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Castel Gandolfo, Anbi: “Cambiamenti climatici e cattiva gestione idraulica condannano il lago dei Papi”

Gargano: “Necessario un nuovo modello di sviluppo, che valorizzi acque e territorio”

CASTEL GANDOLFO (RM) – “Il progressivo abbassamento del lago Albano di Castel Gandolfo, le cui acque rimpinguano la sottostante falda fiaccata dai cambiamenti climatici e dagli eccessivi prelievi, è la dimostrazione della necessità di un nuovo modello di sviluppo, che valorizzi acque e territorio, bloccando l’eccessivo ed ingiustificato consumo di suolo, nonché la presenza di milioni di pozzi, spesso abusivi, figli di una cultura ormai insostenibile”: a ricordare il caso, non unico in Italia, è Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI, intervenuto ad un convegno promosso dalla Fondazione Univerde.

“Le drammatiche contingenze pandemica e bellica, nonché gli obbiettivi della transizione ecologica, dimostrano che è tempo di una grande coalizione sociale per scelte di futuro, che abbiano al centro la disponibilità delle risorse idriche, indispensabili anche per l’autosufficienza alimentare ed energetica. Il cosiddetto Piano Laghetti ANBI-Coldiretti, cioè 10.000 invasi medio-piccoli entro il 2030, va in questa direzione, rendendo disponibili maggiori risorse idriche per usi potabili ed agricoli, nonché per la produzione di energia rinnovabile – aggiunge Francesco Vincenzi, Presidente di ANBI – I Consorzi di bonifica sono centrali in questa sfida per ottimizzare l’utilizzo delle risorse idriche ed aumentare la produzione agricola. Attraverso l’innovazione ed il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ci vogliamo assumere nuove responsabilità verso le giovani generazioni.”

“Stiamo vivendo una fase di cambiamento epocale e c’è bisogno di un grande piano infrastrutturale per governarlo: grazie ad 1 miliardo e 480 milioni del P.N.R.R, il nostro impegno è realizzare 129 progetti entro il 2026” conclude il DG di ANBI.




Lago di Bracciano: i problemi dei pescatori rischiano di implodere in guerre intestine

“È controproducente litigare tra di noi e puntare il dito su questioni che non risolvono i nostri problemi. A prescindere dalle nostre categorie, sia pescatori sportivi che professionali, siamo da anni inascoltati dalle istituzioni, la pesca professionale è senza adeguati sostegni economici, l’incubatore ittico praticamente non funziona e non esiste un piano organico e complessivo di rilancio per la pesca in ogni suo aspetto”. I pescatori del comitato regionale pesca sportiva Bracciano – Martignano, nati nel 2016, replicano ai colleghi professionisti che vivono di pesca e che hanno criticato il provvedimento che starebbe per varare la Regione di consentire la pesca a traino con “tirlindana” anche tramite barca a motore elettrico e non più solo a remi. Non sarebbero questi i problemi: “Capiamo la rabbia di chi vive di pesca – dice il presidente del comitato Claudio Pierdomenico – ma farci la guerra non risolverà il problema. Chiediamo con urgenza l’apertura di un tavolo interistituzionale e politico affinché la Regione inizi ad ascoltare le nostre esigenze. Qualcuno ha giocato a fare dividi et timpera, sta a noi non cadere nella sua rete”. Non un “botta e risposta” dunque quello che sembra voler andare in scena tra pescatori o almeno da quella parte di sportivi che cercano una soluzione per il territorio. Ad accendere i pescatori che vivono di pesca una notizia che circola ancora per le vie ufficiose: la Regione sarebbe in procinto di pubblicare un provvedimento che autorizzerebbe i pescatori sportivi a muoversi a motore nel lago. Questa pratica diverso tempo fa proprio per tutelare il lago dall’inquinamento. Ora, la pesca sportiva è sempre più diffusa e per praticarla, occorre, tra l’altro, il tesserino segna pesci della regione Lazio.

