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Chiesa Cristiana Evangelica Pentecostale, adorare Dio secondo le scritture: l’intervista al pastore Fernando

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Suzana e Fernando De Franca
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A Roma, in via di Tor Cervara 34, in un grande fabbricato, di oltre mille metri quadrati, c’è una chiesa evangelica. Dirla così pare semplice. Ma non è così. L’evangelismo in Italia ha mille sfumature, non tutte positive, purtroppo. A volte si inizia un’opera pensando di essere nella volontà di Dio, e poi ci si accorge che le difficoltà sono enormi e insormontabili, e questo denota il fatto che, in quell’opera, Dio non c’entra. Il locale ha una capienza di oltre quattrocento posti a sedere, con uffici, snack bar, toilette e un’orchestra dove non mancano gli strumenti e la musica. Sicuramente non corrisponde all’idea che noi Italiani abbiamo di ‘chiesa’, abituati come siamo al parlare sommesso, all’odore di incenso e di candele, e agli sguardi dei vari personaggi raffigurati sui dipinti tutto intorno. Ma qui Dio c’entra, fa la parte del leone, anzi Lui ha guidato ogni più piccola mossa di questa opera che parte dal Brasile ventiquattro anni fa, e della quale Fernando de Franca è il pastore missionario, qui a Roma. In realtà la guida vera, che opera tramite i Suoi figli, è il Signore, attraverso lo Spirito Santo, il Consolatore, il Paraclìto, quello che Gesù lasciò ai Suoi sulla terra quando salì al Padre. La connessione con lo Spirito è la parola ‘pentecostale’, cioè una chiesa che riconosce l’importanza dello Spirito Santo, ricerca i Suoi carismi, e conforma la vita cristiana alla Sua voce. Secondo la Bibbia, infatti, esistono due gradi di crescita, nelle vie del Signore, dopo il ravvedimento: la Nuova Nascita e il Battesimo nello Spirito Santo, contemplato nel libro degli Atti degli Apostoli, al cap. 2, nel giorno di Pentecoste. Tutto ciò si ripete ancora oggi nelle chiese pentecostali, ed è il segno della presenza del Signore, e della Sua approvazione, oltre che del fatto che i fedeli sono in sintonia con Lui, attraverso – come con un lungo filo telefonico – lo Spirito Santo.

 

Abbiamo voluto intervistare il pastore Fernando, anche perché nel mondo in cui siamo costretti a vivere, è giusto che quest’opera venga conosciuta il più possibile, come una boccata d’aria fresca, una via d’uscita per molti, una speranza dove speranza più non c’è. “Cercate il Signore mentre Lo si può trovare, invocatelo mentre è vicino” dice la Scrittura, nel libro di Isaia, al cap. 55 – versetti 6 e 7: e qui, noi L’abbiamo trovato.

Pastore Fernando. Fernando e poi?

Fernando De Franca.

Che cos’è la CEIZS?

La CEIZS sta per: Comunidade Evangelica Internacional de Zona Sul.

Questa è la spiegazione dell’acronimo. Ma che cosa è la CEIZS?

È una chiesa cristiana evangelica di radice pentecostale che ama la Parola di Dio, che crede che la chiesa ha un ruolo fondamentale nel portare sapienza e nell’illuminare la società attraverso l’Evangelo di Gesù Cristo, attraverso la predicazione, ed è una chiesa che vuole aiutare i suoi membri ad avere una testimonianza veramente forte. Devono essere loro ad influenzare, a benedire: quindi è passato il tempo in cui il pastore era la stella polare, era il pastore a fare tutto. Noi crediamo nella potenza della chiesa, come Corpo di Cristo, crediamo nella potenza della Parola, crediamo che siamo in un tempo in cui la chiesa farà la differenza. Quindi noi lavoriamo molto nel fortificare la chiesa locale. Andare fuori, vivere la vita cristiana in modo intenso, reale, come, tra l’altro dice la Bibbia stessa.

Quando è nata la CEIZS, l’idea, il progetto?

La nostra chiesa è nata dal ministero del pastore, oggi apostolo, Marco Antonio Peixoto e la pastora Juçara, sono sposati da trentasei anni, è una coppia eccezionale, sono i nostri genitori spirituali.

Quindi avete incominciato aprendo una chiesa in Brasile?

