paolo Veronese del 1562-63 dal titolo “Nozze di Cana”. Come è stato evidenziato durante l’intervento della docente, il restauro in genere che sia applicato ad opere letterarie, pittoriche o altre espressioni artistiche restituisce un “ritorno” dell’opera e restituisce anche un dialogo nuovo con il fruitore. Durante il convegno si è molto parlato della perdita di “aura” delle opere con la nascita della fotografia di Walter Benjamin, e sul tema interessante l’intervento della professoressa di Nuove Tecnologie e Nuovi Paradigmi nella curatela dell’arte Francesca Bacci.
Interessante è stato anche l’intervento della dottoressa Barbara Balbi dell’Università degli studi di Napoli – Suor Orsola Benincasa – Sviluppo Modelli Applicativi nelle Digital Humaities – che ha esposto l’esperimento dal titolo “Guarda come guardo”. L’intento del progetto era di rappresentare il percorso oculare del visitatore sulle opere custodite nei musei prendendo in esame 23 osservatori, ad esempio sui dipinti di Caravaggio come “Il Martirio di Sant’Orsola” mostrando i vari tracciati dei visitatori.

L’arte del futuro sarà un “ritorno al passato”

ma in maniera partecipativa del fruitore e a tutto tondo con una “realtà aumentata” tramite le sperimentazioni dei nuovi linguaggi grazie alla tecnologia. La tecnologia usata per ricostruire reperti archeologici non integri grazie alla stampante 3D e se la riproduzione del dipinto del Veronesi ha suscitato polemiche perché l’immagine di Adam Lowe non è l’opera originale, la tecnologia, bisogna riconoscere, ha dato una nuova collocazione all’opera e una nuova opportunità. In futuro come si evince dal tema del convegno potremo andare al Museo e “toccare” un’opera senza toccarla nella realtà, infatti grazie alle nuove tecnologie saremo capaci di poter avere la sensazione del senso tattile senza toccare l’oggetto, al convegno si è anche parlato sulla pericolosità delle tecnologie future.

Scienza e poli museali

La scienza in futuro nel campo dell’arte e soprattutto per i poli museali potrà servire ai visitatori per vivere un’esperienza al museo in maniera partecipativa e totale, il “viaggiatore” potrà incontrarsi con le scienze umane per fruire meglio le opere superando quello che in genere viene chiamato la “paura della soglia” quando si entra nei musei con la sua imponenza e bellezza. Il museo del futuro dovrà essere non solo didattico per imparare, ma per vivere un’esperienza, intendere l’opera anche come oggetto social, intenderlo come patrimonio non tangibile, ma allo stesso modo appartenente all’umanità, l’arte che sia figurativa o sperimentale è da considerare una messa in scena al pari alle arti performative, ad esempio come l’opera lirica altra eccellenza italiana molto mortificata negli ultimi anni.

La tecnologia presa come opportunità

per dare una mano all’artigianato e alla bravura dell’artista. Il museo concepito come custode dei beni appartenente all’intera umanità, un custode che permetterà di “dialogare” con i “viaggiatori” e non solo custode di “oggetti” ed un luogo a scopo di lucro. La globalizzazione ha anche contribuito a grandi mutamenti e grazie alla scienza non solo sta dando alle opere una “nuova vita” e nuovi punti di vista, ma anche nuovi punti di fuga ed inevitabilmente questa nuove prospettive stanno dando il via alla nascita di ulteriori “nuove storie” dando una nuova aura ad ogni opera presa in esame.

Giuseppina Ercole




Napoli, presentato “L’avvoltoio”: il nuovo “Medical Thriller” di Giuseppe Petrarca

NAPOLI – E’ appena uscito l’ultimo libro di Giuseppe Petrarca scrittore partenopeo dal titolo “L’avvoltoio” presentato al Maschio Angioino di Napoli in una sala gremita di persone con ospiti d’eccezione come lo scrittore di gialli Maurizio de Giovanni, l’avvocato Valentina De Giovanni e il Direttore del CPT Rai di Napoli, Francesco Pinto. Nel corso dell’evento -tanto atteso- nella suggestiva sala sono stati letti alcuni passi del libro da una bravissima e commovente Brunella Caputo che ha saputo attirare tutta l’attenzione degli ospiti, regalando delle piccole “pillole” del libro.

“Medical Thriller” un genere poco “battuto” in Italia

Giuseppe Petrarca vive nel capoluogo campano, di carattere serio, riservato ed umile lavora per un’importante gruppo assicurativo, collabora con l’organizzazione umanitaria “Medici senza frontiere”. Per la stessa casa editrice “Homo Scrivens” ha pubblicato altri “Medical Thriller” un genere poco “battuto” in Italia: “Inchiostro Rosso” con il protagonista commissario Lombardo e “Corpi senza storia”, entrambi i libri sono stati pluripremiati e segnalati dalla stampa e dalla critica. La sua passione è la scrittura che utilizza per denunciare e ricordare a tutta la società che al mondo ci sono orrori disumani. La scrittura per Giuseppe Petrarca è un mezzo per rendere liberi gli uomini, la parola come mezzo contro il male, come squarci che devono smuovere l’anima, capace di aprire nuovi orizzonti dentro e anche fuori dalle nostre esistenze. Petrarca ricorda a tutti noi che l’indifferenza è il male peggiore di fronte agli “invisibili”, alle persone che non hanno voce, quegli stessi uomini privato di tutto anche della propria identità: tema affrontato nel secondo thriller “Corpi senza storia”. La sua passione per il genere “noir” e la scrittura nasce leggendo i gialli di Maurizio de Giovanni e Giorgio Faletti per poi passare a Jeffery Deaver e Robin Cook.

