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Tutti tranquilli (si fa per dire): c’e’ Lord Conter il cavaliere che da bianco è diventato nero

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E così abbiamo un ‘nuovo governo’. Cioè, metà del governo vecchio, più un’altra armata fra vecchi PD e raccogliticci nuovi elementi eterogenei, da cui si comprende come gli sforzi del Cavaliere Nero ‘Giuseppi’ Conte lo abbiano portato a raschiare il fondo del barile. Ma non da solo. Già, il Cavaliere Nero, quello che si era presentato come Sir Galahad, il Cavaliere Bianco senza macchia e senza paura, l’avvocato degli Italiani. Ma che tale non si è dimostrato. All’inizio lo avevamo creduto un novello Cincinnato, con quella dichiarazione che aveva rilasciato al suo esordio, che diceva pressappoco così: La mia esperienza politica inizia e finisce qui. Dopo questo governo, non rimarrò in politica. Lo faccio solo per amore degli Italiani e dell’Italia. Più o meno. Il sen so era quello. Ma poi qualcosa è cambiato, facendoci capire che in politica i miracoli non esistono. Il sospetto, però che la sua condotta fosse già viziata all’inizio da alcune riserve mentali, sorge quando si da’ un’occhiata a chi è ‘Giuseppi’ Conte, il Cavaliere senza macchia e senza paura, il sir Galahad che dal bianco ha virato improvvisamente al nero più fosco. Quando si è presentato a giurare davanti a Mattarella, lo stesso (Mattarella) avrebbe potuto dirgli che poteva farne a meno, che era ancora ‘sotto giuramento’, come succede nei tribunali per i testimoni. Giurare e stragiurare fedeltà alla Repubblica – e non all’Italia – non giova alla condotta di un presidente del Consiglio: non ha semplicemente senso. Come per la campanella. Conte è succeduto a se stesso, passandola da una mano all’altra, in una ennesima comica finale che tutta questa compagine governativa rappresenta, riproponendosi alla nostra memoria come la famosa armata raccogliticcia del cavaliere Brancaleone da Norcia. Un’armata radunata in fretta e furia per evitare non già l’aumento dell’IVA, ma le elezioni che il Capo dello Stato sarebbe stato costretto ad indire, sciogliendo le camere. L’abbiamo visto, invece, il Presidente, sorridente e felice, dopo che Conte aveva sciolto la riserva nelle sue mani: una delle rare occasioni in cui ha mostrato buonumore, bisogna dire. Possiamo pensare che si sia sentito sollevato. E possiamo legittimamente pensare che il suo sollievo sia dipeso dal fatto che finalmente le comprensibili pressioni esogene che lo preoccupavano sarebbero cessate. Tutto andava nella direzione giusta. Riportano alcuni giornali che nel momento più delicato della trattativa la Merkel ha telefonato a Conte, spronandolo a fare il governo a tutti i costi ‘per fermare i sovranisti’.

Quello che irrita ogni buon cittadino italiano, alla fine, è proprio questa ingerenza nei nostri affari interni, che riporta alla mente un’altra ingerenza del genere, quella di Adolf Hitler. E sappiamo com’è andata a finire. Questo è uno dei motivi ‘fondanti’ della nuova ‘maggioranza’ solo parlamentare, ma gradita alla Merkel e ai suoi sodali. Ma in che mani siamo? Un altro motivo fondante di questo ‘nuovo’ governo voluto da Renzi (lo avevamo detto che avrebbe ricicciato dopo il suo ingresso ufficiale nel Club Bilderberg, durante l’ultima riunione, la 67esima, a Montreux, in Svizzera, dal 30 maggio al due giugno) è la grande abbuffata di poltrone che si prospetta: 140 superpoltrone da spartire, per ridisegnare la mappa del potere. E nel 2022 la nomina del Presidente della Repubblica: scommettiamo che andrà a Prodi? Mentre, come scrive un quotidiano in prima pagina, con i comunisti al potere i Vescovi stappano bottiglie di champagne e i migranti fanno festa.

Diciamo intanto che Salvini, bene o male, aveva e continua ad avere contro tutti, ma proprio tutti, compreso il papa Bergoglio, un gesuita portato al soglio pontificio dopo aver costretto alle dimissioni Benedetto XVI. Delle oscure trame del Vaticano poco o nulla sappiamo. Sappiamo però che esse sono oscure – e per il grosso pubblico incomprensibili – tanto da indurre Francesco a scegliere di non abitare nelle stanze avite di S. Pietro, ma di far capo a Santa Marta. Timore di far la fine di Giovanni Paolo Primo? Il sospetto è legittimo, guardando poi cos’è successo con il Secondo, autore di una rivoluzione epocale, che il buon Luciani evidentemente non era idoneo a provocare.