La pesca tradizionale nelle acque del lago ha origini antichissime: basti pensare alle genti del neolitico, che già ottomila anni fa al villaggio che ora si chiama della Marmotta ben integravano le necessità alimentari con i proventi della pesca, e man mano, fino al tempo della civiltà romana, che prediligeva il pesce d’acqua dolce, in particolare quello del lago di Bracciano, preferendolo spesso a quello di mare o di fiume.
La Cooperativa Pescatori Lago di Bracciano presieduta da Michele Scuderoni considera gli sportvi quasi come degli ospiti poco desiderati: “Ci opponiamo in modo ntto e deciso a ipotesi del genere – dice Michele Scuderoni – autorizzare gli spirtivi all’uso del motore elettrico sarebbe un atto grave. Sappiamo che spesso i pescatori sportivi pescano le cosiddette matricine, quali ad esempio lucci in fase riproduttiva, andando a depauperare il già ridotto stock ittico del lago di Bracciano”. Tra le conseguenze del grave abbassamento del lago di Bracciano nel 2017, spiegano i professionisti, c’è infatti una riduzione della pescosità del lago: “Da anni – dicono – aspettiamo che vengano effettuate delle semine di avannotti, semine ad oggi sempre promesse ma non ancora effettuate. E’ giunto il tempo che sia dato il giusto sostegno ad una categoria professionale come la nostra, piuttosto che favorire pescatori amatoriali”.

A quanto pare i pescatori che vivono del mestiere che spesso viene tramandato di generazione in generazione si sentono trascurati dalle istituzioni che dovrebbero riconoscerne il valore e potenziale e quindi promuovere il settore e l’attività. Nel lago di Bracciano convivono tante specie di pesci, dal Luccio, al Persico Reale, la Scardola, la Rovella, la Tinca, la Carpa, l’Anguilla, il Lattarino, il Cefalo, il Coregone, il Persico Sole, la Gambusia




Sos crisi energetica: allevamenti italiani a rischio

Sos di Coldiretti Lazio per migliaia di allevamenti italiani. Solo nel Lazio rischia di chiudere una stalla su quattro solo a causa della crisi energetica e per la guerra in Ucraina. A questo ora si aggiungono le nuove scelte della Commissione europea, che compromettono la capacità di approvvigionamento nazionale del Paese, già deficitario per carne e latte. E’ quanto afferma la Coldiretti Lazio in riferimento alle anticipazioni sulla proposta della Commissione UE per la revisione della Direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (IED), per la prevenzione e riduzione dell’inquinamento attesa per martedì 5 aprile. Le bozze attuali allargano una serie di pesanti oneri burocratici ad un maggior numero di aziende zootecniche e aggiungono all’ambito di applicazione il settore delle produzioni bovine, che prima era escluso. “E’ una scelta inaccettabile – spiega il presidente di Coldiretti Lazio, David Granieri – che rischia di condannare alla chiusura tantissimi allevamenti con un nuovo carico di burocrazia che fa aumentare i costi del sistema zootecnico”. Il presidente nazionale di Coldiretti, Ettore Prandini ha già sollecitato personalmente i Commissari Wojciechowski e Gentiloni, oltre ai parlamentari europei italiani delle commissioni ambiente, industria ed agricoltura, per modificare una decisione che rappresenta un attacco al sistema allevatoriale europeo. “In un momento in cui è sempre più evidente la necessità di puntare sulla sicurezza alimentare e sull’autosufficienza – aggiunge Granieri – a Bruxelles si rischiano di fare scelte che aprono la strada alla “carne sintetica”. La carne italiana nasce da un sistema di allevamento, che per sicurezza, sostenibilità e qualità non ha eguali al mondo, consolidato anche grazie a iniziative di valorizzazione messe in campo dagli allevatoricon l’adozione di forme di alimentazione controllata, disciplinari di allevamento restrittivi, sistemi di rintracciabilità elettronica e forme di vendita diretta della carne. Le nuove scelte Ue rischiano di aprire le porte alle importazioni di carne da paesi terzi, che spesso garantiscono minori standard di sicurezza alimentare e maggiori impatti ambientali di quelli europei”. E poi l’appello: “Difendere la carne Made in Italy – conclude Granieri – significa anche sostenere un sistema fatto di animali, di prati per il foraggio e soprattutto di persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado spesso da intere generazioni, anche in aree difficili”. L’Italia dipende già dall’estero per il 16% del latte consumato, il 49% della carne bovina e il 38% di quella di maiale secondo l’analisi del Centro Studi Divulga.




ANBI100, dal Tempio di Adriano partite le iniziative per i cento anni dalla nascita della bonifica in Italia

100 anni della nascita della bonifica in Italia. Questo il leitmotiv della cerimonia che si è tenuta lo scorso lunedì a Roma presso il Tempio di Adriano dove, in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, l’Associazione Nazionale Consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue ha avviato il programma di iniziative “ANBI 100”, che accompagneranno il centenario della moderna Bonifica, quando a San Donà di Piave, in provincia di Venezia, dal 23 al 25 marzo 1922 si riunirono esperti e studiosi da tutta Italia, nonché autorevoli esponenti politici come don Luigi Sturzo e Silvio Trentin, per precisare  i nuovi obiettivi di un’attività caratterizzante la storia della Penisola fin dagli Etruschi.