La scrittura, come la lettura, per Petrarca sono atti di intima solitudine

La comunicazione è una forza dirompente capace di trasmettere emozioni, l’ambizione come ribadisce Petrarca è di “far riflettere il lettore su temi che riguardano l’intera società civile, nessuno escluso, attribuisce alla scrittura un valore unico e rivoluzionario”. Nel libro “L’avvoltoio” Petrarca ai affida a una metafora per mettere in primo piano la speranza perduta da un’umanità dolente. Affrontare la vita nonostante a volte sia avversa, senza perdere mai le forze, la speranza come bene primario in egual misura dell’acqua o l’aria. ”Il commissario Lombardo – dice Petrarca – mi ha insegnato a lottare e a sperare sempre”, una simbiosi nata nell’intimo e generosamente poi trasmessa ai lettori. La domanda che si pone a se stesso e agli altri è se ne vale la pena lottare e dare la vita per il bene comune che è diventato appannaggio non di onesti cittadini, ma di un’accozzaglia di individui dediti solo al malaffare. Tra i temi affrontati nel libro vi è la paura dell’occidente verso lo straniero, verso il diverso, la paura del contagio di malattie, il libro è usato dallo scrittore per entrare nell’anima dei lettori, per dare uno squarcio all’omertà che dilaga, di una società fatta solo di interessi economici, politici, mafia, corruzione e traffico illegale di organi.

Trama dell’ultimo libro della trilogia: “L’avvoltoio”

Il protagonista del libro il commissario Cosimo Lombardo appena rientrato in Sicilia si scontra con due intricate vicende che sono tra gli incubi che più fanno paura a tutti noi: Il traffico di organi gestita da un’organizzazione criminale senza scrupoli che non risparmia neanche ad operare su bambini pur di trarre profitto, ed una violenta epidemia nel campo di accoglienza di Cala Manenti. Il protagonista del libro il commissario Lombardo sospetta che l’epidemia sia dolosa, allo scopo di dirottare gli immigrati in una struttura gestita da soggetti mafiosi, collusi con personaggi altrettanto squallidi che fanno parte della politica locale con l’appoggio d’insospettabili di medici assettati di denaro che non risparmiano innocenti pur di trarre profitto dalla vicenda. Il libro di Giuseppe Petrarca scuote le coscienze e denunzia in maniera esplicita sul problema degli immigrati, sull’enorme giro d’affare, problema molte volte affrontato dai media negli ultimi tempi. Il commissario Lombardo è un antieroe per eccellenza così definito da Petrarca, specialista nel risolvere i casi più intrigati nel mondo della sanità è fondamentalmente chiamato anche dallo scrittore “un cane sciolto” sempre alla ricerca della verità.

Giuseppina Ercole




Arte e tecnologia: la nuova logica dei poli museali per arrivare al grande pubblico

Qualsiasi espressione artistica è sensibile ai cambiamenti del proprio periodo storico, ed inevitabilmente ne diventa lo specchio, gli artisti con le infinite tecniche che hanno a disposizione lasciano una testimonianza delle nuove frontiere come le scoperte scientifiche e tecnologiche, con dipinti, sculture o con la Street art, oppure di usare la tecnologia stessa come medium come la Digital Art. Ai cambiamenti anche i musei di arte antica, contemporanea, moderna e anche i siti archeologici si adeguano ai cambiamenti tecnologici per dare “nuova vita” alle opere esposte all’interno di essi.

I musei sono i “portali del tempo” dell’umanità

Sempre più spesso polifunzionali e al passo con i tempi. Fra le notizie più eclatanti, di fusion tra arte e tecnologia, negli ultimi mesi riportata da tutti i media, è stata la vendita online di un’opera di Picasso dal titolo “Il Moschettiere”, tutta l’intera operazione ha usato il motto di Alexandre Dumas “Tutti per uno, uno per tutti” del romanzo “I tre moschettieri”, rispecchiandone appieno tutta la vicenda. Questa vendita è avvenuta in Svizzera da una società dal nome QaQa nel dicembre del 2018, l’opera è stata acquistata da ben 25mila persone, proposto a 40mila quote da 41,15 euro l’uno, dal valore di ben 1,67 milioni di euro, tutta l’operazione è avvenuta online e si conclusa in soli 3 giorni con una forma di crowdfunding.

E’ stata un evento quasi unico del suo genere, rendendo felice chi ha comprato le azioni di questo bene e soprattutto di diventare proprietari di un’opera del genio andaluso, un tempo riservato a ben poche persone. Gli “azionisti” dell’opera hanno ora la facoltà di decidere dove far esporre il dipinto, attualmente in mostra al Museo d’Arte Contemporanea e Moderna di Ginevra. Essere proprietari di questo bene seppur in minima quota ha dato la possibilità agli “azionisti” di avere una carta numerata che attesta la proprietà del “Moschettiere” permettendo di entrare in un apposito tornello quando è in esposizione nei luoghi scelti da loro stessi.

Internet come mezzo per arrivare al grande pubblico

Internet è ormai da tempo un modo per arrivare al grande pubblico in maniera diretta e partecipativa e se l’intento degli organizzatori della vendita online dell’opera di Picasso è stato di fare “buzz”, ossia rumore anche il direttore degli scavi Ercolano nel febbraio del 2018 ha aperto le porte al popolo degli internauti chiedendo a loro di scattare foto al sito e di condividerle su Instragram. E’ stato un evento particolare ed è stato un nuovo modo di far conoscere il sito in maniera esponenziale, di far conoscere angoli nascosti di tutto il patrimonio del Parco archeologico. L’intento dell’evento è stato di rigenerare le bellezze custodite negli scavi antichi grazie alla rete e gli scatti proposti. L’instameet così è chiamato l’evento che ha dato la possibilità ai visitatori di essere promotori del sito con i propri scatti e anche di far girare foto sui social di scorci suggestivi della città antica romana che normalmente le foto ufficiali non fanno vedere.

La nuova logica della rete al servizio dei musei

Un nuovo modo di fruire le opere perché dà ai “viaggiatori” la possibilità di agire in maniera democratica all’interno del museo, di poter decidere nei concorsi artistici l’opera preferita e dire la propria opinione sulle opere in concorso e di essere proprietari di opere milionarie. Fra gli esempi al Museo di Capodimonte di Napoli nel dicembre 2017 con la mostra “carta bianca” l’esibizione di 10 opere scelte da curatori d’eccezione, come ad esempio Riccardo Muti e Vittorio Sgarbi, che avevano a disposizione una sala del museo e la facoltà di scegliere da 1 a 10 opere appartenenti all’intera collezione del museo. L’intento dell’Exibithion era di dare ulteriori “storie alle opere”, ma anche di poter dare la possibilità ai visitatori di vedere le motivazioni della scelte dell’opere dai curatori in una video intervista, di poter interagire sui social e proporre “l’undicesima sala”, quindi di essere l’undicesimo curatore della mostra.
Il pubblico poteva fotografare dieci opere dell’intera collezione del Museo e Real Bosco di Capodimonte e anche di partecipare al contest #lamiaCartaBianca sulle pagine social del museo, l’intento dell’intera mostra era dunque un coinvolgimento attivo e diretto del pubblico.