Insomma, dietro Conte si intravvede la longa manus del potere gesuita, se non papale. Sarà ormai noto ai più che ‘Giuseppi’ ha studiato in un collegio facente capo ad una fondazione tenuta dal cardinal Silvestrini, recentemente scomparso (niente male, morto un Papa se ne fa un altro, figuriamoci un cardinale).

Silvestrini è stato il più grande protettore di Conte

Pare che fosse (Silvestrini) addirittura il potere della Curia romana dietro Andreotti, il successore del cardinal Casaroli. Uno dei gesuiti che hanno brigato per portare Bergoglio dov’è adesso. E chi è oggi l’uomo più potente dopo Bergoglio? Proprio monsignor Pietro Parolin, attuale segretario di Stato del Vaticano. Quello che strillava più forte degli altri contro Salvini. E con Parolin c’è un coacervo di personaggi legatissimi a Conte, il professore più appoggiato dal Vaticano. Praticamente uno che ha lo stesso potere che aveva Andreotti. D’altronde, da Volturara Appula a Roma il passo è lungo, e se non hai chi ti aiuta non lo potrai mai compiere.

Zingaretti. Ne vogliamo parlare?

In piena crisi di uomini e vocazioni – un po’ come la chiesa Cattolica – il PD è stato costretto ad eleggerlo segretario. Ormai i DEM hanno in mano un fascio di foglie secche, un partito logorato dagli scandali – anche se sottaciuti, per lo più – distrutto da Renzi, pieno di personaggi stanchi politicamente, ormai non più in grado di esprimere nulla, per la maggior parte svogliati, disinteressati, inquisiti, condannati, processati, scaduti come lo yogurth. Zingaretti, l’uomo del nulla, s’è mostrato subito svogliato, incredulo, inadeguato. Secondo lui questo matrimonio non sarebbe stato da fare, e la sua posizione iniziale lo dimostrava. Ancor più quando Di Maio ha portato a venti, tassativi ed irrinunciabili, i dieci punti iniziali. Si sarà sentito un poveraccio lo Zinga con i suoi soli cinque punti.

L’accordo ha sfiorato il fallimento

Ma dietro le quinte c’era chi ha brigato per forzare la mano ai Cinquestelle. Nell’ordine, Renzi, Prodi, Merkel, l’Unione Europea, cioè il club Bilderberg. Il Cavaliere Nero ha fatto il resto. Una volta nei piccoli paesi delle nostre provincie, specialmente nel meridione, esisteva la figura del sensale, quello che presiedeva al mercato del bestiame, aiutando compratori e venditori, e con lo stesso savoir faire organizzava i matrimoni. Senza che una famiglia o l’altra dovessero compromettersi, rischiando la faccia con un rifiuto, si occupavano di portare da una famiglia all’altra le proposte e le condizioni per unire due giovani – che in pratica s’erano solo visti per strada, o a messa, ma che non avevano mai neanche scambiata una parola – e combinare il matrimonio. Si chiamavano – absit iniuria – ‘ruffiani’. In senso buono, naturalmente. Ma certamente Zingaretti e Di Maio non sarebbero convolati ad ingiuste nozze senza l’opera di mediazione di Giuseppe Conte. Il segretario del PD avrà tirato un sospiro di sollievo, accorgendosi che c’era qualcuno molto più capace di lui che gli toglieva le castagne dal fuoco. Di Maio avrà benevolmente accolto l’intervento tanto invocato del Cavaliere Nero, accorgendosi troppo tardi della fregatura. Infatti, il più del tempo lui dovrà pensare non ai suoi venti punti cinquestellati per ridare diritti ai cittadini, ma soltanto delle questioni che riguardano l’Italia all’estero. Così se lo sono tolto dai piedi. Ai bambini si dice d’andar fuori a giocare, di solito, quando danno fastidio. In più dovrà anche imparare almeno l’inglese, e speriamo che i risultati siano migliori di quelli di don Matteo Renzi con il suo inglese ‘creativo’. Spicca in tutto questo la mancanza di spessore di Zingaretti, (a proposito lui, l’inglese, lo conosce?) il quale dall’inizio s’è messo in bocca due o tre slogan che andava ripetendo continuamente, in ogni occasione, ricordando il ragazzino di Miseria e Nobiltà, a cui avevano detto di ripetere, a chiunque lo avesse interrogato, la stessa frase, cioè “Vincenzo m’è padre a me.” Così Zingaretti a tutti ripeteva che “E’ finito il governo dell’odio (l’unico odio è stato quello dei Piddini contro Salvini), abbiamo un governo di svolta per salvare l’Italia (attenti alle svolte, non sai cosa c’è dietro l’angolo. Quanto poi a salvare l’Italia, già ci hanno pensato gli Americani nel 44, dopo Garibaldi. E non credo che ci trovassimo in quella condizione).” Quanto poi alla ‘discontinuità’ che lui invocava, intendendo un ‘governo nuovo’, in realtà il governo è nato vecchio. Solo alcuni elementi sono nuovi. Non si capisce bene perché si vada a caccia del nuovo quando il vecchio alla fine funzionava, ed è stato interrotto non da Salvini, ma da quella frangia di 5stelle che ha votato per Ursula Von Der Leyen alla Commissione europea.

