Renzi e le camice gialle: vincere e vinceremo!


di Roberto Ragone

Un’Ansa di oggi riporta che il 14 maggio tutto il PD in maglietta gialla è convocato nelle strade di Roma per ripulirle dai guasti di vent’anni di cattiva amministrazione della nettezza urbana. Il documento a firma Matteo Renzi è redatto in stile Ventennio: lo riportiamo così com'é: ""Domenica 14 maggio le Magliette Gialle – il simbolo del PD che sta sul territorio e coniuga valori alti e progetti concreti – sbarcheranno a Roma. Con la città invasa dai rifiuti e nell'incapacità dell'amministrazione comunale di dare risposte, il PD romano presenterà le proprie idee sulla gestione dell'emergenza dei rifiuti ma lo farà dopo che per una mattinata saremo stati a pulire la città". Il segretario del Pd ha parlato anche dell'assemblea di sabato e sottolineato che, a suo avviso, "il vento sta cambiando. E i sondaggi – per quello che valgono – fotografano una impressionante ripresa del PD. Bene così". Da notare la Magliette Gialle, che tanto ricordano Camicie di ben altra tinta, denominate "il simbolo del PD che sta sul territorio e coniuga valori alti e concreti, (che) sbarcheranno a Roma". Mussolini c'è arrivato via terra, lui via nave. Toni trionfalistici anche per ciò che riguarda "l'incapacità dell'amministrazione comunale di dare risposte". Evviva, arrivano i nostri! "I sondaggi fotografano un'impressionante ripresa del PD. Bene così." Dopo aver parafrasato l'infelice frase della Raggi, per cui "il vento sta cambiando". Benito avrebbe aggiunto: "Vinceremo!"

L’accusa è contro la Raggi e il suo governo, – visto che l'obiettivo primario, ora, è screditare i Cinquestelle, sua spina nel fianco – senza tener conto che questa situazione di degrado dura da più di vent’anni, periodo durante il quale si sono succedute giunte di ogni colore politico. Gli operatori ecologici in TV dichiarano che il problema è antico, e che mancano sia i mezzi che gli uomini – o le donne. In un panorama di questo genere, di fronte ad una situazione incancrenita, non si può pensare o pretendere che il problema monnezza venga risolto in pochi mesi. Ma tant’è, proprio Renzi, che rinnega ogni strumentalizzazione fatta dai suoi avversari, in questi giorni ne sta affrontando una macroscopica. D’altra parte la strumentalizzazione, la demagogia, e quel populismo che rimprovera agli altri, sono le sue armi di tutti i giorni. Sempre pronto ad inversioni ad U, come nel caso recente della nuova legge sulla legittima difesa. “Meno male che c’è il Senato” ha detto con tono di sfottò proprio Grasso, che di quella camera è presidente. Ma il reuccio ha ancora l’animo del boy scout e così ha convocato, lui, segretario del partito di maggioranza relativa, tutte le ‘mani’ disponibili, e tutte in maglietta gialla, per ripulire la strade di Roma, magari con il foulard al collo e i pantaloncini corti.

Naturalmente anche don Matteo sarà della partita, giusto il tempo per qualche scatto fotografico e un paio di riprese TV, chiamato poi urgentemente ai suoi impegni istituzionali. Come nel caso di una certa maratona mai indagata da chi di dovere, al cui traguardo arrivò fresco e senza affanno, pur non essendo un maratoneta.  Non credano, comunque, gli intrepidi piddini in maglietta canarino, di riuscire a sgombrare le strade di Roma in una sola giornata, facendo un gran favore non solo ai Romani, ma soprattutto a Zingaretti, dato che pare proprio che la responsabilità di questa situazione sia della Regione Lazio, sorda da anni al grido di dolore che si leva dal popolo romano,  insieme ad espressioni colorite, cacio e pepe.

Penso che nessun segretario di partito avrebbe avuto una pensata del genere: immaginate un De Mita, un Andreotti, un Berlusconi o un Berlinguer – e potrei continuare – in maglietta d’ordinanza, con un sacchetto nero e una scopa in mano, girare fra le montagne di rumenta e i topi, di domenica mattina? Forse Mussolini, sì, come nei filmati della campagna del Grano. Ma Renzi ci ha abituati alle sue stravaganze. Che poi tanto strane non sono. Specialmente in occasione delle primarie, durante le quali è stato chiuso in anticipo un seggio pugliese, a Nardò, in provincia di Lecce, per infiltrazioni destrorse; mentre ad Ercolano hanno votato i richiedenti asilo: senza documenti, vien da pensare, visto che era richiesta almeno la carta d’identità, se non – come nel caso di Nardò, ma questo non corrisponde a verità, e il sottoscritto lo può testimoniare – l’iscrizione al partito.

Sta di fatto che a tutti i ‘neri’ in coda al seggio – o ai seggi – era stato promesso un permesso di soggiorno in tempi un po’ meno lunghi. Indovinate per chi hanno votato? Miracolo! Renzi a quasi il 70%, salvo conguaglio, e gli altri dietro. Come i partecipanti al voto (renziano) in Campania, dove, nelle zone governate da De Luca – Vincenzo, non il figlio Piero, che s’affaccia alla politica già con buone referenze, visto che il 29 maggio dovrà affrontare a Salerno un processo per bancarotta fraudolenta, per il crac della società immobiliare IFIL, come scrive il Fatto Quotidiano – pare che l’affluenza di votanti sia stata superiore a quella di città molto più popolate, come ad esempio Napoli: miracolo delle fritture di pesce?
Insomma siamo in piena democrazia: i destrorsi favorevoli a Emiliano non hanno potuto votare a Nardò. Dove addirittura il seggio è stato chiuso anticipatamente, mentre ad Ercolano quest’anno hanno votato i richiedenti asilo, visto che i Cinesi lo avevano già fatto nel 2011. I quali richiedenti asilo sono la totalità degli sbarcati, dovendosi ancora discriminare chi ha diritto all’asilo e chi no.  Ma bisogna perdonarlo, Renzi, per la sua giovane età, nella quale capita ai migliori di fare disastri, e poi i genitori devono sistemare le cose. In questo caso, magari, è il contrario, ma il suo governo in tre anni ha aumentato il debito pubblico, pare, di venti miliardi di euro. 

Lo abbiamo rivisto l’altro giorno in TV dare una botta a quella Ruota della Fortuna che l’ha portato per la prima volta in televisione, e forse pensava che quella Ruota sarebbe stata la sua Fortuna. Aveva un’espressione smarrita, il labbro pendulo e somigliava tanto a mister Bean. Vai a pensare che l’avremmo avuto al governo. Intanto la Boschi è stata messa a guardia di Gentiloni, che non si monti la testa, per filtrare ogni sua iniziativa. È proprio vero che le disgrazie, come i terremoti, non sono prevedibili, e non arrivano mai da sole.  Appena ho letto la notizia dell’adunanza domenicale a scopo rumentizio in me s’è acceso un barlume di speranza: ho detto, vuoi vedere che finalmente don Matteo ha trovato la sua vera strada, e si toglie dalle scatole? Così, io spero ancora: la speranza è l’ultima a morire.
 




Legittima difesa: la lunga notte dell'imbecillità


di Roberto Ragone
 
Nuove norme nella legge passata alla Camera a proposito della difesa personale, della possibilità del cittadino di difendersi da aggressioni e rapine, una legge che Renzi vuole tuttavia bloccare al passaggio da Palazzo Madama. Insomma, dopo anni di polemiche e di scontri, la montagna ha partorito il topolino. Pare infatti che ci si possa difendere soltanto di notte, quando l'intrusione domestica o l'aggressione nell'esercizio commerciale della vittima siano attaccati da ladri e rapinatori, ma soltanto con il buio. Scontro con chi afferma che 'La difesa è sempre legittima', e che, come Berlusconi, chiede che chi si difende in qualsiasi modo, anche se necessario sparando, non venga neanche processato.

Di diverso parere la sinistra, che, storicamente ipergarantista, ma solo nei confronti di "certi figuri", parla, come al solito di Far West e di 'giustizia fai-da-te'. Che la postilla a proposito delle ore notturne, durante le quali soltanto la difesa sarebbe legittima, sia ambigua e lasci troppo spazio ad interpretazioni da parte dei giudici, è scontato. E' scontato anche che tutto questo movimento per approvare una legge che dovrebbe tutelare finalmente il cittadino, e che invece si è trasformata in scontro politico, non risolve alcuno dei problemi del vivere civile. E' fuor di dubbio che la delinquenza negli ultimi anni si sia trasformata, assumendo sempre più i connotati di crudentà ed efferatezza importati dall'est europa; ed è fuor di dubbio che le norme, in mancanza di un reale controllo del territorio, e di una sincera volontà di tenere i delinquenti dove dovrebbero stare, cioè in galera, vadano modificate. Purtroppo abbiamo perso una buona occasione di farlo. Intanto la polemica e l'ironia impazzano sui media, a proposito della obbligatorietà di difendersi solo al buio, e con proporzionalità rispetto all'offesa (non è cambiato nulla!), senza tener conto, o facendolo solo con marginalità, della situazione psicologica dell'aggredito. Nel proposito, abbiamo voluto sentire l'autorevole commento di uno dei personaggi che, per la sua posizione, è direttamente coinvolto in questioni di ordine pubblico, e che da anni si batte a  tutti i livelli per migliorarne la situazione.
 
Abbiamo contattato il dottor Gianni Tonelli, segretario generale di uno dei più attivi sindacati di polizia, il SAP, Sindacato Autonomo di Polizia, che ci ha dato il suo parere.
 
Dottor Tonelli, ci dia un suo guidizio personale su questa nuove versione della legge sulla legittima difesa.
È il simbolo della decadenza di una classe dirigente che non ha capacità, ed è sotto scacco di gruppi estremisti. Una classe  eccessivamente ideologizzata, e che non ha la capacità di assumersi una responsabilità. Ma che norma è quella che indica come criterio di punibilità o di legittimazione del diritto naturale alla autotutela, alla propria difesa quello che può essere il giorno o la notte: e se uno fa i turni e dorme di giorno? D’inverno saremo più sicuri? Andremo con il canto del gallo? E l’ora legale? Dobbiamo considerare anche la latitudine? Perché a Torino d’estate le giornate sono più lunghe che a Palermo. Sono delle cose folli, e non c’è bisogno d’essere dei giuristi per comprenderlo. Sono delle imbecillità colossali che devono spingere la nazione Italia a prendere a calci nel sedere la classe dirigente che le partorisce, perché analoghe imbecillità vengono partorite ogni giorno a carico dell’economia del paese, per ciò che riguarda l’energia, o le politiche sociali, dalla sicurezza  al’immigrazione. 
 
Da ciò che si vede dall’esterno, pare che una parte della sinistra stia con Ermini, mentre un’altra parte gli è contraria. 
Sì, è così, perché c’è una parte maggiormente ideologizzata,  mentre alcuni sono meno vincolati da queste imbecillità. Ma, anche la sinistra, o si libera da questa zavorra, o altrimenti non potrà mai ambire a governare decentemente il paese, ma è destinata a naufragare ancora come ha fatto fino ad oggi. 

I recenti fatti relativi a episodi di violenza e di rapine, con la reazione delle vittime sorprese in casa, magari di notte, e gli effetti giudiziari conseguenti ci hanno sempre dato, dall’esterno, l’impressione che i delinquenti siano troppo tutelati, e che quindi, per assurdo, che lo stato li tuteli più dei cittadini. Ha avuto anche lei questa impressione?
È così, perché una parte della sinistra considera le devianze come figlie delle contraddizioni della nostra società, e la brava gente, quindi, non deve più stare al centro del sistema, ma ci devono andare loro, i deviati. Siccome la gente per bene approfitta, e ha goduto finora, delle opportunità di questa società, come deve pagare le tasse, deve anche farsi carico di questi oneri, fino ad arrivare fin nel campo della legittima difesa, e quindi  fino a considerare moralmente censurabile chi si difende, prima ancora che giuridicamente. Una parte della sinistra sta con i delinquenti, ed è tipico del partito dell’antipolizia, che comunque è molto forte all’interno delle istituzioni, ed ha radici profonde: pensiamo al manifesto degli intellettuali contro il commissario Calabresi. Oppure vogliamo parlare della pseudocultura autoreferenziale italiana nel circuito mediatico? Nella classe dirigente del paese, quindi nel Parlamento, voglio pensare a Manconi, alla Boldrini. Guardi, costoro non hanno simpatia nei confronti delle forze dell’ordine, ma anzi, ogni giorno ci dimostrano la loro avversità, perché noi difendiamo la gente per bene, e quindi noi siamo il nemico di coloro che invece vorrebbero che al centro del sistema ci fosse ro le devianze. È un fatto ideologico.
 