Altri esempi di fusion tra arte e tecnologia ed anche molto originali è il Museo dedicato al grande fenomeno dei selfie

A Los Angeles è stato aperto il primo museo dedicato interamente all’autoscatto chiamato “Selfie Museum”, è un tributo ud una delle massime espressioni più narcisistiche della cultura popolare contemporanea, dando al visitatore la possibilità di interagire e di mostrare i propri autoscatti e anche di divertirsi.

La nuova filosofia dei musei non è solo di far “dialogare” i visitatori con la struttura, ma anche di decidere e non più come in passato “vivere” in maniera passiva l’arte, di viverle e di entrare “dentro” l’opera ad esempio di le esibizioni dal nome “Exeperience” dei grandi maestri del passato di Caravaggio, Van Gogh oppure Klimt, molto in voga in quasi tutte le città, questo tipo di eventi danno la possibilità di fruire appieno l’interiorità dell’artista. Victor Vaselary è stato il fondatore del movimento artistico dell’OP art sviluppatosi negli anni ’60 e ’70, e molto spesso gli veniva chiesto cosa ne pensasse dell’intromissione della tecnologia nel mondo dell’arte, ed egli risposi cosi quasi profetico:” L’arte astratta del futuro tende all’universalità totale dello spirito, la sua tecnica è destinata a svilupparsi in direzione di un generale progresso tecnologico, la sua fattura sarà impersonale se non addirittura codificabile[…] Sin dalla sua nascita l’arte è di possesso dell’intera umanità […] Mi figuro che intere mostre saranno semplicemente proiettate su parete. Avendo a disposizione delle principali opere d’arte, potremmo organizzare ovunque senza grande fatica e dispendio di denaro gigantesche esposizioni. Sarebbero sufficienti pochi giorni per inviare tutta una retrospettiva in un pacchetto postale in qualunque punto del globo”.

Giuseppina Ercole




Estate 2018, beach: moda, tendenze e i consigli del lookmaker delle dive Renè Bonante

E’ arrivata l’estate finalmente e le spiagge nel fine settimana hanno registrato il pieno dando il via all’apertura ufficiale dell’estate 2018.

Una moda beach 2018 un po’ retro. Ecco le tendenze

I costumi di quest’estate hanno delle caratteristiche ben precise ed anche un po’ retrò, la moda beach 2018 è ricca di volants e ruches, corpetti che ricordano il “Corset mistere” di Cristian Dior, monospalla con spallina rigide o con volants, si riconfermano di nuovo il bikini e i motivi floreali anche con fiori tridimensionali abbinati a motivi geometrici, fantasia cachemire, oppure decorazioni che ricordano i dipinti di Pier Mondrian.

E’ di moda il noto costume bianco indossato da Ursula Andress, prima bond girl nella storia dei film dei “007”

La nota attrice è ricordata anche per la famosa e celebre scena di quando uscii dall’acqua entrando ufficialmente tra i capi della storia del costume, alcuni noti brand ne hanno fatto una versione rivisitata con gli slip sgambati anni ’80 a vita alta. La moda beach di quest’anno è decisamente molto femminile con le sue profonde sgambature e vita alta, le decorazioni spaziano con strisce larghe e strette con stelle, un “remake” alla bandiera americana. Un must che non tramonta mai da mettere nella valigia per il fine settimana al mare è l’intramontabile costume nero, alcuni brand ne hanno creati con inserti in trasparenti da abbinare a pareo.

Quale trucco mettere in spiaggia? I consigli del lookmaker delle dive Renè Bonante

Ma, il trucco come dev’essere per non avere un viso sciatto e fare uno scivolone di stile, cosa dobbiamo mettere a riposo nel beauty case e da usare di nuovo in autunno? E in spiaggia quale trucco mettere? A questa domanda risponde il lookmaker partenopeo delle dive Renè Bonante

I prodotti che io consiglio di mettere nel beauty case a riposo sono il fondotinta compatto e la cipria, da sostituire al loro posto con le creme colorate e il fard o un’illuminante del tipo cremoso che rafforza l’abbronzatura dando luminosità. Gli occhi vanno truccati con matitoni e kajal al posto degli ombretti a polvere, mentre il mascara è preferibile il tipo indelebile, la sera con il tipo da infoltimento, mentre se le palpebre lo permettono si possono usare mascara dai colori del tipo blu notte, verde bosco, marrone e viola. Le labbra le coloriamo non con i rossetti del tipo matto, ma con il burro cacao e il lip gloss al loro posto. In spiaggia i rossetti si possono usare anche i colori più “sparati” dalle tinte forti e belle, mentre raccomando sempre di non dimenticare la protezione al viso e anche ai capelli per non arrivare a settembre con il viso rovinato e capelli sfibrati”.

Storia del Bikini

I primi accenni di costume da bagno a due pezzi che lasciavano scoperti parte della pancia e l’ombelico fecero la loro comparsa nel 1935. Ma, “L’atomico” bikini è stato creato ufficialmente nel 1946 dal sarto francese Louise Réard, nello stesso anno Cristian Dior lanciò il “New look” e la guepière. Il nome BIKINI richiama l’atollo di Bikini nelle isole Marshall, nel quale negli stessi anni gli Stati Uniti conducevano esperimenti nucleari. Il sarto Réard riteneva che la sua creazione avrebbe avuto effetti esplosivi. Le attrici hanno avuto sempre nella storia della moda una grande influenza, nel 1953 le foto di Brigitte Bardot su una spiaggia di Cannes con addosso un costume in occasione del Film Festival rese popolare questo capo, a favorire ancor di più la sua diffusione fu quando B.B. indossò un bikini nel film dal titolo “ Piace a troppi” nel 1958, si cominciò a creare un mercato anche negli USA. Fra i costumi più famosi come già citato è stato il costume di Ursula Andress indossato nel film dal titolo “Dr. No”, l’attrice Halle Barry fu protagonista di un “remake” della storica scena del film con colori e la foggia diversi.