Esatto. Eravamo un gruppo di giovani, parlo della fine degli anni ’70, inizio anni ’80, eravamo tutti molto giovani, appartenevamo ad una chiesa tradizionalista, e lì Dio ha incominciato a chiamare, in qualche modo a ravvivare il nostro spirito, visitandoci con lo Spirito Santo, e in quella struttura non era possibile restare, perché loro credevano in modo diverso, e per non avere ribellioni, che è una cosa che non va mai contemplata, noi abbiamo chiesto ai pastori, alla leadership di quella denominazione, di benedirci, pastore Marco, pastora Juçara, con la loro benedizione, e lì abbiamo incominciato. Prima un incontro di preghiera, e noi abbiamo incominciato a frequentare quella riunione; e lì eravamo quindici, poi siamo diventati trenta, poi cinquanta…

Questo è il sintomo che stavate percorrendo la via giusta.

Esatto.

Mi hai detto che eravate membri di una chiesa tradizionalista…

Sì, eravamo membri di una chiesa presbiteriana.

Quindi non pentecostale.

Non pentecostale.

Ecco questo è molto importante.

Esatto. Ma lì, nella chiesa presbiteriana, quel gruppo di giovani ha incominciato a cercare Dio, sentivamo fame di Dio.

Mi ricorda l’esperienza di Azusa Street, [ Los Angeles, 1901, alle origini del pentecostalismo, ndr.] dove è praticamente successa la stessa cosa.

Sì, Azusa Street, esatto. E lì, a Rio De Janeiro abbiamo iniziato questo incontro di preghiera, della ricerca della presenza di Dio. Eravamo guidati dal pastore Marco e dalla pastora Juçara, che allora non erano ancora riconosciuti pastori. Lì, Dio ha incominciato a lavorare. Abbiamo ricevuto l’aiuto di altri uomini di Dio, che ci hanno dato quel supporto che serve. Però il pastore Marco ha seguito veramente questa chiamata, e oggi come oggi è il nostro leader.

Quante chiese avete, oggi?

Allora, oggi, è una cosa interessante il numero delle chiese. Noi non abbiamo come obiettivo di aumentare il numero delle chiese. Piuttosto vogliamo lavorare sulla qualità delle chiese che abbiamo. Oggi in Brasile abbiamo 45 milioni di evangelici. Per un leader come Marco Antonio, conosciuto e rispettato, avere trecento chiese sarebbe molto facile, perché i gruppi si manifestano, le situazioni vengono fuori, cercano un leader, e lui potrebbe diventare leader di tutte queste situazioni. Invece no. Il pastore Marco vuole sviluppare chiese che nascono dalla stessa visione, come la domanda che Abramo fece al Signore. ‘Signore, chi sarà il mio erede? Sarà il figlio di un mio servo, nato a casa mia?’ Quindi il pastore Marco ha sempre voluto iniziare chiese dove i pastori che saranno lì a guidare quella comunità saranno figli suoi, gente che riconosce in lui la paternità, la guida e l’apostolato.

Tornando alla domanda di prima, quante chiese avete, e in quante nazioni del mondo?

Noi siamo presenti in sei nazioni nel mondo: Brasile, Italia, Svizzera, Portogallo, Stati Uniti e Inghilterra. In Brasile ovviamente abbiamo un numero maggiore di chiese, dal nord al sud il pastore Marco è presente in modo forte, grazie a Dio.

Tanta gente si chiede da dove arrivi il denaro per fare quello che fate. Io lo so, però vorrei che me lo dicessi tu.

Il denaro arriva dalla fede. Dalla fede e dalla visione. Nessuno offre perché ha pietà. Le persone che offrono, quando portano il proprio contributo, lo fanno perché vogliono sentirsi parte di un qualcosa più grande di loro. Quindi noi abbiamo una visione, abbiamo una visione evangelistica, abbiamo una visione di conquista e di eccellenza. Per fare un esempio, quando spendo cinque euro di qualcuno che mi ha portato cinque euro, io prima di tutto ho timore davanti a Dio perché quella persona ha portato quella piccola somma per la quale ha fatto non so quante ore di lavoro. E io cerco di spendere quel denaro nel modo migliore possibile. Quindi non acquisto mai prodotti e apparecchiature che possano durare tre giorni. Da dove arrivano i soldi? Arrivano dal popolo di Dio, da chi si identifica con la chiesa, con la sua visione. Ovviamente abbiamo un’organizzazione forte. Nel nostro caso abbiamo cinque tesorieri, non che il movimento economico ne giustifichi il numero, ma almeno io sono più tranquillo, non gestisco il denaro in prima persona, abbiamo cinque fratelli italiani che seguono, abbiamo un programma fatto ad hoc per la gestione economica della chiesa, è tutto cartaceo, è tutto dimostrabile, quindi, grazie a Dio, in questi ventitré anni in Italia, non abbiamo mai avuto problemi, la nostra vita è una vita aperta, i nostri beni e le nostre difficoltà sono alla luce del sole.