Un’ultima battuta a proposito delle caccia a Igor il russo, o come si chiama lui. Secondo lei, lo prendono?
Lo prenderemo più in là, ma non adesso. Perché a mio parere Igor non è più lì. Questo è uno che anche se ha attorno una cintura blindata di venti o trenta chilometri, nel giro di due ore venti chilometri li ha già fatti di corsa. È una persona che viene da un mondo che è un po’ diverso dalla nostra bambagia, anche come metodo criminale. A mio parere non è più lì. Sono convinto che prima o poi ci sbatterà la testa, non potrà stare alla macchia vita natural durante.



GIANNI TONELLI SULLA LEGITTIMA DIFESA

GIANNI TONELLI SULLA LEGITTIMA DIFESA

“BISOGNA PRENDERE A CALCI NEL SEDERE LA CLASSE DIRIGENTE CHE PARTORISCE SIMILI IMBECILLITA’”

DI ROBERTO RAGONE

Dottor Tonelli, ci dia un suo parere su questa nuove versione della legge sulla legittima difesa.

È il simbolo della decadenza di una classe dirigente che non ha capacità, ed è sotto scacco di gruppi estremisti. Una classe  eccessivamente ideologizzata, e che non ha la capacità di assumersi una responsabilità. Ma che norma è quella che indica come criterio di punibilità o di legittimazione del diritto naturale alla autotutela, alla propria difesa quello che può essere il giorno o la notte: e se uno fa i turni e dorme di giorno? D’inverno saremo più sicuri? Andremo con il canto del gallo? E l’ora legale? Dobbiamo considerare anche la latitudine? Perché a Torino d’estate le giornate sono più lunghe che a Palermo. Sono delle cose folli, e non c’è bisogno d’essere dei giuristi per comprenderlo. Sono delle imbecillità colossali che devono spingere la nazione Italia a prendere a calci nel sedere la classe dirigente che le partorisce, perché analoghe imbecillità vengono partorite ogni giorno a carico dell’economia del paese, per ciò che riguarda l’energia, o le politiche sociali, dalla sicurezza  al’immigrazione.

Da ciò che si vede dall’esterno, pare che una parte della sinistra stia con Ermini, mentre un’altra parte gli è contraria.

Sì, è così, perché c’è una parte maggiormente ideologizzata,  mentre alcuni sono meno vincolati da queste imbecillità. Ma, anche la sinistra, o si libera da questa zavorra, o altrimenti non potrà mai ambire a governare decentemente il paese, ma è destinata a naufragare ancora come ha fatto fino ad oggi.

I recenti fatti relativi a episodi di violenza e di rapine, con la reazione delle vittime sorprese in casa, magari di notte, e gli effetti giudiziari conseguenti ci hanno sempre dato, dall’esterno, l’impressione che i delinquenti siano troppo tutelati, e che quindi, per assurdo, che lo stato li tuteli più dei cittadini. Ha avuto anche lei questa impressione?

È così, perché una parte della sinistra considera le devianze come figlie delle contraddizioni della nostra società, e la brava gente, quindi, non deve più stare al centro del sistema, ma ci devono andare loro, i deviati. Siccome la gente per bene approfitta, e ha goduto finora, delle opportunità di questa società, come deve pagare le tasse, deve anche farsi carico di questi oneri, fino ad arrivare fin nel campo della legittima difesa, e quindi  fino a considerare moralmente censurabile chi si difende, prima ancora che giuridicamente. Una parte della sinistra sta con i delinquenti, ed è tipico del partito dell’antipolizia, che comunque è molto forte all’interno delle istituzioni, ed ha radici profonde: pensiamo al manifesto degli intellettuali contro il commissario Calabresi. Oppure vogliamo parlare della pseudocultura autoreferenziale italiana nel circuito mediatico? Nella classe dirigente del paese, quindi nel Parlamento, voglio pensare a Manconi, alla Boldrini. Guardi, costoro non hanno simpatia nei confronti delle forze dell’ordine, ma anzi, ogni giorno ci dimostrano la loro avversità, perché noi difendiamo la gente per bene, e quindi noi siamo il nemico di coloro che invece vorrebbero che al centro del sistema ci fosse ro le devianze. È un fatto ideologico.

Un’ultima battuta a proposito delle caccia a Igor il russo, o come si chiama lui. Secondo lei, lo prendono?

Lo prenderemo più in là, ma non adesso. Perché a mio parere Igor non è più lì. Questo è uno che anche se ha attorno una cintura blindata di venti o trenta chilometri, nel giro di due ore venti chilometri li ha già fatti di corsa. È una persona che viene da un mondo che è un po’ diverso dalla nostra bambagia, anche come metodo criminale. A mio parere non è più lì. Sono convinto che prima o poi ci sbatterà la testa, non potrà stare alla macchia vita natural durante.




Renzi al 70%: democrazia o maggioranza bulgara?


di Roberto Ragone

 

E così, a quanto pare, ed è nei fatti, don Matteo sarà di nuovo segretario del PD, l’unico partito, a sentir loro, che ha una ‘vocazione di governo’, in questo sgangherato panorama politico italiano. Eletto, come sbandierato, in regime di ‘democrazia’, nonostante la sua maggioranza sia decisamente bulgara, e file di immigrati siano state registrate ai gazebo, e ancora, nonostante un seggio sia stato chiuso per manifesta partecipazione di elementi notoriamente estranei al partito di Renzi, i quali, ‘democraticamente’, avrebbero votato un altro candidato, magari Emiliano, dato che il fatto è accaduto in provincia di Foggia. Ma tant’è, il reuccio non accetta contestazioni, e le istruzioni erano tassative. In pieno regime di quella ‘democrazia’ che tanto sbandiera davanti a sé, come un vessillo tricolore (magari fosse!), e la cui mancanza tanto rimprovera ai Cinquestelle, Beppe Grillo in testa: senza rendersi conto di essere lui stesso un Beppe Grillo; o magari sapendolo benissimo, ma trovando questa posizione assolutamente di comodo. Ce lo ritroveremo ancora alla presidenza del Consiglio? 99 su cento, sì, visto che lo ‘stai sereno’ vale anche per Gentiloni, come servì per Enrico Letta.

Un Gentiloni ancora più facilmente mobile, data la sua figura evanescente di premier ‘a sua insaputa’. Un premier che non ha saputo lasciare alcuna impronta sul materasso della nazione, come invece fanno le mani di una nota marca nella pubblicità in televisione, con la loro ‘memory’. Impronta, tuttavia, anch’essa destinata a scomparire rapidamente. Vogliamo fare come Cassandra, profetessa di sventure: all’orizzonte, a meno di interventi direttamente dall’Olimpo di Giove,  abbiamo ancora almeno un altro lustro di don Matteo, ora ancora più irremovibile, ancorato ai suoi privilegi come una cozza patella allo scoglio, visto che la sua ‘politica’ di Giglio Magico gli ha reso bene, con favori, clientele, nomine, e tutto ciò che Machiavelli, nel ‘Principe’, indicava come strumenti per ottenere il fine, che, secondo lui, giustificava i mezzi. La cosa più assurda è che tutto ciò viene compiuto in nome di una pretesa democrazia, della quale il partito di Renzi addirittura si fregia nella sua denominazione. Non dimentichiamo la conversione ad U che esso ha compiuto nei decenni, da PC a PDS a DS, per approdare al PD. Cioè, partendo da un partito comunista filosovietico che è stato la negazione della libertà, fino ad approdare ad un partito che mira al centro, un partito che vuole catturare i voti dei moderati, che in Italia sono la maggioranza. D’altronde, tutti mirano al centro, Berlusconi compreso. In barba a quella democrazia che in Italia non c’è mai stata.

Gli scossoni dell’ultimo conflitto hanno portato, una volta terminato, ad una proclamazione di libertà che era nelle parole ma non nei fatti. Il potere è passato, dalle mani di un PNF dichiarato fuorilegge, alla DC, un partito in cui erano confluiti tanti che da esso provenivano, e che per maggior suggestione, aveva associato la parola ‘democrazia’ a ‘cristiana’, quale garanzia di vita eterna. Oggi più che mai ‘democrazia’ è una parola piena di significato, ma vuota nei fatti. Sottosegretari e ministri nominati dall’alto, non per capacità ma per appartenenza; curricula degli stessi, falsi e mendaci, ciò che in un paese serio avrebbe causato dimissioni; intrallazzi di cui si fa fatica a frenare i salienti, che sporgono come punte di iceberg nel panorama di Montecitorio; promesse elettorali prontamente rimangiate a festa effettuata; corruzione latente e generalizzata, per cui Piercamillo Davigo ha detto che i politici “Rubano come prima ma hanno smesso di vergognarsi”. Eccetera eccetera. Purtroppo ormai siamo abituati ai favoritismi parlamentari, come alle ruberie, e non ci fa più specie: anzi, se vogliamo un favore qualunque, andiamo dal politico che riteniamo più intrallazzato per chiederglielo. E questo è destabilizzante: anche i contadini andavano – e tutt’ora lo fanno, ma non solo i contadini – dal capomafia del posto, che, si sa, ottiene rapidamente ciò che ordina, a prescindere dai metodi. Siamo un paese in declino, in mano ad una classe politica maneggiona, forse la peggiore che abbiamo mai avuto, dove il più dritto ‘campa la casa’, come si dice a Bari. Non è democrazia, e non è democratico il partito di Renzi, affermarlo è una contraddizione in termini. Staremo a vedere. Ormai il re è nudo, tutti lo vedono, ma nessuno ha il coraggio di gridarlo. Noi continueremo a farlo, da queste colonne, democraticamente, finchè non ce lo impediranno: il che è previsto, anche, nella ‘democrazia’ del reuccio.




Strage di Erba: verso la revisione del processo

 

di Roberto Ragone

 

La sera dell’11 dicembre 2006, attorno alle ore 20, a Erba, in provincia di Como, qualcuno uccise, a sprangate e coltellate, quattro persone,due donne, un uomo e un bambino di due anni e tre mesi,  lasciando per morto un ferito grave, che poi divenne l’unico testimone oculare del fatto criminoso. Per quell’evento omicidiario sono stati condannati, e sono tuttora detenuti, due coniugi, Rosa Bazzi e Olindo Romano, i quali, dopo aver confessato il crimine, pur con una confessione zoppicante e lacunosa, dopo qualche tempo ritrattarono, ma non furono creduti. Nei due gradi di giudizio, però, ci furono quelle che potremmo definire omissioni, nell’esame dei vari reperti rinvenuti sul luogo del delitto, ora in mano ai RIS di Parma e all’Università di Pavia. Per questo motivo, l’avvocato Schembri, coadiuvato dall’avvocato Nico D’Ascola e dall’avvocato Luisa Bordeaux, ha presentato un’istanza di incidente probatorio per esaminare davanti al giudice del tribunale di Corte d’Appello, a Brescia, almeno sette, ma probabilmente di più, reperti relativi alle indagini sull’omicidio, che non furono ammessi all’esame di giudici dei primi due procedimenti.  Il processo a Rosa e Olindo suscitò molto rumore, come tanto chiasso aveva suscitato la strage e la sua efferatezza, e , come accade ormai da diversi anni, i media se ne impadronirono, a caccia di sensazioni, influenzando, come è già stato ampiamente dibattuto, il sentire comune, e di conseguenza anche tutto l’andamento della vicenda. Il popolo della TV si divise fra innocentisti e colpevolisti, e purtroppo fin dall’inizio le indagini furono indirizzate in un’unica direzione. Ora la Corte di Cassazione, accogliendo la richiesta del collegio di difesa, ha ordinato che venga effettuato un esame dei reperti il cui esame, alla luce della confessione resa dai due indagati, non venne ritenuto necessario. L’esame avverrà  in incidente probatorio, e sarà, se positivo per la difesa,  propedeutico ad una richiesta di revisione del processo. Si sono aperte così nuove ipotesi investigative, che si vogliono approfondire, e c’è la possibilità che il processo di secondo grado venga rifatto con altri presupposti, e che i due ora ergastolani possano essere riconosciuti innocenti.  A proposito di questa spinosa vicenda, che, se dimostrata secondo le tesi della difesa, avrebbe tenuto in carcere due innocenti per quasi undici anni, abbiamo voluto chiedere un parere al noto criminologo professor Carmelo Lavorino, già consulente della difesa di numerosi processi di grande rilevanza mediatica, come, ad esempio, fu il caso dell’omicidio di via Poma, a Roma, e titolare del CESCRIN, Centro di Criminologia e Investigazione Criminale.