Quattordici voti fuori dagli accordi che hanno permesso l’elezione della Von Der Leyen (per appena nove voti) e dato un taglio netto al governo gialloverde, separando appunto il giallo dal verde. In pratica, il governo era già defunto quando Conte, in Senato, gli ha dato il colpo di grazia, dicendo che se nessuno aveva il coraggio di farlo, la parola fine l’avrebbe messa lui, andando ipso facto dal Presidente della Repubblica. Zingaretti si è sentito in dovere di rassicurare gli elettori promettendo il ‘nuovo’, ma il nuovo non sempre è meglio del vecchio, specie quando rispecchia una maggioranza solo parlamentare. (L’ingresso di LEU nell’esecutivo rispecchia proprio l’esigenza di ottenere i ‘numeri’ al Senato). L’unica novità sarà quella di smontare ciò che di buono aveva fatto Salvini: si riapriranno i porti, (ritornando ai morti in mare, a favorire gli scafisti e i mercanti di uomini, ridando vigore alle associazioni che lucrano sui migranti, riempiendo le nostre strade di disperati o di delinquenti senza dimora, pericolosi per il cittadino medio), si abrogheranno i decreti sicurezza, si imporrà una tassa sui patrimoni, eccetera eccetera. Nel nome della novità a tutti i costi, con lo spauracchio di un aumento dell’IVA che, a quanto pare sarebbe assorbita in sede di produzione e non peserebbe sui consumatori, in realtà per distruggere ciò che gli Italiani, la maggior parte, hanno visto con favore. Magari anche in materia di legittima difesa, ritornare a quella leggina – l’art 52 CP – che non tutela le persone per bene. L’Italia non ha mai negato la salvezza in mare. Ma una cosa è raccogliere in mare ottanta, cento disperati su di un gommone lasciato apposta lì perché affondi, un’altra è portarli sempre tutti in Italia, trasformandola in un immenso campo profughi. E qui ci sarebbe da dire tanto. In ogni caso, lo Zinga, compiuta la sua missione impossibile, ha deciso di tornarsene al palazzo della Regione, dove lui è qualcuno, rinunciando ad una vita politica senza certezze, visto come i governi vanno e vengono. Probabilmente anche suggestionato da tutte le fonti d’informazione che danno a questo governo vita breve. Meglio stare alla Regione, dove potrà comodamente continuare a raccogliere il frutto delle proprie fatiche, magari commissariando ancora i Comuni per costringerli, nonostante un referendum popolare plebiscitario abbia sancito che l’acqua è un bene comune, e non va privatizzata, ad accettare l’amministrazione della società Talete, che pare abbia grossi problemi di contabilità da recuperare sugli utenti, per cui l’attuale bolletta idrica di noi cittadini con Talete sarebbe quintuplicata, e di questo testimoniano tutti coloro che da anni pagano l’acqua alla Società Talete. Non sappiamo per far bene a chi, dato che da sempre l’acqua è stata fornita ai cittadini dal proprio Comune. Ma tant’è: a questo governo l’Europa ha già aperto le braccia e le gambe, lasciando intendere che da oggi in poi gli sforamenti e le flessibilità saranno più che possibili, addirittura graditi, anzi a controllare questi fattori economici ci vedrebbero bene proprio un italiano, magari quel Gentiloni che con il suo stile inglesizzante vanta anche qualche quarto di nobiltà. Paolo Gentiloni Silveri, dei Conti Gentiloni Silveri, signori di Filottrano, Cingoli, Macerata e Tolentino, laurea in Scienze Politiche alla Sapienza, dal 1990 giornalista professionista. Un uomo grigio, grigio nei capelli, grigio negli abiti di sartoria, grigio nei comportamenti: tanto, come diceva il maggiordomo dai guanti grigi accarezzando il lato B della sua padrona “Signora – alle sue rimostranze – il grigio va su tutto”. Insomma, da oggi ogni problema è risolto, i media non fanno altro che adottare toni trionfalistici per ogni minimo rumore politico, cantiamo Alleluia, l’Italia è finalmente salva, giusto sul ciglio del burrone, ma grazie a Dio è arrivato il favoloso Settimo Cavalleggeri; avviata così ora verso un sicuro futuro di crescita e di benessere, con lo spread ai minimi storici e il debito pubblico avviato all’annientamento.

Mattarella chiede ufficialmente ‘Un ruolo di primo piano nella UE’, ciò che non s’era mai sognato di fare col governo gialloverde: ma sarà ‘super partes’?

