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Editoriali

Banca Popolare del Lazio, dimissioni lampo e nomine ancora sotto pandemia. Quali i motivi?

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Il Consiglio di amministrazione della Banca Popolare del Lazio, il cui rinnovo era previsto per il prossimo 2024, si è dimesso il 27 marzo scorso con la conseguenza di dover essere rieletto nella prima assemblea dei soci che è stata prontamente convocata per il 3 maggio 2023.

Perché tanta fretta? Tra le varie supposizioni, il presunto temuto confronto con l’assemblea dei soci che avrebbe comportato un minimo, ma non trascurabile rischio, di non essere rieletti.

Ma c’è anche la variante virale. O meglio il consiglio di amministrazione della Banca Popolare del Lazio ha optato per una sua riconferma per i successivi tre anni potendo usufruire della ormai quasi desueta norma Covid, ancora in vigore fino al 31 luglio 2023, evitando così di veder sottoposto all’esame della platea assembleare qualsivoglia operato. Molti si sono chiesti: è stata utilizzata questa norma per evitare il confronto con i soci? La domanda sembra quantomeno lecita se si circostanzia in un dato di fatto: la perdita di valore delle azioni della Banca Popolare del Lazio che hanno subito un deterioramento dal valore di quasi 40 euro dell’era Mastrostefano a poco più di 15 euro dell’era Capecelatro con un trend in discesa di cui al momento non si vede la fine.

Qualcuno ha ragionato: «Proprio al fine di evitare che qualche cordata potesse presentare una autonoma lista di candidati, hanno affrettato la convocazione dell’assemblea così da escludere di fatto la possibilità di ogni eventuale cordata concorrente». Ma non potendo fare processi alle intenzioni possiamo soltanto ragionare a voce alta. Certo è che come diceva un protagonista della Democrazia Cristiana “A pensar male degli altri si fa peccato ma spesso ci si indovina”.

Ma restiamo ai fatti: per la presentazione delle liste, questo stesso consiglio di amministrazione della banca si è fatto approvare in una assemblea Covid, non in presenza, una norma che richiede la presentazione di una lista dodici giorni prima dell’assemblea corredata da 250 firme di soci per la presentazione.

In pratica se qualcuno volesse presentare una lista di candidati, dovrebbe presentarla entro il 20 aprile 2023 avendo prima di tale data raccolto 250 firme di soci, di cui non si conosce il nome. Una operazione solo formalmente possibile ma oggettivamente pressoché irrealizzabile.

Il tutto trascurando evidentemente lo strumento cooperativistico con cui veniva costituita la Banca la trasparenza invocata dalla Banca D’Italia.

Ma ci sono altre novità su argomenti da noi toccati e per cui avevamo esercitato il lecito diritto di critica (non gradito alla banca che continua a voler chiedere alla testata risarcimenti economici solo perché abbiamo esercitato liberamente un sacrosanto diritto garantito dalla Costituzione italiana).

È stato rimosso dal Cda della banca Alessandro Natalizia, figlio di Giancarlo Natalizia che nei prossimi anni si troverà a difendersi dalle accuse di conflitto di interessi nell’ambito della gestione della Banca.

Al pari si è dimesso con effetto immediato l’Avv. Leopoldo Sambucci, di nomina recente e di cui gli stessi vertici della Banca avevano da sempre speso parole di elogio per la sua competenza.

Tra i nuovi volti che andranno ad occupare una delle nove poltrone del cda, troviamo la figlia del Dott. Carlo Romagnoli, presidente del Collegio sindacale della stessa Banca Popolare del Lazio, coinvolto nella vicenda del conflitto di interessi della Natalizia Petroli per il suo ruolo di presidente del collegio sindacale della stessa mentre Giancarlo Natalizia sembra violasse la norma per la quale è stato inquisito.

Dunque per coloro che volessero vedere il marcio ovunque, sembra profilarsi un sistema consolidato di gestione tesa alla scarsa partecipazione degli investitori/soci della Banca che intanto assistono allo svalutarsi delle loro azioni. Soci, posti nella condizione di non riuscire a esprimere democraticamente la loro volontà. 