Cenni storici di indumenti che hanno dato le basi dell’odierno bikini

I costumi fin dall’antichità come li intendiamo noi da mettere al mare o alle terme dalle testimonianze di dipinti o reperti ritrovati nei siti archeologici risalgono a molti secoli addietro, fra gli esempi più significati sono le ragazze raffigurate in un mosaico della villa romana del Casale nelle vicinanze di Piazza Armerina del IV sec. d.C. circa. Le ragazze indossano una tipo di bikini con reggiseno a fascia molto simile alla nostra epoca, come concordano gli studiosi è lo “Strophium” chiamato anche “subligaculum” – la fascia per il seno- menzionato nei testi romani. Gli “slip” con fascia delle ragazze del mosaico armerino ricordano lo “Skenti” egiziano, ossia mutanda con fascia larga, questo capo venne indossato fino al III millennio a. C. nell’antico Egitto questo indumento veniva generalmente indossato a torso nudo, senza che vi era nessuna distinzione fra le varie classi della popolazione. Da[ Storia della moda di Black Garland].
Gli egiziani tenevano molto alla cura del corpo e all’igiene personale e fra le testimonianze pittoriche che raffigurano egiziani intenti con cura di se stessi avendo solo addosso un primordiale perizoma con semplici strisce, ma strette in vita, la troviamo su un dipinto ritrovato a Saqqarah nella tomba di aknManhor risalente a 2330 a C.

Questo tipo di indumento veniva usato anche veniva usato anche a Creta sia da uomini che da donne, come raffigurano alcune statuine o dipinti, gli uomini andavano anche in giro nudi, le donne cretesi, chiamate anche “le parigine” per la loro spiccata femminilità, generalmente andavano in giro a seno nudo. Nel medioevo non si hanno molte notizie, ma si facevano il bagno in comune tra uomini e donne con un camicione o tunica. Fra gli esempi più significativi al mondo, ed anche fra le più datate di un particolare tipo di indumento, ma la sua destinazione d’uso non è come lo intendiamo no, ma con molta probabilità per proteggere i genitali lo troviamo al Museo Archeologico di Bolzano, al suo interno è custodita la mummia del Simulan chiamato anche Oetzi o Iceman con tutti gli indumenti di quando venne ucciso, al momento del ritrovamento aveva un primordiale perizoma insieme ad altri indumenti. Oetzi risale addirittura a 5.300-5.700 anni fa -dell’età del rame- ed è stato datato al radiocarbonio, gli studiosi concordano che il “perizoma” è il primo indumento che l’umanità abbia creato, addirittura qualche studioso ipotizza che risale al periodo paleolitico.

Giuseppina Ercole

 




Napoli, Museo Diocesano: ancora una settimana per ammirare “La Madonna col Bambino in una ghirlanda di fiori”

NAPOLI – Ancora una settimana per ammirare “La Madonna col Bambino in una ghirlanda di fiori” dipinto da Peter Paul Rubens e Juan Brueghel il vecchio e realizzato nel primo quarto del seicento. Questo vero e proprio gioiello resterà esposto fino al 30 aprile al Museo Diocesano del Complesso Monumentale Donnaregina. Un dipinto a “quattro mani” che racchiude due opere in una, ed ha come soggetto raffigurato la Vergine col Bambino incorniciata da un’elaborata ghirlanda di fiori dipinta da Brueghel il vecchio, il linguaggio pittorico è figurativo, mettendo in rilievo la bravura dell’artista a non tralasciare nessun dettaglio, sia nell’abbinamento dei colori, e sia con le sfumature. Il tema dei fiori e anche degli animali erano particolarmente apprezzati nel mondo fiammingo, dove si configuravano quale risposta alla Riforma protestante che negava la validità delle rappresentazioni della Vergine o dei Santi, mentre la Maria col Bambino è dipinto da Rubens, ed ha un linguaggio pittorico con i colori che si fonde bene nell’intero dipinto.

Di questo dipinto si registrano oltre due versioni analoghe:

Una nelle raccolte del Museo Louvre ed un’altra al Museo del Prado. L’opera è posta in una vetrina apposita di sicurezza nella “Sala Solimena” in alto nella chiesa posta al centro dominando l’intera sala, la collocazione in alto della diocesi dà al fruitore la possibilità di poter vedere una prospettiva diversa di tutta l’intera Chiesa, oltre al dipinto di Rubens-Brueghel ci sono altri dipinti di un’immensa bellezza, la sala Solimena ha un imponente affresco dipinto dal un giovane Francesco Solimena del 1684 dal titolo “Il miracolo delle rose”.

Oltre 300 opere da poter ammirare

L’intero complesso è un vero tesoro per i partenopei da poter fruire, infatti ha oltre 300 opere da poter ammirare tra affreschi, dipinti, oggetti preziosi di oro e argento, reliquie, marmi policromi e statue, fra le quali è molto interessante a sinistra della navata appena si entra nel corridoio si può ammirare le opere di Nicola Fumo del seicento, di materiale di legno intagliato e poi dipinto. Il museo è gestito dall’Arcidiocesi di Napoli, con la sorveglianza della soprintendenza al polo museale di Napoli. All’interno si trovano opere prevalentemente alla scuola napoletana, con opere di Luca Giordano, Francesco Solimena, Massimo Stanzione, Aniello Falcone e Andrea Vaccaro.