I Dem hanno i loro ai posti di combattimento, (hanno già incominciato a tirar calci ai grillini), anche se qualche curriculum rimane basso, ma proprio basso – come lo Zinga, con il suo diploma di odontotecnico che immaginiamo in cornice, appeso dietro alla poltrona della scrivania del suo studio privato, come di prassi. O qualcun altro/a che vanta la terza media, e di cui neanche Wikipedia riporta la biografia: ma che volete, quando si va al Sindacato non ti chiedono di più. E comunque è vietato criticarlo/a, soprattutto per il suo abbigliamento ‘creativo’.
Su tutti svetta il Cavaliere Nero, novello Brancaleone da Norcia, divenuto avvocato dei migranti – dei quali non contrasterà più l’accoglienza, ma la caldeggerà – che con il curriculum lungo due braccia sopperisce ad ogni mancanza. Mala tempora currunt.

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Editoriali

Giornalismo, giornalettismo e giornalaismo: urge un fronte comune per arginare l’informazione pilotata

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Occorre tornare a suscitare opinione seriamente, a rimettere al centro le competenze e a spegnere e ignorare qualsiasi sensazionalismo

C’è l’urgenza e la necessità di fare fronte comune tra giornalisti seri e professionisti che credono nella deontologia professionale e dedicano il loro tempo agli approfondimenti e indagini per garantire il diritto all’informazione contro una malainformazione sempre più faziosa e sciatta.

Le trasmissioni tv “strillate” e costruite artatamente per portare avanti una propaganda o gogna mediatica contro il nemico di turno, i siti (soprattutto i locali territoriali) che si dedicano esclusivamente al copia e incolla al servizio del “padrone” di turno, i giornali pilotati dalla politica, la continua corsa spasmodica a caccia dello scoop stanno minando irreversibilmente una professione che va rimessa al centro con serietà e rigore prima che i lettori si ritrovino in una rete di pubblicità malsane e informazioni costruite che non rappresentano la realtà e non ricercano la verità sostanziale dei fatti.

Occorre tornare a suscitare opinione seriamente, a rimettere al centro le competenze e a spegnere e ignorare qualsiasi sensazionalismo. Ma vediamo di cosa stiamo parlando.

Nel panorama mediatico contemporaneo, la distinzione tra giornalismo, giornalettismo e giornalaismo diviene sempre più rilevante e complessa. Questi tre termini, pur avendo radici comuni, delineano sfaccettature diverse dell’informazione e della comunicazione, ognuna con le proprie caratteristiche e implicazioni.

Il giornalismo

Il giornalismo, nella sua forma più tradizionale, rappresenta l’attività professionale volta alla raccolta, alla verifica e alla diffusione di notizie attraverso mezzi di comunicazione di massa. Il giornalista, in questo contesto, opera secondo principi etici e professionali consolidati, come l’obiettività, l’imparzialità e l’accuratezza nella ricerca e nella presentazione delle informazioni. Il giornalismo tradizionale si basa su fonti verificate, ricerca approfondita e rispetto dei codici deontologici.

Il giornalismo è un pilastro fondamentale della democrazia e svolge un ruolo essenziale nel fornire informazioni accurate, analisi approfondite e dibattito pubblico. Questa professione si basa su principi etici e standard professionali volti a garantire l’obiettività, l’equilibrio e l’accuratezza nell’informare il pubblico.

Uno degli elementi chiave del giornalismo è la ricerca delle notizie. I giornalisti conducono indagini, intervistano fonti e raccolgono dati per fornire un quadro completo degli eventi e dei problemi che interessano la società. Questo processo richiede abilità come la capacità di ricerca, la curiosità intellettuale e la capacità di analizzare criticamente le informazioni.

Una volta raccolte le informazioni, i giornalisti devono verificarle accuratamente per assicurarsi che siano affidabili e veritiere. Questo processo di verifica coinvolge la conferma delle fonti, il controllo incrociato dei fatti e la ricerca di testimonianze multiple per confermare o confutare una storia. L’obiettivo è garantire che le informazioni fornite al pubblico siano il più possibile accurate e verificabili.

Oltre alla raccolta e alla verifica delle notizie, il giornalismo comprende anche la capacità di analizzare e interpretare gli eventi. I giornalisti forniscono contesto, prospettive e approfondimenti su questioni complesse, aiutando il pubblico a comprendere meglio il mondo che li circonda. Questo può includere reportage investigativi, reportage specializzati su argomenti come politica, economia, scienza e cultura, nonché l’analisi critica di eventi e tendenze.

Un altro aspetto cruciale del giornalismo è l’etica. I giornalisti devono operare secondo standard etici elevati, come l’onestà, l’integrità e il rispetto per la dignità umana. Questi principi guidano le decisioni editoriali, la gestione delle fonti e la presentazione delle notizie, contribuendo a mantenere la fiducia del pubblico nella professione giornalistica.

In un’epoca caratterizzata da rapidi cambiamenti tecnologici e culturali, il giornalismo si sta evolvendo per adattarsi a nuove sfide e opportunità. Le piattaforme digitali e i social media hanno rivoluzionato il modo in cui le notizie vengono create, diffuse e consumate, portando a nuove forme di giornalismo online, giornalismo partecipativo e giornalismo cittadino. Tuttavia, questi sviluppi presentano anche sfide come la diffusione di notizie false e la diminuzione delle entrate pubblicitarie per le organizzazioni giornalistiche tradizionali.