Professore, innanzitutto grazie per la sua consueta cortesia e disponibilità. Avrà letto sui giornali della probabile revisione del processo a Rosa e Olindo per la strage di Erba. Nonostante lei non se ne sia occupato in prima persona, sappiamo che lei è sempre molto attento a questi avvenimenti di cronaca giudiziaria, e quindi sempre bene informato.  Per questo mi farebbe piacere avere un suo parere sulla vicenda.

Il giorno dopo la strage venni intervistato dal quotidiano ‘La Padania’, dove dichiarai che le modalità omicidiarie, cioè lo sgozzamento tramite coltello e il fracassamento con una sbarra, potevano anche far pensare ad una banda di balordi, di criminali, appartenenti ad una etnia africana ed agenti per “dare una lezione”; questo, perché il modus operandi esecutivo lascia una serie di tracce comportamentali molto importanti.

Detto questo, a mio avviso, contro Rosa Bazzi e Olindo Romano, ci sono soltanto tre elementi, cioè: il riconoscimento tardivo e contraddittorio di Frigerio [l’unico testimone oculare, lasciato per morto ndr], per il quale, a mio avviso, ci possiamo trovare anche di fronte ad una suggestione ed alla psicopatologia della testimonianza, anche perché nel suo riconoscimento vi sono molte contraddizioni. Poi, la macchia sangue rinvenuta sul copritacco della macchina di Olindo; in ultimo, la confessione dei due.

Confessione illogica, strana e contraddittoria. Non vorrei entrare nel merito di questi elementi, perché la confessione può sempre essere spinta, estorta, manipolata; ci può essere una situazione di soggezione psicologica da parte dei due e di terrore della divisione e della fine del loro rapporto, e quindi ogni confessione va vagliata scientificamente sotto il profilo dei riscontri e della logica.

Riconoscimento contraddittorio, incerto e tardivo. La dichiarazione di Frigerio potrebbe anche essere non attendibile, sia perché il riconoscimento può essere frutto di suggestione e spinto abilmente da qualcuno che vedeva in Olindo l’assassino, sia perché all’inizio aveva descritto l’aggressore come una persona di colore olivastro, da solo; poi invece parlò di Olindo, e in seguito parlò di una donna, asserendo che sicuramente quella donna era la moglie di Olindo. Quindi, secondo me, ci potremmo trovare di fronte a una psicopatologia della testimonianza e ad una distorsione della stessa, sfociata nell’autoconvincimento riverberante.

Una sola traccia di sangue in luogo accessibile a chiunque. La macchia di sangue sul copritacco della macchina di Olindo potrebbe essere una contaminazione, volendo fermarci in questo ambito e senza fare i diffidenti e i maliziosi. Vedremo poi cosa è successo.

Mancano troppe tracce che dovevano esserci, e l’assenza di tracce è una traccia. Noi sappiamo che sulla scena del crimine, molto ampia, anche se parzialmente distrutta, non venne trovata alcuna traccia di Olindo e Rosa, così come in casa di Olindo e Rosa non venne trovata alcuna traccia del sangue e/o  biologica delle cinque vittime che, secondo gli investigatori, Olindo e Rosa avrebbero dovuto colpire con due coltelli ed una spranga di ferro con almeno un centinaio di colpi: come mai?

All’interno dell’auto di Olindo non fu rinvenuta alcuna traccia di sangue, né sui sedili, né su alcuna parte, tranne che su quel copritacco, forse una contaminazione o “il destino”, come ho già detto. Nondimeno, ricordo che l’avvocato Schembri trovò duecentottantaquattro contraddizioni nella ricostruzione della scena del crimine fatta dai due coniugi quando si erano autoincolpati. 

 

Accertamenti tecnici non approfonditi. Il problema è che in questo processo, molti reperti relativi alla strage non vennero analizzati perché immediatamente dopo la pista Marzouk -, che si sciolse come neve al sole, perché lui al momento dell’incursione era in Tunisia, in visita ai genitori, e quindi lontano dalla scena del crimine -, gli inquirenti puntarono Olindo e Rosa. Automaticamente tutte le altre piste non vennero seguite e molte tracce non vennero analizzate. E purtroppo sappiamo che molti errori giudiziari avvengono per la c.d. “fretta investigativa unita alla certezza di “averci azzeccato””. Quindi, a prescindere dal fatto che Olindo e Rosa siano colpevoli o innocenti, dato che in definitiva la loro confessione lascia il tempo che trova, la testimonianza di Frigerio a mio avviso potè essere suggestionata, e quella macchia di sangue potrebbe dire poco, avrebbero dovuto  essere analizzati tutti i reperti  trovati sulla scena del crimine.

 

I reperti che ora devono essere analizzati. Giustamente la difesa ha chiesto che molti reperti che non sono stati analizzati debbano essere analizzati, e la Cassazione ha detto sì, che questi reperti siano analizzati. Vediamo un po’, partiamo dal bambino, da Youssef. Su di lui sono stati trovati quattro capelli, di cui, uno castano-nero, uno castano-chiaro lungo dieci centimetri, un altro nero lungo un centimetro e mezzo e un altro ancora: due frontali e due sulla schiena del bimbo. Oltretutto le unghie del bambino non sono mai state analizzate. Per cui potrebbero essere trovate tracce del soggetto ignoto che ha aggredito il bambino. Quindi se la struttura  di questi capelli dovesse essere  riferibile a Rosa Bazzi e Olindo Romano, il problema è loro. Se però i capelli non appartengono a questi due soggetti, c’è da chiedersi come mai almeno tre soggetti abbiano manipolato il bambino, quindi, tracce di soggetti  non riferibili a Rosa, a Olindo  e tanto meno alla piccola vittima. Quindi,  questi reperti che devono essere analizzati: è un quesito che dev’essere sciolto.

È stato rinvenuto sul pianerottolo un accendino, che potrebbe essere quello con cui è stato appiccato il fuoco. Su questo accendino dovrebbero trovarsi tracce di DNA, sudore o tessuto epiteliale, e tracce papillari (le impronte digitali) di chi lo ha usato. Queste tracce dovrebbero essere riferibili, quindi, o a Rosa, o a Olindo,  a una delle vittime, o a un soggetto ignoto: in quest’ultimo caso la situazione è a favore di Rosa e Olindo.

È stato anche rinvenuto un mazzo di chiavi, che non si sa a chi appartenga: vediamo, sempre tramite la ricerca del DNA e delle tracce papillari, a chi possa essere riferibile un insieme di tracce del genere. Questo serve proprio a verificare se Rosa e Olindo possano essere esclusi o meno.

Nemmeno sono stati analizzati i giubbotti delle tre vittime, cioè di Valeria Cherubini, di Raffaella Castagna e di Paola Galli, gli adulti. Poiché sono stati colpiti a coltellate, pugnalate, fendenti e con una spranga di ferro, è probabile che ci sia del DNA degli assassini sui loro giubbotti. Può esserci sangue dell’assassino che si è ferito, o tessuto epiteliale, sudore o saliva. Ricordiamo che nel caso del delitto dell’Olgiata, sull’asciugamani che copriva il volto della contessa Alberica Filo della Torre, c’erano una cinquantina di macchie di sangue, di cui quarantotto erano della vittima, e due dell’assassino. Con il passare degli anni sono state analizzate anche le due macchie di sangue residue, e hanno fatto individuare l’assassino nel filippino Manuel. È ovvio che tutti i reperti devono essere analizzati, e bisogna vedere ogni reperto che cosa ci dice, cosa parla, cosa comunica a livello scientifico e criminalistico.

Sono stati rinvenuti dei mozziconi di sigaretta,  che non sono stati analizzati: sappiamo perfettamente che i mozziconi di sigaretta conservano tracce di saliva, e quindi, di DNA, vediamo a chi appartengono.

È stato rinvenuto un cellulare. Non si sa di chi sia, ma presenta certamente tracce di DNA, come al solito, sudore, tessuto epiteliale e saliva, più impronte digitali. In più, guardando il codice IMEI si può vedere a chi è intestato, si possono ricavare altri dati. Naturalmente i tabulati non esistono più, perché vengono cancellati dopo due anni, però il cellulare può parlare ancora.

Sul terrazzino dell’appartamento di Raffaella Castagna è stata rinvenuta una macchia di sangue: vediamo di chi è, e a chiunque appartenga, vittima o altro soggetto, il risultato dev’essere contestualizzato nell’analisi criminale totale.

Le unghie del bambino sono state analizzate in maniera superficiale, così come anche quelle delle altre tre vittime: le unghie delle vittime ci potrebbero dare, come sappiamo perfettamente, le solite tracce merceologiche (tessuti, fibra …), sudore, pelle, DNA  eccetera.

Vi ho elencato gli elementi che la difesa di Olindo e Rosa chiese a suo tempo alla Corte d’Appello di Brescia di analizzare e che la Corte d’Appello di Brescia rifiutò, invece la Procura Generale presso la Cassazione ha dato parere positivo, è stata d’accordo. Qui noi non possiamo dire che Rosa e Olindo sono innocenti o colpevoli: diciamo che questi elementi dovevano essere analizzati a loro tempo, che purtroppo non vennero analizzati  e che, infine, potrebbero raccontare una storia ben diversa dalla sentenza di condanna. Per cui, se tutti questi reperti escludono Rosa e Olindo, e congiuntamente individuano le tracce di una o più persone, a mio avviso il processo di potrebbe riaprire, e si effettuerebbe il processo per revisione.

Valutiamo il modus operandi della combinazione assassina, chiunque essa sia.  Analizzando ciò che è successo, ci troviamo una vittima colpita con trentaquattro pugnalate e otto sprangate, parlo della Cherubini. La mamma del bambino è stata colpita con otto pugnalate e sprangate, la nonna del bambino con molte pugnalate e sprangate, a differenza del bambino che ha avuto una sola ferita alla gola, così come Frigerio, che è stato preso a colpi di spranga e pugnalate, una alla gola: il risultato è che tutte e cinque le vittime sono state colpite alla gola e le quattro adulte sono state “fracassate” con la spranga. La tecnica di sgozzamento, applicata a tutte e cinque le vittime, ci parla di una tendenza a colpire in quel modo particolare verso il bersaglio speciale e preferito della gola, che può fare parte di tradizioni ataviche, di un’abitudine, di un modus operandi aggressivo di attacco particolare originato da tradizioni particolari. Così come usare la spranga è una maniera punitiva primitiva e bestiale, perché si è ricevuta un’offesa gravissima e la si vuole lavare col “fracassamento altrui”. Constatiamo, inoltre, che i soggetti che hanno commesso questa strage, siano Olindo e Rosa, o altri soggetti ignoti, hanno anche bruciato la casa, sia per eliminare le tracce sia per vendetta come parte finale di un rituale primordiale, quindi questo ci porta anche a delle forme ancestrali ataviche, barbare, di distruzione, che significano: “… io vengo a casa tua, violento o fracasso e uccido tua moglie, uccido tuo figlio, brucio la casa se tu non ci sei e distruggo la tua famiglia e la tua progenie”: ebbene, tutto questo ci potrebbe portare all’interno di un regolamento di conti, o con la sola mamma del bambino, quindi Raffaella Castagna, o nei confronti di Azouz Marzouk. Avremmo quindi come  obiettivo primario della strage proprio la famiglia di Azouz, cioè la suocera, la moglie e il figlio, poi sono intervenuti i coniugi Frigerio (vittime impreviste e danni collaterali), che sono stati eliminati per tacitazione testimoniale, in quanto davano fastidio come testimoni. Il fatto che Frigerio non sia morto è stato “un inconveniente esecutivo”,  in quanto l’uomo aveva una malformazione congenita alla carotide, che lo ha salvato dal dissanguamento

Ora dobbiamo aspettare gli esiti di queste analisi scientifiche. Noi lo abbiamo sempre detto, che la scena del crimine deve essere analizzata sotto tutti gli aspetti, bisogna ipotizzare tutto quello che è possibile, non bisogna tralasciare nulla, e non bisogna prediligere una sola pista, perché se poi questa pista ci fa prediligere alcuni reperti utili solo alla nostra pista, ci fa discriminare l’azione analitico-scientifica, e questo è grave.