Una dimensione dove passato e presente non esistono

lI “viaggiatore” il quale è in visita al Museo Diocesano è immerso in una dimensione dove passato e presente non esistono, ma è una dimensione fuori dal tempo, fruendo appieno la spiritualità dell’opera, ma anche di vivere un’esperienza mistica unica in un contesto dove il Barocco ha potuto esprimersi al meglio dando prova di non voler lesinare con la bellezza. L’intento del Museo Diocesano voluto dal Cardinale Crescenzo Sepe nel 2007 è di voler un luogo dove regna l’armonia tra umanità e religione, rivolto al cielo e alla terra, l’intero Complesso sia la chiesa vecchia gotica che la chiesa barocca è protesa versa la modernità dei nostri tempi, verso l’Europa, ma rispettando la memoria del passato e con l’intento di conservare il proprio spirito identitario. L’intero Museo è teso ad ospitare nuove opere in futuro, ed è affino all’idea polifunzionale, infatti nel suo interno vengono organizzate attività extra museali tra cui congressi o rappresentazioni teatrali, come l’exibition dei Tableaux Vivants da Caravaggio che sta avendo un ottimo successo con la regia di Ludovica Rambelli, ritmicamente scanditi dalle musiche di Mozart, Bach, Vivaldi e Sibellus.

Cenni storici

Le prime testimonianze documentarie di questo luogo risalgono al 780, con molta probabilità in riferimento alla proprietaria dei terreni quando venne citato un complesso monastico presso le mura cittadine, detto: San Pietro al Monte di Domina Regina. Il complesso è stato abitato da monache italo-greche, da brasiliane, da benedettine nel IX secolo, e infine da francescane. All’inizio del seicento le Clarisse del monastero di Santa Maria Donnaregina decisero di costruire una nuova chiesa barocca, più consona ai tempi, annettendo l’antica chiesa gotica alla zona della clausura. I lavori con esattezza iniziarono nel 1617 con la partecipazione dei più prestigiosi artisti del momento.

Giuseppina Ercole




Dolci vegani: un mondo di “Golosità”. La pasticcera Valentina spiega come fare il cheeskake

MONTE DI PROCIDA (NA) – Sempre più spesso sentiamo parlare della dieta vegana, ossia l’alimentazione priva di derivati dal mondo animale e non solo per l’esclusione di carne dalle abitudini alimentari come il regime nutrizionale vegetariano, ma anche per l’eliminazione di latticini e uova provenienti da allevamenti intensivi, le motivazioni di questa scelta possono essere molteplici, infatti non sempre la ragione è di carattere morale, ma si sceglie questo tipo di alimentazione per salute o per depurarsi dopo un periodo di feste.

Il veganesimo, chiamato anche vegetalismo, ha generato spesso diverse scuole di pensiero tra gli esperti di alimentazione. Nacque nel 1944 in Inghilterra da Elsie Shrigley e Donald Watson come movimento animalista, proponendo l’adozione di un modus vivendi basato su risorse che non provengono dal mondo animale, e comprende non solo l’alimentazione, ma anche la
scelta dell’uso di prodotti quotidiani come i detersivi, il vestiario, l’arredamento e i farmaci.
L’imperatore Tiberio diceva: “L’uomo giunto all’età di trentacinque anni, non dovrebbe avere più bisogno di un medico”, non vi è alcuna presunzione di volerci sostituire ai medici, ma possiamo avere la consapevolezza del cibo che assumiamo e dell’impatto ambientale, ed un piccolo aiutino verso noi stessi con un’ottima alimentazione lo possiamo dare. Le cucine alternative vengono incontro alle esigenze di persone che hanno abitudini alimentari diverse da quelle tradizionali, come ad esempio l’alimentazione vegetariana e macrobiotica.

In passato la scelta di questi tipi di regimi alimentari era di carattere morale. Non era la questione religiosa la causa del rifiuto di consumare cibi di origini animali.

Oggi la ricerca di uno stile di vita naturale, in risposta ai ritmi frenetici della vita e ai problemi di igiene e di sicurezza degli alimenti, si continua ad affermare anche grazie all’informazione dei
media  Queste condotte alimentari sono rivolte a tutte le fasce d’età. I prodotti si trovano facilmente nelle pasticcerie, gelaterie e anche nel mondo della ristorazione.

I vegani che tipo di dolci mangiano con l’esclusione di latte e uova?
A questo proposito L’Osservatore D’Italia ha voluto porre qualche domanda a chi è in contatto diretto con il pubblico, ossia con una pasticcera Valentina Bianco titolare della pasticceria “Golosità” di Monte di Procida (Na), che per l’occasione, ha dato anche ingredienti e procedimento per realizzare un dolce vegano che prepara nel suo laboratorio.

 

C’è richiesta di dolci vegani e qual è la fascia di età per questo tipo di prodotto?
La nostra pasticceria è sempre in continua mutazione, siamo predisposti al cambiamento, anzi ci adattiamo facilmente alle richieste del mercato. Ecco perché la pasticceria vegana rientra sicuramente nei nostri progetti di investimento. Oggi la domanda è in continuo aumento, e prevedo un aumento del 5% annuo, la
richiesta di dolci vegani abbraccia un po’ tutte le fasce d’età, ho clienti anziani che cominciano ad approcciarsi a questo stile di vita che ragazzi dai 25 ai 35 anni. Le ragioni, ascoltando i miei clienti,
sono le più svariate. La maggioranza sostiene che sia per motivi di salute. La seconda per salvaguardare la vita degli animali. Inoltre la pasticceria o cucina vegana è un’ottima soluzione per chi è intollerante al lattosio o alle uova. Produciamo qualsiasi dolce tradizionale in versione vegana su richiesta.

 

Quale dolce in versione vegana è più richiesto?
Il dolce che mi è capitato più spesso di fare è facile da preparare in casa, è veloce, senza bisogno di cottura e con ingredienti facilmente reperibili in quasi tutti i supermercati: CHEESECAKE.

 

RICETTA DEL CHEESECAKE VEGANO
Per la base:
300 gr di biscotti vegani, 50 gr di mandorle tritate, 150 gr di burro vegetale
Unire biscotti e mandorle con il burro fuso precedentemente, mettere sulla base di un ruoto a cerniera, lasciare riposare in frigo per 30 minuti.

PER LA FACITUTRA
300 gr di formaggio vegano spalmabile, 200 gr di panna vegetale da montare senza lattosio, 50 gr di cioccolato spalmabile vegano, 50 gr di zucchero ( è indifferente la scelta del tipo di zucchero bianco, di canna o integrale), scaglie di cioccolato fondente all’85%
Frullare il formaggio insieme al cioccolato spalmabile, incorporate insieme alla panna vegetale montata precedentemente, unire infine con scaglie di cioccolata, prendere il composto e versarlo nello stampo. Mettere in freezer e togliere per almeno 15 minuti prima di servirlo.

