Macerata, Mastropietro e Traini: quali sono i fili conduttori che incrociano i due casi?

MACERATA – La città di Macerata si è nuovamente svegliata sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori e l’assedio di giornalisti e telecamere a seguito della tentata strage accaduta ieri, 3 febbraio, per mano del 28enne Luca Traini. L’uomo si trova adesso nel carcere di Montacuto, accusato di aver tentato una strage di stampo razzista poiché ha  ferito a colpi d’arma da fuoco sei stranieri. Una strage avvenuta a pochi giorni dal macabro rinvenimento dei resti della giovane Pamela Mastropietro, 18enne romana uccisa, fatta a pezzi e occultata all’interno di due trolley abbandonati nelle campagne del Maceratese: è possibile che vi sia un filo conduttore, anche flebile, tra le due vicende?

Sembrerebbe infatti che la morte di Pamela Mastropietro sarebbe il fulcro della tentata strage

Luca Traini avrebbe raccontato agli inquirenti: “ero in auto e stavo andando in palestra quando ho sentito per l’ennesima volta alla radio la storia di Pamela. Sono tornato indietro ho aperto la cassaforte e ho preso la pistola”. Dalle indagini non è emerso nessun collegamento tra Luca Traini e Pamela Mastropietro, dagli accertamenti è stato appurato che i due non si conoscevano. La famiglia di Pamela ha precisato “non aveva mai conosciuto Traini”. Il 28enne adesso si trova rinchiuso nel carcere di Montecuto, stessa struttura in cui è rinchiuso il nigeriano Innocent Oseghale, presunto assassino della 18enne. Due vicende geograficamente vicine, accomunate dalla stessa brutalità ed efferatezza ingiustificata, ma al contempo così lontane sotto il profilo criminologico.

Quali sono i fili conduttori che incrociano i due casi?

Al di là dell’ideologia politica supportata da Traini, quali possono essere le ragioni che lo hanno indotto a compiere un gesto così folle? Interrogativi che troveranno certamente risposta nelle indagini in corso in mano agli inquirenti.

Proseguono senza sosta, e in parallelo, le indagini sulla morte di Pamela Mastropietro

Il gip ha convalidato l’arresto di Innocent Oseghale, accusato di omicidio, vilipendio e occultamento di cadavere. E’ stata disposta la custodia in carcere, l’uomo si è avvalso della facoltà di non rispondere. Numerosi gli indizi a suo carico del 29enne nigeriano con alle spalle precedenti per droga: in Via Spalato, dove viveva da solo, sono stati rinvenuti i vestiti di Pamela sporchi di sangue e tracce sul balcone, si apprende inoltre che due testimoni lo avrebbero visto con la ragazza e successivamente con i due trolley.

E’ stato inoltre trovato lo scontrino di una farmacia, dove la vittima aveva comprato una siringa

Gli investigatori ritengono che probabilmente la giovane sia morta, proprio in quella casa, per overdose o uccisa. Si ritiene inoltre, che il suo corpo sia stato sezionato con strumenti meccanici o da taglio ma non elettrici, dato che nessuno avrebbe sentito rumori. Ma se il corpo fosse stato sezionato altrove? Sono soltanto ipotesi, certo, ma non bisogna escludere nulla. Numerosi sono gli interrogativi che si pongono gli inquirenti: come è avvenuto l’incontro tra la vittima e il carnefice e perché? Ci sono dei complici? Ma è possibile che tanta ferocia, brutalità e accuratezza nel sezionare il corpo e occultarlo sia opera di una sola persona? E’ possibile che vi possano essere altre persone coinvolte? Innocent nega di essere coinvolto nell’omicidio e dice “non l’ho uccisa io”, coinvolgendo altre persone che, sentite dagli inquirenti, risultano estranee ai fatti. L’uomo è un richiedente asilo con carta di soggiorno scaduta nel 2017, ha una figlia e una compagna ma non vivono con lui. All’interno del suo appartamento sono stati trovati 70 grammi di Hashish, ma non è stata trovata eroina. Come mai Pamela aveva una siringa? E se l’eroina non ce l’aveva Innocent, chi gliela doveva procurare? Forse qualcuno nel giro della droga conosce dettagli ulteriori sulla morte della giovane e preferisce tacere onde evitare ritorsioni? Dalle indagini è stato appurato che Oseghale ha chiesto ad un conoscente di accompagnarlo in campagna per abbandonare i due trolley. Il giorno dopo, a seguito del macabro ritrovamento, l’accompagnatore avrebbe ben compreso quanto accaduto.

L’uomo nega di essere coinvolto nell’omicidio della giovane e avrebbe fatto i nomi di altre due persone estranee ai fatti

Ma è possibile che tanta ferocia, brutalità e accuratezza nel sezionare il corpo e occultarlo sia opera di una sola persona? E’ possibile che vi possano essere altre persone coinvolte? Tutto è possibile, gli inquirenti non escludono che possano emergere coinvolgimenti di terze persone, le indagini, quindi, sono ancora in corso. Pamela Mastropietro era ospite dal mese di ottobre presso la comunità di recupero “Pars”, dove stava lottando con la sua dipendenza dalle droghe. “Tutto passa” scriveva in calce sul suo profilo facebook, un messaggio di speranza scritto da una ragazza che amava la vita, stare con i suoi amici, con il suo ragazzo che l’amava tanto.

Una tranquillità che improvvisamente si è tramutata in angoscia e senso di vuoto quando il 29 gennaio, Pamela si era allontanata volontariamente dalla comunità, lasciando i documenti e il telefono ma portando con se soltanto un trolley: era forse lo stesso che pochi giorni dopo conteneva parti del suo corpo? Immediatamente sono scattate le ricerche ed è stato lanciato un appello dalla trasmissione “Chi l’ha visto?”. Non passava di certo inosservata Pamela, era una bella ragazza alta un metro e 65, aveva i capelli castani e occhi castani, che in passato aveva già tentato di andar via da un’altra comunità in cui era ospite. Il cadavere della giovane è stato rinvenuto mercoledì mattina da un automobilista che aveva notato i due trolley in via dell’Industria, nei pressi di una villetta. L’automobilista pensò inizialmente che all’interno dei trolley vi fosse droga o refurtiva, ma all’arrivo dei Carabinieri la macabra scoperta: il corpo della giovane era fatto a pezzi, privo di vestiti, resti perfettamente puliti e nessuna traccia ematica.

Chi ha ucciso Pamela? Perché?

Tante le ipotesi formulate in merito alla morte della giovane e tanti gli interrogativi che balenano nella mente degli investigatori. Gli inquirenti hanno acquisito i video del sistema di sorveglianza della villetta di fronte al luogo in cui sono stati abbandonati i due trolley, sono stati ascoltati i residenti  e i proprietari degli immobili. Dal modus operandi si evince che ci troviamo di fronte un killer abile, meticoloso e professionista, che non ha certamente lasciato nulla al caso. La vicenda riporta alla mente un caso analogo risalente al 4 novembre scorso. Siamo ad Alice Castello (Vercelli), località Sorti, alcuni cacciatori lombardi rinvengono una valigia chiusa e allarmati dall’odore forte decidono di aprire: al suo interno vi è un corpo in avanzato stato di decomposizione, in posizione fetale. Non vi erano scarpe né vestiti ma brandelli di tessuto. La valigia in cui è stato rinvenuto il corpo era di colore blu scuro. Non è stato possibile stabilire se si trattasse di un uomo o di una donna a causa dell’avanzato stato di decomposizione. Ma è stato realmente detto tutto sulla morte di Pamela Mastropietro? Dai primi riscontri investigativi pubblicati su “Il Tempo” sembrerebbe che la giovane, prima di essere fatta a pezzi sia stata sviscerata: sembra infatti che il suo cuore e le sue viscere sia state fatte sparire. Sembrerebbe infatti che l’assassino si sarebbe sciacquato le mani con la candeggina per far perdere le tracce del dna della giovane. Si ipotizza quindi un rito voodoo?

Angelo Barraco

 




Macerata, ragazza fatta a pezzi e messa in due trolley: a casa del nigeriano i vestiti sporchi di sangue della ragazza

Macerata – L’uomo fermato per l’omicidio di Pamela Mastropietro, 18enne romana uccisa, fatta a pezzi e occultata all’interno di due trolley abbandonati nelle campagne del Maceratese, si chiama Innocent Oseghale. Dai sopralluoghi effettuati a casa dell’uomo, in via Spalato 124, sono stati rinvenuti i vestiti di Pamela sporchi di sangue e tracce ematiche. E’ stato inoltre trovato lo scontrino di una farmacia, dove la vittima aveva comprato una siringa. Gli investigatori ritengono che probabilmente la giovane sia morta, proprio in quella casa, per overdose o uccisa.

