Arti e tradizioni popolari, a Maranola torna il festival “La Zampogna”: l’appuntamento con la musica e cultura tradizionale da non perdere

LATINA – Tutto pronto per la XXVI edizione di “La Zampogna – Festival di Musica e Cultura Tradizionale” che si svolgerà il 16 e 17 novembre a Maranola (LT).

Il festival sarà anticipato da un concerto in anteprima a Roma, nel prestigioso Auditorium Parco della Musica, istituzione che collabora al Festival.

“La Zampogna – Festival di Musica e Cultura Tradizionale” rappresenta uno dei festival più importanti in Italia nel panorama della musica popolare e della world music ed è punto di riferimento obbligato per specialisti, musicisti e appassionati.

Questa edizione si svolge esattamente un mese prima dell’inizio della
Novena di Natale. Una occasione quindi speciale per prepararsi al periodo di
maggior utilizzo di questi strumenti musicali e per incontrare, nei giorni del
Festival, musicisti, liutai, studiosi, organizzatori di eventi culturali,
giornalisti del settore e un pubblico entusiasta, che conferma quanto sia forte
ed in costante aumento, l’attenzione verso questo fondamentale strumento musicale
della tradizione popolare italiana.

Molti sono gli artisti presenti nel programma di concerti e di
seminari e tanti i suonatori tradizionali e giovani interpreti di zampogna e
ciaramella provenienti da tante regioni italiane e dall’estero che affolleranno
le strade del centro storico del paese.

Ma il Festival è anche un’occasione unica per avere un contatto
diretto con alcuni tra i liutai più importanti della penisola, attivi come costruttori
di zampogne, pive, ciaramelle, bombarde, tamburelli e altri strumenti
tradizionali.

La mostra-mercato di liuteria tradizionale di Maranola è
considerata infatti tra gli appuntamenti più rilevanti del settore e una tappa fondamentale
per chi intende acquistare strumenti musicali, oggettistica tradizionale,
attrezzi di uso pastorale legati al mondo della zampogna e degli zampognari.




Napoli, Creattiva: la Fiera delle Arti Manuali fa il pieno di visitatori

NAPOLI – Partita ieri a Napoli la 9° edizione di Creattiva. Alla Mostra d’Oltremare la Fiera Nazionale per eccellenza delle Arti Manuali Napoli Creattiva, che terminerà domani.

Boom di visitatori che hanno potuto visitare ben 108 espositori provenienti da 15 regioni (dal Veneto alla Puglia, dal Piemonte alla Sicilia) ed anche quattro nazioni straniere.

La tre giorni di fiera negli anni è diventata un punto di riferimento per gli appassionati del “fai da te”, un appuntamento da non perdere che offre una visione totale del mondo dell’artigianato, dal patchwork al quilting, dallo stencil alle decorazioni, ed inoltre bigiotteria, ricamo, tombolo e tanto altro.

Napoli Creattiva è l’unica manifestazione del Sud Italia del suo genere, ed è la fiera per eccellenza delle arti manuali che mette insieme tradizione ed innovazione, i visitatori saranno immersi in un’esplosione di creatività che mette insieme il passato e il nostro presente con le nuove tecnologie.

Visitare Napoli Creattiva significa ammirare tecniche di lavorazioni in chiave contemporanea, materiali che ricordano il passato del Bel Paese, ma al passo col tempo, i nuovi materiali eco applicati ad antiche sapienze.

I visitatori nel girovagare tra gli stend dei padiglioni 5 e 6 riscopriranno il piacere di creare, oppure di acquistare pregiati manufatti, avranno modo di imparare nuove conoscenze ed anche condividere la propria esperienza. Napoli Creattiva è nata nel 2008 da Promoberg Fiera Bergamo




Aversa, Don Michele Mottola arrestato dopo servizio delle Iene: aveva abusato di una dodicenne

La Polizia di Stato ha arrestato su ordine del Gip del Tribunale di Napoli Nord don Michele Mottola della parrocchia di Trentola Ducenta per abusi su una minore di 12 anni che frequentava la chiesa. Era stata la Diocesi di Aversa a inviare la prima segnalazione alla Procura guidata da Francesco Greco sui presunti abusi realizzati dal prete, che nel maggio scorso era stato sospeso dal servizio. Della vicenda si era occupata anche la trasmissione “Le Iene”.

La Diocesi di Aversa in un comunicato spiega che Don Michele Mottola, accusato dalla piccola Marina di abusi sessuali, è stato sospeso dal suo ruolo e allontanato dalla comunità parrocchiale. Nina Palmieri ci aveva raccontato la tremenda storia di questa bambina

Don Michele Mottola è stato sospeso e isolato dalla comunità parrocchiale.