Giuseppina Ercole




A Napoli un gioiello del patrimonio artistico mondiale, il Museo Cappella: due domande alla direttrice Giovanna Miranda

Il Museo Cappella di Sansevero si trova nel pieno centro storico antico di Napoli, ed è un vero gioiello dell’immenso patrimonio artistico italiano ed internazionale, il Museo-Cappella è di proprietà privata e appartiene agli eredi del principe di Sansevero, da venerdì 30 marzo a lunedì 2 aprile ha registrato oltre 13.000 visitatori, con un aumento di circa il 10% rispetto al weekend pasquale dell’anno scorso, ed è un vero orgoglio del tutto partenopeo.

L’Osservatore d’Italia ha voluto porre qualche domanda alla Direttrice del Museo-Cappella Giovanna Miranda sulle opere che si trovano all’interno e sulle analisi eseguite al Cristo velato

Quale opera attira maggiormente i turisti?

Senza dubbio l’opera di maggior richiamo è il Cristo velato. Altro elemento di notevole attrazione per i turisti sono le Macchine anatomiche nella cavea sotterranea.

Molte sono le leggende sul Cristo velato, sul Principe Sansevero e le pratiche di alchimia di quest’ultimo; quali sono le analisi effettuate che smentirebbero qualsiasi dubbio e dare giustizia a Giuseppe Sanmartino in qualità di artista?

Oltre al fatto che basta una semplice attenta osservazione per rendersi conto che il Cristo velato è interamente di marmo, esistono documenti presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli in cui si descrive esplicitamente la statua come un Cristo coperto da un velo anch’esso di marmo. Inoltre un’analisi non invasiva con un sistema noto come “Fluorescenza X”, eseguita dalla società Ars Mensurae, ha evidenziato – anche se non ce n’era bisogno – che l’unico materiale di cui è fatto il Cristo è marmo di Carrara. Da Clara Miccinelli e da altri autori, che hanno sostenuto la tesi della marmorizzazione alchemica di un velo di tessuto, è stato prodotto un presunto documento settecentesco dell’Archivio Notarile di Napoli, che la prof.ssa Rossana Cioffi, nel suo libro sulla Cappella Sansevero, ha dimostrato con incontrovertibili argomenti essere un documento falso.

Nella Cappella si trovano opere di un’immensa bellezza

come la scultura marmorea di Giuseppe Sanmartino del 1753 dal nome “Cristo velato” famosissima in tutto il mondo, la particolarità dell’opera è il realismo che l’artista ha saputo dare alla prodigiosa tessitura del velo marmoreo, l’artista ha trasformato un pezzo di marmo in un’opera che a distanza di tre secoli ancora emoziona, l’opera attira visitatori da tutto il mondo per poterlo vedere da vicino. Josheph Sanmartino così è firmato sull’opera ha saputo conferire alla statua un effetto visivo di “leggerezza” al velo che ricopre il Cristo, oltre alla “morbidezza” dei cuscini sottostante del corpo, sempre di materiale di marmo di Carrara. Il principe di Sangro disse in merito al Cristo velato del Sanmartino “ Fatto con tanta arte da lasciar stupiti i più abili osservatori”
Nel 2008 la regione Campania scelse il volto del Cristo per rilanciare l’immagine di Napoli, Canova quando vide l’opera ne restò affascinato, tanto che si dice che tentò anche di acquistarla. La statua è posta in fondo al centro della navata della cappella dove i fruitori possono vederlo da qualsiasi lato.

Nella Cappella vi sono altre opere da ammirare come la magnifica statua dal nome“ Il disinganno” di Francesco Queriolo, “La pudicizia” di Antonio Corradini e le “Macchine anatomiche” di Giuseppe Salerno del 1763-64.

Il soffitto della Cappella è decorato con un dipinto dal nome “Gloria del Paradiso”, governa dall’alto la cappella, fu realizzato da Francesco Maria Russo del 1749, l’intera parete è realizzata con i colori inventati dallo stesso Raimondo di Sangro, ed ancora adesso la cromatura è brillante e non è mai stato restaurato, la visita è accompagnata dalla melodia gregoriana dal titolo “Stabat Mater” rendendo ancor di più interessante l’esperienza culturale trasportando il “viaggiatore” in un’epoca passata, dove mistero e bellezza s’intrecciano rendendo l’esperienza unica del suo genere.
La Cappella nota anche come Santa Maria della Pietà o Pietatella fu fondata verso la fine del cinquecento da Giovanni di Sangro, grazie a Raimondo di Sangro – suo discendente – settimo principe di Sansevero uomo di grande di cultura e mecenate, tra il 1740 e il 1770, egli chiamò a sé a lavorare artisti rinomati, sovraintendendo personalmente a tutte le fasi di lavorazione di ogni opera attualmente esistente nella cappella, lasciando ai posteri la possibilità di poter ammirare tali meraviglie e testimonianze delle capacità dell’ingegno umano.

La Cappella –Museo è un vero “scrigno” di tesori e anche di leggende

infatti la bravura degli artisti ha creato “miti” attorno alle opere attirando milioni di visitatori, alimentate anche da libri e pseudo-documenti che provavano la “marmorizzazione” del velo del Cristo, tale tesi attribuiva il procedimento della trasformazione del velo da tessuto in marmo al Principe Sansevero, tutta questo ha creato un alone attorno all’opera, ma senza dubbio non conferendo bravura all’artista. Il velo del Cristo per molti anni è stato oggetto di discussione tra gli storici, tra cui Clara Miccinelli che attribuiva al velo marmoreo di essere il risultato di un processo alchemico, ossia l’opus o la “Grande Opera”, diffondendo anche la “ricetta”: “Calcina viva nuova 10 libbre, acqua barilli 4, carbone di frassino…”. – da “Arte e alchimia” di Maurizio Calvesi-
In realtà è la bravura del Sanmartino che in un unico blocco di marmo ha saputo scolpire l’intera opera in maniera magistrale in soli tre mesi e mezzo, a confermare che non vi è nessuna alchimia sono state fatte delle analisi, ed il risultato conferma che il velo è parte del marmo. Il fruitore che osserva le opere in questione come il “Cristo velato” o “Il disinganno” viene colpito dal loro realismo – aulico per quanto riguarda il Cristo velato – tanto che viene da pensare che la corrente iperrealista contemporanea sia nata qui nel cuore di Napoli tra le piazze e i vicoli dove si esibiscono attualmente gli artisti di strada, di qualsiasi etnia insieme alle bancarelle che fanno da attrazione e da colore, accompagnano i “viaggiatori” con il suono dei tamburi, delle fisarmoniche e perfino di un’arpa tra l’enorme stratificazione storica della città, tra folklore, miti, leggende e misteri.