Si ritiene inoltre, che il suo corpo sia stato sezionato con strumenti meccanici o da taglio ma non elettrici, dato che nessuno avrebbe sentito rumori. Ma se il corpo fosse stato sezionato altrove? Sono soltanto ipotesi, certo, ma non bisogna escludere nulla. Il medico legale Antonio Tombolini ha effettuato l’autopsia sul corpo della giovane maceratese, ma ancora non ha chiarito le cause del decesso, si apprende inoltre che dall’esame non sarebbero emersi segni di violenza sessuale. Si attende l’esito degli esami tossicologici.   Innocent Oseghale è stato sottoposto ad un lungo interrogatorio, con la presenza di un interprete e del suo legale rappresentante, successivamente è stato è stato dichiarato in stato di fermo. Numerosi sono gli indizi che hanno direzionato gli inquirenti verso di lui, come la testimonianza di suo connazionale estraneo ai fatti, che ha riferito a Polizia e Carabinieri di aver visto il nigeriano, nella sera del 30 gennaio, con le valigie di Pamela nei pressi del luogo in cui è stata rinvenuta. Il sistema di videosorveglianza è stato determinante e grazie ad esso è stato possibile tracciare gli spostamenti di Pamela. Innocent Oseghale è apparso confuso e poco lucido davanti agli investigatori. Ma chi è quest’uomo? Si tratta di un richiedente asino con carta di soggiorno scaduta. L’uomo nega di essere coinvolto nell’omicidio della giovane e avrebbe fatto i nomi di altre due persone estranee ai fatti. Ma è possibile che tanta ferocia, brutalità e accuratezza nel sezionare il corpo e occultarlo sia opera di una sola persona? E’ possibile che vi possano essere altre persone coinvolte? Tutto è possibile, gli inquirenti non escludono che possano emergere coinvolgimenti di terze persone, le indagini, quindi, sono ancora in corso. Le indagini di carattere tecnico-scientifico dei RIS continueranno senza sosta nell’appartamento in Via Spalato, dove la giovane sarebbe stata uccisa, sezionata, occultata all’interno dei due trolley e abbandonata. Alessandra Verni, mamma di Pamela, scrive su facebook “Spero e prego che giustizia sia fatta!..quello che le hanno fatto è indescrivibile e così crudele che spero di vederli soffrire lentamente fino alla morte!..ti amo”. Numerosi i messaggi di cordoglio e di affetto per una giovane ragazza strappata alla vita in modo così crudele.

Pamela Mastropietro era ospite dal mese di ottobre presso la comunità di recupero “Pars”, dove stava lottando con la sua dipendenza dalle droghe. “Tutto passa” scriveva in calce sul suo profilo facebook, un messaggio di speranza scritto da una ragazza che amava la vita, stare con i suoi amici, con il suo ragazzo che l’amava tanto. Una tranquillità che improvvisamente si è tramutata in angoscia e senso di vuoto quando il 29 gennaio, Pamela si era allontanata volontariamente dalla comunità, lasciando i documenti e il telefono ma portando con se soltanto un trolley: era forse lo stesso che pochi giorni dopo conteneva parti del suo corpo? Immediatamente sono scattate le ricerche ed è stato lanciato un appello dalla trasmissione “Chi l’ha visto?”. Non passava di certo inosservata Pamela, era una bella ragazza alta un metro e 65, aveva i capelli castani e occhi castani, che in passato aveva già tentato di andar via da un’altra comunità in cui era ospite. Il cadavere della giovane è stato rinvenuto mercoledì mattina da un automobilista che aveva notato i due trolley in via dell’Industria, nei pressi di una villetta. L’automobilista pensò inizialmente che all’interno dei trolley vi fosse droga o refurtiva, ma all’arrivo dei Carabinieri la macabra scoperta: il corpo della giovane era fatto a pezzi, privo di vestiti, resti perfettamente puliti e nessuna traccia ematica. Chi ha ucciso Pamela? Perché? Tante le ipotesi formulate in merito alla morte della giovane e tanti gli interrogativi che balenano nella mente degli investigatori. Gli inquirenti hanno acquisito i video del sistema di sorveglianza della villetta di fronte al luogo in cui sono stati abbandonati i due trolley, sono stati ascoltati i residenti  e i proprietari degli immobili. Dal modus operandi si evince che ci troviamo di fronte un killer abile, meticoloso e professionista, che non ha certamente lasciato nulla al caso. La vicenda riporta alla mente un caso analogo risalente al 4 novembre scorso. Siamo ad Alice Castello (Vercelli), località Sorti, alcuni cacciatori lombardi rinvengono una valigia chiusa e allarmati dall’odore forte decidono di aprire: al suo interno vi è un corpo in avanzato stato di decomposizione, in posizione fetale. Non vi erano scarpe né vestiti ma brandelli di tessuto. La valigia in cui è stato rinvenuto il corpo era di colore blu scuro. Non è stato possibile stabilire se si trattasse di un uomo o di una donna a causa dell’avanzato stato di decomposizione.

Angelo Barraco

 




Macerata, ragazza fatta a pezzi e messa in due trolley: si stringe il cerchio sull’omicida

MACERATA – Emergono importanti novità sul brutale omicidio di Pamela Mastropietro, 18enne romana uccisa, fatta a pezzi e occultata all’interno di due trolley abbandonati nelle campagne del Maceratese, a Pollenza. I Carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Macerata hanno posto in stato di fermo per omicidio un nigeriano, già noto alle forze dell’ordine ma in regola con il permesso di soggiorno. L’attenzione è caduta sull’uomo a seguito di alcune immagini di un sistema di videosorveglianza che lo hanno immortalato mentre seguiva Pamela.

Si apprende inoltre che i carabinieri del Ris hanno rinvenuto i vestiti della vittima sporchi di sangue e altre tracce ematiche

E’ stato trovato inoltre lo scontrino della farmacia.  L’uomo, nel corso dell’interrogatorio, avrebbe ammesso di aver seguito la giovane, ma avrebbe negato, invece, ogni responsabilità  e coinvolgimento nella morte, indicando altri soggetti che, secondo lui, potrebbero essere coinvolti. Sono state intanto avviate le attività di perquisizione e interrogatorio: ad un appartamento sono stati posti i sigilli per poter effettuare rilievi di natura scientifica. E’ stata perquisita un’altra abitazione dove vivono due stranieri, già interrogati.

Pamela Mastropietro era ospite dal mese di ottobre presso la comunità di recupero “Pars”, dove stava lottando con la sua dipendenza dalle droghe

“Tutto passa” scriveva in calce sul suo profilo facebook, un messaggio di speranza scritto da una ragazza che amava la vita, stare con i suoi amici, con il suo ragazzo che l’amava tanto. Una tranquillità che improvvisamente si è tramutata in angoscia e senso di vuoto quando il 29 gennaio, Pamela si era allontanata volontariamente dalla comunità, lasciando i documenti e il telefono ma portando con se soltanto un trolley: era forse lo stesso che pochi giorni dopo conteneva parti del suo corpo? Immediatamente sono scattate le ricerche ed è stato lanciato un appello dalla trasmissione “Chi l’ha visto?”. Non passava di certo inosservata Pamela, era una bella ragazza alta un metro e 65, aveva i capelli castani e occhi castani, che in passato aveva già tentato di andar via da un’altra comunità in cui era ospite.

Il cadavere della giovane è stato rinvenuto mercoledì mattina da un automobilista che aveva notato i due trolley in via dell’Industria, nei pressi di una villetta

L’automobilista pensò inizialmente che all’interno dei trolley vi fosse droga o refurtiva, ma all’arrivo dei Carabinieri la macabra scoperta: il corpo della giovane era fatto a pezzi, privo di vestiti, resti perfettamente puliti e nessuna traccia ematica. Chi ha ucciso Pamela? Perché? Tante le ipotesi formulate in merito alla morte della giovane e tanti gli interrogativi che balenano nella mente degli investigatori. Gli inquirenti hanno acquisito i video del sistema di sorveglianza della villetta di fronte al luogo in cui sono stati abbandonati i due trolley, sono stati ascoltati i residenti  e i proprietari degli immobili. Dal modus operandi si evince che ci troviamo di fronte un killer abile, meticoloso e professionista, che non ha certamente lasciato nulla al caso.

La vicenda riporta alla mente un caso analogo risalente al 4 novembre scorso

Siamo ad Alice Castello (Vercelli), località Sorti, alcuni cacciatori lombardi rinvengono una valigia chiusa e allarmati dall’odore forte decidono di aprire: al suo interno vi è un corpo in avanzato stato di decomposizione, in posizione fetale. Non vi erano scarpe né vestiti ma brandelli di tessuto. La valigia in cui è stato rinvenuto il corpo era di colore blu scuro. Non è stato possibile stabilire se si trattasse di un uomo o di una donna a causa dell’avanzato stato di decomposizione.

