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Ferrovie ex concesse, la “rivoluzione” di Nicola Zingaretti: Roma lido e Roma Viterbo in gestione alla Regione. Resta il nodo sulla Roma Giardinetti

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Tempo di lettura 6 minuti Il Governatore illustra le opere previste sulla Roma-Lido e Roma-Viterbo

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C’è voluto il Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti per cercare di stendere un velo, pietoso, sulle condizioni delle ferrovie ex-concesse, immortalate da Legambiente nel dossier Pendolaria, importante quanto puntale appuntamento annuale.

“Dopo aver risanato e reso di nuovo competitivo il Cotral, dopo aver rinnovato i treni per pendolari e aver messo in campo centinaia di milioni d’euro di investimenti, ora la Regione prenderà in gestione anche le tratte Roma-Lido e Roma-Viterbo“.

Parole pronunciate da Nicola Zingaretti qualche giorno fa, in occasione della conferenza stampa per la riapertura del cantiere della nuova stazione di Flaminio, che metterà in collegamento la fermata della metro A con la stazione di testa della RomaNord.

Insieme al Governatore l’assessore regionale ai trasporti Mauro Alessandri, il Presidente della stessa Cotral Amalia Colaceci, l’amministratore unico di Astral Antonio Mallamo e il vicepresidente della Regione Daniele Leodori.

“Subito 800milioni di euro – ha spiegato il presidente della Regione Lazio – 500 dei quali disponibili entro il primo semestre del 2020, per migliorare la vita delle persone che viaggiano tutti i giorni e far ripartire i cantieri fermi da anni”.

“Queste linee fanno schifo, – ha detto ancora Zingaretti – abbiamo accolto il grido di dolore dei pendolari. Dal 2013 è stata avviata una mezza rivoluzione nel comparto dei trasporti, è stata risanata la Compagnia Cotral, rinnovato il parco veicoli con 1000 bus nuovi e svecchiato il materiale rotabile delle ferrovie regionali”.

E ora, salvo complicazioni, spetta alle ex-concesse:

144 milioni saranno impiegati per la Lido e 337 milioni per la Viterbo. Nello specifico. Investimenti Roma-Lido: opere civili nelle stazioni (recinzioni e barriere fonoassorbenti); nuovo deposito Ostia Lido; manutenzione straordinaria del materiale rotabile esistente; sistema di comunicazione terra-treno (segnalamento, potenziamento e risanamento della linea elettrica); Rinnovo totale dell’armamento della linea, compresi i deviatoi. Investimenti Roma-Viterbo: Raddoppio della stazione Flaminio; Raddoppio della tratta Riano – Morlupo; Predisposizione raddoppio tratta Montebello – Riano; Manutenzione straordinaria materiale rotabile esistente; Potenziamento deposito Acqua Acetosa; Potenziamento linea elettrica.

Elenco interventi messa in sicurezza Roma-Viterbo

A questi si aggiungono 315 milioni per l’acquisto di 38 nuovi treni per le due ferrovie ex concesse, già sono state spedite le lettere di invito per l’acquisto della prima tranche di treni (5 Roma Lido e 6 Roma-Viterbo), per un ammontare di 100 milioni, di cui 40 milioni di fondi ministeriali e 60 milioni di fondi regionali. Il 28 febbraio del 2020 scadrà il bando e si procederà alla seconda fase della gara.

Il cambio della governance:

“Dal 1 gennaio 2020 – ha proseguito Zingaretti – Astral spa affiancherà Atac nella gestione delle infrastrutture fino al 1 luglio 2020, data in cui Astral diventerà unico gestore delle infrastrutture e dal 1 gennaio del 2021 Cotral affiancherà Atac nella gestione dell’esercizio, fino al 1 luglio 2021, quando Cotral diventerà gestore unico dell’esercizio sulle due linee ferroviarie”.