Quindi sono ventitré anni che sei in Italia?

Abbiamo iniziato nel 1994.

Ma non avete iniziato con questo locale…

No, eravamo io, mia moglie e tre figli piccoli. Ci siamo riuniti, allora, una domenica pomeriggio a casa mia, e io ho detto ai miei figli: domenica prossima alle sei ci sarà la prima riunione della nostra chiesa. Loro mi hanno guardato, e io ho detto: noi siamo la nostra chiesa. Ogni volta mi emoziona ricordare quei momenti.

Come mai in Italia?

In Italia perché Dio ci ha chiamati per venire in Italia. Non è una cosa che decidi tu. Non sono cose che tu decidi. Non è che dalla tua nazione, con tre figli piccoli, senza nulla, senza nessuno, senza conoscere una parola della lingua, vieni in Italia così, perché sei un avventuriero, non esiste questo, è una irresponsabilità. Noi ci siamo trasferiti qui prima di tutto perché la nostra leadership, il nostro pastore è stato svegliato, di notte, e ha sentito: “Prendi Fernando e la sua famiglia e mandali in Italia”. Dio aveva già parlato con mia moglie, contemporaneamente, le ha dato dei sogni. Io, sette anni prima, avevo ricevuto già una parola molto specifica a proposito di un cambiamento che ci sarebbe stato nella nostra vita, quindi… Dio quando ti guida, ti parla, Dio non è un Dio di confusione. Dio è il Dio dell’ordine, fa ogni cosa come un aereo quando deve atterrare, che segue una linea di luci sul campo, da lontano, fa in modo che l’atterraggio sia morbido e preciso, su quella linea. Quindi noi abbiamo avuto una serie di lampadine, che ci hanno dato la direzione giusta. Ecco perché siamo qui, abbiamo iniziato noi, la nostra casa; poi Dio ha mandato la prima persona, che tuttora è qui, in chiesa, la nostra prima figlia ministeriale in Italia. È  arrivata da noi che era distrutta, a pezzi, una person, insomma… è arrivata qui, noi l’abbiamo seguita. Ti diceva in faccia “Io non mi fido di voi, non mi fido di nessuno.” E noi rispondevamo: ma Dio si fida di te. Abbiamo fatto un gran lavoro di evangelizzazione della Parola, ma un lavoro così intenso che restavamo con questa persona tutti i giorni della settimana, l’accompagnavamo a casa sua, quando c’erano i culti, restavamo in macchina tre, quattro ore, fino all’una di notte, mentre i nostri figli dovevano andare a scuola, e noi eravamo lì, con lei. Questo lavoro è stato ricompensato, perché questa ragazza oggi è una donna di Dio che frequenta la nostra chiesa, è sposata ed è felice. Sua madre prima di morire ha detto: mia figlia ora è figlia vostra, quindi prendetevi cura di lei. Poi Dio ha incominciato a mandare altre persone. Abbiamo incominciato a mettere in pratica la visione evangelistica che abbiamo ricevuto dai nostri pastori. Perché il grande problema della chiesa, di quella europea principalmente, non voglio stare a puntare il dito, ma è che la chiesa europea si è chiusa in se stessa, pensando che le persone devono per forza entrare. No, noi dobbiamo andare fuori a prendere, a riprendere queste persone, dobbiamo evangelizzare, dobbiamo andare a trovarle, insomma, non bisogna rimanere con i nostri culti, con le nostre riunioni, pensando che per caso qualcuno entrerà. Può anche succedere, ma non è questa l’enfasi del ministero di Gesù. Questo, a mio parere, è il problema della chiesa europea, una chiesa che è diventata egocentrica. La gente viene ai culti per risolvere i propri problemi. Io non devo venire al culto per risolvere i miei problemi, devo venire al culto per rendere culto a Dio. Lui non mi lascerà tornare a casa a mani vuote. La Bibbia dice che Dio ha sempre qualcosa da darti. Ma la mia motivazione dev’essere adorare il mio Dio, servire il mio Dio, rallegrarmi nella sua presenza, evangelizzare, questa è la visione della nostra chiesa.