Lo comunica la Diocesi di Aversa, che interviene per fare il punto nella vicenda di presunti atti di pedofilia del parroco campano ai danni di una bambina di 10 anni. Ve ne abbiamo parlato nel drammatico servizio di Nina Palmieri, che potete rivedere qui sopra.

La Diocesi chiarisce il parroco è stato sospeso in via cautelativa, lo stesso giorno in cui si è avuta segnalazione dei fatti, da parte della famiglia di “Marina”, accompagnata in Diocesi da alcuni parrocchiani.

“La Diocesi ha fornito ai familiari della minore la propria collaborazione affinché fosse sporta anche regolare denuncia alle autorità giudiziarie”, si aggiunge, e “attualmente al sacerdote non è permesso di celebrare pubblicamente o avere contatto di tipo pastorale con nessun gruppo di fedeli”. Il comunicato conclude così: “Sono in atto i procedimenti giudiziari, sia canonico che civile”.

Vi abbiamo raccontato questa terribile vicenda di presunti abusi con Nina Palmieri.

Marina, così chiameremo questa bambina, sarebbe caduta nelle grinfie di Don Michele Mottola, il parroco di un comune del casertano che frequentava la casa dei suoi genitori.

La storia di Marina è anche la storia di un incredibile coraggio, perché la bimba riesce con lucidità a documentare, con il suo telefonino, quegli incontri per incastrarlo.

Le violenze, che si sarebbero protratte fino allo scorso febbraio, sarebbero iniziate quando Marina aveva circa dieci anni e mezzo.

Il parroco inizia a fare piccoli grandi regali alla bambina, prima un orologio, poi un giubbino e addirittura un computer. Regali che giustifica come un ringraziamento per quelle cene a casa della sua famiglia.

Ma Marina, proprio in quel periodo, avrebbe iniziato a essere al centro delle attenzioni di Don Michele, provando poi a confidarsi con due amici parrocchiani. Che però all’inizio non riescono a crederle.

“La bambina mi fece una confidenza ‘sai in parrocchia c’è qualcuno che mi fa delle cose, è Don Michele, lui mi bacia’ e li per lì rimango stupefatta e dico: ma come? Ma ti bacia come bacia tutti quanti?”. E Marina risponde: “No, lui mi bacia qua”, e indica le labbra.

Di fronte a quegli adulti che non si fidano delle sue parole, Marina decide di iniziare a registrare gli incontri. Registrazioni agghiaccianti, che Nina Palmieri ci fa ascoltare: “Io ti terrei dalla mattina alla sera qua se tua mamma fosse più consenziente”, le dice don Michele, che aggiunge: “Lo sai che ti voglio bene, vuoi un bacino?”

Gli incontri si susseguono, come le registrazioni audio di Marina. Si possono sentire sospiri, silenzi, rotti improvvisamente dal lamento della bambina, che dice “basta, basta”. A un certo punto Don Michele le dice: “Prendi questa per asciugarti”.

Passano altri mesi, senza che nessuno la sottragga dalle sue mani e poi, il 2 febbraio 2019, c’è un nuovo incontro, durante il quale Marina decide di affrontare Don Michele.

“Quelle cose che noi facciamo, gradirei non continuare”, gli dice a muso duro ma lui liquida il tutto come “una storiella”. Tu mi consideri una specie di malato mentale se mi tratti così”, le dice. “Non vorrei che tu mi vedi come uno che fa violenza ai bambini…” e le dice che sarebbe stata consenziente.

Marina torna a confessarsi con i due parrocchiani, che avvertono i genitori.

Ma la madre, che affronta la figlia davanti a Don Michele, all’inizio dubita, tanto da dire alla piccola che la manderà in un istituto.

Don Michele avrebbe provato anche a spaventarla: “Le bugie le sai dire. Mi hai capito che le bugie le sai dire? Sei come i kamikaze islamici, buttano una bomba, uccidono la gente e se ne vanno”. E la spaventa: “Il fango va a finire anche su quello che è la famiglia, su di te”.

Finalmente la madre di Marina apre gli occhi e va dal vescovo, mentre don Michele avrebbe confessato quelle violenze dicendosi pentito.