Si riparte da piazzale Flaminio

“Ripartiamo da qui, da Piazzale Flaminio – ha detto l’assessore regionale ai Trasporti Alessandri – abbiamo scelto questo cantiere, nel giorno della sua riapertura, per illustrare nuovamente i grandi investimenti che stiamo mettendo in campo sulle ferrovie ex concesse. Piazzale Flaminio è un punto nevralgico di questo nuovo inizio che vedrà, a partire dal 2020, le due linee trasformarsi in cantieri, con più di 500 milioni di euro di risorse, degli 800 complessivi, attivabili entro il primo semestre del prossimo anno, tra interventi sulle infrastrutture, sulle dotazioni tecnologiche e acquisto nuovi treni».

Una svolta, “una grande svolta”, secondo i diretti interessati, dopo anni di incertezze, ripensamenti e vertiginose piroette. Ma è il presente e la gestione del servizio durante i cantieri, che dureranno fino al 2024, a tenere banco e a preoccupare i pendolari. Lo scorso 25 dicembre il Comitato della RomaNord, infatti, ha presentato un esposto alla Procura di Roma e di Viterbo “l’ennesimo per segnalare”, scrive Fabrizio Bonanni nel sito, “l’immane stato di degrado del servizio che viene fornito all’utente pendolare che viaggia sulla linea Roma-Viterbo. Riteniamo doveroso che qualcuno intervenga a mettere ordine e sistemare le cose: stiamo sempre peggio e senza visione sul futuro. Su quei treni noi ci viaggiamo tutti i giorni, mentre chi ha poteri decisionali non viaggia con noi”.

Dal Campidoglio, interviene il presidente della Commissione Mobilità Enrico Stefàno che trova singolari, “per non dire “ridicole” e lontane dalla logica” le affermazioni di Zingaretti. “Ovviamente che Roma Viterbo e Roma Lido non brillino per efficienza è un dato di fatto, negarlo sarebbe da sciocchi, ma addossare la colpa al gestore, ad Atac, anche se capisco può essere facile a livello mediatico, è un insulto alla logica, al buon senso e molto lontano dalla realtà”. Poi rilancia: “La Roma Lido deve essere una metropolitana, lo abbiamo messo nero su bianco nel PUMS“.

Peccato che la dismissione delle due ex-concesse è stata inserita nel Piano Industriale Atac, parte integrante del Concordato Preventivo, e peccato, altresì, che il corrispettivo di 90milioni di euro erogati annualmente dalla Regione all’Azienda Capitolina, secondo quanto stabilito dal Contratto di Servizio ancora in essere, è destinato anche alla manutenzione ordinaria dei beni, delle infrastrutture, dei mezzi e degli impianti ferroviari. O no?

Disquisizioni politiche a parte, resta da capire cosa ne sarà della Roma-Giardinetti, ora limitata a Centocelle. Linea fuori dalle grazie regionali, per le sue caratteristiche tranviarie, ma anche fuori da quelle comunali, dato che Roma Capitale deve ancora formalizzare l’acquisizione dell’infrastruttura. Oggetto questo della mozione presentata dalla consigliera comunale Svetlana Celli, che sarà discussa dall’Assemblea Capitolina nei primi mesi del prossimo anno.

A complicare le cose lo stop del Ministero dei Trasporti (si auspica momentaneo) al prolungamento e all’ammodernamento della linea, sviluppato e fatto proprio dall’Amministrazione e inserito nel PUMS. “Tale progetto”, spiega l’ing. Andrea Spinosa, che ha collaborato alla sua stesura, «era stato ben valutato dal MIT, tanto da rientrare tra i primi nella classifica finale delle istanze: la scelta finale è stata però di non inserire progetti con prescrizioni (la prima scelta era di finanziarlo con prescrizione sul cambio dell’armamento nella stesura del definitivo) ma di rimandarli all’istruttoria relativa al riparto 2019, con scadenza per la presentazione delle integrazioni al 30/04/20 (da non confondersi con il riparto 2020 e scadenza per le istanze al successivo 1° giugno). E il progetto della linea Termini-Tor Vergata è proprio uno dei due che è automaticamente incluso nel nuovo riparto, essendo già stato ammesso nel primo e non incluso nel riparto 2018 per motivazioni non relative a carenze o difetti della proposta ma a scelte tecniche”.