Come dice Isaia: “La mia Parola non torna mai indietro a vuoto, prima d’aver compiuto ciò per cui l’ho mandata.”

Bravo, ma nello stesso tempo dice: “Date e vi sarà dato.” Quindi nella misura in cui posso evangelizzare, uscire dalle quattro pareti, andare fuori, guardare il mio vicino che ha bisogno, e lì ci penserà Dio a me. È così che viviamo noi. Abbiamo cresciuto i nostri figli mentre eravamo totalmente coinvolti nell’evangelizzazione, nel prestare assistenza ai membri della chiesa. I nostri figli sono cresciuti sani, non sono mai stati bocciati a scuola. Adesso mio figlio è uno scrittore, è al quarto libro, scrive sulla chiesa, sono studi, libri seri, libri importanti. Anche lui è molto impegnato nella chiesa. L’altro figlio più piccolo, pur di stare qui a servire Dio si accontenta di guadagnare di meno, e paga il prezzo del suo servizio. È così che è cresciuta la nostra chiesa, e ritengo che siamo solo all’inizio.

Quanti metri quadri avete qui?

Come struttura qui abbiamo più di mille metri quadri, abbiamo tutto il fabbricato, in affitto, ogni mese tu paghi un affitto, e già pensi alla prossima scadenza. Non voglio entrare nel dettaglio dei costi, ma vi posso garantire che è altissimo. Ogni mese diciamo Signore, pensaci tu. Se io guardo la condizione economica dei membri, dico, Signore, non è possibile. Qui c’è un valore aggiunto. Abbiamo avuto delle esperienze in questo senso. Abbiamo fatto degli eventi costosissimi. Perché una cosa che Dio mi ha chiamato a fare è organizzare eventi, organizzare manifestazioni, avere una vetrina. La chiesa in qualche modo dev’essere vista. Noi organizziamo eventi anche per questo. Ho organizzato un evento nel 2009, ho preso il Palaghiaccio di Marino. Siamo partiti avendo in banca millecinquecento euro. Abbiamo chiuso l’evento che avevamo ancora da saldare la metà della somma. A quel punto tu dici: e adesso Signore? Che facciamo? Abbiamo incominciato a pregare, e Dio ha mandato una persona che non era membro della chiesa, che non ci conosceva, eccetera eccetera, e che ha portato quei soldi che mancavano. Anzi, ne ha portati di più, come offerta. Questa è la nostra esperienza, quella di una completa dipendenza da Dio. Io non ho una chiesa in Brasile che mi sostenga. Solo per i primi due anni il pastore mi ha mandato un aiuto, poi dopo il periodo d’inizio mi ha detto: è giunto il tempo che tu cominci a camminare con le tue gambe. È questa la nostra fede, è questa la nostra chiesa. E i fratelli avvertono questa fede. Un giorno eravamo qui, in questo ufficio, squilla il telefono, ed era il direttore del ministero di Reinhard Bonnke. Non so se conosci Reinhard Bonnke. Reinhard Bonnke, negli ultimi dieci anni, ha portato cinquanta milioni di africani a Cristo. Se vai su Internet, ci sono delle foto delle sue crociate, che tu dici; non è possibile. In un sola delle sue riunioni c’erano due milioni di persone, riunite lì davanti a lui. Quest’uomo è come Billy Graham, come Benny Hinn. Benny Hinn è venuto qua due volte. Mi squilla il telefono qua, era il direttore di Bonnke. Mio figlio, che parla bene inglese ha risposto, e quello gli ha detto: vogliamo venire a Roma e vogliamo stare con voi. Mio figlio ha risposto che in questa sede entrano solo quattrocento persone. Il direttore gli ha risposto: non c’interessa, vogliamo venire a Roma e conoscervi, fare una riunione presso di voi. Abbiamo avuto venti giorni per organizzare  tutto. In venti giorni ho organizzato una manifestazione con quattromila persone. Non qui, a Tendastrisce, qua vicino. C’erano centotrentadue pastori. In Italia è un fenomeno mettere insieme centotrentadue pastori. La gente mi guardava e diceva: ma come hai fatto? Io dicevo non lo so. Myles Munroe, non so se hai mai sentito parlare di Myles Munroe. Purtroppo tre anni fa è morto di un incidente aereo. Un