Il giornalismo copia e incolla

Esiste poi una forma di “giornalismo copia e incolla” consistente nella pratica giornalistica in cui i giornalisti o gli operatori dei media riproducono testi, informazioni o articoli da altre fonti senza apportare modifiche significative o senza verificarne l’attendibilità. Questa pratica può essere considerata una forma di plagio o una violazione dell’etica giornalistica, poiché non fornisce un valore aggiunto al pubblico e può diffondere informazioni errate o non verificate.

Il copia e incolla può avvenire per una serie di motivi, tra cui la mancanza di tempo o di risorse per condurre ricerche originali, la pressione per pubblicare rapidamente nuove notizie o la mancanza di rigore editoriale nel verificare le fonti e le informazioni. Tuttavia, questa pratica compromette l’integrità e la credibilità del giornalismo, minando la fiducia del pubblico nelle organizzazioni giornalistiche e nell’informazione in generale.

Per contrastare il giornalismo copia e incolla, è essenziale promuovere la responsabilità editoriale e l’etica giornalistica. I giornalisti devono essere incoraggiati a condurre ricerche originali, a verificare accuratamente le fonti e a fornire contesto e analisi alle notizie, anziché limitarsi a riprodurre informazioni senza critica. Le redazioni giornalistiche devono anche impegnarsi a stabilire procedure e standard rigorosi per garantire che le notizie pubblicate siano accurate, verificate e originali.

Nonostante le sfide, il giornalismo rimane un elemento essenziale della società democratica, svolgendo un ruolo critico nel garantire la trasparenza, la responsabilità e il dibattito pubblico. In un’epoca di crescente polarizzazione e disinformazione, il giornalismo di qualità è più importante che mai per garantire la salute e la vitalità della democrazia.

Il giornalettismo

Il giornalettismo è un termine utilizzato per descrivere una pratica giornalistica che si distingue per la sua superficialità, sensazionalismo e mancanza di rigore etico e professionale. Questo fenomeno si manifesta spesso attraverso la semplificazione e la drammatizzazione delle notizie, con un’enfasi sullo scandalo, sull’intrattenimento e sulla creazione di sensazioni forti piuttosto che sull’accuratezza e sulla completezza dell’informazione. Questa forma di comunicazione mediatica può essere spinta da interessi commerciali, politici o ideologici, sacrificando la completezza e l’accuratezza delle informazioni a favore dell’attrazione di pubblico e della generazione di click e visualizzazioni.

Una delle caratteristiche distintive del giornalettismo è il suo focus sulle notizie più spettacolari o sensazionali, a volte a discapito di questioni più rilevanti o complesse. Questo approccio può portare a una distorta percezione della realtà, in cui eventi minori o isolati vengono sovradimensionati mentre questioni cruciali vengono trascurate.

Il giornalettismo è spesso associato a una certa forma di giornalismo popolare, che cerca di attirare l’attenzione del pubblico attraverso titoli accattivanti, foto suggestive e articoli sensazionalistici. Questo tipo di giornalismo tende a privilegiare il lato emotivo delle storie piuttosto che la loro sostanza, incoraggiando una cultura di consumo veloce delle notizie piuttosto che una riflessione critica e approfondita.

Una conseguenza del giornalettismo è la perdita di fiducia nel giornalismo come istituzione e nel ruolo dei media come custodi dell’informazione pubblica. Quando le persone sono bombardate da notizie sensazionalistiche e spettacolari, possono diventare scettiche riguardo alla veridicità e all’attendibilità delle informazioni, alimentando la diffidenza nei confronti dei media e delle istituzioni democratiche in generale.

Il giornalettismo può anche avere implicazioni negative per il dibattito pubblico e il funzionamento della democrazia. Quando le notizie sono presentate in modo distorto o sensazionalistico, possono influenzare le opinioni e i comportamenti delle persone, portando a decisioni politiche o sociali basate su informazioni errate o parziali.

Per contrastare il giornalettismo e promuovere un giornalismo di qualità, è fondamentale sostenere e difendere il rispetto per i principi etici e professionali del giornalismo, come l’obiettività, l’imparzialità e l’accuratezza. Inoltre, i consumatori di notizie possono contribuire a contrastare il giornalettismo cercando fonti informative affidabili, valutando criticamente le notizie e cercando una varietà di punti di vista su un dato argomento.

Il giornalaismo

Infine, il giornalaismo rappresenta una nuova forma di produzione e diffusione di notizie che emerge dall’era digitale e dei social media. Caratterizzato dalla decentralizzazione della produzione e della distribuzione dell’informazione, il giornalaismo si basa spesso su fonti non tradizionali, come i social network, i blog e i forum online. Se da un lato questa democratizzazione dell’informazione ha contribuito a una maggiore diversità di voci e punti di vista, dall’altro ha anche sollevato preoccupazioni riguardo alla veridicità e all’affidabilità delle fonti, dato che spesso mancano i controlli e le verifiche tipiche del giornalismo tradizionale.