Ma il cambio dell’armamento, e cioè della larghezza tra le rotaie, così come richiesto dal MIT, è un vincolo non di poco conto e rischia di compromettere l’intero impianto. Infatti, ci sono punti dell’attuale ferrovia, tipo il sottovia Casilino, compreso tra le fermate Sant’Elena a Porta Maggiore, in cui risulta davvero difficoltoso, dati gli spazi esigui, installare binari a scartamento ordinario. Per non parlare dei raggi di curvatura, altro aspetto tecnico.

E mentre si aspetta la manna dal cielo, il servizio si trascina a fatica. Domenica mattina un altro treno, il secondo nel mese di dicembre, è finito fuori dai binari, durante le manovre all’interno del deposito/officina di Centocelle. A denunciarlo l’Associazione TrasportiAmo e l’ORT-Osservatore Regionale sui Trasporti in un comunicato congiunto: “Il tempo delle chiacchiere è terminato, questa linea, che gioca un ruolo fondamentale nella mobilità della Casilina, insieme alla Metro C, deve uscire dal limbo nel quale è caduta a causa del menefreghismo istituzionale. I Comitati di quartiere, le associazioni dei pendolari e i cittadini devono unire le proprie forze e pretendere il suo risanamento”.

Il convoglio deragliato domenica scorsa a Centocelle

“L’ennesimo svio ed il mancato finanziamento del Ministero”, aggiunge Andrea Ricci dell’Osservatorio, “dimostrano ulteriormente che non c’è davvero più tempo da perdere se non si vuole che sia scritta un’altra pagina vergognosa nella storia dei trasporti romani e del Lazio. L’Osservatorio collaborerà con tutte le altre realtà che si sono occupate in questi anni della linea per fare, con un’iniziativa condivisa e dal basso, i passi che spingano, a partire dal pro-getto presentato al MIT, Ministero, Regione e Comune a rapidamente concludere gli atti amministrativi che consentano di riportare questa linea, in sicurezza, efficienza e sostenibilità, a riprendere il ruolo centrale che le compete”.

D’accordo il CESMOT che si unisce “alle richieste delle altre associazioni del settore, tra cui TrasportiAmo, riteniamo sia urgente ed indifferibile che Regione e Comune si affrettino a spiegare ai cittadini cosa intendono fare della linea e se nel 2020 dovranno continuare a fare i conti con l’inefficiente gestione Atac, colpevole anche dell’assurda limitazione della linea a Centocelle. Il tempo delle chiacchiere è terminato, ora è tempo di rilanciare un’infrastruttura strategica per la mobilità della Casilina». Mentre da Legambiente Lazio, il presidente Roberto Scacchi ammonisce: «La linea deve diventare un moderno Tram, e tornare a percorrere ogni metro dei binari fino alla stazione Giardinetti fuori il GRA, e non fermarsi nel nulla, sulla Casilina e senza neanche incrocio finale con una fermata della Metro C”.

Corre, intanto, la petizione online lanciata proprio da Trasportiamo (per firmarla qui), un altro segnale che indica quanto la Giardinetti sia importante soprattutto per i cittadini del Municipio V e VI.

Cultura e Spettacoli

La rivelazione ipotizzata da Oreste Ruggiero. La madre di Leonardo da Vinci era una schiava dell’Est!

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Il grande Carlo Pedretti, a cui va dato il merito di avere fatto conoscere e amare Leonardo da Vinci dal grande pubblico, e col quale ho avuto l’onore di collaborare e confrontarmi negli ultimi anni della sua vita, mi diceva:

Se trovi la parola “scoperta” in uno dei miei scritti – e ne aveva scritti davvero tanti – pago quello che credi”.

Questo stava a significare il valore attribuito alla ricerca scientifica, fondata su atti certi e documenti di archivio o testimonianze, che caratterizzava senza flessioni la sua immensa bibliografia su Leonardo.