Un pentimento e un caso che verrà valutato nelle sedi giuste, mentre a noi non resta che portargli da leggere una delle lettere che la piccola Marina ha provato a scrivergli: “Caro Don Michele con tutto il rispetto le volevo dire che un futuro con voi non lo voglio costruire. Io dentro di me mi sento scoppiare e non so fino a quando potrò resistere. Io non mi sento più una bambina, mi sento troppo grande”. Ma l’uomo, davanti alle telecamere de Le Iene, nega tutto con fermezza.




Morte di Pierpaolo Pasolini, noi sappiamo chi sono i mandanti: a.a.a. cercasi Commissione Parlamentare d’Inchiesta

Pierpaolo Pasolini e Mauro De Mauro due uomini legati dalla ricerca di una verità che forse è costata la vita ad entrambi: parliamo della morte di Enrico Mattei, fondatore e presidente dell’Eni, avvenuta il 27 ottobre del 1962, quando precipitò, a seguito di un attentato, dall’aereo che lo stava riportando a Milano da Catania.

Una fine, quella di Mattei, che secondo quanto affermato dall’onorevole Oronzo Reale trova il mandante in Eugenio Cefis, ex braccio destro all’ENI di Mattei, che pochi mesi prima dell’attentato era stato costretto alle dimissioni quando il presidente dell’Eni si sarebbe reso conto che Cefis era manovrato dalla CIA.

Eugenio Cefis, secondo quanto emerso da due appunti degli ex servizi segreti italiani civili e militari scoperti dal Pm Vincenzo Calia durante la sua inchiesta sulla morte di Mattei, è stato il fondatore della Loggia P2 e l’avrebbe diretta fino ai primi anni ’80 quando scoppiò lo scandalo petroli.
Pochi giorni dopo la morte di Enrico Mattei, Cefis viene reintegrato nell’ENI come vicepresidente per poi diventarne in seguito presidente. Cefis non fu mai incriminato ufficialmente.

In tutta questa vicenda ecco intrecciarsi i tragici destini, prima di Mauro De Mauro e poi di Pierpaolo Pasolini

Il primo, De Mauro, venne rapito e fatto sparire dalla mafia “perché si era spinto troppo oltre nella sua ricerca della verità sulle ultime ore di Enrico Mattei” come si legge in una sentenza della Corte d’Assise del 2012. Tesi, quest’ultima, riferita anche dal collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta. Buscetta spiega che i boss mafiosi Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti e Luciano Liggio furono coloro che organizzarono l’uccisione di De Mauro perchè stava indagando sulla morte del presidente dell’Eni e aveva ottime fonti all’interno di Cosa nostra.

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Il primo video servizio trasmesso a Officina Stampa del 7/11/2019

Il secondo, Piepaolo Pasolini, viene barbaramente ammazzato la notte tra il primo e il 2 novembre del 1975. In quel periodo Pasolini sta ultimando “Petrolio”, il romanzo sul Potere che la sua morte violenta gli impedì di terminare. Pasolini riprende quasi alla lettera ampi paragrafi di “Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente” un libro-verità molto documentato firmato da un fantomatico Giorgio Steimetz, che arriva in libreria nel 1972, ma subito viene fatto sparire.

Una documentata inchiesta sul potentissimo e invisibile presidente di Eni e Montedison succeduto a Enrico Mattei: Eugenio Cefis, una delle figure più inquietanti e controverse della storia repubblicana.

Nelle sue mani – ha scritto il politologo Massimo Teodori – Montedison “diviene progressivamente un vero e proprio potentato che, sfruttando le risorse imprenditoriali pubbliche, condiziona pesantemente la stampa, usa illecitamente i servizi segreti dello Stato a scopo di informazione, pratica l’intimidazione e il ricatto, compie manovre finanziarie spregiudicate oltre i limiti della legalità, corrompe politici, stabilisce alleanze con ministri, partiti e correnti”.

Nel 1974 si scoprirà che il capo dei Servizi segreti Vito Miceli – tessera P2 n.1605 – quotidianamente inoltrava informative a Eugenio Cefis, quasi che il Sid fosse la personale polizia privata di Eugenio Cefis che poteva dunque monitorare politici, industriali, giornalisti, aziende pubbliche e private. Temi brucianti, che Pasolini tratta contemporaneamente sia nel romanzo Petrolio che sulle pagine del Corriere della Sera.

Petrolio esce come opera postuma incompiuta di Pierpaolo Pasolini e in stadio frammentario nel 1992. Una delle fonti di quel romanzo, in cui pare che Pasolini avesse delle rivelazioni sul caso Mattei, era proprio questo libro, ma il capitolo in questione, “Lampi sull’Eni”, venne misteriosamente sottratto dalle carte dello scrittore.