Angelo Barraco




Emanuela Orlandi: si accende la speranza di nuove indagini in Vaticano

ROMA – A novembre la famiglia di Emanuela Orlandi, cittadina del Vaticano scomparsa misteriosamente all’età di 15 anni il 22 giugno 1983, ha presentato denuncia di scomparsa presso la gendarmeria, dove è stato chiesto inoltre di conoscere la documentazione, sulla vicenda, custodita presso la Santa Sede. Una documentazione segreta che qualora dovesse essere resa pubblica potrebbe svelare molte dinamiche e intrecci che potrebbero coinvolgere, presumibilmente, anche noti esponenti della criminalità romana

L’Avvocato Laura Sgrò, legale di Pietro Orlandi, ha dichiarato che “la denuncia è stata presentata in gendarmeria perché non era mai stata presentata nessuna denuncia di scomparsa presso lo Stato Vaticano, l’unica denuncia da cui partirono le indagini fu presentata alla Polizia italiana. In questo momento lo Stato Italiano non ha nessuna indagine in corso; sono state archiviate le indagini per cui abbiamo pensato di fare riaprire il fascicolo in Vaticano anche e soprattutto perché non sono mai stati svolti ufficialmente interrogatori in Vaticano. Tra l’altro abbiamo anche chiesto di avere spiegazioni in relazione a tutta una serie di incongruenze”.Emanuela Orlandi avrebbe compiuto 50 anni il 14 gennaio. Un altro compleanno senza di lei, senza festeggiamenti né candeline sulla torta, dove la gioia e la condivisione del tempo trascorso ha lasciato spazio al vuoto e all’angoscia di un limbo fatto di silenzi e depistaggi. Una vicenda avvolta da una fitta cortina di mistero, che mette in risalto le ombre, occultando la luce e nascondendo sotto il tappeto le verità scomode gridate a gran voce dalla famiglia in tutti questi anni.

Maria Pezzano Orlandi, madre di Emanuela, ha deciso di rompere il silenzio con una toccante lettera pubblicata dal Corriere della Sera. Parole forti di una madre che vive nel limbo da quella misteriosa e torbida estate del 1983, una donna che non ha mai smesso di cercare la propria figlia. Maria Pezzano Orlandi fa fatica ad immagine la propria bambina con i capelli grigi, le rughe in viso ma ancora oggi aspetta un bacio, un abbraccio e un “ti voglio bene”. “Ricordo ancora quando nel 1993 tuo padre, Pietro e io, dopo una segnalazione, partimmo per il Lussemburgo con il cuore in gola, certi di venirti a prendere in un monastero di clausura. Quando vidi quella ragazza, che per nulla ti assomigliava, fu per me come se ti avessero rapito una seconda volta: in un solo attimo sono passata dalla gioia più grande al dolore più profondo” ricorda la madre, sottolineando che in quel momento si era annullata in lei la speranza di ritrovarla. Maria Pezzano Orlandi conclude dicendo che continueranno a cercarla e non si arrenderanno “Finché avremo forza, finché avremo fiato, finché avremo vita, tu sarai sempre il nostro primo pensiero.  La mia speranza, mai sopita, è che chi sa cosa ti ha portato via dalla tua casa possa avere un rigurgito di coscienza e indicarci come ritrovarti”.

Angelo Barraco

 




Cagliari, “Al di là di noi – il segreto delle anime”: l’esordio letteraio di Rita Piras

Cagliari – “Al di là di noi – il segreto delle anime” è il titolo dell’esordio letterario di Rita Piras, classe 1973 e originaria di Cagliari, dove vive ancora oggi.

Piras coltiva la passione per la scrittura sin da bambina, dove sostituisce le bambole con la scritture e trascorre le sue giornate scrivendo poesie e leggendo libri; travasava i suoi pensieri e le sue emozioni in fogli di carta che trovati sparsi per casa e che assumevano pian piano forme e colori attraverso contenuti sempre diversi, oppure faceva scivolare i suoi occhi tra le righe battute a macchina dei  libri che leggeva e che narravano storie, volti e personaggi che si sostituivano a quelle bambole tanto belle quanto ormai, divenuti ornamento da salotto. Negli anni ha collaborato con giornali e riviste dove ha pubblicato poesie, riscuotendo molto successo, è nota per essersi occupata di guarigioni spirituali e medicina alternativa. Un libro che nasce dal profondo, che porta il lettore lungo il percorso di vita dei protagonisti, attraverso prove d’ amore e di dolore si arriverà a capire chela vita è perfetta così com’è, che niente è sbagliato. Tutto porta a una evoluzione e a una crescita interiore se siamo in grado di accettare tutto, anche le sofferenze, come occasione di crescita. Il libro è un viaggio, un cammino lungo la strada della consapevolezza e l’accettazione della perfezione della vita in ogni sua sfumatura.

Il libro è stato presentato il 21 dicembre scorso, con la partecipazione esclusiva di un’attrice che ha letto una poesia scritta dall’autrice e dal titolo “Restare”: “Lasciatemi dormire. Non e’ tempo. Non e’ tempo per me. M’infastidisce la luce. Spegnetela. Fate silenzio. State urlando troppo e c’e’ chiasso. Non sono abituata,io. Ma non mi avete ascoltata e all’improvviso, io e te, mamma abbiamo chiuso gli occhi e ce ne siamo tornate lassu’. Lontane da tutto siamo rimaste sospese interminabili attese per scegliere se vivere. Tu che volevi rimandare laggiu’ me ed io che volevo rimandare te. Vinsi io quando vidi accanto a te i due volti di chi ancora dovevi tessere dentro te stessa. Ti rimandai giu’ perche’ potessi un giorno far nascere loro. Hai aperto gli occhi,mentre io li chiudevo per sempre. Ma tu non hai accettato a te mi hai stretto a te mi hai richiamato. La forza del tuo cuore mi ha tirata di nuovo giu’. Ho pianto. Ho aperto gli occhi. Ho conosciuto la vita. Siamo rimaste, mamma. Per loro che poi sono nate per noi che non potevamo dividerci perche’ dovevamo,un giorno, imparare ad amarci”.

Noi abbiamo intervistato direttamente l’autrice Rita Piras e ci ha parlato dell’opera.

Come nasce il libro e perché?

Questo libro nasce dal mio desiderio di comunicare un messaggio. “Al di là di noi” è un titolo che ho scelto nella piena consapevolezza di portare il lettore al di là di se stesso, dei propri sensi terreni, al di là dell’ idea che ci siamo fatti della vita, al di là delle barriere che la nostra mente, offuscata e confusa, ci impone. “Al di là di noi” è un libro che vuole spegnere i riflettori artificiali sul mondo e, per un attimo, illuminarlo di consapevolezza e di quella luce interiore che ognuno di noi possiede dentro se stesso. L’ intento di inviare un messaggio così forte giunge dal più intimo di me stessa quando, dopo aver superato prove dolorose a causa della malattia, mi rendo conto che non esiste niente che deve essere combattuto ma, piuttosto, soltanto accettato e compreso. Da questa nuova consapevolezza nasce il desiderio di diffondere il messaggio che anche la sofferenza, accolta come occasione di crescita interiore, abbia un profondissimo senso nel corso della nostra esistenza.

Chi sono i personaggi?

I personaggi di questo libro sono pochi fondamentali protagonisti. Sono giunti in silenzio nella mia vita, uno dopo l’altro, fino a poterne vedere perfino i contorni fisici. Ognuno di loro porta con se il proprio personale messaggio sulla Terra e, ognuno rigorosamente impegnato nel proprio ruolo, intrecceranno le loro esistenze per dare vita ad un mosaico perfetto al quale tutti avranno partecipato e contribuito con la propria personale esperienza. Non si collocano in nessuna precisa epoca storica, ne sappiamo dove hanno luogo le loro vicissitudini. Non esistono descrizioni geografiche o temporali, come ad insegnare che certe dinamiche si possono manifestare in ogni luogo ed ogni periodo storico. I personaggi restano piuttosto impressi per i loro sentimenti, gli stati d’animo, le gioie e le sofferenze che vivranno nei loro giorni terreni. Ma ognuno porta, inconsapevolmente con se, un dono per l’altro. Scelte che prendono vita durante una ipotetica esistenza precedente alla loro nascita. Queste scelte porteranno i protagonisti a compiere ognuno la propria personale missione, fino al completamento del disegno finale.

Cosa significa la frase riportata sul retro della copertina?

E’ autobiografica. Sono nata morta, estratta con il forcipe dal ventre di mia madre dopo una lunga sofferenza in cui avevo già perso la vita. Morì anche mia madre e per un attimo infinito noi tornammo a casa. Poi scelsi di rimandare giù lei per i compiti che ancora doveva svolgere, fra questi far nascere le mie sorelle. Io decisi che potevo non esserci, ma che lei doveva restare. Ma poi mia madre mi tirò giù e improvvisamente ci ritrovammo vive, entrambe, pronte per iniziare il nostro difficile cammino insieme. (Allego una poesia autobiografica sulla mia nascita.

Esiste un paragrafo che tu chiami “Ventuno”: Cosa significa?