Durante l’evento è stato presentato il volume “La grande storia d’Italia raccontata dall’acqua” scritto a 6 mani dal direttore generale dell’Anbi Massimo Gargano insieme a Elisabetta Novello ed Erasmo d’Angelis.

“C’è uno straordinario, quanto drammatico obiettivo comune tra il primo dopoguerra e l’attuale contingenza internazionale” ha detto Gargano ricordando come l’autosufficienza alimentare del nostro Paese allora come oggi, vede protagonista la gestione delle acque irrigue, operata dai Consorzi di bonifica.

“Attraverso ricerca ed innovazione – ha detto il Presidente Anbi Francesco Vincenzi – dobbiamo dare risposte concrete alle esigenze del Pianeta di oggi e domani. E’ una responsabilità, che abbiamo verso le giovani generazioni.”

Una celebrazione quella dell’ANBI che non si è fermata solo alla ritualità. Infatti è stato lanciato il Progetto Terrevolute 2022 che, coinvolgendo, in 4 tavoli tecnici, esperti di 13 università italiane, oltre alle rappresentanze di Istituzioni e società civile, sta provvedendo a definire le nuove linee guida operative ed istituzionali della Bonifica, ad iniziare dagli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’Unione Europea.




Mutamenti climatici, l’Osservatorio ANBI lancia l’allarme siccità in Italia centrale

“Emilia Romagna deserto d’Italia”

Nella speranza che le attese piogge diano sollievo ad agricoltura ed ambiente, è sorprendente il dato, che l’Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche segnala per  l’area orientale dell’Emilia Romagna:  sul ferrarese, da Gennaio sono caduti solo 18 millimetri di pioggia, addirittura 4 millimetri in meno di quanto registrato sull’oasi africana di Merzouga (mm.22) nello stesso periodo! Pare inarrestabile il trend dell’area estense verso la siccità estrema: in 16 mesi, dal 1 Gennaio 2021, si sono registrati mm.437,5 di pioggia  mentre, per rimanere in Italia ed in soli 12 mesi,  sono piovuti mm.1285 a Crotone, senza considerare i mm.761,6 caduti ad Agrigento in soli 6 mesi (dal 1Ottobre ad oggi). Altrettanto preoccupante è l’andamento registrato sul ravennate dove, in 16 mesi, sono caduti mm. 437,5 di pioggia; in Marocco, in 12 mesi, piovono però 700 millimetri a Tangeri e 510 millimetri a Rabat! Di questa straordinaria condizione di sofferenza idrica sono conseguenza fiumi emiliano-romagnoli ai minimi storici con il Trebbia, che addirittura segna -92% sulla media!

Eccezionalmente negativa è anche la condizione del manto nevoso in Lombardia, stimato del 18,9% inferiore al minimo storico! Nella stessa regione, il fiume Adda è ai livelli più bassi da 50 anni in conseguenza delle scarse portate erogate dal lago di Como, il cui riempimento è ridotto al 4,7% ed è ormai pericolosamente vicino al minimo storico del 1958.

Analogamente continuano a calare i livelli di tutti i laghi del Nord Italia (anche il Garda è sceso sotto media), la cui condizione è aggravata dallo scarso manto nevoso, presente anche in quota: a Courmayeur, nella Val d’Aosta dimenticata dalle piogge, la neve al suolo è inferiore del 72% alla media mensile e la Dora Baltea ha portata dimezzata rispetto allo scorso anno (fonte: Centro Funzionale Regionale Valle d’Aosta).

I livelli del fiume Po continuano repentinamente a calare (la portata è mediamente al 30% della media storica mensile) ed al rilevamento di Piacenza si toccano record negativi sempre nuovi e flussi che mai, nemmeno nelle  estati più siccitose, erano state così scarsi.

Se i corsi d’acqua piemontesi permangono in marcato deficit idrico (soprattutto, il Tanaro), non va meglio a NordEst, dove tutti i fiumi registrano portate al minimo dal 2017 (fonte: ARPA Veneto).

“Di fronte ad una crescente aridità, cui solo piogge continue e diffuse potranno dare risposta quest’anno, si accentua la crisi del sistema idraulico per un’emergenza climatica sempre più marcata e che sta disegnando una nuova Italia dell’acqua – commenta Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI) – Senza acqua non c’è vita e per questo non solo va risparmiata, ma va trattenuta quando arriva per essere utilizzata nei momenti di bisogno;da qui le nostre proposte per nuovi bacini, perlopiù medio-piccoli, dei laghetti, in aree collinari e di pianura.” 