GIUSY ERCOLE

 




Bellezze d’Italia, la Basilica Cattedrale di San Procolo Martire a Pozzuoli: un’immersione tra arte e natura

Fra i luoghi da visitare nella Penisola Flegrea in provincia di Napoli è la Basilica Cattedrale di San Procolo Martire e si trova sulla Rocca del Rione Terra a Pozzuoli, qui si fondono bellezza paesaggistica, arte e natura, dando via a uno dei posti più belli e caratteristici d’Italia.

Il Duomo si presenta ai visitatori come l’unione di due realtà opposte: il Tempio classico e la Chiesa tardo barocca

La Cattedrale è un tesoro di per sé e all’interno di essa contiene altri tesori, infatti sulle pareti della Basilica risalente al I secolo a. C. circa in onore all’imperatore Augusto i visitatori possono ammirare i dipinti della pittrice romana Artemisia Gentileschi nata nel 1593, le opere sono tre e occupano circa 18 metri quadrati, le opere furono commissionate quando si trasferì a Napoli. La “Pittora” così chiamata, nei secoli è stata erroneamente quasi sempre ricordata per lo stupro che disgraziatamente subì in giovane età da un certo Agostino Tassi, ma in realtà Artemisia Gentileschi era una valente artista appartenente al filone del nuovo linguaggio pittorico “caravaggesco” degli artisti dell’epoca del seicento, influenzati non solo dal nuovo modo di dipingere, ma anche dalla forte personalità del Merisi. Ad arricchire la visita è anche la stradina che bisogna fare per arrivare alla Cattedrale, infatti affaccia sul porto della citta puteolana dove i visitatori possono ammirare i colori caratteristici delle abitazioni tipiche delle città di mare, il porto che accoglie i turisti da millenni fa da cornice a tutto il panorama, entrare all’interno della Cattedrale è come fare un viaggio nel tempo ed è un’esperienza davvero interessante fatta di bellezza e di cultura, infatti si possono ammirare i resti delle colonne maestose del Tempio augusteo di marmo di colore bianco che dominano e catturano l’attenzione, mentre sullo sfondo delle pareti si possono fruire i dipinti di epoca barocca di Artemisia Gentileschi, ad arricchire la visione si aggiungono al notevole patrimonio della chiesa importanti tele di altri artisti come Ribera detto lo “spagnoletto”, opere dei fratelli Fracanzano, di Agostino Beltrano, Giovanni Lanfranco, Massimo Stanzione, e Paolo Finoglio.

 

Le tre tele in questione di Artemisia Gentileschi le vennero commissionate quando si trovò per la prima volta nel capoluogo partenopeo

Secondo alcuni studiosi però non venne mai a visitare di persona la Cattedrale di Pozzuoli, i dipinti voluti dal Vescovo Martin de Leon y Cardenas sono collocabili tra il 1633 e il 1638 anno della partenza della Gentileschi per l’Inghilterra, i dipinti in questione sono: San Gennaro nell’anfiteatro di Pozzuoli, l’Adorazione dei Magi e Santi Procolo e Nicea. Le opere per il Vescovato puteolano dimostrano che la pittrice romana abbia trovato un ambiente disponibile, che le riconosceva la sua bravura d’artista, infatti finalmente non le venivano solo commissionate opere per privati e molte volte lo facevano anche per ammirare la sua avvenenza, ma finalmente le venivano richieste anche opere importanti destinate a luoghi di culto, per l’artista era per la prima volta che le commissionavano opere da un ente ecclesiastico. Tutte e tre i dipinti dimostrano la grande maestria per il colore che aveva imparato a macinare e a mescolare con gli oli quando era piccola, infatti l’apprendistato lo fece nella bottega del padre Orazio anch’esso artista caravaggesco, il colore giallo-oro è il suo colore identicativo dove lo si può ammirare in tutte le sue opere, gli sguardi dei personaggi di Artemisia catturano il fruitore con delicatezza accentuati ancor di più dal “taglio” di luce che dimostra la grande ammirazione verso le opere del Caravaggio. Queste tre opere sono di grande importanza dal punto di vista storico, ma anche per l’artista, perché non viene più identificata la Gentileschi solo con l’opera “Giuditta e Olofena” che si trova agli Uffizi di Firenze e quindi riconducibile allo stupro di quando era giovanissima, nonostante la forza drammatica del linguaggio pittorico, ma si ha modo di constatare che le opere del Duomo di Pozzuoli dimostrano che aveva un grande talento artistico innato, e con la sua forte personalità non solo aveva reagito verso la violenza subita e le miriadi di umiliazioni e torture durante il processo che dovette subire per ben cinque anni, ma che si era imposta anche verso le discriminazione dei giudizi sessisti verso le artiste, poiché ritenevano che non era una professione adatta alle donne. La Cattedrale di Santo Procolo è davvero ricca di storia e di bellezza visitarla significa fare un salto di duemila anni per poi trovarsi in epoca barocca, ed è un vero scrigno di meraviglie dove vale la pena visitare.