grandissimo scrittore, un uomo che quando ministrava, quando parlava, stavi a bocca aperta. Era originario delle Bahamas. Ma di una tale saggezza! Ed è così vero, che noi abbiamo avuto due giorni con lui qua dentro. I suoi libri sono best-seller. L’ultimo ha venduto dodici milioni di copie. Darlene Zschech, una cantante australiana famosissima, così famosa che ho dovuto organizzare il suo evento nella Tendastrisce per quattromila persone, e altri quattromila sono rimaste fuori. Le ho detto: “Darlene, ci sono quattromila persone fuori, come facciamo?” Lei mi risponde: “Pastore Fernando, io son venuta qua per servirti. Cosa vuoi fare?” Le ho risposto: “A questo punto, possiamo ripetere lo stesso evento? Finiamo questo, facciamo una pausa di mezz’ora, e poi, tu lo rifaresti?” Mi ha risposto: “Pastore, è fatto!” Queste cose ci sono accadute, quindi le persone ci guardano come se noi fossimo chissà che, ma sono porte che Dio apre. Perché quando ti muovi, non stai facendo un’opera che appartiene a te, ma che appartiene a Lui. L’opera Sua, e Lui ha tutto l’interesse di provvedere tutti gli strumenti di cui tu possa avere bisogno. La mia responsabilità è restare fedele, umile, e avere coraggio, perché ci vuole coraggio. Adesso, a giugno, ospiteremo la stessa band che ha partecipato alla realizzazione dei film “God’s not dead”, Dio non è morto. Sta per uscire il terzo della serie. Potete immaginare l’impegno economico. Ma io dico: no, io sto facendo l’opera di Dio. Dio provvederà. Io voglio evangelizzare i giovani, e questa band è una band seria. Sono ragazzi, sono uomini di Dio, non hanno nessuna cattiva testimonianza, li porterò in Italia, e Dio ci darà tutte le condizioni economiche per realizzare questo evento. Infatti oggi ho un appuntamento alle cinque con una signora che lavora con “Roma Today”, e lei seguirà la parte della pubblicità. Parto sapendo che non ho una lira. Ma sarà lei ad aprire le porte per me. Poi il 26 ho un appuntamento con l’Ufficio Stampa che seguirà l’evento. È lo stesso Ufficio Stampa che ha seguito San Remo. Sono porte in cui io entro perché è il Signore che le apre, l’opera è Sua. Lui si offenderebbe se io stessi qui a dire: Signore, no, non faccio pazzie, ho la testa in cielo ma i piedi per terra, come si dice; ma uno deve fare, ed è questo il grande bisogno della chiesa italiana: coraggio. I soldi non possono limitarci, di fronte a Dio, Mammona non può essere un gigante Golia che dice ogni giorno: Di qua non passi. Noi dobbiamo andare avanti, dobbiamo credere. Ovviamente ci sono difficoltà, ma Dio ci ha mandati. Dopo ventitrè anni di iniziative evangelistiche, di radio, televisione, ricordo che nel 94, 95, sono andato in una radio FM, giusto così, per prendere qualche informazione. Ho detto al direttore: “Senta, io sono un pastore, un sacerdote evangelico, son venuto a chiedere informazioni. Quanto potrebbe costare un minuto, o cinque minuti nella sua radio?” Lui mi chiesto cosa dovessi fare, e io gli ho detto :”Sono un pastore, predico il Vangelo, voglio aiutare i giovani, le famiglie, ad avere una parola di speranza, una via d’uscita.” Gli ho un po’ trasmesso la mia visione, e lui mi ha detto: “Ma di quanto tempo hai bisogno?” Gli ho risposto: “Direttore, lei non ha capito, io sono passato da lei per avere un’informazione, perché conosco i costi di una radio.” “Non ti preoccupare. Quanto tempo ti serve?” Gli ho risposto che quindici minuti sarebbero stati sufficienti. E lui mi ha risposto: “Facciamo così, io ho a disposizione due trasmissioni a settimana di un’ora. Tu le prendi tutte e due, e non voglio una lira.” Così sono stato lì per due anni, con un vocabolario di dieci parole. Alla fine uno si fa capire, ma alla fine, una benedizione, una cosa bellissima che Dio ha fatto, tanta gente raggiunta… Così facciamo noi, per fede.