Scendendo lungo la Penisola,  è la portata dell’Arno (mc./sec. 11,20 contro una media pari a mc./sec. 104,94!) a ben rappresentare il quadro largamente deficitario delle portate dei fiumi in Toscana, dove a Marzo si registra  mezzo millimetro di pioggia contro una media di mm. 66 (-95%)! 

Peggiora la situazione anche nelle Marche, dove torna ad affacciarsi lo spettro della siccità dopo un 2021 in emergenza idrica: calano sia le portate dei fiumi che i volumi d’acqua trattenuti negli invasi (circa mezzo milione di metri cubi in meno).

Nel Lazio permane da molti mesi una situazione di sofferenza idrica per i fiumi del bacino del Liri e, in alcune zone, il deficit  è superiore a quello del siccitoso  2017, con piogge inferiori dal 20 al 50% rispetto alle medie.

Anche in Campania la situazione inizia a destare qualche preoccupazione per una  fase di siccità primaverile con i livelli idrometrici dei fiumi Sele, Volturno a Garigliano in calo fin dalle sorgenti, mentre sono in ripresa i livelli dei bacini nel Cilento.

Infine, in Basilicata, per la prima volta dall’autunno, si registra una flessione nel riempimento degli invasi (-500.000 metri cubi) a testimonianza di un’avviata stagione irrigua; crescono ancora, invece, i volumi d’acqua, trattenuti negli invasi pugliesi e cresciuti di 6 milioni e mezzo di metri cubi in 7 giorni.

“La situazione apulo-lucana – conclude Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI – evidenzia l’importanza della riserva idrica garantita dagli invasi in regioni che, seppur confinanti, stanno vivendo differenze contingenze meteo: in carenza di piogge sono i bacini a fornire l’acqua necessaria alle prime colture dell’anno.”




Castelli Romani, il Parco regionale alla scoperta della “Ballerina Bianca”

La Ballerina bianca, nome scientifico: “Motacilla alba”, è un piccolo uccello bianco e nero dalla forma esile ed elegante, che non è difficile avvistare, soprattutto nel periodo invernale, nei nostri giardini, sui balconi e davanzali delle finestre. È caratterizzata da una lunga coda che alza e abbassa ritmicamente al suolo, non solo mentre cammina ma anche da ferma, movimento che la rende facilmente riconoscibile. É tra gli uccelli che meglio tollerano la presenza umana.

Dell’ordine dei passeriformi, è una specie tipicamente stanziale. Piuttosto esile nell’aspetto, ha una grande capacità di adattamento resistendo ai climi più disparati, dalle temperature rigide della Siberia a quelle roventi dell’Arabia Saudita. Lunga circa 20 centimetri, tra maschi e femmine non ci sono differenze accentuate, il bianco della fronte e degli occhi dipinge una specie di mascherina, mentre testa, nuca, gola e petto sono neri. Il dorso e il groppone sono grigio chiaro, le ali e la coda presentano delle striature bianche e nere.

Nel Parco dei Castelli Romani si trova spesso sulle rive dei laghi, ai Pantani della Doganella, nei pressi degli specchi d’acqua dove va a caccia, in quanto si nutre prevalentemente di piccoli invertebrati: insetti, ragni e piccoli molluschi.

La riproduzione inizia in primavera, il nido viene accuratamente nascosto in anfratti naturali e artificiali: scarpate, argini, fori nei muri o nei tronchi, ma anche al suolo. La femmina depone cinque o sei uova, che si schiudono dopo circa 12-14 giorni di cova e i pulcini vengono poi accuditi nel nido da entrambi i genitori per due settimane.




Roma, bonifica del Parco Archeologico di Centocelle: sopralluogo tecnico dell’assessore capitolino Sabrina Alfonsi

Una traversata che ha permesso di valutare le potenzialità di un’area verde al servizio della comunità

ROMA – Sopralluogo tecnico al Parco Archeologico di Centocelle dell’assessore capitolino Sabrina Alfonsi insieme al suo corrispettivo municipale Edoardo Annucci e al Presidente Mauro Caliste e ai rappresentanti del Comitato PAC Libero per verificare le criticità già evidenziate in altre sedi da cittadini e comitati, per individuare le priorità di intervento e cominciare a indirizzare gli uffici del Dipartimento Ambiente di Roma Capitale verso atti concreti.

Il gruppo è entrato dall’ingresso aperto dai cittadini sul lato Quadraro Vecchio/Tor Pignattara – Via di Centocelle 129 – e si è inoltrato nel Canalone mostrando all’assessore Alfonsi i rifiuti interrati, per poi attraversare i 33 ettari del primo stralcio ed arrivare all’ex Casilino 900 e agli autodemolitori sulla Palmiro Togliatti.