Una trama oscura che passa attraverso il libro che Pasolini stava ultimando, Petrolio, e la sceneggiatura per un film di Rosi sul Caso Mattei a cui Mauro De Mauro lavorava. Un puzzle intricato che passa attraverso la loggia massonica P2, i servizi segreti deviati e la lotta per il potere di personaggi senza scrupoli.

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Il secondo video servizio trasmesso a Officina Stampa del 7/11/2019

E’ la mattina del 2 Novembre 1975 quando Pierpaolo Pasolini viene trovato morto sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia. Il poeta è stato massacrato di botte e investito più volte dalla sua stessa auto, un’Alfa Romeo 2000 GT.
Ad essere accusato dell’omicidio è Pino Pelosi, un ragazzo di diciassette anni arrestato dalle forze dell’ordine dopo essere stato fermato la notte stessa alla guida dell’auto del Pasolini.

Pelosi confessa di aver ucciso Pasolini perchè quest’ultimo voleva avere un rapporto sessuale non consensuale. Avrebbe quindi ferito Pasolini, per legittima difesa, con una mazza per poi finirlo passandoci sopra più volte con l’auto del poeta.
La ricostruzione di Pelosi, come accertato da autorevoli testimonianze esterne e pareri della magistratura, appare fin da subito distorta. Gli abiti del ragazzo non presentano tracce di sangue ed è ampiamente improbabile che un uomo della stazza di Pasolini non sia riuscito a difendersi contro un ragazzino.
La sentenza di primo grado a carico di Pelosi lo condanna quindi per omicidio volontario in concorso con ignoti. Ma chi erano questi ignoti?

A sorpresa, nel 2005, Pelosi ritratta e dopo esattamente 30anni, dichiara di non essere stato solo quella tragica notte.

La novità sostanziale che emerge dal racconto di Pelosi è che con lui non c’era una banda di ragazzini, ma uomini dall’accento siciliano non ben identificati, a bordo di un’auto targata Catania. Queste persone avrebbero massacrato Pasolini e il ragazzo sarebbe stato solo un capro espiatorio.
Un riscontro interessante al nuovo racconto di Pelosi è che nei giorni seguenti l’omicidio una telefonata anonima alla Polizia segnalò che la notte tra il 1 e il 2 novembre del 1975 una macchina targata Catania seguiva l’Alfa di Pasolini.

Nel 2016 la dottoressa Marina Baldi, nota genetista forense, su richiesta dell’avvocato Stefano Maccioni, legale della famiglia Pasolini, ha valutato la perizia tecnico-biologica effettuata nel 2013 dal RIS di Roma, contenente i risultati delle analisi genetiche sui reperti in sequestro e forniti dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma.

Ebbene, sono emersi 5 profili genetici riconducibili a 5 soggetti ignoti di cui uno che, nel momento in cui c’è stato il contatto con la vittima era ferito, con ferita recente perché perdeva sangue.

La genetista Baldi nella sua relazione ritiene che si debba tentare di eseguire nuovi test con i campioni di DNA delle persone ignote individuate sui reperti, soprattutto alla luce delle novità in campo tecnico, come la Next Generation Sequencing (NGS) con amplificazione massiva parallela, che consente analisi di pannelli di geni di dimensioni inimmaginabili fino a qualche anno fa. Una realtà in campo scientifico che permette le associazioni di alcuni assetti genetici con alcune caratteristiche fisiche, quale colore degli occhi, della pelle, dei capelli ed alcuni tratti somatici.

E’ una verità che deve essere cercata, sia dal punto di vista giudiziario che dal punto di vista scientifico.




Roma, morire di monnezza: a Rocca Cencia sale il tasso di mortalità per cancro

ROMA – Nell’inferno di Roma Est, nelle viscere di un territorio che, a pochi chilometri dal Colosseo, è stato tristemente ribattezzato “la terra dei fuochi”. Dove i roghi tossici incontrollati fanno da cornice agli immondezzai, che si annidato in ogni angolo delle strade, alle discariche mai o parzialmente bonificate, ai terreni dai quali zampilla il percolato o i rifiuti ospedalieri, e si fondono al tanfo, perenne, sprigionato dal TMB AMA di Rocca Cencia, che rende l’aria irrespirabile.

È il lato
oscuro della Capitale, allarmante, conosciuto da tempo ma mai affrontato con
concretezza dalle Istituzioni, forse perché ritengono che non sia conveniente
ammettere che lì sussiste un evidente problema ambientale e sanitario. A dirlo
è l’alta percentuali di morti o ammalati di patologie oncologiche. Cancro per
farla breve, e in forma aggressiva, ai polmoni, al cervello, alla tiroide e
leucemie acute.    