 

Cioè, un altro caso, come dice lei, di innamoramento della tesi accusatoria?

 

Sì, però qui c’è stata la maledetta simbiosi diabolica dell’innamoramento del sospetto  e innamoramento  della tesi accusatoria senza elementi totalizzanti. Una pista lasciava ipotizzare, a livello investigativo, che potessero essere stati  Olindo e Rosa, poi, a livello inconscio, il sospetto è stato spinto nei loro confronti ed ha coinvolto l’intero apparato investigativo. Io non dico che sono innocenti. Dico soltanto che tutto dev’essere analizzato. Devono essere effettuate tutte le analisi scientifiche, tutti gli accertamenti tecnici possibili. Se la difesa degli imputati chiede delle verifiche scientifiche, queste devono essere fatte, perché altrimenti  succede quello che è successo a Perugia [omicidio Meredith Kercher ndr.], dove il DNA è stato analizzato in un secondo momento, o all’Olgiata [omicidio Filo della Torre ndr.], dove il sangue è stato analizzato in un secondo momento. Bisogna fare tutto, maledetto  e subito, senza farsi fuorviare da convincimenti o da pregiudizi.

Non sono neanche state considerate le testimonianze di due testimoni oculari, che hanno riferito di aver visto dei soggetti di pelle scura, scendere dal terrazzino della casa di Castagna su via Diaz, e poi allontanarsi in direzione di Piazza del Mercato. In Piazza del Mercato altre persone hanno riferito di aver visto in orario concomitante con quello della strage, due persone di colore, in compagnia di un terzo soggetto di pelle chiara, presumibilmente italiano, viene da pensare che la dinamica degli omicidi sia stata: un ‘palo’, l’italiano, che aspetta di sotto, e i due che vanno di sopra, uccidono tutti quelli che trovano davanti e danno fuoco alla casa. Queste sono, lei giustamente non l’ha voluto dire, ma sono tecniche omicidiarie islamiche, come apprendiamo dai media. Quindi nei confronti di Marzouk.


Certo, io su questo sono pienamente d’accordo, ma ora dobbiamo vedere quello che ci vengono a dire le nuove analisi, che avrebbero dovuto essere effettuate immediatamente. Lei sa perfettamente che per quanto riguarda Bossetti io sono colpevolista, anche perché appena dopo il rinvenimento del cadavere della povera Yara Gambirasio, tracciai un profilo che si adattò completamente e immediatamente a Bossetti; però ho sempre detto che la Corte doveva disporre tutte le perizie che la difesa di Bossetti ha chiesto, più altre, perché quando si condanna una persona, la si deve condannare al di là di ogni ragionevole dubbio. Quindi in OGNI PROCESSO devono essere effettuati tutti gli accertamenti tecnici possibili, perché se non sono effettuati, poi ci piangeremo addosso.

Perciò, che cosa abbiamo notato, anche per la questione che lei ha detto, della presenza di  due persone di carnagione scura: essa si va a sovrapporre, a congiungere alla mia ipotesi  di sgozzamento per mano di soggetti adusi a tecniche del genere, e si sposa anche con la prima dichiarazione di Frigerio, che dice di aver visto l’assassino, uno con la carnagione olivastra. Poi piano piano questa carnagione olivastra si è sbiancata, ed è diventata quella di Olindo. Al che gli inquirenti, poiché avevano già una loro idea che potrebbe essere definita anche “ pregiudizio” – che si chiama ‘innamoramento del sospetto’, e diventa poi ‘innamoramento della tesi accusatoria’, un mio cavallo di battaglia, – cos’hanno fatto? Hanno applicato proprio il principio di Schopenauer. Questa è una cosa che ripeto sempre. Schopenauer dice: un’idea svolge nella testa la stessa vita di un organismo; prende e accetta soltanto ciò che le piace e che le conviene per prosperare e progredire, e rifiuta ogni altro elemento ed aspetto non gradito.  E qui è successa la stessa cosa. Poiché queste testimonianze non erano gradite all’ipotesi accusatoria, automaticamente sono andate a escludersi, e questo è quello che noi chiamiamo anche nella logica l’errore genetico. Cioè, andare a prendere soltanto ciò che è conveniente per la tesi in cui si crede, e rifiutare tutte le alternative perché non gradite.

A quanto riferisce l’avvocato Schembri, in questo pare abbia avuto una grossa responsabilità un investigatore dei Carabinieri. Penso che questa condotta sia piuttosto grave, se dimostrata,

Guardi, quando c’è un errore, o una inadeguatezza giudiziaria, è sempre colpa degli investigatori e del loro “metodo e sistema”, proprio perché gli investigatori o hanno tralasciato qualcosa, o si sono fatti fuorviare, o hanno sbagliato, o si sono innamorati del sospetto e della tesi e poi hanno agito in tal senso. Se facciamo una carrellata su tutti gli errori giudiziari italiani, o anche sulle investigazioni andate a finire male, ci accorgiamo che ci sono sempre l’errore investigativo e  l’inadeguatezza investigativa. Che può essere per l’innamoramento del sospetto e della tesi, può essere per non capacità totale di analisi criminale, può essere per pregiudizio, o per altri motivi.

Come sempre, l’analisi del professor Lavorino è lucida, completa, esauriente, metodica, meticolosa. Aspettiamo, a questo punto, che la Corte d’Appello di Brescia ospiti l’incidente probatorio disposto dalla Cassazione, e speriamo, dopo undici anni, che venga fatta luce sui troppi punti oscuri di questo crimine di una rara efferatezza, che, ad un occhio profano, mostra la mano di due o più professionisti dell’assassinio. Non è facile uccidere un altro essere umano, e ancor più difficile farlo in quel modo cruento e selvaggio, brutale, feroce, se non lo si è già fatto altre volte. Specialmente se si è modesti  operai impiegati in una ditta di smaltimento rifiuti, o donna delle pulizie.




Strage di Erba, parla l'avvocato Schembri che difende Rosa e Olindo. Molte le zone d'ombra


 

di Roberto Ragone

 

"Grazie avvocato per la sua disponibilità. Da quanto tempo seguite la causa di Rosa e Olindo?"

“Io e la collega Luisa Bordeax seguiamo la difesa di Rosa e Olindo da sei mesi dopo il loro arresto, inizialmente li ha difesi l’avvocato Pasìa, poi, dopo la sua morte, è entrato nella difesa anche l’avvocato Nico D’Ascola.”

 

“Secondo lei, è possibile che ciò che ha portato a condannare Olindo e Rosa sia stato quello che alcuni chiamano ‘innamoramento della tesi accusatoria’?”

“Ci sono stati processi, il primo grado, l’appello e poi la Cassazione. Diciamo che ci siamo sempre lamentati, Olindo e Rosa si sono sempre lamentati, di aver subito un processo monco e ingiusto, sono stati revocati settanta testi dapprima ammessi. Testi estremamente importanti, quali, ad esempio, gli stessi inquirenti, gli ufficiali di Polizia Giudiziaria che avevano fatto le indagini, e quindi questi non vennero sentiti. Non vennero sentiti dei testi oculari. Soprattutto non vennero fatti quegli approfondimenti che abbiamo chiesto oggi. Oggi sostanzialmente c’è stato questo annullamento della Corte di Cassazione, perché c’era tutta una serie di oggetti per cui noi chiedemmo un approfondimento di indagine . Purtroppo tutte le richieste formulate all’epoca vennero respinte, quindi un processo che probabilmente venne fortemente influenzato dal sentire comune, dall’opinione pubblica. E naturalmente anche dalla confessione che avevano reso Olindo e Rosa. Sì è partiti quindi sempre dal presupposto che loro due erano i mostri, loro due erano i colpevoli, e che quindi era inutile approfondire le tematiche d’indagine che si erano prospettate inizialmente.”

 

“Allora, avendo ricusato settanta testi, e avendo rifiutato di approfondire le indagini a proposito dei sei reperti che oggi vediamo, e che i giornali riportano, probabilmente importantissimi…”

“Sì, per la verità sono più di sei, i sei sono quelli che lei ha visto, che sono le formazioni pilifere, i margini ungueali, i due giubbotti, delle chiavi, ce ne saranno poi anche altri che verranno sottoposti ad analisi tramite incidente probatorio. Quelli indicati da noi sono quelli che non sono stati certamente mai analizzati, poi ce ne sono altri mai analizzati, e ce ne sono altri ancora che sono stati sostanzialmente analizzati solo parzialmente, nel senso che si sono cercate le tracce di Rosa e Olindo, quindi le analisi sono state effettuate solo per cercare tracce di Rosa e Olindo, visto che avevano confessato, e non si sono cercate tracce di terzi soggetti. Quindi un’analisi parziale volta a reperire soltanto tracce di Olindo e Rosa. Non sappiamo, visto che all’epoca questa indagine non è stata fatta, se su quei reperti ci potevano, o ci possono essere, perché a tutt’oggi tutto può essere analizzato, tracce di soggetti sconosciuti, quindi terze persone che all’epoca non entrarono nelle indagini. D’altronde all’epoca il RIS non trovò nulla di Rosa e Olindo, ma aveva già repertato delle impronte palmari, quindi impronte digitali che possono essere comparate, utili per le indagini, però di soggetti sconosciuti alle indagini, impronte che non erano di Rosa e Olindo, non erano dei soccorritori, non erano neanche le impronte delle vittime. Così noi da questo abbiamo già un punto di partenza abbastanza forte. Perché di Rosa e Olindo su quella scena del crimine non c’è nulla, al contrario ci sono tracce di soggetti che poi rimasero sconosciuti alle indagini.”

 

“Mi risulta che un testimone riferì di aver visto due persone di colore fuggire dalla scena del crimine dal terrazzino del primo piano.”