Alberto Angela con Carlo Pedretti

Si può dire che l’amico Pedretti “tollerava” il mio approccio “intuitivo”, comunque frutto di studi e ricerche seppure non probanti, in quanto ero anche architetto, artista e pertanto in qualche modo “dominato” dalla fantasia e dalla creatività; valori che Pedretti ammirava come qualità e di cui era ricco nello spirito e nelle capacità manuali.

Ma, altrettanto, nel profondo, Carlo Pedretti era affascinato dagli studi di iconologia-iconografia, il metodo che individua oltre la tecnica esecutiva (che spesso annoia gli studenti e il grande pubblico), il significato e il messaggio di un’opera (in cui generosamente mi definì “amico e collega particolarmente preparato”), tanto da scrivere un articolo nel 1994 dal titolo emblematico “l’iconografia, o l’iconologia, una disciplina  che è andata eclissandosi durante l’ultimo ventennio”.

Perché dico questo? Perché per anni da chi era vicino a Pedretti, e si reputava suo erede intellettuale (ed erano davvero tanti…) sono stato snobbato perché alla base delle mie ricerche non c’erano documenti “scoperti” in qualche archivio; tanto da indurmi infine a “raccontare” le mie teorie (che venivano definite ‘congetture’, sebbene frutto di studi e confronti, e come tali ignorate dal mondo degli studiosi identificati col metodo scientifico), in forma romanzata.

Oggi mi salta inevitabilmente agli occhi la parola “rivelazione” che accompagna sulla stampa nazionale e internazionale il “romanzo” di Carlo Vecce “Il sorriso di Caterina – La madre di Leonardo” in cui si “scopre e rivela” che la madre di Leonardo, Caterina, era una schiava dei paesi dell’Est, in particolare del Caucaso, rapita da pirati commercianti di schiavi sulle coste del Mar Nero.

Senza nulla togliere a Carlo Vecce come studioso e collaboratore stimato in tanti lavori di Carlo Pedretti, che non è stato citato fra tanti altri nei ringraziamenti in calce al libro, egli basa il suo romanzo su un documento d’archivio in cui il notaio Piero da Vinci, comunemente ritenuto il padre di Leonardo, redigeva l’atto di liberazione dalla schiavitù di Caterina. Da questo ad asserire che quella Caterina fosse la madre di Leonardo e che fosse l’amante (o peggio il sollazzo sessuale come emerge in alcune riviste) del notaio Piero da Vinci, il terreno scivola, nel secondo caso tristemente, dal piano scientifico a quello congetturale.

Allora la parola “rivelazione” per onestà intellettuale dovrebbe essere rivista; ma soprattutto, se siamo nell’ambito della “intuizione”, quella di Carlo Vecce allora non ha la primogenitura.

Perché asserisco questo? Perché la prima ipotesi che la madre di Leonardo dal nome Caterina fosse una schiava risale a Renzo Cianchi, non citato, che in un saggio pubblicato dal figlio Francesco nel 2008, dal titolo inequivocabile “La madre di Leonardo era una schiava?”, ipotizzò questa tesi.

Ma ben oltre10 anni prima del libro di Carlo Vecce, nel 2012, l’ipotesi che la madre di Leonardo fosse una schiava dell’Est, un’ancella del tempio dell’Isola dei Serpenti nel Mar Nero, proveniente ancora da più lontano e rapita da pirati, appartiene al mio libro “La madre di Leonardo – Schiava e dea”. In quel libro, sempre in chiave romanzata ma non del tutto inattendibile, ipotizzo che il padre Piero non fosse il notaio da Vinci, prestatosi alla copertura del più importante personaggio, ma Piero de’Medici, il padre di Lorenzo il Magnifico (del resto anche Cosimo de’Medici, padre di Piero e nonno di Lorenzo de’ Medici ebbe un figlio proprio da una schiava circassa). Andrebbe maggiormente indagata a riguardo la frase, e il suo significato, che Leonardo, abbandonando Roma deluso da Giuliano de’ Medici e da Papa Leone X Medici, scrisse con amarezza: “I medici mi crearono e mi distrussero…”

Ma, se non bastasse, ho ripreso questa ipotesi nel libro del 2017 “Noi siamo Leonardo?” dove in modo ancora più preciso e anticipatore rispetto alla “rivelazione” di Carlo Vecce ipotizzo la provenienza di Caterina, la madre di Leonardo, dal Caucaso.