Il termine “giornalaismo” potrebbe essere una creazione linguistica che si riferisce a un’evoluzione o a una variante specifica del giornalismo, magari connotata da caratteristiche distintive rispetto alla pratica tradizionale del giornalismo.

Tuttavia, se intendiamo trattare questo termine come una fusione tra “giornalismo” e “alaismo”, potrebbe essere interessante esplorare come l’alaismo, in politica, si riferisce a un’ideologia o un movimento che cerca di seguire la dottrina o le politiche di un leader carismatico, adattandole o interpretandole a seconda delle circostanze o delle necessità del momento.

Quindi, se applichiamo questa concezione al giornalismo, potremmo ipotizzare che il “giornalaismo” sia una pratica giornalistica che segue o promuove le idee, le politiche o l’agenda di un individuo, di un gruppo o di un’ideologia specifica, piuttosto che aderire ai principi tradizionali di obiettività, imparzialità e verifica delle fonti.

In un contesto simile, il giornalaismo potrebbe essere caratterizzato da una marcata parzialità, sensazionalismo e mancanza di rigore nel fornire informazioni. Questo tipo di giornalismo potrebbe essere utilizzato per promuovere un’agenda politica o ideologica specifica, manipolando o distorcendo le informazioni per adattarle a una narrativa predefinita.

È importante sottolineare che, sebbene questa interpretazione del termine “giornalaismo” possa avere delle implicazioni negative, non rappresenta l’intera gamma di pratiche giornalistiche. Il giornalismo etico e professionale rimane fondamentale per garantire l’informazione accurata e la salvaguardia della democrazia.

La diffusione dei social media e delle piattaforme online ha inoltre alimentato la proliferazione di fenomeni quali le fake news, l’echo chamber e la polarizzazione dell’opinione pubblica. Questi sviluppi pongono nuove sfide per il giornalismo, che deve adattarsi a un ambiente mediatico sempre più frammentato e competitivo, senza compromettere l’integrità e l’attendibilità dell’informazione.

In conclusione, il giornalismo, il giornalettismo e il giornalaismo rappresentano tre approcci diversi alla comunicazione mediatica, ciascuno con le proprie caratteristiche e implicazioni. Mentre il giornalismo tradizionale cerca di garantire l’accuratezza e l’obiettività delle informazioni, il giornalettismo e il giornalaismo possono privilegiare sensazionalismo e semplificazione a scapito della qualità dell’informazione.

In un’era in cui la tecnologia e i social media hanno rivoluzionato il modo in cui consumiamo e produciamo notizie, è essenziale riflettere sulle implicazioni di questi cambiamenti per il futuro del giornalismo e della democrazia.

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Editoriali

Da Giorgio Almirante a Giorgia Meloni: 80 anni di percorso tra continuità e cambiamenti della destra italiana

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La politica italiana ha sempre ospitato una serie di correnti e movimenti, con la destra che ha attraversato varie fasi e trasformazioni nel corso del tempo. Da Giorgio Almirante, fondatore del Movimento Sociale Italiano (MSI), a Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia (FdI), la destra italiana ha attraversato un percorso complesso, caratterizzato da cambiamenti ideologici, sociali e politici.

L’eredità di Giorgio Almirante e il Movimento Sociale Italiano (MSI)

Giorgio Almirante è stato una figura di spicco della destra italiana nel secondo dopoguerra. Come fondatore e leader del MSI, Almirante incarnava un nazionalismo conservatore e anti-comunista. Il MSI, nato nel 1946, era erede del Partito Fascista di Benito Mussolini e rappresentava un’ala estrema della politica italiana. Tuttavia, negli anni ’70 e ’80, sotto la guida di Almirante, il MSI cercò di rinnovare la sua immagine, cercando di allontanarsi dall’etichetta di “fascista” e di inserirsi nel panorama politico mainstream.

Il passaggio dall’MSI a Alleanza Nazionale

Negli anni ’90, con la fine della guerra fredda e il crollo del comunismo, la destra italiana subì un cambiamento significativo. Nel 1995, il MSI si trasformò in Alleanza Nazionale (AN), sotto la leadership di Gianfranco Fini. Fini cercò di allontanare il partito dagli elementi più estremisti e fascisti, adottando una retorica più moderata e democratica. AN divenne parte integrante del sistema politico italiano, entrando a far parte di coalizioni di governo e accettando i principi della democrazia pluralista.