“Sì, diciamo che c’è un testimone italiano che abitava in via Diaz, nella palazzina di fronte al luogo della strage, e che vide, proprio all’ora del delitto, intorno alle 20 e 20, due soggetti in via Diaz, – all’epoca sentito dai carabinieri proprio il giorno dopo la strage – due persone, verosimilmente extracomunitari, più una terza persona, di cui non sa distinguere la nazionalità, provenire proprio dall’altezza del terrazzino di casa Castagna, e che poi si dirigevano da via Diaz in Piazza del Mercato. In piazza del Mercato a quell’ora c’era un altro testimone che venne all’epoca sentito, il quale disse anche lui di aver visto tre persone. Due, come aveva riferito il primo testimone, probabilmente di nazionalità extracomunitaria, la terza che poteva anche essere italiana. Noi avevamo prospettato un’altra via di fuga, appunto il terrazzino, proprio in virtù non solo di queste testimonianze, ma anche perché vi erano, proprio sul terrazzino di casa Castagna, delle tracce di sangue da calpestìo, come pure vi era, sulla parete all’interno di casa Castagna, il sangue dell’ultima vittima, la povera signora Cherubini. Peraltro c’era un particolare di molto rilievo, che quando entrarono nella palazzina i primi due soccorritori, i primi due vigili del fuoco, sentirono la signora Cherubini gridare più volte ‘Aiuto’. Provarono a raggiungere l’ultimo piano, quindi la casa del signor Frigerio e della signora Cherubini, però il fumo intenso impediva di passare, per cui lasciarono per un attimo la palazzina e ritornarono in cortile per prendere un estintore, perdendo qualche minuto. Quando rientrarono nella palazzina, la signora Cherubini non gridava più. La signora Cherubini venne trovata nel suo appartamento con il cranio fracassato e la lingua recisa, perché ricevette il colpo di grazia alla gola che colpì anche la lingua. Questo sta a significare che quando i primi due soccorritori entrarono, la signora Cherubini ancora non era stata finita, e quindi che il suo aggressore era ancora di sopra, pronto a finirla, come poi in effetti la finì. Il fatto che gridasse aiuto, e che poi venisse trovata con la lingua recisa, fatto che le avrebbe impedito di gridare aiuto, non può non essere considerato. Questo sta a significare che l’aggressore o gli aggressori non potevano più uscire da quella corte, perché ormai nella corte c’erano i soccorritori, e che quando i primi due soccorritori lasciarono per un attimo la palazzina, gli aggressori scesero da casa Cherubini, rientrarono in casa Castagna, e lì lasciarono il sangue dell’ultima vittima, della povera signora Cherubini, per poi guadagnare il terrazzino e calarsi su via Diaz dall’altezza di circa un metro e mezzo, quindi molto facile da raggiungere. Lì, guarda caso, proprio a quell’ora, vennero viste due persone più una terza provenire dalla direzione del terrazzino, da questo signore che lei ricordava, questo signore italiano che abita proprio lì di fronte. Questo è un argomento che noi sosteniamo, ma lo sosteniamo in base ad elementi di carattere tecnico, cioè le testimonianze dei soccorritori, quali appunto il taglio della lingua, che non poteva permettere di gridare aiuto aiuto, quali il sangue della signora Cherubini rinvenuto in casa della signora Castagna, l’ultima vittima, le impronte da calpestìo sul terrazzino, le dichiarazioni di questo signore italiano, le dichiarazioni dell’altro signore extracomunitario, che è stato in via Diaz e vide dei soggetti, e guarda caso tutti e due videro tre soggetti alla stessa ora, e, al contrario, alla stessa ora nessuno vide uscire Olindo e Rosa da quella corte.”

 

“Pare che uno degli esecutori della strage fosse mancino.”

“Questo si può dire soltanto con grande approssimazione, Certo, dalla descrizione che diede il sopravvissuto Frigerio  della sua aggressione, cioè che sarebbe stato colpito, una volta messo prono, da una persona alle spalle, nella zona sinistra del collo, quindi una persona messa a cavalcioni sulla schiena, allora tutto lascia presupporre che il colpo sia stato dato con la mano sinistra, perché in quella posizione il colpo poteva essere dato solo con la mano sinistra, quindi dalla descrizione che ne fornisce il sopravvissuto. Solo che poi il sopravvissuto disse pure che il suo aggressore era stato Olindo Romano, mentre per i primi quindici giorni indicava un soggetto non del posto, a lui sconosciuto, olivastro, occhi neri e quant’altro. Certo è che il signor Olindo Romano non è mancino.”

 

“Possiamo dire che la chiave di volta della faccenda è stata la confessione resa dai due coniugi.”

“La chiave di volta è stata naturalmente la confessione, che viene considerata un elemento determinante,  dato che non si capisce a quale scopo due persone debbano accusarsi di un crimine del genere, quindi se hanno confessato, sono loro i colpevoli. Però, molto spesso è così, e altre volte non è così, perché non tutti sanno che sia la cronaca giudiziaria italiana che quella internazionale è piena di confessioni fasulle, confessioni indotte, piuttosto che confessioni di mitomani, eccetera eccetera. Peraltro, anche le confessioni devono essere valutate in un certo modo, nel senso che lei mi può confessare di aver abbattuto l’aereo a Ustica, però poi mi dovrà spiegare come ci è riuscito, e darmi dei dettagli. Ora, questi dettagli sono stati resi, ma sono tutti dettagli errati. Quando Olindo fornisce dettagli, li sbaglia tutti. Le faccio degli esempi concreti per capirci. Nonostante abbia deciso di confessare, e poi parleremo anche del motivo per cui ha deciso di confessare, eventualmente, lui vuole confessare ma fa degli errori clamorosi. Per esempio, è stato accertato che chi agì in quella casa agì al buio. Inizialmente Olindo dirà che c’era la luce. Poi gli verrà detto che la luce era stata staccata, e allora lui dirà, va bene, allora ho agito al buio. Gli viene chiesto, ma lei a che ora ha staccato la luce? Alle 20, dirà lui, perché sa che il delitto è stato commesso attorno alle venti. In realtà poi è stato accertato in modo inoppugnabile che la luce in quella casa venne staccata alle 17,40. E altro. Quanti colpi ha dato alla signora Cherubini? Lui dirà due, tre. In realtà la signora Cherubini aveva subito trentasette colpi, e quindi diciamo che è stata purtroppo la vittima che ha subito una ferocia maggiore rispetto alle altre. Dove l’ha uccisa? Lui dirà, al piano terra, in realtà fu uccisa al secondo piano. Che vestiti indossavano le vittime? Non li saprà descrivere, tranne quelli di Paola Galli, perché dice Olindo che li ricordava, ma sbaglierà tutto, per esempio dirà che quello se lo ricordava benissimo, aveva una gonna grigia e rossa, mentre in realtà aveva una gonna leopardata. Cioè, nei dettagli non indovina proprio nulla, tant’è vero che noi abbiamo cintato, per quanto riguarda la confessione di Olindo, duecentoquarantatrè errori, cioè un errore ogni trenta secondi di dichiarazioni, sono veramente tanti. Peraltro a questo bisogna aggiungere che vi era un’intercettazione ambientale, cioè poco prima di confessare, gli inquirenti proprio in carcere fecero incontrare Rosa con Olindo e misero una cimice per ascoltarli. Dove sostanzialmente Olindo dice a Rosa, guarda che ho parlato con quei signori lì fuori, e mi hanno detto che se confesso, tu torni a casa, e io dopo qualche anno ti raggiungo, con l’abbreviato, quelle cose lì, le attenuanti generiche, mi hanno detto, e Rosa dirà, ma scusa se non siamo stati noi, che cosa vuoi confessare, il carcere ti pesa così tanto, e lui dice, guarda, per tagliare le gambe al toro, questo mi sembra il minore dei mali, ecco che l’analisi della confessione deve esaminare anche gli altri elementi che le stanno intorno. Del resto, sono stati gli stessi due carabinieri che entrarono quella mattina in carcere ad aver detto poi in dibattimento che in effetti uno dei due disse ad Olindo, che, siccome lui diceva che mia moglie non c’entra niente, di aver detto a Olindo, vabbè, ma se tua moglie non c’entra niente, vuol dire che tu c’entri per qualcosa, quindi ti suggerisco di chiamare i magistrati, di dire che tua moglie non c’entra nulla, così se ne va a casa, e poi tu, confessando, con le attenuanti generiche, l’abbreviato e quelle cose lì, prendi qualcosa di meno. Quando nella intercettazione ambientale lui dice queste cose a Rosa, queste cose trovano conferma dalle stesse dichiarazioni rese poi in dibattimento dai due carabinieri che quella mattina entrarono in carcere e parlarono con Olindo. Il contesto quindi è molto più ampio, perché da un lato abbiamo questa confessione, mi passi il termine, sgangherata, perché nessuno poi ha confutato, anche nelle sentenze di merito, che in effetti gli errori ci furono, cioè anche la sentenza, non quella di primo grado, ma poi dalla sentenza di appello in poi fu scritto che gli errori in effetti ci sono, solo che, e questa è stata la motivazione da parte dei giudici, magari sono il frutto dell’azione concitata del momento, e in parte anche della volontà di Olindo di lasciarsi una porta aperta per poi ritrattare. Ora, tutto si può dire, ma che uno confessi per poi ritrattare, mi sembra veramente abbastanza singolare, visto che sostanzialmente sarebbe meglio, in questi casi, non confessare. Una volta confessato sarà sempre più difficile ritrattare. Per esempio, ancora Olindo, quando non sapeva che il RIS di Parma doveva depositare degli accertamenti, aveva detto di aver appiccato il fuoco con un semplice accendino, in realtà poi venne accertato dal RIS che in quella casa venne dato fuoco non con un semplice accendino, ma utilizzando anche degli acceleranti di marca diversa. Naturalmente per fare quello che è stato fatto, quel tipo di incendio, con un semplice accendino difficilmente si sarebbe riusciti a farlo. Questi sono gli elementi che riguardano la confessione. Certo, la confessione certamente ha pesato, ha pesato tantissimo, perché, si può anche dire così, ha lavato le coscienze un po’ a tutti.”

 

“Certo, Olindo e Rosa sono due persone psicologicamente molto particolari. È stata fatta una perizia psichiatrica?”

“Anche questo. Purtroppo, noi abbiamo anche chiesto una perizia psichiatrica, non per cercare la semi incapacità o l’incapacità, ma per accertare quello che loro due sono. Per eventualmente misurare il loro grado della possibilità di suggestione e di induzione che può essere creata in questi soggetti, anche quella ci è stata negata, quindi fra i settanta testi, e non solo, ma anche ci è stata negata la perizia psichiatrica per analizzare sia Rosa che Olindo.”

 

“Vi siete avvalsi anche della collaborazione di un criminologo?”

“Nell’ambito della difesa il consulente era il professor Torres, che purtroppo ci ha lasciati un anno e mezzo fa, la dottoressa Vasino, la dottoressa Saracino, c’era il professor Strata, neurologo, erano stati nominati anche dei periti psichiatrici, il dottor Bogetto, proprio per eventualmente esaminarli, ma non ci è stato consentito. C’è stato anche come perito Paloscino, per cercare il profilo di quel soggetto che nei primi quindici giorni Frigerio descriveva. Quello che fece una relazione per la difesa fu il professor Carlo Torres, insieme alla dottoressa Vasino e alla dottoressa Saracino, che poi addirittura non venne nemmeno sentita, perché la dottoressa Saracino fu uno di quei testi prima ammessi e poi revocati. Il RIS lavorò sulla scena del crimine con diciotto unità, erano i consulenti del Pubblico Ministero, solo che, siccome la loro relazione era favorevole a Olindo e Rosa, abbiamo dovuto insistere per avere la loro relazione, quindi solo tramite le nostre richieste poi venne depositata. Addirittura il PM non voleva che entrasse in atti, e non citò neppure il RIS di Parma, che divenne testimone della difesa. Erano diciotto unità, se ne ammisero soltanto tre.”

 

“Insomma, i reperti di cui hanno parlato i giornali, dove sono custoditi, e come mai non sono stati messi in evidenza, dopo quasi undici anni?”

“Questi reperti sono, alcuni presso il RIS di Parma, altri presso l’Università di Pavia. Sono custoditi, secondo le nostre informazioni, perché quando abbiamo fatto la richiesta, sia il RSI di Parma che l’Università di Pavia ci risposero che erano custoditi, ed era possibile analizzarli. All’epoca non vennero fatte le analisi di alcuni reperti perché per scelte di carattere investigativo si ritenne di dover fare delle analisi rispetto a delle altre, di analizzare alcuni reperti piuttosto che altri. Poi noi durante la fase processuale avevamo chiesto quell’approfondimento su tutto, che però, insieme ai settanta testi, ci venne negato. Adesso l’iter, una volta che è avvenuto questo annullamento della Cassazione, Brescia dovrà procedere a fare questo incidente probatorio, quindi ad esaminare tutti quei reperti indicati, soprattutto quei reperti che una volta esaminati non potranno essere riesaminati. Nel senso che, una volta fatta la prima analisi, non è detto che se ne possa fare una seconda. quello dovrà avvenire in contraddittorio di tutte le parti, verrà fissata un'udienza davanti al giudice, le parti dovranno nominare i propri consulenti, il giudice il suo perito, e quindi siprocederà ad analizzare tutta una serie di reperti sui quali i tecnici effettueranno un esame unico, nel senso che non potrà essere ripetuto, e quindi verrà fatto un'unica volta davanti ad un giudice, davanti ai periti e agli esperti. Quell'esame cristallizzerà appunto la prova, e vedremo quali saranno i risultati. Una volta effettuato l’incidente probatorio, poi, in base anche ai risultati ottenuti, in base anche ad altri elementi, in questo caso di carattere dichiarativo, ed altro, verrà presentata una vera e propria istanza di revisione, sempre davanti ai giudici bresciani che raccoglieranno anche queste prove qui, quelle relative all’incidente probatorio. “

 

“Quindi il tribunale di competenza è quello di Brescia.”