Il viaggio è sconcertante, dalla Rocca Cencia alla cosiddetta “via delle vedove” a Castelverde, da Colle del Sole a Lunghezzina fino ad arrivare a Salone, zone nel cuore del Municipio VI. “Questa è la punta dell’iceberg”, spiega Paolo Emilio Cartasso, studioso e esperto del settore, “l’area interessata ha una circonferenza di circa 7 chilometri”. E include, analizzando la sua cartina, il quartiere di Case Rosse, nel V Municipio, e i comuni di Guidonia Montecelio e di Tivoli.

Un quadro preoccupante, nel quale si inserisce, dando il polso della situazione, lo studio scientifico, inedito, che questa sera sarà presentato nella trasmissione Piazzapulita (con collegamento in diretta da via Carlo Fornara, angolo via Puccinelli – zona Borghesiana ore 18). “A Rocca Cencia”, spiega in anteprima la dottoressa Paola Michelozzi, Direttore dell’Unità di epidemiologia ambientale del Servizio sanitario del Lazio, “vivono circa 250 mila persone. Per loro le aspettative di vita alla nascita sono di tre anni inferiori rispetto a chi nasce e vive nel centro della città. In una zona in cui le polveri sottili (Pm10) sono così tanto e così di frequente al di sopra dei limiti aumenta, e di molto, il rischio di ammalarsi di tumore. Dalle nostre rilevazioni il fattore di rischio a Rocca Cencia si aggira tra l’11 e il 21% in più. Ovvero 9 punti percentuali sopra la media”. Si muore da quelle parti. “Anche gli animali non hanno scampo”, aggiunge perentorio il giornalista Massimiliano Andreetta, autore dell’inchiesta televisiva.

Immediate le reazioni. “Sono percentuali spaventose, fanno paura solo a leggerle”, afferma Flavio Mancini del Comitato Periferie Roma Est, “colpiscono indistintamente a bambini ed adulti. Nel 2019 non può essere accettato un dato di questo genere, una realtà che inginocchia migliaia di famiglie di un quadrante periferico che già di suo presenta criticità su molti servizi primari. Non chiediamo la luna, pretendiamo di una vita dignitosa”.

Dello stesso tenore Marco Manna, presidente del Comitato: “Di chiacchiere se ne sono fatte abbastanza. È un bene riportare l’argomento al centro dell’attenzione mediatica, ma servono risposte. Noi vogliamo sapere come sarà collocato lo stabilimento AMA nel prossimo piano industriale di AMA, che, stando agli annunci, dovrebbe essere presentato in dicembre, e se la Sindaca Raggi e il Presidente Zingaretti, con gli strumenti della nuova legge regionale, hanno l’intenzione di inserire quella zona tra quelle pericolosamente a rischio ambientale, prevedendo le risorse da utilizzare per la bonifica”.

Dal Campidoglio arriva il commento della consigliera Svetlana Celli, capogruppo di RomatornaRoma, abitante proprio in quel Municipio: “A Roma l’emergenza ambientale diventa emergenza salute. La nostra terra dei fuochi esiste ed è a Rocca Cencia. Lo studio della Regione Lazio che verrà presentato stasera nella puntata di Piazza Pulita punta il dito contro lo scandalo dei roghi tossici e delle discariche abusive e incontrollate in questa zona della città. Una terra di nessuno dove si ammalano le persone e perfino gli animali, tutti dello stesso terribile male. Tanto che l’aspettativa di vita, rispetto a chi vive in zone centrali della città, è di tre anni inferiore. Le polveri sottili troppo spesso al di sopra dei limiti aumentano il rischio di ammalarsi di tumore, un rischio 9 punti percentuali sopra la media. Sulla base delle leggi regionali in materia di salute pubblica gli enti preposti è necessario che si adoperino per dichiarare questo territorio a rischio ambientale e prevedano risorse per la bonifica. La rinascita della città non può non avere queste priorità: migliorare le condizioni di vita di tutti i romani e mettere fine alle situazioni di degrado e di illegalità che minacciano la salute. Sui roghi chiedo la convocazione di una commissione Ambiente per un controllo serrato sul territorio e per ascoltare i cittadini”.