Una traversata che ha permesso di valutare le potenzialità di un’area verde al servizio della comunità, ma che non ha visto in questi ultimi anni nessun progresso rispetto alla progettualità prevista.

Indispensabile a detta dei cittadini aprire ufficialmente l’ingresso da Via di Centocelle e procedere alla realizzazione del secondo stralcio, altri 20 ettari di parco con annessa la Villa romana della Piscina e la relativa area museale.

Bloccare poi l’accesso carrabile all’ex Casilino 900 – dove la situazione di rifiuti ingombranti e’ ormai drammatica – tramite l’area ex ENI per evitare ulteriori sversamenti di rifiuti e provvedere ad aprire un percorso pedonale verso Torre Spaccata e Don Bosco.

Infine affrontare, insieme alla Città Metropolitana e la Regione Lazio, la questione della delocalizzazione degli autodemolitori. Dopo anni di rinvii e inutili chiusure è indispensabile liberare il Parco Archeologico di Centocelle da questa ingombrante presenza, anche in virtù del recepimento delle direttive europee in materia, per le quali si rischia l’apertura della relativa procedura di infrazione.

All’Assessore Alfonsi è stata infine consegnata un ampia documentazione, sia del Comune che della Regione, con l’auspicio che si avvii ancor più rapidamente la fattiva risoluzione delle criticità.




Cambiamenti climatici, Anbi: “Cresce la preoccupazione per il deficit idrico in Italia”

Gargano: “Si sta assistendo alla riduzione di specie autoctone, sopraffatte dall’arrivo delle cosiddette tipologie aliene, più adatte a riprodursi in condizioni ambientali estreme.”

Mentre si allarga al Centro-Sud Italia la preoccupazione per il deficit idrico, che sta colpendo il Paese, è al Nord, che si stanno battendo tutti i record negativi: decresce anche il lago di Garda ed il lago d’Iseo registra una percentuale d riempimento pari solo al 13,6%, mentre il Maggiore ha un’altezza inferiore di circa 76 centimetri alla media del periodo.

“E’ un quadro allarmante, quello che emerge dal report settimanale del nostro Osservatorio sulle Risorse Idriche – commenta Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI) – A fronte di tale quadro, il cui futuro è affidato  alla magnanimità del fato meteorologico, è fondamentale  che il recente inserimento della tutela ambientale fra gli obbiettivi della Costituzione, non sia solo una mera, per quanto importante, affermazione di principio, ma sia l’avvio di un nuovo, quanto urgente  paradigma operativo per il Paese.” 

A NordOvest la neve scarseggia perfino in Valle d’Aosta, dove non si registrano significative precipitazioni da circa un mese e l’innevamento pare indirizzato a segnare nuovi minimi storici; questa condizione si ripercuote sul principale fiume della regione, la Dora Baltea, che questa settimana vede ridotta la sua portata da 29,7 a 19,50 metri cubi al secondo (fonte: Centro Funzionale Regionale Valle d’Aosta).

Da inizio dell’anno, in Piemonte, le precipitazioni sono inferiori del 93% sulla media storica e le temperature hanno toccato, in alcune occasioni, il massimo storico del periodo. La neve  è molto scarsa e le portate del fiume Po sono più che dimezzate rispetto all’anno scorso, ormai evidenziando acclarate “caratteristiche di magra”, nonchè i primi segnali di danni all’habitat; a Torino è stata registrata una portata di 29,2 metri cubi al secondo, mai toccata nel 2020, neppure nel periodo estivo di massima calura!

Massimo Gargano Direttore Generale ANBI

“Se ovviamente l’attenzione è soprattutto concentrata sul futuro delle produzioni agricole e quindi del cibo – evidenzia Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI  – non vanno comunque dimenticati le ancora poco conosciute conseguenze dell’attuale situazione climatica sugli ecosistemi, dove comunque si sta assistendo alla riduzione di specie autoctone, sopraffatte dall’arrivo delle cosiddette tipologie aliene, più adatte a riprodursi in condizioni ambientali estreme.”

Rimanendo sul Grande Fiume, ma nel tratto lombardo-emiliano, si segnala il record negativo di Piacenza, che tocca il punto più basso dei recenti  15 anni, scendendo addirittura sotto al livello dell’eccezionalmente negativa  annata idrologica 2015-2016 (fonte: ARPAE) ed anticipando analoga sorte, permanendo le attuali condizioni, anche sul resto dell’asta fluviale.