Il paragrafo “Ventuno” inizia così: “Ventuno grammi e’ il peso dell’ anima. Quando si cessa di esistere su questa Terra, il corpo pesa improvvisamente 21 grammi in meno. E’ l’ anima che se ne va. Nel 1907 un medico statunitense, MacDougall, fece numerosi esperimenti nell’ intento di misurare il peso dell’ anima. Pesava i corpi in vita e poi li ripesava subito dopo il loro decesso. Il risultato era sempre lo stesso, pesavano sempre 21 grammi in meno. Si attribuì, pertanto, da quel momento questo ipotetico peso all’ anima. Studi scientifici dimostrano che l’ anima pesa 21 grammi ma in realtà quanto e’ più pesante l’ anima nell’ esistenza di noi tutti? Quanto ascoltiamo la parte più intima e vera di noi stessi? Quanti grammi in più di questi ci portiamo addosso senza mai dare loro il giusto peso? L’ anima è quanto possediamo di più grande e di autentico e la trascuriamo per occuparci, troppo spesso, di cose prive di senso, dimentichi totalmente di quale grande ruolo siamo chiamati a svolgere e di quanto sia grande la nostra interiorità.

C’è una frase molto significativa alla fine del secondo capitolo: “Sai mamma, non sempre le cose che desideriamo sono le migliori per noi e a volte il dono migliore che possiamo ricevere e’ che non ci vengano recapitate.” Cosa significa?

Credo che, piuttosto che ringraziare per quanto abbiamo, perdiamo molto più tempo a lamentarci di ciò che non abbiamo. Facendo questo perdiamo di vista la realtà e il valore della nostra esistenza con la sua essenzialità. Vogliamo sempre di più, desideriamo sempre di più ,spesso trascurando che tutto ciò che non ci giunge in dono potrebbe essere addirittura il nostro più grande miracolo! Ma non voglio svelare troppo su questo argomento perchè andrei ad anticipare e a svelare un passo importante del libro che porterà da solo alla comprensione di questa frase. Credo soltanto che, semplicemente, ognuno debba accettare se stesso cosi som’e’ e amare se stesso nei limiti delle proprie capacità e amare questi limiti benedicendoli e traendo da essi vantaggi e benefici, trasformandoli addirittura in occasioni di miglioramento personale e facendo di questi ipotetici limiti perfino occasione di crescita per il prossimo.

Tratti un altro argomento molto impegnativo: Il perdono. Che cos’è per te il perdono?

Tutti noi nella vita siamo incastrati in dinamiche in cui proviamo risentimenti o rancori, siano essi dettati da contrasti più o meno impegnativi con le persone con cui entriamo in contatto. Ma il perdono è un fardello enorme che grava solo ed esclusivamente sulle spalle di chi non lo concede. Perdonare significa liberarsi, lasciar cadere quel peso dalle proprie spalle e avere la capacità di non voltarsi mai più indietro. Perdonare è una parola composta da due parole: “Per” e “donare”. Pertanto “perdonare” altro non significa che “donare” a se stessi, farsi un dono per vivere una vita migliore.

Angelo Barraco




Marsala, il Vicesindaco Agostino Licari tira un primo bilancio sull’anno appena concluso

MARSALA (TP)“Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno” disse Gramsci. La città di Marsala ha salutato il 2017 con la consapevolezza che dietro la porta di un capitolo appena chiuso vi sono gioie e dolori, due facce della stessa medaglia che convivono e si controbilanciano; da un lato c’è un’amministrazione che ha saputo rafforzare la sicurezza, implementando le pattuglie per le strade, a piedi ma soprattutto ha ripristinato e potenziato il sistema di videosorveglianza; dall’altro lato invece vi sono stati episodi di violenza che hanno interessato diverse aree del centro storico.

Il sistema dei trasporti pubblici è stato migliorato tra il 2016 e il 2017 con l’acquisto di 6 nuovi mezzi e la sostituzione di altri che erano usati; diverse strade sono state messe in sicurezza attraverso il riempimento delle cavità presenti. Per quanto riguarda la raccolta differenziata il Comune di Marsala è intorno al 55-60%. L’illuminazione pubblica rimane ancora un problema in molte zone della città, dal centro alle periferie. Il Comune si è certamente adoperato nella riparazione dei lampioni e semafori non funzionanti. Sicuramente i furti di rame, che si sono susseguiti, hanno ulteriormente gravato i problemi d’illuminazione, ma ad oggi, in molte zone del marsalese, il buio permane su amplia scala e certamente i cittadini chiedono sicurezza delle strade da loro percorse. L’altra faccia della medaglia è che 248 precari del Comune di Marsala saranno stabilizzati.

Si è parlato anche del Porto Turistico e nel 2017 si è concluso l’Iter burocratico, con l’auspicio che nel corso dei primi sei mesi del 2018 si possano iniziare i lavori. Una medaglia con due facce; quella attiva dell’amministrazione che si adopera quanto più possibile nel rendere fruibili i servizi per i cittadini e la triste e spietata realtà che non sempre va di pari passo con la legge applicata; una bilancia che non è ancora riuscita a trovare un equilibrio stabile, che spesso pende sul lato sbagliato ma che attraverso la mistura di tutti gli elementi sopracitati e grazie anche agli errori e le imperfezione, cerca di migliorarsi quanto più possibile.

 

Noi abbiamo intervistato il Vicesindaco Agostino Licari

– Che anno è stato il 2017 per il Comune di Marsala?
Un anno positivo perché abbiamo nella pianificazione abbiamo alcune cose che man mano si stanno attuando su diversi fronti per quanto riguarda le deleghe di mia competenza. Abbiamo avviato la procedura per la stabilizzazione, grazie alle leggi del Governo regionale precedente e del Governo nazionale attuale, per stabilizzare i 248 lavoratori precari del Comune di Marsala.

– Avete raggiuto tuti gli obiettivi che vi eravate prefissati?

Si. Per esempio in termini di rifiuti, siamo riusciti a incrementare ulteriormente la raccolta differenziata, passando al 55% e determinando un ulteriore riduzione del costo complessivo della raccolta. Ricordiamo che nel 2015 avevamo un costo della raccolta dei rifiuti che si aggirava intorno ai quasi 15 milioni di euro, a fine 2017 siamo a 13 milioni e mezzo. Una riduzione sensibile del costo, nonostante il costo medio del conferimento in discarica sia quasi raddoppiato, considerando che nel 2015 era di 80 euro a tonnellata, nel 2017 siamo a 140 euro. Quasi raddoppiato il costo. Nonostante ciò, grazie a questo obiettivo che ci eravamo prefissati, ci siamo riusciti.  

– La sicurezza è senz’altro un tema che sta molto a cuore ai cittadini marsalese, anche a seguito di tristi episodi di violenza urbana che si sono verificati in pieno centro storico. A tal proposito ci eravamo sentiti lo scorso anno: come reputa il lavoro svolto su questo fronte?

Abbiamo implementato la videosorveglianza e anche quella per le discariche. Così come abbiamo implementato ulteriormente l’integrazione ai Vigili delle ore più un tavolo della sicurezza a Marsala, in sinergia con le altre forze dell’ordine e ci sono stati dei presidi. Questo tavolo tecnico tra Vigili Urbani, Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia ha permesso di avere un maggiore controllo in alcuni momenti dell’anno, concentrato principalmente nei weekend, venerdì e sabato che di solito erano quelle giornate un po’ più a rischio

– Sul fronte dei trasporti pubblici invece?

Per quanto riguarda i trasporti pubblici sono stati acquistati dei pullman, è aumentato il parco mezzi che era completamente disastroso e ancora lo è per la verità, non è una situazione idilliaca. Gli acquisti hanno un po’ migliorato la situazione, così come abbiamo creato i parcheggi gratuiti nella zona della stazione ferroviaria e all’altezza del campo sportivo. Ci sono poi gli autobus che girano costantemente per portare gli automobilisti che parcheggiano in quelle zone e poi raggiungono il centro.

– Si è parlato tanto del Porto Turistico e nel 2017 si è concluso l’Iter burocratico…

L’Iter è chiuso, nel 2017 sono state affidate le aree, era l’ultimo tassello. L’ultimo tassello era l’affidamento dell’area demaniale alla nuova società che dovrà fare il porto. Loro presumono che verso la nel 2018 inizieranno i lavori, si prevedono un paio d’anni per completare l’opera.  

– Quali sono gli obiettivi per il 2018?

Migliorare la situazione della raccolta dei rifiuti, nuovi bus, pista ciclabile che era messa nella programmazione 2018. Un ulteriore risanamento dei conti come lo abbiamo avuto nel 2017, sicché abbiamo ridotto il disavanzo e il debito del Comune, continuiamo nel 2018 ancora questa operazione di spending review e quindi una parte d’investimenti che entro fine 2018 dovremmo metterla in campo.