Roberto Ragone

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Friuli Venezia Giulia, prosegue con successo il Festival delle Dimore Storiche

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Prosegue con successo con la seconda edizione il Festival delle Dimore Storiche organizzato da ADSI FVG (Associazione delle Dimore Storiche): quattro giorni per conoscere la storia del Friuli Venezia Giulia, visitando e vivendo il ricco patrimonio artistico ed architettonico della regione che spesso resta nascosto dietro siepi e cancelli.
 
Dal 25 al 28 aprile, con l’apertura straordinaria delle dimore e dei parchi, è stato realizzato un ricco programma di eventi organizzati grazie all’iniziativa dei proprietari: degustazioni, concerti, presentazioni di libri, esercizi di cucina..
 
Sono 21 le dimore private, ancora oggi abitate, che hanno aperto le porte e proprio i proprietari hanno fatto da guida per raccontarne non solo storia e caratteristiche architettoniche, ma anche aneddoti e curiosità dei luoghi che si tramandano da generazioni.
 
“È una grande soddisfazione poter organizzare il secondo Festival dopo la sfida della prima edizione: il nostro obiettivo era proprio quello di renderlo un appuntamento annuale; – sottolinea il presidente di Adsi Fvg Raffaele Perrotta –lavorando da mesi per costruire un programma ricco e vario in modo da attrarre sia chi vive sul territorio sia chi arriva da fuori regione e da oltre confine. Si tratta di un’occasione unica per far conoscere un patrimonio unico in Europa per storia, per valore culturale ed artistico.”
 
Sono sedici le dimore ad aver aperto in provincia di Udine: partendo dalla Carnia con Palazzo De Gleria (Comeglians), scendendo nelle colline a nord della città con Casa Asquini (Fagagna), La Brunelde Casaforte d’Arcano (Fagagna), Villa del Torso Paulone (Brazzacco di Moruzzo), Villa Gallici Deciani (Cassacco), Villa Schubert (Marsure), passando per il centro di Udine con Palazzo Orgnani,  Palazzo Pavona Asquini e Villa Garzoni, fino ad arrivare a sud con Casa Foffani (Clauiano), il Folador di Villa Rubini (Trivignano), Villa Iachia (Ruda), Villa Lovaria (Pavia di Udine), Villa Pace (Campolongo Tapogliano), Villa Ritter de Zahony (Monastero di Aquileia), Villa Vitas (Strassoldo di Cervignano del Friuli).          
 
Tre dimore invece nel goriziano, Villa Attems Cernozza di Postcastro (Lucinico), Villa del Torre (Romans d’Isonzo) e Villa Marchese de Fabris (San Canzian d’Isonzo), e due nel pordenonese, il Palazzo d’Attimis Maniago (Maniago) e Palazzo Scolari (Polcenigo).
 
Il programma è risultato ricco e variegato con oltre 40 eventi comprendenti aperitivi in villa e degustazioni, cene, presentazioni di libri, mostre d’arte e fotografiche, concerti, conferenze, spettacoli teatrali.
 
Per la visita guidata alle dimore era richiesta un’offerta minima di 10 euro a persona: i fondi raccolti serviranno a sostenere ulteriori progetti di valorizzazione del patrimonio culturale privato ADSI FVG e del territorio circostante. Bambini e ragazzi fino a 17 anni entravano gratis.
 
Il programma completo delle aperture e degli eventi con luoghi, orari e prezz disponibile su: bit.ly/3VryIWM, oppure consultando i profili social (Instagram e Facebook del Festival).
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A Milano l’arte elegante del pugliese parigino

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Palazzo Reale a Milano  sta celebrando, per la prima volta, con una mostra monografica, il talento di Giuseppe De Nittis esponendo una novantina dipinti, tra oli e pastelli, provenienti dalle principali collezioni pubbliche e private, italiane e straniere, tra cui il Musée d’Orsay e il Petit Palais di Parigi, i Musée des Beaux-Arts di Reims e di Dunquerke, gli Uffizi di Firenze – solo per citarne alcuni – oltre allo straordinario nucleo di opere conservate alla GAM di Milano e una selezione dalla Pinacoteca di Barletta, intitolata al Pittore, che ne conserva un eccezionale numero a seguito del lascito testamentario della vedova Leontine De Nittis.
 