In entrambi questi volumi non ebbi l’accortezza di citare lo studio di Renzo Cianci, ma si trattava di romanzi puri e non anticipati come “rivelazione” storica, e comunque ebbi modo di scusarmene con la signora Cianchi correndo ai ripari nella mia pubblicazione del 2020 “Il Misticismo di Leonardo da Vinci (uomo senza lettere e fede) dialogo con Carlo Pedretti e altri” dove ripropongo il tema del rapporto formativo fra Leonardo e la madre (la schiava circassa) Caterina.

Perché ho fatto queste precisazioni? Perché quando si sviluppa un romanzo su un tema già scaturito dalla fantasia di altri, magari scrivendolo forse anche meglio e più ricco di particolari, ritengo sia comunque doveroso citare chi ha già trattato l’argomento e il tema che ne costituisce la base o l’essenza creativa: in questo caso che la madre di Leonardo fosse una schiava dell’Est e che avesse avuto, per le sue origini e sapere, una grande influenza, fino ad essere identificata nella Gioconda (come sosteneva Freud) per la grandezza di Leonardo, uomo universale.

Ma soprattutto intendo stavolta, dopo tanti anni di studi, “mettere le mani avanti” per quanto potrà servire…, almeno su altre quattro probabili future “RIVELAZIONI” da parte di altri autori, che elenco di seguito e sulle quali fino ad ora, lo stesso gruppo che ha partecipato al lavoro di Carlo Vecce, ha assunto negli anni uno sprezzante, silenzioso distacco.

Il primo argomento, come scrivo in “L’altro Leonardo – I mostri e la bellezza di Da Vinci” del 2009, è che le principali opere di Leonardo, fra cui La Gioconda e il San Giovanni Battista, se specchiate, contengono al loro interno immagini all’insegna della teoria dell’armonia degli opposti e rispettivamente una Gargoyle (e altro ancora…) e un Bafometto, quali anticipazioni di quelle anamorfosi che, come ricorda Pedretti, Leonardo sviluppò sul finire della vita.

Il secondo argomento è il contenuto del libro “Leonardo da Vinci e il (disegno del) territorio vivente” del 2013, dove sostengo che quel disegno non è una semplice rappresentazione topografica di un paesaggio ma contiene al suo interno un elaborato messaggio frutto di figure nascoste nelle rocce, simile all’antica tecnica cinese, e quindi eseguito, con riflessione e meditazione, in più tempi. Riscontro con soddisfazione che durante il recente restauro dell’opera presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze è emerso che il disegno è stato eseguito in più tempi e con più inchiostri e non è un disegno realizzato, pertanto, durante un viaggio e in pochi minuti come asserivano con determinazione vari studiosi.

 Il terzo argomento, è riferito alla scultura dell’Angelo Annunciante di San Gennaro che Carlo Pedretti nel 1999 attribuì al giovane Leonardo da Vinci. Dopo la scomparsa di Pedretti mi occupai come promotore e coordinatore del restauro dell’opera, generosamente finanziato da comuni amici Russi. All’epoca, era il 2019, fui diffidato  dal “legare” l’opera al nome di Leonardo in quanto dal restauro avrebbe potuto emerge, tratti in inganno da maldestre ridipinture settecentesche, che la scultura fosse di tale epoca con grande conseguente discredito per l’intuizione “errata” di Pedretti. Andai avanti con la mia convinzione, in linea con quella di Pedretti, ed emerse inequivocabilmente dal magistrale restauro eseguito dall’Opificio delle Pietre Dure che l’opera era quattrocentesca, di ricca finitura ed eseguita da mano esperta e veloce.