Non solo Po, comunque: sono in calo anche gli altri fiumi piemontesi (portata fiume Tanaro: mc./sec. 24,8 contro mc./sec. 197) , mentre l’Adda torna a fare registrare la portata più bassa dal 2017 in una Lombardia, dove il divario tra le riserve idriche, attualmente  accumulate  e quelle del passato continua ad aumentare (-54,4% sulla media storica con un volume di neve, stimato in solo 578,9 milioni di metri cubi contro i quasi 3819 milioni dell’anno scorso ed una media dal 2006, pari a Mmc. 1911,80!).

Spostandosi a NordEst,  il fiume Adige segna l’altezza idrometrica più bassa dal 2014 e gli altri corsi d’acqua del Veneto  non fanno meglio: portate più che dimezzate rispetto al 2021 con il livello della Livenza inferiore di oltre 2 metri (fonte:  ARPA Veneto);  per quanto riguarda il deficit pluviometrico regionale,  a Gennaio è indicato in -53% con picchi nei bacini di Adige (-68%) e Brenta (-66%).

In Friuli Venezia Giulia,  il fiume Natisone  è praticamente “in secca”, toccando  una portata minima di 0,7 metri cubi al secondo.

In Liguria, i dati parlano di un aumento delle temperature minime di oltre mezzo grado negli ultimi 30 anni; la siccità ha iniziato a mettere in difficoltà i territori di Ponente: ad Imperia il torrente Impero è praticamente in secca ed  a Ventimiglia il Roja, il torrente più importante, è nella stessa situazione (fonte: ARPAL). A Levante, i quantitativi minimi per permettere l’attuale richiesta irrigua sono garantiti ma, se persisterà l’attuale condizione, l’estate si annuncia difficile. I dati delle centraline idrometriche a Gennaio sono sconcertanti: ad Imperia sono caduti  4 millimetri di pioggia contro i mm. 70,6 del 2020; a Savona mm. 7,4 contro i mm.71 di due anni fa.

In Emilia Romagna,  dove mezza regione pare essere dimenticata dalla pioggia, i fiumi sono “a secco” con portate estive.

Oltre al Nord, la situazione più grave è quella della Toscana, dove le portate dei corsi d’acqua sono tutte ampiamente al di sotto della normalità (fiume Arno: mc./sec . 13.80 contro una media a Febbraio di mc./sec. 110,82!)

Importanti cali di portata si registrano anche nei fiumi delle Marche (altezza idrometrica dell’Esino: cm 29, ma l’anno scorso era cm 107!) e del Lazio, dove sono gli alvei del bacino del Liri-Garigliano a mostrare i segnali di maggiore sofferenza (tutti ai minimi dal 2017).

In Campania, i fiumi Garigliano, Volturno e Sele si posizionano su valori inferiori alle medie del periodo, segnando l’ingresso della regione in una fase di siccità invernale, dove si segnalano in calo anche i volumi trattenuti nel lago di Conza e nei bacini del Cilento (quello sotteso alla diga di Piano della Rocca sul fiume Alento contiene  il  48,31% rispetto ad un anno fa).

In Umbria, i dati pluviometrici sono più bassi rispetto al passato, così come i volumi invasati nella diga di Maroggia e l’altezza idrometrica del lago Trasimeno, la più bassa dal 2010. Nella Bassa Valle del Tevere, la portata del “fiume di Roma” è in linea con le annate più siccitose ed al rilevamento di Monte Molino, a monte del lago di Corbara, con un’altezza idrometrica di m. 0,58 (media storica m. 1,28), si ha il valore più basso del decennio con un livello inferiore di oltre 2 metri e mezzo rispetto  ad un anno fa.

In Basilicata i principali bacini trattengono  oltre 20 milioni di metri cubi d’acqua in meno rispetto all’anno scorso, così come in Puglia, dove sul “granaio d’Italia” nel Tavoliere è piovuto la metà del 2021.

Tra i pochi dati positivi vanno segnalati quelli degli invasi di Penne, in Abruzzo e di Sant’Anna, in Calabria:  entrambi sono  al top degli anni più recenti; bene anche la Sardegna, dove i volumi invasati a Gennaio sono superiori alla media degli scorsi 12 anni.




Emilia Romagna, allarme Po: insabbiamento degli impianti idrovori di Boretto

Arriva dall’Emilia Romagna l’ennesima conferma dell’andamento ormai “torrentizio”, assunto dalle portate del fiume Po, conseguenza del cambiamento climatico: il susseguirsi dei periodi di magra (invernale ed estiva) sta provocando l’insabbiamento degli impianti idrovori di Boretto, nel reggiano.