La consacrazione di Giuseppe de Nittis come uno dei grandi protagonisti della pittura dell’Ottocento europeo è avvenuta grazie alla fortuna espositiva di cui ha goduto a partire dalla magnifica retrospettiva dedicatagli nel 1914 dalla 11a Biennale di Venezia. Altre tappe fondamentali sono state la mostra ‘Giuseppe De Nittis. La modernité élégante’ allestita a Parigi al Petit Palais nel 2010-11, e nel 2013 la fondamentale monografica a lui dedicata a Padova a Palazzo Zabarella.
 
In ‘De Nittis. Pittore della vita moderna’ si intende esaltare la statura internazionale di un pittore che è stato, insieme a Boldini, il più grande degli italiani a Parigi, dove è riuscito a reggere il confronto con Manet, Degas e gli impressionisti, con cui ha saputo condividere, pur nella diversità del linguaggio pittorico, l’aspirazione a rivoluzionare l’idea stessa della pittura, scardinando una volta per sempre la gerarchia dei generi per raggiungere quell’autonomia dell’arte che è stata la massima aspirazione della modernità.
 
I francesi e De Nittis, che si è sempre sentito profondamente parigino di adozione, hanno affrontato gli stessi temi, come il paesaggio, il ritratto e la rappresentazione della vita moderna che De Nittis ha saputo catturare lungo le strade delle due metropoli da lui frequentate, in quegli anni grandi capitali europee dell’arte: Parigi e Londra. Ha saputo rappresentare con le due metropoli, in una straordinaria pittura en plein air, i luoghi privilegiati della mitologia della modernità, che saranno collocati al centro di un percorso espositivo articolato lungo un arco temporale di vent’anni, dal 1864 al 1884, ricostruendo un’avventura pittorica assolutamente straordinaria, conclusasi prematuramente con la sua scomparsa a soli 38 anni di età. I risultati da lui raggiunti si devono a un’innata genialità, alla capacità di sapersi confrontare con i maggiori artisti del suo tempo, alla sua curiosità intellettuale, alla sua disponibilità verso altri linguaggi. È inoltre tra gli artisti dell’epoca che meglio si è saputo misurare con la pittura giapponese allora diventata di moda.La mostra vede infine la collaborazione di METS Percorsi d’Arte, che ha contribuito al progetto espositivo con l’apporto di un importante nucleo di opere provenienti da collezioni private, tra le quali il Kimono color arancio, Piccadilly e la celeberrima Westminster.
 
Tutto questo è sottolineato dalla mostra e dal ricco catalogo Silvana Editoriale.
 
Una vita breve ma sufficiente per entrare nella storia dell’arte
 
Giuseppe De Nittis nacque a Barletta il 25 febbraio 1846. A pochi mesi dalla sua nascita, il padre si suicidò dopo due anni di carcere per motivi politici e Giuseppe crebbe con i tre fratelli nella casa dei nonni paterni. Fin dall’infanzia manifestò una forte propensione alla pittura e, nonostante il parere contrario della famiglia, si iscrssee nel 1861 all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Insofferente agli schemi accademici, fu espulso due anni dopo ed iniziò a dipingere en plen air con altri artisti, come Federico Rossano e Marco De Gregorio. Nel 1866 partì per Firenze dove prese contatto con il gruppo dei Macchiaoli. Dopo aver visitato Palermo, Roma, Venezia e Torino, nel 1867 si trasferì a Parigi dove due anni dopo sposò Léontine Lucile Gruvelle. Nel 1869 partecipò per la prima volta al Salon con opere molto vicine al gusto parigino. Il soggiorno napoletano del 1870 vide il suo stile arrivare alla maturità e all’indipendenza artistica e il ritorno a Parigi nel 1872 segnò il suo successo con la partecipazione al Salon dell’opera ‘Una strada da Brindisi a Barletta’. Il dipinto ‘Che freddo!’ esposto al Salon nel 1874 rappresentò l’affermazione definitiva dell’artista, che si meritò anche l’appellativo ‘peintre des Parisiennes’ (pittore della parigine). Nello stesso anno partecipò con ben cinque tele alla prima esposizione di quello che sarà il gruppo impressionista tenutosi nello studio del fotografo Nadar. In cerca di nuovi stimoli partì poco dopo per Londra, dove realizzò una serie di opere dedicate alla vita quotidiana della città. Partecipò all’Esposizione Universale di Parigi nel 1878 con dodici lavori che polarizzarono l’attenzione sia del pubblico che della critica. Negli ultimi anni si concentrò particolarmente sulla tecnica del disegno a pastello. Colpito da una forte bronchite nel 1883, rimase per mesi bloccato a letto e dipingere diventò sempre più difficile; morì a  Saint-Germain-en-Laye (Francia)   il 21 agosto del 1884 a causa di un ictus cerebrale. È sepolto a Parigi, nel cimitero di Père-Lachaise (divisione 11) ed il suo epitaffio fu scritto da Alessandro Dumas figlio. Sua moglie Léontine donò molti suoi quadri alla città natale del pittore, ora conservati nella Pinacoteca De Nittis collocata nel Palazzo della Marra a Barletta.
 