Bracciano, discarica di Cupinoro: ecco cosa succede

BRACCIANO (RM) – È concreta la fase di copertura (Capping) della discarica di Cupinoro che non è una semplice “coperta” ma un progetto definitivo che sancisce la sistemazione di tutta l’area di discarica ed è integrato all’interno di un progetto più generale di “naturalizzazione” del sito come ad esempio la risistemazione delle aree di pertinenza dell’impianto che diventa fondamentale per ripristinare un’area verde.

Questa fase che sostanzialmente reinserisce l’ex sito nell’ambiente circostante è stata spiegata nei particolari a Bracciano, nella sala Consiliare, alla presenza di numerosi cittadini e associazioni del territorio e diversi amministratori locali.

A indire l’assemblea sindaco di Bracciano Armando Tondinelli insieme all’ingegner Peppino Palumbo, Commissario ad Acta incaricato dalla Regione Lazio di assumere le attività della gestione ordinaria della discarica in località Cupinoro.

Quali sono gli obiettivi del progetto?

Il completo isolamento del corpo rifiuti dall’esterno, scaricare il gas metano sviluppatosi durante la degradazione dei rifiuti e prevenire l’infiltrazione di acqua piovana per fermare la contaminazione e la generazione di un eccesso di percolato inquinante all’interno della cella, formare un substrato idoneo alla crescita della vegetazione naturale, essere compatibile con l’ambiente circostante, rinaturalizzazione dell’area attraverso la piantumazione di essenze e pinte, la ricostruzione dei corridoi naturali per la ricucitura del tessuto agro forestale ed il libero passaggio della fauna.

Una fase importante dunque quella del Capping che il sindaco Tondinelli ha voluto condividere con la cittadinanza tutta e che seguirà in prima persona fino al completamento del progetto.




TikTok dall’app di successo al nuovo smartphone

Annunciato a gran voce come il TikTok Phone, in realtà il “Jianguo
Pro 3” (questo il nome del dispositivo) è soltanto prodotto dalla stessa
società dietro l’applicazione in testa a tutte le classifiche di download del
momento, Bytedance. Ufficializzato per il mercato cinese, il nuovo dispositivo
non dovrebbe avere molte possibilità di giungere fin da noi in Europa ed è un
peccato dato che si tratta di uno smartphone dalle caratteristiche davvero
niente male. Lo smartphone Targato TikTok arriva sul mercato con un prezzo di
ingresso tutt’altro che economico (2.899 yuan, l’equivalente di circa 410
dollari). Ovviamente fra i servizi preinstallati è presente Douyin, la versione
di TikTok destinata agli utenti cinesi: basta passare il dito sulla schermata
di blocco e immediatamente si applicano gli effetti e i filtri dell’app ai
video in memoria. Definirlo lo smartphone di TikTok è però forse improprio,
visto che proprio i portavoce di ByteDance hanno confermato come questo
dispositivo sia di fatto la continuazione dei progetti già in essere prima
dell’avvio della partnership con Smartisan, ma è certo che si tratti di un
apparecchio con caratteristiche tecniche non banali. A livello tecnico il “TikTok
Phone” si presenta con una dotazione da dispositivo di fascia alta, a
cominciare dal processore Snapdragon 855 Plus, cui fa pendant una batteria da
4.000 mAh, per finire con un comparto fotografico forte di quattro camere
posizionate sul retro (un sensore principale da 48 Megapixel, un obiettivo
ultra wide da 13 MP, un teleobiettivo da 8 MP e una camera macro da 5 MP) e un
sensore 20 megapixel per i selfie sulla parte anteriore del display, dove trova
posto anche il sensore per il riconoscimento delle impronte digitali. Il
telefonino di TikTok si troverà nei colori verde, bianco e nero, più che
probabile la sua disponibilità tramite il mercato grigio d’importazione.

F.P.L.