La scena del dipinto di San Gennaro nell’anfiteatro di Pozzuoli racconta il martirio del Santo

Dopo essere stato sottoposto a tormenti venne dato in pasto a leoni e orsi, dietro sullo sfondo si nota l’anfiteatro disposto come un fondale teatrale che qualcuno pensa che sia il Colosseo, tutta la scena è animata all’esterno. La tunica bianca si discosta enormemente dal dipinto mentre il resto dei colori sono il suo linguaggio pittorico ed è consono al tema del dipinto, il contrasto di luce del dipinto dell’opera viene dal fascio di luce proveniente da sinistra creando ombre davvero suggestive.
Nel dipinto “Santi Procolo e Nicea” lo sguardo dei santi sono evidenziati dal contrasto di luce che viene sempre da sinistra e non tradisce il linguaggio caravaggesco che aveva adottato, lo sguardo puro dei santi è rivolto verso l’alto, la prospettiva ha le linee di fuga che convergono verso la colonna esterna agevolando lo sguardo del punto di vista dei fruitori nell’ammirare l’opera evidenziate ancor di più dalle linee del pavimento, ben contestualizzato nell’ambiente e l’altezza della sua collocazione. “L’Adorazione dei Magi” che si colloca a sinistra della Chiesa hanno come particolarità la sproporzione dei re Magi rispetto alla Vergine con in braccio il Bambino Gesù, infatti sono più grandi rispetto alla Madonna, lo sguardo della Vergine è commosso è anch’esso ben evidenziato dall’enorme contrasto del fascio di luce proveniente da sinistra che irradia tutta l’opera mettendo in primo piano il vestiario dei personaggi e la bravura dell’artista.

Giuseppina Ercole




Pasqua, tra pietanze tipiche e prelibatezze: ecco i consigli del nutrizionista

E’ oramai primavera anche se il tempo sta facendo qualche scherzo, fra non molto avremo tutti la famigerata prova costume, ma nel frattempo di mezzo ci sono le prelibatezze di Pasquali che nessuno vuole rinunciare, ma in genere ci fanno restare a bocca aperta quando passato il periodo pasquale ci mettiamo sulla bilancia e vediamo l’ago che ci dice che siamo ingrassati di qualche chiletto. Ma quante calorie ha un pezzetto di uova di cioccolata? Oppure le costolette d’agnello che fanno parte del tipico pranzo pasquale quante calorie hanno? Quanto ne possiamo mangiare per non far impazzire l’ago della bilancia? La Pastiera dolce tipico campano insieme al Casatiello dolce o salto conosciuti e apprezzati in tutta Italia qual è la porzione giusta da poter mangiare e vivere l’esperienza pasquale senza troppi pentimenti?

L’Osservatore d’Italia ha voluto porre queste domanda al nutrizionista Stefano Scafuri, laurea conseguita presso l’Università Federico II di Napoli, attualmente collabora con vari studi in tutta la Campania tra cui a Monte di Procida al “Centro Diagnostica Medica”.

 

Dottore come dobbiamo comportarci di fronte alle pietanze tipiche del pranzo pasquale?

Attore principale, neanche a dirlo, il Cibo; l’odore inconfondibile della “Pastiera” o il fascino del “Casatiello” hanno il sopravvento su qualsiasi senso religioso o familiare. Naturalmente nessuno rinuncia a gustare le meravigliose specialità gastronomiche normalmente proposte durante il pranzo pasquale o il picnic della Pasquetta, così come sarebbe assurdo vietarsi il classico pezzo di cioccolata dell’Uovo.

Quale sarà il menù di Pasqua?

Ogni famiglia ha le sue tradizioni, ma una cosa è certa – proprio come accade a Natale – con la scusa dei festeggiamenti si tende a mangiare decisamente troppo. E’ difficile stimare con precisione il numero di calorie che si assumeranno, intanto perché ognuno di noi raggiunge la sazietà in modo diverso e in quanto non esiste un menù prestabilito. Iniziamo però dal cioccolato, grande protagonista della tavola di Pasqua. Avrete tutti comprato delle uova? Un pezzetto di cioccolato al latte, il corrispettivo di 50 grammi, equivale in calorie ad un piatto di pasta e fagioli (ovvero quasi 279 calorie), mentre se è fondente a tre cannelloni ( ovvero 250 calorie). La differenza, oltre ai grassi e ai valori nutrizionali, risiede nella proprietà saziante, davvero minima nel caso del dolcetto. Non è tutto. Passiamo poi altri dolci della tradizione, tipici in particolare della regione Campania. La pastiera, una porzione corrisponderebbe a 1\8 di una torta di 25 cm di diametro apporta circa 400 kcal ( il 60% da carboidrati per lo più semplici come saccarosio e lattosio; il 35% da grassi tra cui una modesta quantità di gassi saturi e monoinsaturi). Capirete bene che si tratta di un vero e proprio attentato al benessere e quindi se ne raccomanda un apporto limitato. Il Casatiello nelle sue due forme: dolce e salato, il secondo in particolare da evitare o quantomeno limitarne il consumo in quanto ripieno di formaggio, salame e pancetta e può apportare fino a 600 kcal (45% provengono da carboidrati e il 30 % da grassi per lo più saturi e di origine animale). Il formato dolce, se proprio è consigliabile in quanto una leggera modifica, sostituzione del burro con olio extravergine di oliva, rende più salubre e meno calorico, ma ugualmente buono al palato l’alimento. Pasqua e Pasquetta non sono fatte solo di dolci e spumante. Esistono dei piatti tradizionali, davvero buonissimi, ma molto calorici come per esempio una porzione di lasagne al ragù. Ma, non è tutto!?Le classiche costolette d’agnello, che se fatte semplicemente alla griglia sono abbastanza leggere da digerire, valgono 360 calorie cotte ogni 100 grammi. Consiglio a tutti di non esagerare ed eventualmente, in caso contrario, di smaltire quanto prima le calorie in eccesso partendo sin dal martedì che segue le feste, evitando di ricadere nella trappola rappresentata dall’avanza del menù di festa. Potrebbe essere molto utile nei giorni seguenti aumentare il dispendio energetico praticando un bel po’ di attività ludica all’aria aperta sfruttando l’arrivo delle giornate primaverili. Per quanto riguarda invece i soggetti che presentano patologie tipo diabete, cardiopatie, ipertensione e le persone recentemente operate e o affette da insufficienza renale il mio consiglio è di concedersi solamente piccole e saltuarie deroghe alimentari rispetto al pieno alimentare seguito quotidianamente. Godetevi le vacanze senza esagerare. Buona Pasqua a tutti!!!

Giuseppina Ercole