L’Angelo annunciante” della Pieve di San Gennaro in Lucchesia

 Questo andava a confermare la mia teoria che l’opera potesse appartenere, andando così oltre Pedretti, a Leonardo in età matura, eseguita durante i suoi sopralluoghi a San Gennaro e dintorni per la realizzazione della mappa (oggi a Windsor) funzionale agli studi per la deviazione del fiume Arno fra il 1503-1504.

Successivamente questa tesi, circa l’appartenenza dell’opera a Leonardo adulto, è stata suffragata da una testimonianza di persona la quale, allora giovanissima, ricordava esattamente e dichiarava che negli anni 40’-50’ la mano destra dell’Angelo, non ricostruita dall’Opificio per mancanza di documentazione scientifica riguardo la postura delle dita mancanti, era con l’indice disteso, ‘tipico’ del gesto nell’arte di Leonardo; esattamente come ipotizzavo nel mio libro “Se fosse un indice che è Leonardo” del 2019.

Ma anche desidero anticipare la possibile “futura rivelazione” che l’Angelo Annunciante attribuito a Leonardo appartenga ad un gruppo scultoreo dell’Annunciazione, come ho ipotizzato nel mio libro “L’enigmatica Madonna del Parto di San Gennaro – Una singolare Annunciazione fra Leonardo e Piero della Francesca” del 2021, e come emerse da documenti di archivio del 1646 e del 1933, quest’ultimi da me ritrovati nella Pieve di San Gennaro, assieme al Parroco Don Cyprien Mwiseneza.

Il quarto argomento è il rapporto fra Leonardo da Vinci e la religione. Diceva Carlo Pedretti: «I grandi interpreti del pensiero e dell’indole di Leonardo, che si sono avvicendati negli ultimi centocinquant’anni, hanno sempre evitato di prendere di petto il problema del rapporto di Leonardo e della sua arte con la religione. É un problema abbastanza scomodo, per non dire spinoso…». Qualcosa a riguardo ho detto nel libro “IDEA dopo ‘Li omini grossi’ “, sperando in un mondo che possa andare oltre la grettezza degli uomini “di tristi costumi”, come li definiva Leonardo, cioè senza anima. Uno stato collettivo di frenesia, indolenza e rabbia, esploso violentemente dopo i melensi “cinguettii” e abbracci virtuali durante il periodo pandemico.

Alla fine di questo exursus, consapevole di avere poco promosso il mio lavoro, trascinato sempre da nuove curiosità e dall’impegno anche in altre attività, come la rappresentazione artistica di questi studi, per cui continuo ad essere grato a Pedretti per la sue esaltanti parole a riguardo; spero di poter scongiurare che prossimamente mi possa ancora trovare di fronte a “rivelazioni” circa: 1_opere presenti nella Gioconda e nel San Giovanni Battista in ossequio alla teoria rinascimentale dell’armonia degli opposti; 2_scoperta di figure presenti nelle rocce del disegno del paesaggio di Leonardo del 1473 (a riguardo qualcuno ha “scoperto” recentemente la presenza del volto di un leone al centro del disegno che illustrai anni e anni fa all’Istituto di Cultura dell’Ambasciata italiana di cultura a Vienna; 3_che la scultura dell’Angelo di San Gennaro è di Leonardo da Vinci e  soprattutto di Leonardo maturo, come ho ipotizzato; 4_ che è opportuno occuparsi, con conseguente annuncio alla stampa internazionale, del rapporto fra Leonardo e la religione.

Ma ancora di più mi preme, senza nulla togliere alla riconoscenza per chi fa ricerche di archivio, preziose per le successive riflessioni (non dogmi: ai miei studenti ricordavo che spesso il mito è più veritiero della storia), che venga riconosciuto, accompagnato da profondi studi, il valore del metodo intuitivo. A riguardo cito Einstein quando affermava: “La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un servo fedele. Abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono”

Desidero terminare dedicando ai passati e futuri “scopritori di idee altrui” quanto di loro scriveva Leonardo da Vinci, definendoli ‘trombetti’ con evidente rammarico e un pizzico di risentimento:

«Costoro vanno sconfiati e pomposi, vestiti e ornati non delle loro, ma delle altrui fatiche, e le mie a me medesimo non concedano; e se me inventore disprezzeranno, quanto maggiormente loro, non inventori ma trombetti e recitatori delle altrui opere, potranno essere biasimati.»