“La Corte d’Appello competente, così ha stabilito la Cassazione, è quella di Brescia, per fare questo tipo di incombente.”

 

“Quindi i tempi lunghi dipendono dalla Cassazione, che soltanto oggi ha potuto esaminare l’istanza.”

“Noi due anni fa abbiamo presentato la prima istanza, poi ci siamo dovuti rivolgere alla Cassazione perché annullasse questo provvedimento. I tempi lunghi dipendono dal fatto che avevamo chiesto dapprima a Brescia, Brescia riteneva che fosse Como competente, Como riteneva che competente fosse Brescia, Brescia riteneva di non dover fare l’incidente probatorio, abbiamo impugnato l’ultimo provvedimento di Brescia davanti alla Corte di Cassazione, la corte di Cassazione ha annullato il provvedimento di rigetto di Brescia, e ha stabilito che questo incombente venisse effettuato.”

 

“Avevate fatto istanza di revisione del processo?”

“Noi ancora non abbiamo presentato un’ istanza di revisione, avevamo  fatto una richiesta di analisi in incidente probatorio di quei reperti. Ci era stata negata dalla Corte d’Appello anche di Brescia, ritenendo che quel tipo di incombente, di incidente probatorio non si poteva fare anche perché non era stata presentata una richiesta di revisione. In realtà la Corte di Cassazione ha stabilito che l’incidente probatorio andava fatto, anche perché è un incombente che si deve fare anche se non c’è una richiesta di revisione, proprio perché è propedeutico ad una revisione. “

 

“A proposito dei famosi reperti, io ho qui un capello…”

“Sono più capelli, dei quali uno più lungo di dieci centimetri, sono delle formazioni pilifere.”

 

“Un accendino, un mazzo di chiavi, lei mi ha detto due giubbotti, io ne avevo uno, lei mi ha anche detto ‘margini ungueali’, un cellulare e una macchia di sangue, non ho più nulla.”

“Poi esamineremo sicuramente anche una tenda, e anche qualche altro oggetto, non sono solo quei sette, sono quei sette, ma ce ne sono anche degli altri, le aggiungo una tenda e qualche altro oggetto.”

 

“A posteriori, dando non un giudizio, ma un suo parere, lei ritiene che questa condanna nei confronti di due persone che da tanti, come da me e dal collegio difensivo, sono considerate innocenti,  sia stata causata da un’indagine condotta in modo molto particolare. Per esempio, l’identificazione di Olindo è stata fatta da Frigerio mentre si trovava ricoverato in ospedale, con un investigatore che gli mostrava una foto di Oilindo, ‘suggerendogli’ che avrebbe potuto essere stato lui ad aggredirlo.”

“Noi riteniamo che le indagini siano state molte, perché anche ad un certo punto si sono interrotte. Ma soprattutto riteniamo che doveva essere valutato quello che è successo prima, e non soltanto quello che è successo dopo, perché se per quindici giorni il testimone, fin quando non aveva subito alcun condizionamento, quindi davanti al PM, davanti ai suoi figli, aveva per più volte ripetuto di non conoscere il suo aggressore; l’aveva descritto come olivastro, occhi neri, capelli neri sul volto, forte come un toro, esperto di arti marziali, ma soprattutto aveva detto a più riprese di non conoscerlo, che non era di Erba. Questo sta a significare che escludeva dal cono della responsabilità il già sospettato Olindo Romano, perché il signor Frigerio, Olindo Romano lo conosceva da circa dieci anni, ci si fermava a parlare. Se il tuo vicino di casa, con il quale hai una certa confidenza, ti aggredisce, ti uccide la moglie, è chiaro che tu non è che lo descrivi, lo indichi, è stato il signor Rossi, non indichi altri soggetti sconosciuti. Quindi il signor Frigerio, fin quando un investigatore, lo stesso investigatore che fin dalla notte era convinto della colpevolezza di Olindo, fin quando non ha incontrato quell’investigatore, ha dato sempre la stessa versione, dicendo che il suo aggressore era un soggetto che non conosceva, con determinate caratteristiche somatiche che non combaciano in alcun modo con quelle di Olindo. Solo dopo la visita dell’investigatore, che fece quel colloquio investigativo, iniziando a dire, diciamo per assurdo, ma se lei avesse visto Olindo Romano come suo aggressore, l’avrebbe riconosciuto? E anche lui dirà, penso di sì. Poi continuerà a dare a quest’investigatore la stessa descrizione di un soggetto sconosciuto, fin quando l’investigatore, dopo quarantacinque minuti ritorna sull’argomento, e dice: tornando all’Olindo, le ho messo quel dubbio che sia lui, o che non sia lui? Lei ci pensi a questa figura che aveva di fronte, e poi ne riparliamo. Tant’è vero che Frigerio dirà, ma pensate che sia stato l’Olindo? E allora l’investigatore lo lascia con questo dubbio. Nei giorni successivi, Frigerio dirà, al cento per cento, che il suo aggressore è stato Olindo. Ora non ci vuole uno scienziato per stabilire che il ricordo più genuino è quello che non è stato condizionato da nulla, e fin quando Frigerio non è stato condizionato da nulla, ha detto che il suo aggressore aveva caratteristiche somatiche molto diverse da quelle di Olindo. “

Fin qui l’intervista che l’avvocato Schembri ci ha gentilmente concesso, e della quale lo ringraziamo. Restiamo in attesa della data dell’incidente probatorio, che, ci auguriamo, porterà alla revisione di un processo che, ad un osservatore non addentro alle cose della giustizia, e alla luce di quanto l’avvocato Schembri ci ha detto, sembra viziato da situazioni e decisioni non chiare e non motivate, almeno al grande pubblico. Certo è che il processo a Rosa e Olindo, prima che in tribunale, venne fatto in televisione, in base a voci raccolte da chi evidentemente ne sapeva ancor meno di chi le voci raccoglieva, a caccia di sensazioni. Bene dice l’avvocato Schembri quando parla di un processo “fortemente influenzato dal sentire comune” e, secondo noi, falsato da una confessione che avrebbe almeno dovuto sollevare dei dubbi negli inquirenti sulla sua genuinità. Rosa e Olindo sono due mostri, sì, ma non due assassini, sono due mostri di ingenuità, e lo dimostrano con la richiesta che venne fatta di una cella matrimoniale. Ci auguriamo che giustizia venga fatta, anche se a distanza di undici anni, o che almeno giustizia venga resa a chi non ne ha avuta.

 

 

 

 

 




Strage di Erba, Rosa e Olindo sono innocenti?

 
di Roberto Ragone

ERBA – E’ la sera dell’11 dicembre 2006, all’incirca 20 minuti dopo le 20, al numero 25 di via Diaz, a Erba, in provincia di Como. La vecchia corte ristrutturata è composta da alcune palazzine, ed è nota come Condominio del Ghiaccio. All’improvviso da una delle finestre si alza una densa colonna di fumo. Due vicini di casa, uno dei quali pompiere volontario, intervengono, ed entrano nella palazzina. L’incendio è al primo piano. A ridosso del primo piano trovano un uomo ferito, Mario Frigerio. Ha la testa nell’appartamento, e il corpo fuori, è prono, e lo trascinano al di fuori dell’appartamento in fiamme.
 
Subito all’interno dell’appartamento brucia il corpo di una donna: è Raffaella Castagna. I soccorritori trascinano anche lei lontano dall’incendio, sul pianerottolo, spegnendo le fiamme che lo avvolgono. Dal piano superiore odono la voce di una donna che ripetutamente e disperatamente chiede aiuto. È Valeria Cherubini, la moglie di Mario Frigerio, il quale, senza poter parlare perché ferito alla gola, indica ai due che un’altra persona si trova di sopra. Le fiamme sono alte, il fumo sempre più denso, e i due devono abbandonare l’impresa. Solo all’arrivo dei Vigili del Fuoco vengono scoperti in totale quattro cadaveri e un ferito grave, Mario Frigerio, che viene trasportato all’ospedale Sant’Anna di Como. Sottoposto a diversi intereventi, si risveglia dall’anestesia dopo due giorni. Raffaella Castagna, la donna il cui corpo era in fiamme, 30 anni, moglie di Azouz Marzouk, è stata colpita al capo con una spranga di ferro, accoltellata dodici volte e poi sgozzata. È morta per la frattura del cranio.
 
La madre di Raffaella, Paola Galli, 60 anni, viene trovata all’interno dell’appartamento, anche lei colpita a sprangate e accoltellata. Il decesso è avvenuto per frattura del cranio. Il piccolo Youssef Marzouk, figlio di Raffaella Castagna e di Azouz Marzouk, due anni e tre mesi è morto dissanguato sul divano, dopo aver ricevuto un’unica coltellata che gli ha reciso la carotide. Al piano di sopra, nel sottotetto, giace il corpo di Valeria Cherubini, 55 anni, moglie di Mario Frigerio. Nonostante la violenta colluttazione con il suo aggressore, ha subito 8 colpi di spranga e 34 coltellate, una delle quali le ha reciso la lingua. All’arrivo dei soccorsi, la donna aveva gridato più volte chiedendo aiuto, e si era trascinata lungo le scale lasciando una impressionante scia di sangue, è morta per asfissia da ossido di carbonio, prima che la morte intervenisse per la gravissime ferite riportate. Morto per asfissia da monossido di carbonio anche il cane di casa.
 
Mario Frigerio, colpito più volte con una spranga e accoltellato, è sopravvissuto grazie ad una malformazione congenita della carotide, che ne ha impedito il dissanguamento.
I rilievi evidenziarono che l’aggressione era stata opera di due persone, una delle quali mancina, armate di spranga e di coltelli a lama lunga e corta. Date le modalità islamiche delle esecuzioni, la prima persona sospettata è il marito di Raffaelle Castagna, Azouz Marzouk, 26 anni, tunisino, pregiudicato per spaccio di droga, da poco uscito dal carcere per indulto.
Le successive indagini dimostrano che Marzouk era all’estero, in Tunisia da alcuni giorni, in visita ai genitori, per un viaggio programmato da tempo. Gli investigatori incominciano a pensare ad una vendetta nei suoi confronti. Nell’appartamento situato sotto a quello della strage abitano due coniugi senza figli, di mezz’età. Lei, Rosa Bazzi, ha 42 anni e lui, Olindo Romano, 44. Rosa lavora come donna delle pulizie, lui è dipendente di una ditta di raccolta e smaltimento rifiuti. È una coppia particolare, che vive in simbiosi. Hanno un camper, con il quale ogni tanto fanno dei piccoli viaggi. Non hanno amici, non hanno parenti, non hanno figli.
 
Il loro regno è la loro casa, insieme, sempre insieme. Il Pubblico Ministero Massimo Astori, li definirà “Un quadrupede”. Una coppia tranquilla, che da sempre soffre la presenza di una famiglia ‘rumorosa’ come quella che abita al piano di sopra, e con cui più volte ha avuto delle liti. Per il 13 dicembre, due giorni dopo l’eccidio, è fissata l’udienza per la causa civile con Raffaella Castagna, che ha denunciato la coppia per ingiurie e lesioni in seguito ad una lite avvenuta il giorno di Capodanno 2005.  Il loro comportamento, per alcune piccole cose, appare sospetto agli inquirenti, come ad esempio il fatto che Rosa, la sera del fatto omicidiario, abbia azionato la lavatrice più tardi del solito, lei che era abituata a farlo sempre non più tardi delle 18, come dimostrano i controlli eseguiti presso l'azienda elettrica. Un'abitudine che aveva da tre anni, costantemente.
 