– Vige ancora il problema sicurezza a Marsala…

Ci sono parti del territorio poco controllate e nonostante l’impegno, la videosorveglianza, rimane ancora una situazione di poca sicurezza dovuta al fatto che mancano risorse umane. Siamo con il comando dei Vigili Urbani al di sotto del 50% . Nel 2017 avevamo previsto le assunzioni, i primi due che hanno vinto il concorso verranno assunti nel gennaio 2018, altri ne sono previsti. Indubbiamente sono sempre pochi rispetto a quelli di cui si ha necessità. Rimangono comunque zone non molto sicure.  L’ultima legge finanziaria ha sbloccato le assunzioni e speriamo che possa, il governo nazionale, procedere con l’impegno che aveva di aumentare le forze dell’ordine.

Angelo Barraco

 




GraArt, un progetto per valorizzare le periferie della Capitale. Intervista esclusiva all’artista internazionale Flavio Kampah Campagna

Roma –  Il grande Alberto Sordi diceva che “Roma non è una città come le altre. È un grande museo, un salotto da attraversare in punta di piedi”. Le sue importanti parole, a distanza di anni, si sono rivelate profetiche e hanno certamente trovato un riscontro oggettivo nel progetto GraArt,  promosso da Anas e patrocinato dal Ministero per i Beni. L’iniziativa è partita da un’idea di Davide Diavù Vecchiato, fondatore di MURo (il Museo di Urban Art di Roma) ed esponente di spicco dell’Urban Art che ha ricevuto il patrocinio del Mibact. Il progetto è stato presentato dal Ministro Dario Franceschini in data 6 marzo, con la presenza dello stesso direttore artistico Davide Diavù Vecchiato, il Presidente di Anas Gianni Vittorio Armani, il responsabile del Brand e Immagine di Anas, Claudio Arcovito. Si tratta di un progetto di Arte Contemporanea Urbana che ripercorre il mito e la storia di Roma attraverso importanti opere di Urban Art realizzate sulle pareti del Grande Raccordo Anulare da artisti provenienti da ogni parte del mondo che si sono avvalsi della consulenza di Ilaria Beltramme, scrittrice di best seller ambientati proprio nella Capitale. Il progetto vuole valorizzare la bellezza culturale della Città Eterna, tentando di ricucire la spaccatura culturale che si era creata tra la parte storica monumentale e le periferie. I grandi artisti, infatti, hanno realizzato le loro opere in zone periferiche della città, raffigurando miti e leggende che hanno segnato indissolubilmente l’immaginario collettivo di una città da “attraversare in punta di piedi”. Il Grande Raccordo Anulare è diventato adesso un “grande museo” con i murales che ripercorrono i fasti di una Roma che affascina, incanta e fa sognare.

Flavio Campagna, in arte Kampah o F CK è un artista di fama internazionale che ha aderito al prestigioso progetto GraArt. Negli anni 70 ha frequentato  l’Istituto Statale d’Arte di Parma, successivamente ha lavorato nello studio di Grafica Pubblicitaria dell’Art Director di Fiorucci August Vignali. La sua bravura e professionalità  lo hanno spinto a viaggiare molto e lo hanno portato fino a Londra dove ha lavorato per riviste di musica e di moda. Negli anni 80 lavorato a Roma per Mario Convertino, pioniere della Motion Graphic. Negli anni 90 invece svolge la sua attività ad Hollywood presso i prestigiosi studi Pittard Sullivan Design, successivamente si sposta a Venice Beach dove apre la sua casa di produzione “Kampah Visions”. E’ importante l’incarico che gli viene assegnato nel 2000 a Sydney, dove realizza la sigla delle Olimpiadi. Successivamente si reca nuovamente ad Hollywood e lavora per il registra Ridely Scott e precisamente sui titoli di testa del film Black Hawk Down. Torna nuovamente nella Città Eterna e precisamente dall’amico vignettista satirico Stefano Disegni, dove  comincia la sua prestigiosa carriera di Stencil Artist che gli consente di esprimere pienamente il proprio pensiero politico. Flavio Kampah ha partecipato al progetto GraArt con una monumentale opera realizzata su di una parete alta 4 mt e lunga 45 mt nella zona di Cinecittà. Il tema da lui scelto è stato quello dei film Peplum che venivano girati a Cinecittà tra gli anni 50 e gli anni 60, un sottogenere dei film in costume che comprendono sia il genere dei film d’azione che il genere fantastico, entrambi ambientati in contesti storici come l’antica Grecia, la civiltà romana o contesti biblici. Kampah ha meravigliosamente raffigurato sette figure di Steve Reeves in sette colorazioni diverse. Sette come i sette Re di Roma, realizzati in otto giorni di intenso lavoro grazie anche all’aiuto di fidati collaboratori. Un lavoro intenso e viscerale che racconta un pezzo di storia del cinema e di quel “salotto da attraversare in punta di piedi” che tanto amato da Sordi.

Noi abbiamo intervistato in esclusiva Flavio Campagna, in arte Kampah o F CK e ci ha parlato di questa sua meravigliosa  esperienza professionale.

– Come nasce la tua collaborazione con il progetto GraArt?

Ho incontrato di nuovo, dopo 6 anni, in una sua galleria a Roma David Diavù Vecchiato quest’estate in Sardegna a Castelsardo, mentre io ero lì a casa di un amico e lui è venuto a dipingere una parete ad una manifestazione in cui erano presenti anche Sgarbi e Daverio. Mi ha subito messo al corrente del suo progetto ANAS con la sua associazione MURO e detto che mi avrebbe invitato prima della mia partenza dall’Italia per tornare in California a casa. E così ha fatto, una volta ricevuto l’invito mi sono precipitato a Roma e messo a disposizione della sua produzione.

– Hai dipinto muri in varie parti del mondo;  Cuba, California, Milano e in Sicilia a Petrosino. Cosa ha rappresentato portare la tua arte nelle periferie?

Dipingere per strada e soprattutto nelle periferie o paesi piccoli e quartieri mi da la possibilità di respirare le atmosfere del posto , vedere e conoscere i suoi abitanti, instaurare un rapporto reciproco di convivenza e quindi donare all’opera i giusti elementi che aiuteranno le persone a vivere al meglio questi ambienti aperti a volte trascurati o lasciati andare all’incuria del tempo e delle persone. Già con il solo intervento dei colori su pareti il più delle volte dimesse e glaciali dona agli abitanti una sferzata di energia positiva, io cerco poi con i miei soggetti e concetti di aggiungere positività al mio intervento permanente.

– Raccontaci un po’ l’opera da te realizzata, tempi di realizzazione e se ti va qualche aneddoto…

È stata un’operazione…colossale…come l’argomento cinematografico che mi era stato proposto..il KOLOSSAL appunto! Quando al mio arrivo parlando coi proprietari di un ristorante atipico del Quadraro una zona molto verace di Roma, ho spiegato che avrei dipinto 7 Steve Reeves come i 7 Re di Roma, uno di loro mi ha prontamente bloccato e nel mio stupore informato che i Re di Roma non erano 7 ma 8…anni e anni di studi scolastici mi sono crollati davanti agli occhi convinto di aver rivelato una mia ignoranza, sinché ridendo il ragazzo mi ha detto che l ottavo Re di Roma è il Capitano!!!… Francesco Totti!!!

– Come hanno reagito i cittadini dinnanzi alla monumentale opera?

In modo molto positivo ed entusiasta, molti si sono fermati per ringraziarmi e farmi i complimenti non solo per la bellezza dell opera ma anche per aver portato colore e una nota di allegria in un angolo così triste e desolato. il mio obiettivo principale credo raggiunto pienamente!

– Secondo te l’Italia valorizza sufficientemente l’arte rispetto agli altri paesi in cui sei stato?

Assolutamente no! Ne’ quella così importante, numerosa ed evidente del passato, ma tanto meno quella nuova del presente e delle nuove generazioni di artisti. Purtroppo questo paese sin da quando ero giovane io è un paese da cui si può solo che…scappare!

– Roma, la città eterna. Concetto astratto e desueto oppure qualcosa è ancora rimasto?