Il ricordo, in questo quadro, va ai soci della Banca Valconca che con le proprie forze si sono svincolati dalla sorta di morsa nella quale erano stretti da una parte Banca D’Italia che avrebbe commissariato e dall’altra la Banca Popolare del Lazio che pensava a una fusione con poche vie di fuga a garantire la salvaguardia di una realtà storica per il territorio romagnolo.

Cronaca

Aggredito giornalista de “La Stampa”: l’ennesimo attacco alla libertá di stampa

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Parto da un fatto semplice, apparentemente banale, ma che dovrebbe, condizionale d’obbligo, far riflettere tutti: la violenza va condannata senza se e senza ma.
E quando la violenza parte da un presupposto di odio da parte di un gruppo la condanna deve essere fatta ancora con più forza e con più decisione.
E va fatta con ancora più veemenza quando l’aggressione viene rivolta a chi, da sempre, è in prima linea per consentire ad un paese democratico che verità ed informazione possano essere sempre un connubio di libertà: un collega giornalista.
L’ aggressione ai danni di Andrea Joly, giornalista de La Stampa di Torino, è l’ennesima dimostrazione di come l’odio troppo spesso popoli il nostro paese. Dietro di esso si nasconde il tentativo forte di delegittimare una categoria, quella dei giornalisti, da sempre coscienza libera in quanto lettori attenti ed obiettivi della realtà.
Diventa necessaria, quindi, una levata di scudi dell’intera classe politica nazionale per ristabilire un argine di rispetto e di sicurezza che eviti i troppi tentativi di bavaglio che violano il principio, sancito dalla nostra Carta Costituzionale, della libertà di stampa.
Scriveva Thomas Jefferson:
“Quando la stampa è libera e ogni uomo è in grado di leggere, tutto è sicuro”.
Mai parole sono state così attuali.

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Editoriali

19 luglio 1992: un maledetto pomeriggio

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Lo ricordo come allora quel tragico 19 luglio 1992.
Un caldo improponibile, come quello di questi giorni.
Ma era sabato e con gli storici amici del paese l’appuntamento era fisso: “… ci vediamo più tardi al chiosco, verso le 5, e poi decidiamo dove passare pomeriggio e serata …“.
E cosi facemmo!
Arrivammo un po’ alla spicciolata (cellulari, WhatsApp ed altro sarebbero arrivati anni dopo).
Per ultimo, ma non per questo meno importante, uno dei nostri amici, all’epoca cadetto alla scuola sottufficiali dei Carabinieri.
Lo sguardo basso, ferito oserei dire.
Il passo lento, non era il suo solito passo.
Gli occhi lucidi che facevano presagire che qualcosa di grave era successo.
“Hanno ammazzato pure Paolo”, furono le sue uniche indimenticabili parole.
In un momento i nostri sorrisi, la nostra voglia di festeggiare quel sabato si ruppe.
Non erano passati neanche due mesi dell’attentato di Capaci in cui Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta erano stati ammazzati per ordine della Mafia ed ora anche Paolo Borsellino e la sua scorta erano lì dilaniati dall’ennesimo atto vigliacco di Cosa Nostra.
Giovanni e Paolo incarnavano i sogni di quella nostra generazione pronta a scendere in piazza per dire “NO ALLA MAFIA”.
Una generazione che aveva fatto dell’impegno politico e sociale la propria stella polare.
Quei due uomini seppero farci capire quanto l’impegno dovesse essere sempre animato da uno spirito di sacrificio personale.
Ci fecero capire che per cambiare il mondo il primo impegno era mettersi in gioco.
Quel pomeriggio i nostri sogni di ragazzi che volevano un mondo migliore saltarono in aria come quella maledetta bomba in via d’Amelio.
Ma capimmo, anni dopo, che dalla loro morte sarebbe germogliato quel seme che avrebbe fatto crescere la pianta rigogliosa della legalità.
Oggi a più di 30 anni dalla loro morte tengo in mente due loro pensieri:

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

L’ importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza (Giovanni Falcone)
La paura è umana, ma combattetela con il coraggio (Paolo Borsellino)


Ecco paura e coraggio … le loro vite, il loro impegno, il loro sacrificio ci hanno insegnato che possono convivere e farci essere grandi uomini.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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