Ma prendo ancora un piccolo spazio per manifestare la preoccupazione che anche nei confronti del mio prossimo libro, che amplia i temi del precedente e uscirà a giorni, dal titolo “Leonardo da Vinci ‘omo’ postmoderno – Il vero volto di Leonardo?” avvenga che qualche “trombetto” possa scoprire, facendo sua l’idea del libro rivisitata, il valore della “filosofia” di Leonardo (non quella comunemente intesa) e quanto essa possa essere oggi utile come una sorta di eredità per il genere umano o antidoto “anti-nichilismo”.  Vorrei invece che qualcuno, magari con maggiore merito su quei temi, potesse poi approfondire e migliorare lealmente, o anche criticare, ma con onestà intellettuale, quanto attraverso quell’opera mi prefiggo di dire e raccontare.

Oreste Ruggiero, marzo 2023

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Costume e Società

Meta non rinnova l’accordo con la Siae, via la musica italiana da Facebook e Instagram

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Meta, la holding proprietaria di Facebook e Instagram, ha reso noto di non aver raggiunto un accordo con la Siae per il rinnovo della licenza sul diritto di autore. Di conseguenza sui social vengono bloccati o silenziati i brani che rientrano nel repertorio Siae, gli altri continuano ad essere disponibili. ”Una decisione unilaterale che lascia sconcertati”, dichiara la Società degli autori ed editori italiani. “Abbiamo accordi di licenza in oltre 150 paesi nel mondo, continueremo a impegnarci per raggiungere un accordo con Siae che soddisfi tutte le parti”, ribatte la società di Mark Zuckerberg. “No al far west, i colossi rispettino le opere d’ingegno e la sovranità legislativa degli Stati”, sottolinea il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano che aggiunge: “La indiscutibile libertà di mercato va esercitata all’interno di regole condivise e rispettate da tutti: è il fondamento di una convivenza pacifica e produttiva”. “La scelta di Meta è un danno enorme che preoccupa” dice il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’informazione a all’editoria, Alberto Barachini. Meta per consentire l’uso della musica sui social, che rende più accattivanti i post di creator e influencer, stringe accordi sul copyright con i titolari dei diritti musicali in tutto il mondo. Nel territorio europeo ha partner in Spagna, Francia, Germania, Svezia, Regno Unito e Turchia. La rottura con la Siae rappresenta un precedente mondiale per il colosso di Menlo Park. Ha un impatto sui Reels (i video brevi su Facebook e Instagram), sul flusso delle notizie di Instagram, e sulle Storie di Facebook e Instagram. Su Facebook i contenuti impattati vengono bloccati, su Instagram silenziati. “Purtroppo non siamo riusciti a rinnovare il nostro accordo di licenza con Siae – rende noto Meta – da oggi avvieremo la procedura per rimuovere i brani del loro repertorio nella nostra libreria musicale. Continueremo a impegnarci per raggiungere un’intesa che soddisfi tutte le parti, crediamo sia un valore per l’intera industria musicale permettere alle persone di condividere e connettersi sulle nostre piattaforme utilizzando la musica che amano”. ”A Siae viene richiesto di accettare una proposta unilaterale di Meta prescindendo da qualsiasi valutazione trasparente e condivisa dell’effettivo valore del repertorio – ribatte la Società degli autori ed editori italiani – Tale posizione, unitamente al rifiuto da parte di Meta di condividere le informazioni rilevanti ai fini di un accordo equo, è evidentemente in contrasto con i principi sanciti dalla Direttiva Copyright per la quale gli autori e gli editori di tutta Europa si sono fortemente battuti. Siae ha continuato a cercare un accordo con Meta in buona fede, nonostante la piattaforma sia priva di una licenza a partire dal 1 gennaio 2023″. Per Mogol, presidente onorario di Siae e celebre autore e compositore, la battaglia in difesa degli autori “è sacra, queste piattaforme guadagnano miliardi e sono restie a pagare qualcosa”. L’industria musicale, attraverso il suo presidente Enzo Mazza, auspica che “Siae e Meta trovino presto un accordo nell’interesse del crescente mercato musicale in Italia e degli aventi diritto”. “Chiediamo che Meta riapra immediatamente in buona fede un tavolo negoziale con Siae”, gli fa eco il presidente della Federazioni Editori Musicali, Paolo Franchini. L’associazione influencer, in una nota, auspica “che il dialogo tra le due realtà abbia un epilogo costruttivo”, nella convinzione che, “specialmente per quanto concerne le professioni creative, sia importante ripristinare il precedente stato dell’arte”. Infine, rilievi anche da parte di Soundreef, gestore indipendente dei diritti d’autore. “Sappiamo che il take down dei brani da parte di Meta sta riguardando anche il repertorio integralmente amministrato da Soundreef e i repertori esteri – sottolinea il gruppo – È evidente che l’esito della trattativa tra Meta e Siae sta danneggiando tutte le società di collecting operanti, in Italia e non. Stiamo contattando entrambe le parti per capire come l’intera negoziazione sia stata condotta e stiamo lavorando per ripristinare sulle piattaforme Meta tutti i brani di cui amministra totalmente i diritti”.