Purtroppo quella che io per tanti anni ho considerato la più bella città d italia (ci ho vissuto per anni sia negli anni 80 che recentemente agli inizi del nuovo millennio) è già ormai da una decina di anni allo sfascio e in costante degrado. Sono stato anche a Milano recentemente per un mese e l’ho trovata al contrario una città diversa, migliore, internazionale, efficiente e anche bella. Roma purtroppo è in una fase calante progressiva e credo non basteranno decenni per riportarla a galla e tornare ad essere quella di un tempo, nonostante la sua innegabile bellezza! F CK

Angelo Barraco

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Roma, associazione Big Mama: “Mamme che supportano altre mamme”

ROMA – Da Gennaio a Roma in via Raffaele Battistini, 63/65 in zona Monteverde l’Associazione Big Mama tenderà una mano amica e concreta alle donne. Sono oramai decenni che statistiche e analisi demografiche denunciano inesorabilmente il calo delle nascite del “belpaese” in corsa verso un alzamento pericoloso dell’età della popolazione italiana. Come se non fosse già preoccupante questo, l’inasprimento della corsa forsennata verso una estremizzazione di un capitalismo sottomesso e subordinato al “dio danaro” impone ritmi di produzione e servizi sempre meno consapevoli che dietro alla forza lavoro ci sta l’essere umano con le sue esigenze e la sua natura di essere umano. Negare alla donna la maternità ricattandone il posto di lavoro od ostacolarne la sua assenza per l’accudimento dei figli sono forme di violenza che creano scompensi psicologici importanti che non possono essere tollerati in una società che si reputa civile e moderna. Lasciare che la donna “si arrangi” anche quando le manca l’appoggio del marito o compagno, tende pericolosamente a lenire l’integrità e la dignità della donna stessa in una fase della vita delicata e importante. Una sudditanza umiliante e innaturale che può contare sull’aiuto e supporto concreto dell’Associazione Big Mama di Roma in grado di garantire assistenza psicologica e reinserimento tramite nuove mansioni lavorative che col tempo infondano coraggio e valorizzazione dell’essere donna oggi.

Una associazione ubicata in via Raffaele Battistini 63/65 in zona Monteverde pronta a conoscere, ascoltare e tendere la mano per ricominciare a vedere un futuro che abbia rispetto della dignità della donna e della sua natura di essere umano.  “La natura vuole, dalla donna, amore e dedizione materna ” disse lo scienziato tedesco Paul Julius Möbius. Un concetto semplice nella forma ma complesso nella sostanza, che racchiude l’intima concezione assolutistica che se cerne nel processo della creazione e della crescita di un seme che fisiologicamente abbandona la protezione materna dopo nove mesi, per  donarsi agli occhi del mondo. Una fase tanto delicata quanto complessa che racchiude emozioni contrastanti: la certezza di aver dato alla luce una creatura che percorrerà passi incerti verso un futuro tutto da scoprire e la rassegnazione dettata dalle circostanze avverse e imposte da un mondo poco avvezzo e comprensivo alle necessità venutesi a creare dalla maternità stessa. Molte donne non hanno genitori o parenti che possano accudire i loro figli durante le ore di lavoro ed ecco che giunge in aiuto Big Mama, che le aiuta in diverse fasi importanti e spesso difficili. “Chi si accinge a diventare un buon capo, deve prima essere stato sotto un capo” disse Aristotele ma in molti casi il datore di lavoro è poco comprensivo dinnanzi alle esigenze altrui e non appena si viene a creare la situazione in cui il dipendente deve assentarsi per motivi strettamente legati alla sua salute o gravidanza, al suo rientro viene accolto con una pacca sulla spalla, una stretta di mano e una porta in faccia e come detto poc’anzi, vi è una ingiusta negazione alla maternità

.

Ne parliamo con la ideatrice del progetto nonché Presidente dell’associazione Big Mama, Michela Donvito. Come e quando è  nata questa idea?

Intanto è nata dalla mia esperienza personale, sono mamma di due splendide bambine che per realizzare il sogno di diventare madre ha dovuto lasciarne altri chiusi nel cassetto. Purtroppo le mamme che lavorano, che vivono in una grande città come Roma e sono lontane dalla famiglia possono incontrare molte difficoltà durante i primi mesi di vita dei figli e molte sono costrette a fare una scelta. È  pensando proprio  a quelle mamme che non possono contare su nonni e parenti vari, che è nato il progetto, in primo luogo siamo delle mamme che supportano altre mamme in un momento della vita che può essere molto delicato: l’arrivo di un bambino può rompere gli equilibri di una coppia, può dare forti emozioni non sempre facili da gestire da sole, o può semplicemente far sorgere mille dubbi sulla gestione del neonato. Insomma, le paure possono essere molte e, se non si ha una mamma o un’amica “nelle vicinanze”, è tutto più difficile. Big Mama vuole essere una grande mamma che  abbraccia tutte le mamme, ed in fondo c’è una grande mamma in ognuna e noi vi aiutiamo a cercarla.

Come materialmente l’Associazione Big Mama pensa di muoversi? Quali sono le vostre iniziative ?

Ai  nostri associati saranno proposti  progetti, un punto di aggregazione, un centro di ascolto, cercheremo insieme il modo affinché chi è in difficoltà possa reinventarsi ad esempio attraverso percorsi mirati e in base alle proprie predisposizioni personali e ai propri talenti. Non vogliamo forzare la mano ma aiutare a trovare la propria strada. Cerchiamo di proporre percorsi formativi non scontati al passo con i tempi, analizzando soggettivamente le possibilità di sbocco lavorativo in base alle proprie propensioni. Cerchiamo di fare una selezione dei nostri corsi. A breve partiremo, in collaborazione con professionisti qualificati, per esempio, con laboratori di oreficeria, che partono dalla creazione del gioiello fino a mettere in condizione il corsista di crearsi una vera e propria attività. Poi, per citarne altri gemmologia, sartoria e modellismo, wedding Planner. Tutte professioni ricercate, appaganti e al passo con i tempi. Inoltre vogliamo offrire un luogo accogliente e sicuro dove poter lasciare i propri figli magari in occasione di un colloquio di lavoro a tutti coloro che, in una grande città come Roma, non hanno nessuno a cui affidarsi. I bambini giocheranno tranquillamente e verranno intrattenuti con laboratori creativi a seconda delle fasce d’età curati da una nostra associata, professionista,  anche lei mamma. Partiamo dunque dall’abc, dal semplice aiuto per la compilazione di un curriculum, forniamo informazioni sulle normative vigenti, idee su come trovare e far crescere la propria attività, dal social marketing al semplice uso dei pc. Inoltre vogliamo essere un punto d’incontro per le famiglie straniere che si trovano spaesate o anche loro sole. L’idea è anche quella di creare un network di assistenti famigliari come badanti, baby sitter e collaboratori domestici, che si autopropongono o vengono segnalati da altre.  Si crea in questo modo un circolo virtuoso tra la domanda e l’offerta di lavoro. A questo aspetto solidale si affiancherà anche quello di un aiuto fattivo con una rete di specialisti che forniranno informazioni ed assistenza, ognuno mettendo a disposizione le proprie competenze e formazione specifica. A tal proposito verrà istituito anche uno sportello di consulenza legale oltre che mediazione familiare di cui si occuperà l’avvocato e criminologa Orietta Giulianelli.

Dottoressa qual è Il suo ruolo nell’associazione? E cosa farà concretamente per aiutare le mamme e le famiglie?

Sono un avvocato civilista iscritta all’ Ordine di Roma, esperta in diritto del lavoro e nel diritto di famiglia. Ho conseguito il titolo di Curatore Speciale del Minore nei procedimenti civili diventando quello che sinteticamente può definirsi un “avvocato dei bambini”. Nel 2014 ho conseguito presso l’Università La Sapienza di Roma il diploma in scienze criminologico-forensi e sono perciò anche quello che comunemente si dice, una criminologa. Quando la Presidente mi ha parlato del suo progetto di fondare un’associazione che ponesse l’attenzione sulla figura materna e le problematiche ad essa riferibili e che rappresentasse una risorsa sociale per le stesse, per i loro figli e, perchè no, per i padri, proponendomi di farne parte, ho accolto con interesse ed entusiasmo questa opportunità. Sono riandata con la memoria alla mia personale esperienza di madre professionista, alle difficoltà a tratti quasi insormontabili che ho dovuto affrontare nel conciliare  la mia attività lavorativa con l’esperienza più creativa ed appagante che abbia avuto la fortuna di provare, la nascita di mia figlia oggi ventitreenne. Ricordo ancora le corse, il profondo disagio nello staccarmi da lei, i sensi di colpa per non essere sempre presente e dall’altra parte i clienti che mi toglievano il lavoro, questo a riprova che spesso la maternità viene pagata “a duro prezzo” da ogni donna, sia disoccupata, sia lavoratrice, sia dipendente, sia professionista, insomma il fenomeno è democraticamente trasversale. Ho deciso perciò di mettere volentieri a disposizione  le mie competenze legali e criminologiche ed ho accettato di rendermi disponibile in uno spazio di ascolto per tutti gli associati che avranno necessità di un supporto o semplicemente di un confronto. Lo sportello legale da me gestito, che avrà una cadenza settimanale, sarà aperto a coloro che abbiano quesiti sia nel settore lavorativo che in quello familiare. Saranno offerte consulenze su problematiche che, a mero titolo esemplificativo, riguardino le malversazioni, i torti subiti sul posto di lavoro (mobbing, bossing, licenziamenti, ecc) ed avranno spazio di ascolto tutti i portatori di difficoltà riconducibili alla famiglia e relative sia ai rapporti con i componenti del primo nucleo sociale, la famiglia appunto, sia relative al delicato compito di educazione dei figli. Non saranno trascurati pertanto i purtroppo noti fenomeni del bullismo e di cyberbullismo, le manifestazioni dei disagi infantili ed adolescenziali, questi ultimi ovviamente trattati anche con il supporto di una psicologa. Come criminologa ed esperta nei colloqui di prima accoglienza delle donne che hanno subito violenza, si valuterà in sede associativa se istituire uno sportello di ascolto per le vittime anche di stalking dando però un taglio diverso, che oltre a prestare soccorso promuova la crescita della consapevolezza femminile. Organizzeremo anche eventi, seminari, corsi formativi aventi ad oggetto le suddette problematiche rivolti sia a semplici ascoltatori sia a persone impegnate nel settore sociale. Insomma  il progetto è ambizioso  e suscettibile di sviluppo anche in relazione alle istanze che raccoglierò dai dialoghi con gli associati. Vi aspettiamo perciò da gennaio a Roma presso la sede dell’Associazione Big Mama, via Raffaele Battistini, 63/65 (zona Monteverde) per ascoltarvi e conoscerci.