Facebook si rinnova e cambia il logo aziendale

Facebook si rifà il look grazie a un nuovo logo aziendale “che aiuta a fare miglior distinzione tra la società e l’app”.  Si tratta di una scritta tutta maiuscola “FACEBOOK” e sarà anche in vari colori, non solo nel classico blu. Il marchio, infatti, contraddistinguerà app come Instagram e WhatsApp, si troverà nelle pagine iniziali o nelle impostazioni, o in prodotti come i visori per la realtà virtuale “Oculus” e l’altoparlante intelligente Portal. Tale mutamento non avverrà invece nel social network, che manterrà l’attuale scritta in minuscolo nel colore blu. L’azienda non possiede solo Facebook, ma da tempo è proprietaria anche di Instagram e WhatsApp e questo sarà evidente anche dal cambio di look del logo dell’azienda annunciato in via ufficiale sul blog della società.  “FACEBOOK” a carattere tutto maiuscolo si colorerà infatti anche delle tonalità calde di Instagram e WhatsApp, “facebook” a caratteri minuscoli in bianco e blu rimarrà invece al social network. Ma la lettura di questo cambiamento va oltre quella comunicata ufficialmente. Ciò che ne emerge è una sempre maggiore interconnessione tra le tre applicazioni, già culminata con l’annuncio nello scorso aprile della volontà di creare un unico ambiente di comunicazione condiviso tra Instagram, WhatsApp e Messenger. Un disegno che si delinea sempre più come un processo di accentramento. E guardando ancora più indietro appariva già chiaro che l’addio dei due fondatori di Instagram, Kevin Systrom e Mike Krieger, fosse legato a una sempre minore indipendenza garantita al social acquisito da Facebook nel 2012. Ma prima era stata già la volta del passo indietro dei fondatori di WhatsApp, Brian Acton e Jan Koum, in disaccordo con i progetti di Mark Zuckerberg. In ogni caso, è probabile che l’azienda voglia separare chiaramente tutte le altre app da Facebook (social network), soprattutto per via delle numerose controversie che ha dovuto affrontare. In questo modo Facebook sottintende che compagnia e servizio sono due cose diverse, e le varie applicazioni – sebbene strettamente legate all’azienda – non hanno le stesse finalità del social network.

F.P.L.




Scandalo al carcere di Augusta: estromesso dall’ufficio perché sindacalista

Estromesso dall’ufficio perché sindacalista. È successo oggi al carcere di Augusta, dove un dirigente nazionale del sindacato SIPPE affiliato Sinappe, Sebastiano Bongiovanni, è stato tolto da un ufficio perché, secondo il direttore del carcere, è un sindacalista.

È un fatto senza precedenti e che esporrebbe il Direttore ad una condotta antisindacale contro la quale il sindacato intende attivare la procedura di cui all’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori. “Appena ho letto le motivazioni del provvedimento di esclusione non volevo crederci, il direttore mi accuserebbe anche di una inesistente violazione della privacy che, addirittura, è stata segnalata da alcuni sindacati ma che di fatto si è rivelata infondata”.

A dichiararlo è Sebastiano Bongiovanni destinatario di questo assurdo provvedimento che – secondo il sindacato – violerebbe i principi di libertà sindacale.

Sulla vicenda è intervenuto a favore di Bongiovanni anche il sindacato Sinappe che ha immediatamente inviato una nota al direttore de Carcere. “Non voglio credere che nel 2019 un sindacalista sia stato estromesso da un posto di lavoro perché l’unica sua colpa è quella di tutelare i diritti dei lavoratori. Non escludiamo la possibilità di azionare l’articolo 28 contro là Direttore con richiesta di risarcimento danni”. Conclude il Segretario Generale del SIPPE Carmine Olanda.




Torino, neonato colpito da Ittiosi Arlecchino: in tanti vogliono adottarlo. La solidarietà ha vinto

È scattata una gara di solidarietà per trovare una famiglia a Giovannino, il bimbo di appena quattro mesi affetto da una rarissima e al momento incurabile patologia della pelle, la Ittiosi Arlecchino, abbandonato dai genitori all’ospedale Sant’Anna di Torino. La Casa dell’Affido del Comune, insieme al Tribunale dei minori, valuterà le richieste di affido e adozione che, in queste ore, stanno arrivando da ogni parte d’Italia.

Il piccolo – come si legge oggi sul quotidiano La Stampa – è stato concepito con una fecondazione eterologa e avrebbe già superato la fase più acuta che, per quel tipo di malattia, congenita, è quasi sempre fatale già nei primi giorni di vita.
E’ ricoverato nel reparto di terapia intensiva neonatale, dove le infermiere se ne prendono cura. Ma l’ospedale sta cercando una struttura che possa prendersi carico del neonato, che necessita di assistenza continua, quando avrà superato i sei mesi di vita.

L’Ittiosi Arlecchino è così poco frequente – colpisce un neonato su un milione – da non essere neppure compresa nell’elenco delle malattie rare.




Castelli Romani, conferenza dei sindaci sulla sanità: il Noc “cresce”. Paolo Trenta è critico

Oggi, nel corso della Conferenza dei Sindaci sulla Sanità che si è svolta nella sala consiliare del Comune di Pomezia, è stata votata favorevolmente la proposta di revisione dell’Atto aziendale della Asl Roma 6.