La rinascita della destra con Fratelli d’Italia

Tuttavia, il vento della destra italiana ha continuato a soffiare, e nel 2012 è stato fondato Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale (Fdl-AN), guidato da Giorgia Meloni, Gianni Alemanno e Ignazio La Russa. Il partito si è posizionato come l’erede ideologico dell’AN e ha abbracciato un nazionalismo conservatore e identitario. Meloni, in particolare, ha portato una ventata di freschezza alla destra italiana, attrattiva soprattutto per i giovani e per coloro che si sentono trascurati dalle élite politiche tradizionali.

L’ascesa di Giorgia Meloni e la nuova destra italiana

Giorgia Meloni, nata nel 1977, rappresenta una nuova generazione di leader della destra italiana. Con una retorica forte e decisa, Meloni ha saputo capitalizzare sul malcontento verso l’establishment politico e sulle preoccupazioni riguardanti l’immigrazione, la sicurezza e l’identità nazionale. Fratelli d’Italia ha ottenuto risultati significativi nelle elezioni politiche, consolidando la sua posizione come uno dei principali partiti di destra in Italia.

La destra italiana nel contesto europeo

Il percorso della destra italiana, da Almirante a Meloni, riflette anche le tendenze più ampie all’interno della destra europea. La crescente preoccupazione per l’immigrazione, l’identità nazionale e la sovranità statale ha alimentato la salita di partiti di destra in molti paesi europei. Tuttavia, ciascun paese ha le sue specificità e la sua storia politica unica, che influenzano il modo in cui la destra si presenta e agisce.

La Frammentazione della Destra Italiana: Un’Analisi Politica

La politica italiana è stata da sempre caratterizzata da una molteplicità di partiti e movimenti, ognuno con la propria ideologia e visione politica. Tra questi, la destra italiana non è stata immune dalla frammentazione, che ha avuto un impatto significativo sul paesaggio politico del Paese.

Origini della Frammentazione

Per comprendere appieno la frammentazione della destra italiana, è necessario analizzare le sue origini. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia ha visto la nascita di una serie di partiti politici di destra, che spaziavano dall’estrema destra nazionalista a movimenti conservatori più moderati.

Tuttavia, nel corso degli anni, la destra italiana ha subito numerose scissioni e divisioni interne, spesso dovute a conflitti personali, divergenze ideologiche e lotte di potere. Questi fattori hanno contribuito alla creazione di una serie di partiti e movimenti di destra, ognuno con il proprio leader carismatico e seguaci devoti.

Le Principali Fazioni

La frammentazione della destra italiana ha portato alla creazione di diverse fazioni e gruppi politici, ciascuno con le proprie caratteristiche e obiettivi. Tra i principali vi sono:

  1. Forza Italia: Fondato da Silvio Berlusconi nel 1994, Forza Italia è stato uno dei principali partiti di centro-destra in Italia per diversi decenni. Tuttavia, nel corso degli anni, il partito ha subito diverse scissioni e ha visto la nascita di nuove formazioni politiche.
  2. Lega Nord: Originariamente un movimento separatista del Nord Italia, la Lega Nord si è trasformata in un partito nazionale di destra sotto la leadership di Matteo Salvini. La Lega Nord è nota per le sue posizioni anti-immigrazione e euroscettiche.
  3. Fratelli d’Italia: Un partito di destra nazionalista fondato da Giorgia Meloni nel 2012, Fratelli d’Italia è diventato uno dei principali attori della destra italiana. Il partito si basa su un nazionalismo conservatore.
  4. Movimento Sociale Italiano (MSI): Originariamente un partito neofascista fondato nel dopoguerra, il MSI è stato successivamente trasformato in Alleanza Nazionale e infine assorbito da Forza Italia. Tuttavia, una parte dei suoi ex membri ha continuato a operare all’interno di movimenti di estrema destra.

Impatto sulla Politica Italiana

La frammentazione della destra italiana ha avuto un impatto significativo sulla politica del Paese. Innanzitutto, ha reso difficile per la destra italiana presentare un fronte unito e coeso, spesso conducendo a coalizioni fragili e instabili.

Inoltre, la frammentazione ha alimentato la polarizzazione politica in Italia, con i vari partiti di destra che competono per attirare l’elettorato con discorsi populisti e promesse di cambiamento. Questo ha contribuito a una maggiore instabilità politica e ha reso difficile per il Paese affrontare le sfide economiche, sociali e ambientali.

Prospettive Future

Il futuro della destra italiana rimane incerto, con molte domande sulla sua capacità di unirsi e presentare un fronte coeso. Tuttavia, con l’aumento del nazionalismo e del populismo in Europa, è probabile che la destra italiana continui a giocare un ruolo significativo nella politica del Paese. In conclusione, la frammentazione della destra italiana è stata una caratteristica persistente della politica italiana, con profonde implicazioni per il Paese nel suo complesso. Mentre la politica italiana continua a evolversi, sarà interessante osservare come la destra italiana si adatterà e influenzerà il futuro del Paese.