Angelo Barraco – Paolino Canzoneri

 




Bari, strage dei treni: 19 avvisi di conclusione indagini per dipendenti e dirigenti di Ferrotramviaria

BARI – La Procura di Trani ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini per il terribile incidente ferroviario che ha fatto tremare la Puglia lo scorso12 luglio 2016, sulla tratta Corato-Andria tra due mezzi che viaggiavano su un binario unico alla velocità di 100-110 chilometri orari. Uno scontro violentissimo, che ha frantumato vetri, piegato lamiere e distrutto 23 vite, 50 persone sono rimaste ferite.

 

Secondo gli inquirenti vi sarebbero 19 responsabili: il capotreno Nicola Lorizzo, i due capistazione Vito Piccarreta e Alessio Porcelli, Francesco Pistolato. Tra gli indagati, inoltre, c’è anche il Dg Virginio Di Giambattista e la dirigente Elena Molinaro e secondo gli inquirenti non avrebbero adottato i provvedimenti “urgenti necessari a eliminare il blocco telefonico” e a introdurre il sistema di controllo automatico della circolazione dei treni”. Devono rispondere, a vario titolo, di disastro ferroviario, omicidio colposo e lesioni gravi colpose.

 

I pm contestano ai dirigenti Ferrotramviaria di aver risparmiato sui lavori (700mila euro) per installare il blocco conta assi che avrebbe evitato l’immane tragedia. Il direttore generale Massimo Nitti, il direttore di esercizio Michele Ronchi, il conte Enrico Maria Pasquini e Gloria Pasquini sono accusati di non aver lavorato nella prevenzione del disastro ferroviario poiché avrebbero ignorato passaggi fondamentali per la salvaguardia del benessere pubblico e del cittadino come le direttive sulla sicurezza del lavoro, le circostanze sull’aggiornamento tecnologico e gli obblighi di contratto di servizio con la Regione. Su di loro cade la responsabilità in merito all’insufficiente “copertura della rete di telefonia mobile lungo la tratta Andria-Corato e quindi delle conseguenziali difficoltà di comunicazione tra personale di terra e personale di bordo”.  Si parla anche di 20 incidenti nascosti “i 20 incidenti che sarebbero stati sfiorati sulla linea tra il 2012 e il 2016 a causa della insufficiente copertura della rete di telefonia mobile lungo la tratta Andria-Corato e quindi delle conseguenziali difficoltà di comunicazione tra personale di terra e personale di bordo”.

 

La Puglia ricorda nitidamente quell’incidente, quelle lamiere contorte come fossero fogli di carta al chilometro 51 e le tante vite spezzate. Noi abbiamo seguito questa terribile vicenda sin dall’inizio e abbiamo intervistato la  Dottoressa Rossana Putignano che ha assistito le famiglie delle vittime, la Signora Daniela Castellano che ha perso il padre e la Signora Marita Schinzari, che in questo terribile incidente ferroviario ha perso il fratello Fulvio Schinzari, Vice Questore aggiunto 1 Dirigente a Bari.

 

La Dottoressa Putignano ci ha raccontato che “La tragedia ferroviaria del 12 Luglio u.s. ha colpito tutti noi profondamente: anche noi siamo madri, figli, sorelle,fratelli e ognuno si è proiettato nella situazione di dover far fronte a un dolore simile. Nessuno può sopravvivere a una perdita così ingiusta e nessuno è abbastanza anziano per perdere la vita in questa maniera. Bellissima è stata la catena di solidarietà che ha portato tantissima gente a riversarsi nei centri trasfusionali per la donazione del sangue e la presenza massiccia dei colleghi psicologi all’interno della U.O. di Medicina Legale del Policlinico di Bari che ha ospitato le salme per il riconoscimento fotografico e le autopsie. In qualità di Psicologa –Psicoterapeuta anche io ho potuto dare il mio contributo alle famiglie: non ci sono parole, solo carezze abbracci e lacrime, copiose lacrime da asciugare. Li ho accompagnati di sotto dai loro cari, l’odore di morte ti investe appena apri quella porticina che dalle scale conduce all’obitorio. Non scendo nel dettaglio per non soddisfare la macabra curiosità di chi vorrebbe sapere cosa ho visto; infatti,è mia intenzione solamente denunciare i comportamenti di alcuni professionisti. Non specifico la categoria professionale per non ledere l’immagine di chi lavora facendo il proprio dovere e nel silenzio del proprio studio, senza ambire all’inchiesta del momento o al risarcimento di chi si costituirà parte civile, ma è mio doveroso compito non chiudere gli occhi davanti al tentativo bieco di speculare sul dolore, approfittando della mancanza di lucidità delle famiglie. Oltre alla distribuzione di bigliettini da visita, ho visto fare promesse teatrali nei corridoi, assicurare giustizia a tutti i costi e per tutte le vittime del mondo, ho cacciato personalmente persone che non riuscivano a meglio identificarsi. Insomma, non mi aspettavo che uccelli carnivori venissero a mangiare le carcasse di quello che restava nella vita di quelle persone. Perché quei familiari sono solo corpi, fantasmi deambulanti, senza speranza di vita, senza progettualità. La loro quotidianità è stata interrotta bruscamente e devono riorganizzare, in base ai loro tempi, la loro vita senza i loro cari e in questo frastuono e grido di dolore alcune persone hanno avuto il coraggio di avvicinarsi a loro.  Gli sciacalli non sono i giornalisti che fanno il loro mestiere anche perché hanno dato “voce” a chi voleva dire qualcosa, gli sciacalli sono chi per ego personale non si rende conto della delicatezza della situazione sfruttando a tutti i costi la tragedia. Ora si va alla ricerca dei numeri delle famiglie, questo no proprio non lo ammetto!” Come ha detto una mia stimatissima collega “quando finiscono le parole, iniziano le parolacce”  ma io ho finito anche quelle”.

 

La Signora Daniela Castellano ha perso il padre in questo terribile incidente. Noi la intervistammo pochi giorni dopo la tragedia, si leggono parole in cui il dolore e la rabbia si scontrano con la voglia di lottare per arrivare alla verità. Ci ha raccontato che “la mia vita è cambiata in modo drastico. Ti parlo già iniziando da martedì quando apprendo la notizia dai televideo che i treni si erano scontrati, non sapevo che papà fosse su quel treno ma ho pensato subito a mio fratello, a mio cognata che vivono ad Andria e loro prendono quel treno per muoversi perché lavorano tutti e due a Bari. Mi muovo subito per avere notizie, purtroppo quando chiamo mia sorella e spiego che c’era stato l’incidente in treno, mia sorella ha iniziato ad urlare “Papà era su quel treno”. Da quel momento la mia vita è finita. Ci siamo messe in macchina io, mia mamma e mia sorella con il suo fidanzato e siamo accorse sul punto in cui c’è stato l’incidente. Da li è iniziato questo calvario, loro hanno aspettato li per avere notizie con mio fratello per vedere se papà era tra i feriti e poi io e mia mamma abbiamo iniziato a guardare in giro per Andria per avere notizia e riguardo: all’ospedale, dai Carabinieri, al palazzetto dello sport. Alle 17:00/18:00 ci dicono dal palazzetto dello sport che papà non era tra i feriti e che sarebbe stato il caso di trasferirci a Medicina Legale a Bari. Da Andria a Bari è stato il mio viaggio più lungo perché da un lato non vedevo l’ora di arrivare per avere notizie, dall’altro sapevo ormai che papà era morto perché me lo sentivo e non volevo arrivare. Quando poi sono arrivata li ci hanno riuniti; abbiamo avuto un grande supporto da parte degli psicologi, psichiatri e gli stessi medici legali che sono vicinissimi a noi. Li ci hanno chiesto che cosa indossasse mio padre, se c’erano delle caratteristiche particolari per poterlo riconoscere e che prima del giorno dopo non avremmo potuto fare il riconoscimento. Però venivo a sapere che papà è morto”.