Complici il drastico calo di portata del Grande Fiume e la scarsa piovosità di quest’anno, sta riemergendo un imponente quantità di detriti, costringendo il Consorzio di bonifica dell’Emilia Centrale ad una lotta contro il tempo per liberare l’area prima dell’avvio definitivo dei prelievi irrigui a servizio delle aree agricole delle province di Reggio Emilia, Modena e di parte del Mantovano.

Anno dopo anno, il problema ha ormai assunto caratteri endemici, causando disagi ed aggravio dei costi. Il tutto è stato ripetutamente segnalato agli organi idraulici competenti ma, in attesa del loro intervento, il locale ente consortile è costretto a provvedere autonomamente per la rimodellazione di un tratto anche dell’alveo del Canale Derivatore.

“Quanto sta accadendo lungo il fiume Po è la testimonianza di un Paese in costante ritardo di fronte ad un’emergenza climatica dai caratteri sempre più evidenti, come sta dimostrando anche l’attuale siccità fuori stagione. È necessaria un’assunzione di responsabilità collettiva altrimenti anche la straordinaria opportunità del Recovery Plan diverrà un’occasione sprecata” ammonisce Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI).

L’intervento in atto a Boretto Po consiste nella rimozione dei materiali sedimentati in alveo ed il cui volume da asportare è stimato in 16.000 metri cubi.

“Quello della manutenzione dal progressivo interrimento è un problema, che interessa tutti i corpi idrici. Basti pensare – conclude Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI – che il nostro Piano di Efficientamento della Rete Idraulica del Paese prevede l’asporto di oltre 72 milioni di metri cubi da 90 bacini, aumentando così di circa il 10% la loro capacità; il costo stimato è di quasi 291 milioni di euro, capaci però di attivare circa 1450 posti di lavoro. Come continuiamo a ripetere: serve un grande Piano di Manutenzione del Territorio ed ogni giorno, che passa, complice l’irrefrenabile consumo di suolo, ci espone ai crescenti rischi dell’estremizzazione degli eventi atmosferici.”




Conclusa la 3 edizione di “Obiettivo Acqua”, il concorso fotografico per educare alla cultura e al rispetto della risorsa idrica

Il contest è tornato in presenza nella splendida cornice della Sala delle Statue di Palazzo Rospigliosi

Premiati i vincitori di “Obiettivo Acqua” il concorso fotografico nazionale, giunto alla 3 edizione, promosso e organizzato da Coldiretti, ANBI (Associazione Nazionale Consorzi Gestione Tutela Territorio ed Acque Irrigue) e Fondazione Univerde con il patrocinio del Ministero della Transizione Ecologica, in collaborazione con FIAB – Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta Campagna Amica.

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Il contest, che si è tenuto lo scorso martedì 1 febbraio a Roma nella splendida cornice della Sala delle Statue di Palazzo Rospigliosi, è stato introdotto e moderato dal direttore generale dell’ANBI Massimo Gargano.

Presenti, fra gli altri, il Sottosegretario alle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Francesco Battistoni e l’Assessore Comunale ai Lavori Pubblici ed Infrastrutture di Roma, Ornella Segnalini, nonchè i Presidenti delle tre realtà promotrici: Ettore Prandini (Coldiretti), Alfonso Pecoraro Scanio (Fondazione Univerde) e Francesco Vincenzi (ANBI).

L’obiettivo del concorso è quello di educare alla cultura e al rispetto della risorsa idrica, aumentare la sensibilità sull’importanza della sua corretta gestione per la sicurezza ambientale, anche come fattore strategico per il futuro dell’agricoltura italiana.

A classificarsi al primo posto Pietro Munari con la foto “Darla a bere”. 2° posto a Fulvio Sudati con la foto “Martino con preda” e terzo Classificato: Maurizio Portone con “Grande Ruota Mulino (Rudun)”

E intanto è allarme siccità con l’Italia a rischio “zona rossa” nei prossimi mesi.




Osservatorio Anbi sulle risorse idriche: “Meno acqua per territori e agricoltura crescono le preoccupazioni di cittadini e imprese”

Alpi e appennini: dimezzate le riserve di neve

Secondo il report settimanale dell’Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche, la montante preoccupazione per il futuro di una stagione irrigua deficitaria ancora prima di cominciare, è ben testimoniata  dalla Lombardia, dove non solo le portate del fiume Adda sono inferiori a quelle degli anni più recenti (74 metri cubi al secondo: la più bassa dal 2017), ma sono esigue le riserve idriche, accumulate negli invasi o sotto forma di manto nevoso:  a livello regionale si rileva -51% rispetto alla media storica e -68% sul 2021 con picchi nei bacini Toce-Ticino-Verbano (-63,5%), Brembo (-74,7), Oglio (-61,5%). Allarmante è il confronto fra i livelli d’innevamento di quest’anno e di 12 mesi fa: in alcuni territori mancano all’appello oltre 2 metri di neve (fonte: ARPA Lombardia).