Conclusioni

Il percorso della destra italiana da Giorgio Almirante a Giorgia Meloni è stato caratterizzato da continuità e cambiamento. Mentre alcuni principi fondamentali, come il nazionalismo e il conservatorismo, sono rimasti costanti, il modo in cui questi principi sono stati interpretati e presentati è cambiato nel corso degli anni. Con Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, la destra italiana si trova oggi in una fase di rinnovato vigore e ambizione, giocando un ruolo sempre più centrale nel panorama politico nazionale.

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Costume e Società

Famiglie allargate si o no?

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Le ricerche sociologiche, oggi, vedono un forte cambiamento nell’assetto familiare. Tale condizione ha origine sia da un mutamento nel concetto di genitorialità che nel ruolo della famiglia all’interno della società: cambiano le persone, si modificano le strutture familiari, mutano le coppie, si spostano gli interessi di ogni singolo individuo, passando dalla condivisione all’individualizzazione.

Molti aspetti legati alla natura psicologica del singolo soggetto subiscono un cambio repentino: si pensa più a sé stessi che agli altri. In questo scenario, siamo di fronte a molte trasformazioni che vanno ad incidere, inevitabilmente, sulla composizione della famiglia stessa.

Quello che cambia oggi rispetto a circa 50 anni fa è legato alle cause della nascita delle nuove famiglie “allargate”, “ricomposte” o “ricostituite. Mentre un tempo le famiglie ricostituite si formavano dopo la morte di un coniuge, dagli anni ‘70, invece, con la possibilità anche in Italia di ricorrere a separazione e divorzio, si sono verificati cambiamenti sociali e culturali che hanno portato ad una nuova struttura di queste famiglie.

Le famiglie “allargate”, ovvero le famiglie composte da due partners che hanno vissuto l’esperienza della fine di un precedente matrimonio, da cui almeno uno ha avuto figli che attualmente vivono con loro, hanno la caratteristica di avere confini più labili e incerti rispetto alla famiglia “tradizionale”, sia in termini biologici che legali. I processi relazionali sono sicuramente più complessi, sia nella comprensione che nella gestione, sono flessibili e hanno un inizio e un’evoluzione molto rapida.

Le famiglie ricostituite sono state definite “cespugli genealogici”, per la loro ampia estensione orizzontale anziché verticale. Mentre alcuni studiosi non appoggiano totalmente questi cambiamenti, altri fanno fronte alle nuove forme familiari che non possono essere ignorate, ma devono essere comprese e sostenute.

Le famiglie ricostituite vivono la crisi di chi, con storie diverse e diversi modi di affrontare i problemi, deve trovare dei compromessi per affrontare insieme nuove situazioni.
Gli studi affermano che i precedenti rapporti coniugali e la loro chiusura siano stati rielaborati, con una buona definizione delle attuali relazioni e con confini chiari, in modo che i partner possano iniziare un nuovo rapporto senza rancori passati. È importante che i figli non abbiano un atteggiamento oppositivo verso il nuovo partner, sperando in una riappacificazione tra i suoi genitori. Questo sarà direttamente proporzionale ai livelli di chiarezza e definizione raggiunti.

L’età dei figli è importante: i bambini in età prescolare potrebbero manifestare regressioni, nascondendo il desiderio di farsi accudire. Per i ragazzi la necessità di conferme da parte del genitore biologico potrebbe invece lasciare il posto alla rabbia verso il genitore acquisito, soprattutto nella fase adolescenziale, all’interno della quale avviene il processo di costruzione della loro identità e questo totale mutamento potrebbe essere percepito come un ostacolo.
In questa fase, per i figli, il formarsi di una famiglia allargata, sancisce definitivamente la fine della relazione tra i genitori biologici, e spesso questo può portare alla paura inconscia che affezionandosi al genitore acquisito, in qualche modo si “tradisca” quello biologico. La causa che ne consegue è che ciò potrebbe portare i figli ad allearsi con quest’ultimo e sviluppare un senso di protezione morboso.

In ogni caso la genitorialità è ancora più difficile poiché i genitori dovranno imparare a gestire eventuali conflitti e gelosie tra i fratelli acquisiti. Nelle famiglie allargate è opportuno costruire nuove identità familiari, nuove stabilità ed equilibri.
A tale proposito, non si può dare una risposta definitiva alla domanda “Le famiglie allargate sì o no?”, poiché essendo in continua espansione necessitano di sostegno e di supporto. Sicuramente nelle famiglie ricostituite possono innescarsi situazioni particolari, ma dare una “valutazione” negativa o positiva non è certo il modo migliore per andare verso un processo di accettazione.

Di concerto, le famiglie ricostituite possono racchiudere al loro interno grandi risorse ed elementi di ricchezza per tutti i componenti, i quali si troveranno a contatto con abitudini, tradizioni, modelli e storie diverse dalle proprie.

Tutto questo, se integrato con nuovi “ingredienti” e abitudini comuni diviene un elemento fondamentale per la crescita e il benessere di tutti, portando alla costruzione di nuovi equilibri.

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