F.P.L.

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Costume e Società

Apple Music Classical, l’app definitiva per gli amanti dei grandi compositori

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Apple Music Classical è, come suggerisce il nome, un’app tutta dedicata alla musica classica, con un catalogo composto da oltre 5 milioni di brani a cui si affiancano le biografie dei principali compositori e approfondimenti sulle opere. Per l’offerta di musica classica, il colosso di Cupertino ha badato soprattutto alla qualità: alcuni brani potranno infatti essere ascoltati con risoluzione Hi-Res Lossless, ossia la migliore possibile oggi su dispositivi della Mela, con migliaia di registrazioni composte con audio spaziale, più avvolgente. Apple Music Classical offrirà inoltre una serie di ritratti digitali ad alta risoluzione completamente restaurati di molti dei più grandi compositori della storia. Si tratta di lavori, spiega la società, “appositamente commissionati a un gruppo eterogeneo di artisti e artiste. Le immagini fondono la ricerca storica con i colori e i riferimenti artistici del relativo periodo classico. I risultati mostrano un’attenzione ai dettagli, portando il pubblico faccia a faccia con i volti più importanti della musica classica”. L’app offre la possibilità di effettuare ricerche per compositore, opera, direttore d’orchestra o anche per numero di catalogo, per trovare immediatamente registrazioni specifiche. Al momento, non è prevista una versione per iPad o Mac ma solo su iPhone con sistema operativo iOS 15.4 o successivo. Nel corso dei prossimi mesi, Music Classical arriverà anche su Android. Il download è gratuito ma sarà richiesto un abbonamento Apple Music per la fruizione. In un breve video introduttivo l’azienda di Tim Cook definisce l’app “a new dawn in classical music”. Sicuramente questa operazione fa bene a tutto il “mondo classica”. Le persone che utilizzano prodotti Apple sono prevalentemente giovani, grandi consumatori di musica e pieni di curiosità, per i quali la piattaforma propone una serie di playlist capaci di intercettare i loro gusti. Anche il mondo discografico, ancora troppo legato al disco fisico e ai tanti costi, può trarne benefici. Non solo. C’è la possibilità che aumentino gli spazi per nuovi e promettenti progetti. Apple pare stia già facendo accordi con artisti di musica classica e istituzioni musicali per offrire contenuti e registrazioni esclusive. Bisogna capire se l’azienda vuole lanciarsi stabilmente anche nel mondo della produzione approcciandosi con la stessa strategia usata per Apple TV: produrre poco a livello quantitativo ma di altissimo livello qualitativo.

F.P.L.

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