Come noto, durante il mese di gennaio, la portata del fiume Po si è ridotta progressivamente (-25% sulla media), raggiungendo valori al di sotto di quelli tipici del periodo, ma comunque ancora superiori a quelli di magra ordinaria.

La situazione di siccità fuori stagione sta interessando le regioni del bacino padano e l’area centro-settentrionale della Toscana.

“Temiamo che la crisi dello stato idrologico potrebbe rendere difficile la stagione primaverile all’agricoltura e all’habitat dell’intero Distretto Padano”: a dirlo è l’Autorità di Bacino Distrettuale del fiume Po-MiTE.

Il totale della riserva idrica invasata nei bacini naturali o artificiali e sotto forma di manto nevoso è infatti ancora diminuito rispetto alla settimana scorsa (-5.2%) ed oggi risulta inferiore alla media del periodo 2006-2020 (-51%); un’anomalia ancora più marcata è quella del fattore denominato SWE (Snow Water Equivalent) che, su tutto l’arco alpino, è prossimo ai minimi storici (-55% rispetto alle medie con punte che in alcune zone toccano -80%).

A ciò si deve aggiungere la  situazione dei Grandi Laghi del Nord (tutti sotto media, ad eccezione del Garda), dove i deflussi sono maggiori degli afflussi e le percentuali di riempimento ovviamente molto basse (Iseo: 17,1%; Lario: 18,2%; Maggiore: 22,5%); anche nei bacini montani, seppur con differenziazioni localmente  marcate, la riserva dall’inizio dell’anno è in diminuzione mediamente del  30%.

Soffrono ancora i fiumi dell’Emilia Romagna (in particolare il Savio ed il Nure da settimane sotto la soglia critica) e gli invasi piacentini non riescono a ricaricarsi dopo i prelievi irrigui estivi. In particolare, preoccupa il volume d’acqua trattenuto  alla diga del Molato (1,62 milioni di metri cubi): analizzando la media 2010-2021 ed escludendo il 2017 straordinariamente siccitoso, il bacino presenta oggi il 15% di acqua in meno, perché dalla fine dalla stagione irrigua non si sono registrate precipitazioni significative. A destare ulteriore preoccupazione sono le riserve delle falde indebolite dal fatto che nel 2021 sono piovuti 595 millimetri di pioggia, cioè il 30% in meno rispetto alla media degli ultimi 10 anni.

I fiumi veneti permangono in sofferenza idrica (il Piave, con una portata di 0,15 metri cubi al secondo è al minimo dal 2017), così come quelli dell’Italia centrale (in Toscana, tutti i corsi d’acqua hanno flussi dimezzati rispetto alla media e l‘Ombrone tocca addirittura -60%).

“Analizzando il trend degli anni più recenti, si evidenzia come le conseguenze dei cambiamenti climatici non siano più un fatto contingente, ma un dato strutturale, cui bisogna rispondere urgentemente con una politica di sistema” evidenzia Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI).

“I Consorzi di bonifica e l’agricoltura stanno facendo da anni la loro parte, ottimizzando la distribuzione irrigua e diminuendone il fabbisogno – sottolinea Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI – È la cosiddetta capacità di resilienza, cui vanno però affiancati interventi infrastrutturali come l’ammodernamento e l’ampliamento delle reti idrauliche e la realizzazione di nuovi invasi, capaci di stoccare acqua per i momenti di bisogno. Bisogna destinare a ciò ulteriori risorse sia dal Recovery Plan che da altri strumenti, quale il Fondo Sviluppo e Coesione, perché l’ormai ricorrente stato d’emergenza idrica è un enorme limite allo sviluppo dei territori.”

In Campania, i livelli idrometrici dei fiumi Volturno, Sele, Sarno e Garigliano appaiono in calo, seppur con modalità diverse. In diminuzione sono anche  i volumi dei bacini del Cilento (volume invasato: Piano della Rocca, -45,9% rispetto al 2021)  ed il lago di Conza (-4,2 milioni di metri cubi sull’anno scorso).

Scendendo più a  Sud, anche le rilevazioni sugli invasi apulo-lucani confermano un brusco rallentamento nel riempimento, a causa di un inverno  particolarmente mite (nella scorsa settimana: nei bacini della Puglia, +5 milioni di metri cubi d’acqua contro i quasi 20 dell’anno scorso; in Basilicata, +2 milioni, quando nel 2021 si registravano +16 milioni).