 

Nel corso della nostra lunga intervista che qui riproponiamo parzialmente avevamo chiesto se prima dell’incidente vi fossero state delle avvisaglie da parte dei cittadini o dei pendolari in merito alle condizioni della ferrovia o del transito dei treni e ci rispose “No, no, assolutamente. Anche perché consideri che nessuno era a conoscenza della tratta che forse comunque scoperta d’impianto di sicurezza. Quando aprirono la tratta su Palese sembrava che Bari-Palese fosse la migliore ferrovia del mondo e quindi si pensava che fosse la più sicura perché comunque le interviste che rilasciarono all’epoca dalle istituzioni erano pervase da entusiasmo che mai avremmo pensato che si potesse arrivare a una tragedia del genere. Come fai a sapere che quel tratto era scoperto da qualsiasi sicurezza e che addirittura il treno partisse in vecchio modo, praticamente medioevale, col fischio e con la telefonata. Mai avremmo potuto immaginarlo, non l’avremmo mai preso. Nessuno prende un treno della morte, nessuno lo prende il treno della morte. Ma neanche tutti i pendolari i giorni prima e i giorni seguenti”.

 

Avevamo sentito anche la Signora Marita Schinzari, che in questo terribile incidente ferroviario ha perso il fratello Fulvio Schinzari, Vice Questore aggiunto 1 Dirigente a Bari. Ci raccontò che “Il dolore è immenso, distruttivo. Io sono confusa addolorata e sinceramente molto arrabbiata. Questa orribile tragedia si poteva evitare, bastava che chi di dovere prima di effettuare grandi lavori nella tratta Barletta Bari tenesse conto di una sola parola: sicurezza! È venuto a mancare il fulcro di tutto questo bel contorno di ammodernamento, la sicurezza”. Ci disse che “Mio fratello Fulvio Schinzari era Vice Questore aggiunto 1 Dirigente a Bari. Lui, come me, era un pendolare. Io lavoro in posta e da 5 anni, sono a Bari. Ecco, non si usava la macchina per evitare il pericolo e invece avevamo la morte sul collo. il treno, un mezzo sicuro, anzi sicurissimo. Lui amava leggere, ascoltare musica perché era un momento di calma alle giornate frenetiche, spesso viaggiavano insieme, di  solito prima carrozza per scendere per primi e arrivare in orario al lavoro, per lo meno per me”.

 

Avevamo chiesto anche a lei se vi erano state delle avvisaglie prima dell’incidente e ci rispose che “non c’erano avvisaglie di nessun tipo, treni stupendi controllori gentilissimi. L’unico problema è che a determinati orari, ad esempio al mattino presto, i treni erano super affollati con tantissima gente. Non oso immaginare se questo incidente fosse successo nel periodo scolastico.  Facile ora riversare tutta la colpa ai controllori, lo schifo sta in alto, non serviva neanche l’ aiuto della comunità europea visto che la famosa curva della tragedia, non c’era un sistema di GPS e uno di blocco automatico dei treni. Ma si può nel 2016 avere un controllo solo per telefono?  Scherziamo? Le piste dei trenini dei bimbi ce l’hanno. Io quel giorno ho perso quel treno per pochi minuti, dovevo essere li con lui e non ci sarebbe stato neanche il tempo di un abbraccio, Dio Mio! Perché? Perche?”.

 

Daniela Castellano ha rivolto un forte e sentito messaggio alle istituzioni: “Vorrei che stessero attenti quando dicono “vi staremo vicini”. Vorrei far capire che per le persone che subiscono un trauma de genere un messaggio di questo tipo è importante, magari per loro sono solo parole ma per noi è importante, è una sicurezza di non essere abbandonati nella ricerca della verità, nel caso dei terremotati nella ricostruzione di intere città. Quindi di fare molta attenzione e di calibrare le parole perché per noi sono importanti, magari per loro sono solo dei copia-incolla. Io mi sono permessa ieri di scrivere al Sindaco di Bari, perché so che stanno cercando un nome per il nuovo ponte dell’asse Nord-Sud. E’ richiesto di prendere in considerazione magari, di dedicare alle 23 vittime il nome di questo ponte. Che possa essere il 12 di luglio o qualsiasi altra data, l’importante è che ci sia un modo per onorare queste vittime, un modo affinchè Bari e la Puglia non dimentichino mai quello che è successo. Su quella ferrovia non esistevano messi di sicurezza e sono morti per l’incuria della politica, che non si dimentichi questa cosa perché ci sono tante altre ferrovie in Puglia che peccano di questo, magari se non è la sicurezza sono i vagoni vecchi. Non dimentichiamo che noi abbiamo il diritto di tornare dai nostri familiari, questo c’è stato negato quel 12 di luglio. Facciamo in modo che non succeda più, ne qui ne altrove. Io combatterò con questa associazione per questo, per la sicurezza, che ci venga garantita la vita. Basta morti per l’incuria, basta. Io piangerò mio padre come la mia famiglia per sempre perché c’è stato portato via in maniera violenta. La morte deve avvenire in modo naturale e non per mano di uomini che non hanno saputo tutelarci. Vogliamo giustizia e la messa in sicurezza della tratta Bari-Barletta che è obbligatoria e io spero che la Regione di questo ne sia consapevole e che blocchi quella ferrovia e aiuti quei pendolari ad arrivare sui luoghi di lavoro sani. Quindi che non vengano strappate di nuovo vite. Un appello: non dobbiamo dimenticare queste 23 vittime. Noi vorremmo una targa con i nomi, in loro ricordo, al chilometro 51 della Bari-Barletta perché chiunque prenda quel treno non debba mai dimenticare quello che è successo. Il loro ricordo non deve essere dimenticato. Vorremmo che qualcuno ci dia delle indicazioni su come fare ad apporre una targa con l’elenco delle 23 vittime, anche io come associazione vorrei fare una raccolta fondi per la targa. E soprattutto vorrei che il Sindaco prenda in considerazione il mio appello e che possa dare un nome a quel ponte in onore delle vittime. La cosa sconcertante anche, quando c’è stata la partita Italia-Francia, gli Ultras di Bari avevano creato un cartellone con due date importanti: 12 luglio 2016 e 24 agosto 2016. Il 12 di luglio era in onore delle 23 vittime e nessuno della Rai ne ha parlato, eppure erano ospiti in Puglia ma nessuno ha dato voce a questi 23 angeli”.

Angelo Barraco

 




Palermo, azzerato commando di rapinatori: assalivano i furgoni di tabacchi e sequestravano le vittime

PALERMO – Dopo i recenti blitz di mafia, continua l’azione di prevenzione e contrasto sul territorio da parte dei Carabinieri di Palermo. Alle prime luci dell’alba viene colpita anche un’associazione per delinquere finalizzata alla commissione, in città, di numerose rapine ai danni di autotrasportatori di tabacchi.

Sono 9 le rapine di cui 2 consumate con un bottino di un valore potenziale di quasi 1.000.000 (un milione) di €.

I Carabinieri azzerano un vero e proprio “Commando” caratterizzato da una struttura solida e articolata che operava ripartendo, tra gli affiliati, ruoli e competenze (pianificazione dei colpi, furto di mezzi idonei anche agli sbarramenti stradali, immobilizzazione e sequestro delle vittime, sottrazione e successiva ricettazione della merce).

Nella notte è stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del Tribunale di Palermo, su richiesta della Procura della Repubblica di Palermo, nei confronti dei 13 componenti (di cui 9 in carcere e 4 agli arresti domiciliari) dell’associazione finalizzata alla perpetrazione di rapine agli autotrasportatori.

 

 




Frascati, blocca l’auto di una signora e le ruba la borsa: ladro in manette

FRASCATII Carabinieri della Stazione di Frascati hanno arrestato un 43enne calabrese, già noto alle forze dell’ordine, con l’accusa di furto con destrezza in concorso.

L’uomo, insieme a un complice, in Piazza Marconi, dopo aver bloccato con la propria Renault Twingo l’uscita dal parcheggio della Daewo Matiz, condotta da una donna di 75 anni, ha avvicinato la signora e, mentre il “socio” ha distratto la vittima, le ha sfilato dall’abitacolo la borsa con il portafogli, poggiati sul sedile posteriore dell’auto, dandosi velocemente alla fuga a bordo della sua utilitaria.

La banda, però, non sapeva che la scena era stata ripresa da alcune telecamere presenti in zona, che visionate dai Carabinieri, hanno permesso di identificare uno degli autori del furto.

I militari dell’Arma, che si sono messi subito alla ricerca dei fuggitivi, sono riusciti a bloccare il calabrese nei pressi della sua abitazione, in via Alcide di Gesperi di Frascati. Sono ancora in corso, invece, le attività d’indagine per l’individuazione del complice.

Parte della refurtiva è stata recuperata e restituita alla donna, mentre il 43enne è stato sottoposto agli arresti domiciliari in attesa delle determinazioni dell’autorità giudiziaria.