Perchè proprio quella sera Rosa ha cambiato orario? E' una domanda legittima, ma il motivo può anche essere irrilevante. Rosa e Olindo hanno un alibi: la sera dell’incendio sono stati al Mc Donald’s a Como, e hanno ancora lo scontrino. Il quale dimostra però che sono stati al fast food due ore dopo la strage, e quindi in tempo per compierla. Il loro torto è quello di averlo mostrato senza che fosse loro richiesto, quasi a voler presentare un alibi non necessario. L’attenzione delle indagini si concentra su di loro, e ogni ragione è buona per sospettare del loro comportamento, anche quando Rosa, intercettata, dice al marito: “Adesso sì che possiamo dormire.” Successivamente vengono trovate piccole tracce di sangue femminile sugli indumenti dei Romano e una macchiolina di sangue del signor Frigerio sul tappetino della loro auto. Ciò che non viene trovato non viene considerato, cioè indumenti insanguinati, armi del delitto, e grandi qualtità di sangue di cinque vittime. Si sa che gli accoltellamenti, e soprattutto gli sgozzamenti ne producono in quantità incontrollabile, soprattutto sulle scarpe degli assassini, nè vengono considerate le dichiarazioni di due testimoni oculari che riferiscono di aver visto fuggire due persone di colore, forse tre, dal terrazzino del primo piano dopo l'incendio. Nè si considera che Olindo non può aver ucciso la Cherubini, che ancora gridava aiuto all'accorrere dei primi soccorritori, e che è stata trovata con la lingua recisa da una coltellata, quindi uccisa da qualcuno che era al piano di sopra mentre sotto si apprestavano le prime cure alle vittime e si cercava di spegnere l'incendio. Nè si considera che nessuno ha visto Rosa e Olindo nella corte, in quella circostanza. I coniugi vengono messi sotto torchio.
 
La loro unica paura è quella di non poter più vivere l'uno per l'altra, come sempre; il loro rapporto viene definito di 'succubanza reciproca'. Basta che un investigatore prospetti a Olindo la possibilità d'essere divisi per sempre per farlo crollare, e decidere di addossarsi la responsabilità della strage, con la promessa di pochi anni di carcere e la possibilità di tener fuori Rosa. Ma Rosa non è d'accordo a rimanere fuori, e il 10 gennaio 2007 Rosa e Olindo confessano. All’inizio lui cerca di scagionarla, dicendo di ‘aver fatto tutto da solo’, ma Rosa confessa anche lei. “Il bambino l’ho fatto io” dice al PM “La mamma l’ho fatta io e glie ne ho date tantissime, anche alla Raffaella.” Il PM le chiede: “Di coltellate?”  “Sì, di coltellate.” Il 29 gennaio 2008 inizia il processo. Rosa Bazzi e Olindo Romano vengono condannati all’ergastolo, con isolamento diurno per tre anni. La loro unica mira è che non li si separi, e chiedono una cella matrimoniale.
 
L’appello presso il Tribunale di Brescia conferma la sentenza, come la Cassazione. Mario Frigerio, il supertestimone, colui che aveva sempre accusato Olindo di essere lui quello che lo aveva colpito la sera dell’11 dicembre 2006, è morto il 16 settembre del 2014, otto anni dopo la strage. Il camper e la casa dei Romano sono stati venduti all’asta, per risarcire le vittime. La casa, dopo che le prime due sedute erano andate deserte, è stata venduta per 69mila euro. Attualmente sono detenuti in due carceri diverse, lui a Opera, lei a Bollate, e si vedono tre volte al mese per due ore. Sono passati dieci anni, e Olindo spera in un permesso premio. «Continuo a vedere Rosa tre volte al mese e questa è la cosa più importante. Spero che prima o poi io e Rosa possiamo avere i permessi premio così potremmo vederci tranquillamente e in santa pace come facevamo prima. Sarebbe bello avere un permesso premio da soli con Rosa per farci un giro in camper e fermarci a mangiare una pizza lungo il lago. Il problema è che il camper ce l’hanno venduto. Chissà se il magistrato di sorveglianza ci darà l’ok. Mi ricordo il giorno della strage e fino a sera è stato un giorno normale: lavoro, casa, Rosa, McDonald’s… È da dieci anni che dura questo incubo, ma aspettiamo fiduciosi la revisione del processo. Sono innocente». In fondo alla lettera l’ennesima dichiarazione d’amore per la moglie: «Quello tra me e Rosa è un amore che nessuno può dividere».
 
Olindo e Rosa, quasi si svegliassero da un brutto sogno, una volta in carcere hanno provato a ritrattare, ma non sono stati creduti. Ora si apre uno spiraglio, nell’interminabilità della loro detenzione, la possibilità di una revisione del processo. Gli avvocati di Olindo e Rosa, Nico D’Ascola, Fabio Schembri e Luisa Bordeaux, intervenuti nella loro difesa sei mesi dopo l’arresto, dopo il difensore d’ufficio, hanno presentato un’istanza per riesaminare alcuni reperti la cui amplificazione era stata negata ai tempi del processo, e che consistono in: alcune ciocche di di capelli, un accendino, un mazzo di chiavi, due giubbetti, alcuni margini ungueali, un cellulare, una tenda, una macchia di sangue mai analizzata ed altri reperti. In merito a questa istanza, rimbalzata più volte da Como a Brescia, abbiamo parlato con uno degli avvocati della difesa, l’avvocato Fabio Schembri. 



RESPONSABILE LA PERCEZIONE

RESPONSABILE: LA ‘PERCEZIONE’
UN REALTA’ LE RAPINE E I FURTI SONO FRUTTO DI FANTASIA
DI ROBERTO RAGONE
La professione del giornalista si abbraccia per passione, il più delle volte. Informare il pubblico dovrebbe essere visto quasi come una missione, un’attività che coinvolge il cuore, oltre che il cervello, e comunque mai come un’attività burocratica. Ne sono prova gli inviati in zona di guerra, ad esempio, che rischiano la vita per un’inquadratura, per una sequenza, per una notizia. Una per tutti, Ilaria Alpi, della quale si presume chi furono i mandanti dell’omicidio, insieme a Miran Hrovatin, e si conoscerebbe anche il movente. Ma non si può dire. Soprattutto non si può mandarli in tribunale. Di fronte a queste persone, non possiamo che inchinarci, con un senso di ammirazione e di santa invidia, e chiederci se al loro posto ci saremmo sentiti privilegiati, o se invece non avremmo chiuso un occhio, o tutti e due. Insomma, il ruolo del giornalista dovrebbe essere un po’ come quello del Grillo Parlante di Pinocchio, e tutti sappiamo che fine ha fatto: ma tant’è, è uno dei rischi del ‘mestiere’. Per questo motivo, il sentimento che suscita una persona che si fa chiamare ‘giornalista’,-  e lo è, perché iscritto all’albo dei professionisti, – quando in un programma televisivo del mattino, di grande share si comporta in maniera contraria all’etica non scritta della nostra, della sua, professione, per usare un eufemismo, manca di obiettività. Parliamo di Gerardo Greco, e del suo ‘Agorà’. Gli espedienti per impedire che gli ospiti, convocati per dovere di contrappesiamo, possano esporre la loro tesi, sono tanti, primo fra tutti il ‘dargli sulla voce’, quando il conduttore si accorge che la persona tocca argomenti scomodi, confondendone l’eloquio e velatamente – ma mica tanto –  far comprendere come il malcapitato sia dalla parte del torto. Come il sindaco di stamattina, che ha probito l'accattonaggio nel suo paese, non perchè voglia negare un pezzo di pane a che ne ha bisogno, ma perchè frutto di un'organizzazione che 'manda' le persone a molestare chicchessia, come ben vediamo spesso proprio a Roma. Tutt’altra storia quando a parlare sono quelli che possiamo racchiudere in una certa parte politica, notoriamente privilegiata in RAI, dato che ne ha il controllo a tutti i livelli. Agorà è un programma che fa opinione, ed è importante che il conduttore spinga su certe argomentazioni, bocciandone altre, in obbedienza alle istruzioni ricevute dall’alto. Un ‘alto’ controllato politicamente dal partito al potere. Non so quanti accetterebbero di ‘tirare quattro paghe per il lesso’, tradendo la vocazione giornalistica e trasformandosi in tanti agenti propagandisti. Certe cose le abbiamo viste e le vediamo nei TG dei paesi totalitari, come la Russia o la Corea del Nord. Da noi la faccenda è strisciante, ma ugualmente efficace. E veniamo al dunque. Da un po’ di tempo, dopo che i giornali hanno ricominciato a parlare di rapine e furti a danno della ‘gente comune’, – cosa che era stato ‘consigliato’ di evitare, come dei suicidi ai tempi di Monti – l’establishment, non potendo più negare l’evidenza, s’è inventata la ‘percezione’ di rischio, che, secondo chi comanda, genera una paura e una tensione che non fanno bene alla ‘crescita’, in soldoni a quella Primula Rossa di cui tutti parlano ma nessuno sa dove sia. In poche parole, la responsabilità di ogni male, in Italia, è di chi ‘percepisce’ una mancanza di sicurezza che non esiste. Testimoni, i dati ufficiali che dicono che sono diminuite la rapine, i furti, e insomma siamo tutti più contenti. Nessun motivo, quindi, per armarsi. Le richieste di nulla-osta per l’acquisto e la detenzione di armi sono respinte d’ufficio, come se acquistare un’arma fosse un reato da punire, nella presunzione di un cattivo uso della stessa. Respinte anche le domande più che legittime di permessi di trasporto per uso sportivo. C’è da dire che una fonte di medaglie durante le Olimpiadi è proprio il nostro tanto vituperato Tiro a Segno, da molti visto come praticato da soggetti psichicamente poco stabili. La ‘percezione’: è tutto lì, e il buon Greco fa i suo dovere, quello che i suoi superiori gli hanno imposto, continuando a ripetere la parola ‘percezione’ come un mantra. Tutti d’estate seguiamo le previsioni del tempo, che sono comprensive di temperature, in special modo quando queste raggiungono livelli alti. In più ci viene dato anche un altro dato, che in genere varia a seconda dell’umidità prevista, cioè la ‘percezione’ del calore, che di norma supera di molto quella del calore effettivo. È chiaro che il dato non viene trascurato, anzi, agli anziani è consigliato di rifugiarsi nei supermercati, dove sono in azione i condizionatori d’aria. Ora, se la percezione del calore non tiene conto del calore reale, e non possiamo dire ad una persona anziana di non andare dove l’aria è più fresca, per non correre rischi di collasso, analogamente dovremmo agire per ciò che riguarda la nostra sicurezza. Anche se i dati ufficiali lo smentiscono, la nostra sicurezza è a rischio. La gente, infatti, non denuncia più intrusioni domestiche, furti, piccoli reati, che tanto sono stati depenalizzati. E non lo fa perché ha perso totalmente la fiducia in questo governo, in questo Stato, nella sua capacità di mantenere la sicurezza dei cittadini e di controllare il territorio. Nello stesso modo, anche la magistratura viene vista come un organismo che non tutela, che libera i delinquenti il giorno dopo, che commina pene troppo lievi, e che, insomma, non protegge. Salvo quando a cadere nel suo tritacarne non sia una persona per bene. Quindi, i dati ufficiali non sono esatti e non possono esserlo, stante il fatto che non tutti i reati vengono denunciati. La sicurezza è un fatto oggettivo, e non una semplice percezione. I cittadini hanno tutto il diritto, ove lo stato dovesse latitare, di provvedere alla propria sicurezza domestica. Senza per questo trasformare l’Italia in Dodge City, o Tombstone. Il Far West è già fra noi, e chi lo nega, come Gerardo Greco, lo fa per istruzioni ricevute, e la responsabilità è tutta del governo. Agorà deve continuare a fare opinione, e soltanto in una direzione. Tanto, lo sappiamo, i responsabili di tutto questo non corrono rischi, neanche il buon Gerardo. Loro sì, sono protetti, e non hanno bisogno di tenere una calibro 9 sul comodino. Hanno chi le armi le maneggia per mestiere, ed è comandato alle loro scorte, giorno e notte. A Davide Fabbri, ucciso da quello che tutti hanno chiamato Igor il russo, e che pare che non sia russo, né che si chiami Igor – un elemento pericolosissimo, che la nostra giustizia non è riuscita a neutralizzare, e che ora è ricercato nella campagne del bolognese da 800 uomini – bisognava dire che quella rapina, la ‘sua’ rapina, era frutto di fantasia, e i colpevoli erano, e sono, soltanto i populisti, quelli che soffiano sul fuoco, e che trasformano in realtà la ‘percezione’ della mancanza di sicurezza. Così avrebbe riso sul muso a Igor, avrebbe allontanato la canna della doppietta, gli avrebbe offerto un bicchiere di vino, e avrebbe aspettato che la sua allucinazione svanisse. Facendo la felicità di Gerardo Greco, giornalista a cui preme più lo stipendio che l’essere giornalista.