Presenti Narciso Mostarda Direttore generale della Asl Roma 6, Mario Ronchetti Direttore sanitario della Asl Roma 6 e Tommaso Antonucci Direttore amministrativo della Asl Roma 6, il Sindaco di Pomezia e Presidente della Conferenza Adriano Zuccalà, i sindaci e i delegati dei comuni di Albano, Anzio, Ardea, Ariccia, Castelgandolfo, Ciampino, Colonna, Frascati, Genzano, Lanuvio, Lariano, Nemi, Nettuno, Marino, Monteporzio, Pomezia, Rocca di Papa, Rocca Priora, Velletri.

La revisione dell’atto aziendale sancisce le azioni messe in campo dalla Direzione aziendale in merito a un adeguamento dell’assetto organizzativo, finalizzato a un ulteriore efficientamento dell’assistenza. Le principali novità sono rappresentate dalla previsione di nuove strutture, come l’Unità di terapia neurovascolare per l’Ospedale dei Castelli, la Medicina delle migrazioni e la Medicina preventiva nelle comunità.

Tante le sollecitazioni espresse dai numerosi sindaci presenti e raccolte positivamente dal Direttore generale della Asl Roma 6, Narciso Mostarda, che ha descritto le ultime novità dell’Ospedale dei Castelli: “A meno di un anno dall’apertura della nuova struttura abbiamo raggiunto un’eccellente qualità dei processi assistenziali, anche grazie all’utilizzo di alte tecnologie strumentali, e abbiamo aumentato di 52 unità i posti letto, portandoli a 206.

Le procedure per un ulteriore reperimento del personale medico, infermieristico e di supporto per i presidi di tutta l’azienda sono in fase molto avanzata”, continua Mostarda, “e stiamo predisponendo nuove linee di attività: l’attivazione dell’Unità di terapia neurovascolare, ovvero la Stroke unit di primo livello per il trattamento dell’ictus e l’avviamento del servizio di Emodinamica.

L’ospedale sta crescendo con le dovute attenzioni. Il cronoprogramma prevede, ogni 6-9 mesi, un incremento di 50 posti letto, ciò significa che dall’apertura (13 dicembre 2018) entro 24 mesi, porteremo l’Ospedale dei Castelli ad aprire tutte le sale operatorie (attualmente 4 sono operative) e tutti i posti letto (342), aggiungendo specialità che non sono mai state presenti in azienda”.

Grandi passi avanti anche sul piano della Telemedicina: la Asl Roma 6 utilizza la piattaforma regionale “ADVICE” che garantisce la consulenza online tra medici di Pronto soccorso di ospedali diversi. Questo comporta un evidente miglioramento nel percorso di cura ed evita inutili trasferimenti tra le strutture della regione per i pazienti che non ne hanno reale necessità.

Il Direttore generale ha poi fatto il punto sugli altri ospedali dell’azienda: “Abbiamo messo a punto con i sindaci di Anzio e Nettuno, in Regione, un programma condiviso, per migliorare l’attività dell’ospedale “Riuniti” Nella programmazione degli interventi di edilizia sanitaria ci sarà uno stanziamento aggiuntivo di 1 milione e 256 mila euro per la messa a norma delle facciate e per la scala di emergenza, che porterà a oltre 5 milioni di euro gli interventi previsti sul nosocomio e verrà finanziata una nuova progettazione per l’ampliamento e il miglioramento del Pronto Soccorso. Per quanto riguarda l’Ospedale di Frascati”, ha sottolineato il DG, “precisiamo che non è in programma alcuna chiusura di reparti, né depotenziamento. Anzi, è in fieri l’introduzione di tecnologie di alta fascia e sono stati ultimati i lavori di ristrutturazione per creare ex novo un laboratorio per le emergenze, al piano terra del terzo padiglione (ex Spdc). Per quel che riguarda Velletri, sta procedendo il piano operativo elaborato con il sindaco Pocci, per potenziare alcuni servizi fondamentali della struttura sanitaria. Il completamento dell’iter amministrativo per l’acquisto della nuova Tac sta andando avanti ed è in corso una revisione progettuale per la realizzazione della camera calda e l’ampliamento del Pronto soccorso, già finanziati. La sanità della Asl Roma 6 è una rete le cui parti lavorano in sinergia, ciò significa che mai nessun investimento in una struttura verrà fatto penalizzando le altre”.

A criticare la conferenza dei sindaci sulla sanità il consigliere comunale M5S Paolo Trenta il quale ha sostanzialmente detto che l’unica priorità dell’azienda RM6 è il Noc mentre gli altri ospedali del distretto come l’ospedale Colombo di Velletri viene pian piano dimenticato