Informazioni:
 
Una mostra Comune di Milano – Cultura | Palazzo Reale | CMS.Cultura
 
A cura di Fernando Mazzocca e Paola Zatti , fino al  30.06.2024
 
Orario: Da martedì a domenica ore 10:00-19:30, giovedì chiusura alle 22:30. Ultimo ingresso un’ora prima. Lunedì chiuso.
 
Biglietti
 
Aperto: € 17,00; Intero: € 15,00;Ridotto: € 13,00; Esclusi i costi di prevendita.
 
Info e prenotazioni: palazzorealemilano.it     mostradenittis.it
 
Privo di virus.www.avast.com

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Isola delle rose e isola dei famosi: due esperimenti sociali agli antipodi

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L’Isola delle Rose e l’Isola dei Famosi rappresentano due realtà molto diverse tra loro, sia dal punto di vista sociologico che motivazionale, che riflettono cambiamenti significativi nella società nel corso del tempo.

L’Isola delle Rose è un’isola artificiale costruita nel 1967 al largo della costa italiana vicino a Rimini. Fu creata come una micronazione autoproclamata dallo scienziato e ingegnere italiano Giorgio Rosa, con l’obiettivo di sfidare la sovranità territoriale italiana e promuovere l’ideale di libertà e indipendenza. L’Isola delle Rose rappresenta una sperimentazione sociale e politica, con l’idea di creare una comunità utopica basata sulla cooperazione e l’autogestione.

D’altra parte, l’Isola dei Famosi è un reality show televisivo in cui un gruppo di persone famose viene portato in un’isola remota e deve affrontare sfide fisiche e mentali per sopravvivere e guadagnare premi. L’Isola dei Famosi è incentrata sull’intrattenimento e sulla competizione, con l’obiettivo di attirare l’attenzione del pubblico e generare interesse attraverso il dramma e le dinamiche interpersonali.

Le differenze sociologiche tra le due realtà sono evidenti:

  1. Finalità e motivazioni: L’Isola delle Rose era motivata da ideali di libertà, indipendenza e sperimentazione sociale, mentre l’Isola dei Famosi è incentrata sull’intrattenimento, la competizione e la celebrità.
  2. Struttura sociale: L’Isola delle Rose aveva una struttura sociale basata sull’autogestione e la cooperazione tra i membri della comunità, mentre l’Isola dei Famosi ha una struttura gerarchica con ruoli definiti e dinamiche di potere.
  3. Approccio alla vita quotidiana: Sull’Isola delle Rose, i residenti dovevano affrontare le sfide della vita quotidiana in un ambiente isolato e autonomo, mentre sull’Isola dei Famosi i concorrenti affrontano sfide create artificialmente per l’intrattenimento televisivo.
  4. Rapporto con il mondo esterno: L’Isola delle Rose era isolata dal resto del mondo e tentava di sfidare le autorità nazionali, mentre l’Isola dei Famosi è un programma televisivo che ha una forte connessione con il mondo esterno attraverso la trasmissione televisiva e i social media.

In conclusione, l’Isola delle Rose e l’Isola dei Famosi rappresentano due esperimenti sociali molto diversi tra loro, che riflettono valori, ideali e obiettivi differenti. Mentre l’Isola delle Rose rappresentava un tentativo di creare una comunità utopica basata sulla libertà e l’autogestione, l’Isola dei Famosi è un programma televisivo che si concentra sull’intrattenimento, la competizione e la celebrità.

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