IMPORTANTE OPERAZIONE GDF

IMPORTANTE OPERAZIONE DELLA GDF DI REGGIO CALABRIA 
SEQUESTRATI ALLA ‘NDRANGHETA BENI PER 84,3 MLN DI EURO
DI ROBERTO RAGONE
Coordinati dalla Procura delle Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, in esecuzione della operazione denominata ‘Mariage 2’, militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza e del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata (S.C.I.C.O.)  di Roma, hanno eseguito una misura di prevenzione sia personale (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, disposta dalla locale Sezione Misure di Prevenzione,) che patrimoniale nei confronti di 11 persone, soggetti gravemente indiziati di appartenere alle cosche di ‘ndrangheta Morabito ed Aquino, ed imprenditori a queste contigui. Sequestrate, in provincia di Reggio Calabria, 8 società commerciali, comprensive di cospicui patrimoni immobiliari (82 immobili e 4 veicoli) e rapporti finanziari per un complessivo importo di circa 84,3 milioni di euro. Confiscati anche noti complessi edilizi residenziali, tra cui ‘S. Rocco 1 ‘, e ‘Residence Vittoria’, nel comune di Bianco, ‘Palm View’, e ‘Stignano Mare’, nel comune di Zeffirio, sempre in provincia di Reggio Calabria. Questo a conclusione di una indagine che ha permesso di aggredire la criminalità organizzata sotto il profilo patrimoniale, denominata ‘Operazione Metropolis’, coordinata dalla DDA di RC e condotta dal Nucleo di Polizia Tributaria – G.I.C.O. della GDF di Reggio Calabria, in sinergia con lo S.C.I.C.O.  e con il Gruppo di Locri. Le prime indagini  si concludevano nel 2013 con l’esecuzione di 20 provvedimenti restrittivi nei confronti di altrettante persone, per associazione per delinquere di stampo mafioso, e intestazione fittizia di beni. Venivano quindi ulteriormente indagati: Rocco  Morabito, figlio del boss Giuseppe Morabito, detto ‘Tiradritto’, attualmente detenuto; Fausto Ottavio Strangio, Daniele Scipione, Sebastiano Vottari, della cosca Morabito di Africo; Rocco Aquino, attualmente detenuto; Francesco Arcadi e Domenico Vallone, della cosca di Marina Gioiosa Jonica; Sebastiano Sisto Strangio, Giuseppe Carrozza, Domingo Bernal Diaz  e Sagredo Lamberti, imprenditori vicini alla cosca. Conseguentemente, su richiesta della DDA, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria ordinava nel 2014 il sequestro di beni mobili, immobili e societari per un complessivo importo di 419 milioni di euro; nel settembre del 2016 la Sorveglianza Speciale di P.S. nei confronti dell’imprenditore Antonio Cuppari, nonché la confisca di beni immobili, mobili e societari per circa 217,450.000 euro. Con l’ultima operazione, sono stati confiscati ai soggetti succitati beni per il complessivo importo di circa 84,300.000. Comminata inoltre la misura di Sorveglianza Speciale  di P.S. a Rocco Morabito e Rocco Aquino per la durata di cinque anni; a Daniele Scipione per la durata di quattro anni; a Fausto Ottavio Strangio, Sebastiano Vottari, Francesco Arcadi e Domenico Vallone per la durata di tre anni. Confiscate 8 società commerciali, comprensive di capitale sociale e patrimonio aziendale: 
‘Mariage’ di Romeo Paola & C. – Bovalino; RC
‘Bella Calabria 2005’ Srl – Bianco RC
‘BC Immobiliare Srl.’ – Bianco RC
‘CA.GI.MM.’ SaS di Scipione Daniele & C. – Bovalino RC
‘Metropolis 2007 Srl.’ – Bianco RC
‘Corsilope Italia Srl. – Reggio Calabria
‘Hit Store Sas’  di Antonio Vallone & C. – Marina Gioiosa Jonica RC
‘Open Space One di Vallone Antonio & C. Sas’ – Bovalino RC
L’amministrazione dei beni suesposti sarà affidata alla ‘Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata’.
 



Reggio Calabria, colpo alla ndrangheta: sequestrati beni per 84 milioni di euro

 

di Roberto Ragone

 

 

 

Igor il russo, dall'omicidio di Budrio a quello del guardapesca: è caccia all'uomo nelle campagne bolognesi

 

di Roberto Ragone

BOLOGNA
– Quasi certamente Igor Vaclavic, Igor il russo, è l’assassino del barista di Budrio Davide Fabbri, nel corso di un tentativo di rapina, ma è sospettato anche di aver ucciso circa un anno e mezzo fa una guardia giurata a colpi di fucile, omicidio rimasto irrisolto. Salvatore Chianese, 42 anni, fu ucciso circa un anno e mezzo fa alla Cava Manzona, sempre nella zona di operazioni di Igor Vaclavic, con un colpo di fucile da caccia a pallettoni, lo stesso tipo di arma usata nella rapina di Budrio, insieme alla pistola cal. 9×21 sottratta ad una guardia giurata, minacciata con la doppietta e costretto a stendersi a terra. 

 

Le indagini per l’omicidio del Chianese, nonostante si fossero allargate in tutte le direzioni possibili, compresi i bracconieri della zona, non avevano portato ad alcun risultato. Ora pare che la soluzione sia stata trovata. Igor Vaclavic, 40 anni, detto Igor il russo, nativo di Tahkent, in Uzbekistan, è in Italia sicuramente dal 2007, anno in cui effettua le prime rapine armato di arco e frecce, spaventando i contadini della zona. Tranne in un caso in cui due anziani fratelli di 72 e 73 anni sparano accidentalmente un colpo di doppietta, e lui fugge in bicicletta. Lo chiamano ‘il ladro ninja’, perché opera con una bandana nera attorno alla fronte, la faretra sulle spalle e un coltello alla caviglia.

 

I Carabinieri lo scovano in un casolare abbandonato e lo arrestano. Nello zaino salami, prosciutti e insaccati vari. Vaclavic finisce in carcere, ma esce troppo presto, nel 2010, e ricomincia a rapinare, stavolta con un’ascia. Pare che dorma di giorno ed esca soltanto di sera, studiando le fasi in cui la luna non illumina la sua zona di operazioni. I suoi nascondigli sono i casolari abbandonati che abbondano da quelle parti, e che ormai conosce come le sue tasche. Ha abbandonato la fascia nera e indossa un casco integrale. Così mascherato rapina anche il sindaco di Argenta. I Carabinieri lo scovano per la seconda volta e finisce di nuovo in carcere. Nel 2015 è fuori, e mette insieme una banda di delinquenti, due slovacchi, Ivan Pajdek e Patrik Ruszo, e un rumeno, Constantin Fiti, conosciuti nel carcere di Ferrara. Inizia un periodo di vero terrore per il ferrarese. Il 26 di luglio dello stesso anno aggrediscono in casa il 45enne Alessnadro Colombani, e lo massacrano di botte per 70 euro e la tessera bancomat, da cui prelevano 250 euro. Dopo qualche giorno un’altra rapina, questa volta ai danni di un’anziana donna, Emma santi, 93 anni, lasciata legata e imbavagliata. Picchiata nel sonno, la donna si salva dopo due giorni solo perché suo figlio, allarmato, la va a trovare. Alcuni giorni dopo assaltano una casa in campagna, dove una coppia viene sequestrata per ore. Il 9 settembre sequestrano un anziano pensionato, ex elettricista, tale Tartari, di 73 anni, che vive solo. Nella notte fra il 9 e il 10 settembre vengono effettuati due prelievi bancomat, e, come dimostrano poi le riprese delle videocamere di sorveglianza, non da Tartari, ma da alcuni elementi ripresi poi a fare spese all’Ipercoop di Ferrara. Così, identificato, Constantin Fiti viene subito fermato dalla Mobile di Ferrara. Ruszo, fermato sul treno Bologna-Venezia, confessa tutto, e dopo 18 giorni dall’omicidio guida gli agenti in un casolare abbandonato, dove trovano il cadavere di Tartari, legato con fascette elettriche, con la bocca tappata da nastro adesivo e incaprettato. “Vittima di una violenza bestiale” lo definì il pm Di Benedetto. Per quell’omicidio, Pajdek è stato condannato a 30 anni, e Ruszo all’ergastolo. Nonostante Fiti avesse tirato in ballo anche Vaclavic, il giudice non ha ritenuto che quella testimonianza meritasse una condanna, A Vaclavic viene consegnato un decreto di espulsione.

 

Arriviamo all’assalto al bar tabacchi di Budrio. Vaclavic – pare ormai certo che si tratti di lui – irrompe nel locale, minaccia i presenti e spara un colpo di cal. 12 a terra, per intimidirli. Ma ha fatto i conti senza Davide Fabbri, 45 anni, che pare che nei giorni precedenti avesse sventato già una rapina. Fabbri gli si getta addosso, e ne nasce una colluttazione, durante la quale Vaclavic estrae un’automatica cal. 9×21 e spara un solo colpo al petto di Fabbri, uccidendolo. Fugge, non si sa come, presumibilmente in bicicletta, come in passato. Immediatamente partono le ricerche di polizia e Carabinieri per individuarne il covo, ma senza esito. Ancora un morto e un ferito nella sua fuga, un guardapesca volontario e una guardia regionale, ferita ad una spalla. I due erano in servizio di routine, quando sono passati accanto al nascondiglio di Vaclavic. Il russo ha sparato senza esitazioni, prima che potessero reagire.

 

Poche ore fa, viene intercettato da una pattuglia di carabinieri ad un posto di blocco, a bordo di un Fiorino bianco rubato. Lasciato il Fiorino, s’è diretto verso il suo terreno preferito, la boscaglia che si stende fra Ferrara e Bologna, dove ha fatto perdere la proprie tracce.  È in atto una gigantesca caccia all’uomo, in cui sono impegnati reparti di ogni appartenenza delle forze dell’ordine. Sono sati anche fatti intervenire carabinieri dei reparti speciali, si presume quelli adoperati in Calabria e Sardegna per i sequestri di persona, avvezzi e addestrati a seguire tracce e scovare latitanti nelle zone più impervie e boscose. Un altro vulnus inferto alla popolazione da una giustizia inadeguata, che non si è resa subito conto della pericolosità dell’individuo. Un altro decreto di espulsione consegnato ad un assassino a sangue freddo, addestrato a sopravvivere in ambienti ostili.

Un’altra gaffe della nostra giustizia che piuttosto perseguita chi ha dovuto difendersi da rapinatori notturni, e non è capace, pur avendola avuta di fronte per ben due volte, e avendola mandata in galera, di mettere una simile persona in grado di non nuocere. Non so quanto i morti che Vaclavic s’è lasciato dietro siano attribuibili a lui, e quanto a chi ha sottovalutato la sua pericolosità, pur evidente.