KENYA: UOMINI ARMATI ATTACCANO CAMPUS UNIVERSITARIO DI GARISSA

di Maurizio Costa

Nairobi – Un commando di almeno sei uomini armati ha fatto irruzione nell'università di Garissa, nell'est del Kenya, uccidendo almeno due persone e ferendone 29. Il bilancio delle vittime non è ancora definitivo e potrebbero esserci anche degli ostaggi.

Gli uomini armati sono entrati all'interno dell'università mischiandosi alla folla di fedeli che entrava nella moschea dell'ateneo. Subito dopo sono cominciate le esplosioni e gli spari. Il funzionario della polizia, Musa Yego, ha dichiarato che gli spari si sono sentiti nei palazzi vicino a Garissa.

L'esercito del Kenya ha circondato il campus, cercando di scovare gli assalitori e scongiurare altre vittime. Si pensa che dietro all'attacco ci sia l'ombra di miliziane islamiste. Secondo alcune fonti locali, un ramo di Al Qaida, chiamato Shabaab, potrebbe rivendicare l'attentato, visto che nel settembre del 2013 avevano fatto un attentato in un centro commerciale di Nairobi, dove furono uccise 67 persone.




ROMA, VELA TOR VERGATA: “NEL 2007 SI SAPEVA CHE NON SAREBBE STATA COMPLETATA IN TEMPO”

di Maurizio Costa

Roma – Il progetto della Città dello Sport di Tor Vergata è stato, fin dalla sua nascita, un prospetto faraonico e inaudito. Documenti inediti e dichiarazioni di alcune persone che hanno lavorato alla progettazione delle Vele svelano retroscena importanti sulla fattibilità dell’opera. La struttura che domina i terreni di Tor Vergata doveva essere pronta per i Mondiali di nuoto del 2009 e l’allora sindaco, Walter Veltroni, ebbe l’idea, insieme all’Università di Tor Vergata, di chiamare un famoso architetto come Santiago Calatrava per disegnare questo enorme progetto di due vele speculari che avrebbero ospitato piscine e tribune.

L’idea nacque nel 2005 e, nell’arco di due anni, fu posata la prima pietra, esattamente il 21 marzo 2007. Quel giorno, il sindaco Veltroni e l’architetto Calatrava diedero il via ai lavori. Qualche giorno dopo, un architetto da noi contattato visitò il cantiere e parlò con il direttore dei lavori, che fu chiaro: “Noi entro il 2009 non ce la faremo mai a completare l’opera”. Una dichiarazione importante che getta molte ombre sull’operato dell’amministrazione e degli ingegneri del comune e dell’università.

La cosa eccezionale è che prima dell’inizio dei lavori erano state già presentate alcune criticità al progetto che cominciò a delineare Calatrava. L’opera ideata dall’architetto spagnolo era troppo maestosa, sarebbe costata milioni di euro e non sarebbe stata utilizzabile dopo i Mondiali di nuoto. Nel 2005 fu istituita una commissione che avrebbe dovuto presentare le criticità del progetto delle Vele e le possibili idee per creare un’opera utilizzabile da tutti, anche dopo la manifestazione sportiva.

Questo gruppo di lavoro era costituito dal Coni, dal ministero delle Infrastrutture e da alcuni architetti. La commissione giudicò troppo grande e inutile l’opera di Calatrava, che, tra l’altro, non prevedeva piste di atletica e strutture utili all’università. Erano solamente due enormi Vele che contenevano piscine per nuotare e per i tuffi. Nient’altro. L’archistar spagnola non diede neanche un’occhiata a questo documento e continuò per la sua strada.

Calatrava, all’inizio, stimò il costo della Città dello Sport in quasi 60 milioni di euro. Dopo pochi mesi, il prezzo lievitò toccando quote improponibili di quasi 600 milioni di euro. Nel documento inviato all’architetto, la commissione spiegò come si sarebbe potuto costruire un palazzetto dello sport molto più piccolo ma funzionale, che ospitasse anche una pista di atletica e gli alloggi, che, dopo i Mondiali di nuoto, sarebbero stati utilizzati dagli studenti della vicina università.

Inoltre, il documento redatto dalla commissione del Coni, presenta tutte le criticità riguardanti i parcheggi, le aree di sicurezza, i tornelli, i costi e la gestibilità, fattori che non erano mai stati toccati da Calatrava, interessato solamente alle maestose Vele che avrebbero dovuto svettare su Tor Vergata. Il documento rileva che "vanno approfonditi elementi importanti come le biglietterie, le vie d'esodo, l'uso quotidiano dopo i Mondiali e i parcheggi circostanti".

Adesso sulle campagne ad est di Roma c’è solo una Vela, odiata da tutti, residenti e non. Bastava solamente tenere conto delle criticità presentate dalla commissione e magari pensare ad un’opera più funzionale e meno faraonica. Adesso abbiamo una cattedrale nel deserto, bella e inutile.




IRAQ: L'ESERCITO SI RIPRENDE TIKRIT DALLE GRINFIE DELL'ISIS

di Maurizio Costa

Tikrit (Iraq) L'esercito iracheno ha strappato la città di Tikrit dalle mani dell'autoproclamato califfato islamico dell'Isis. La città era stata conquistata dai miliziani a giugno, con l'obiettivo di espandere i territori controllati dallo Stato Islamico.

A riferire la notizia è stato il primo ministro dell'Iraq, Haider al-Abadi, che, durante un intervento alla televisione 'Iraqiya TV', ha dichiarato che l'operazione è andata a buon fine.

La città che ha dato i natali a Saddam Hussein adesso è nelle mani dell'esercito iracheno, che, grazie ai bombardamenti dei giorni scorsi da parte dei caccia statunitensi, è riuscito a togliere le bandiere nere dell'Isis per sostituirle con quelle dell'Iraq.

L'esercito, però, avanza lentamente all'interno della città, poiché i miliziani, prima di abbandonare Tikrit, hanno piazzato delle trappole: molti palazzi potrebbero esplodere perché riempiti di bombe che si innescano attraverso delle luci al led. Anche i cadaveri che riempiono le strade della città potrebbero contenere dell'esplosivo.

"Il successo dell'operazione di Tikrit potrebbe essere ripetuto in altri settori – ha dichiarato al-Abadi -. I risultati ottenuti suono buoni. Le perdite per l'esercito iracheno sono state bassissime – ha proseguito il primo ministro – e abbiamo cercato di proteggere tutti i civili".

L'autoproclamato Stato Islamico aveva cominciato ad abbandonare Tikrit anche grazie ad alcuni camuffamenti: alcuni miliziani hanno cercato di abbandonare la città travestiti da donna. I jihadisti hanno usufruito proprio della sharia, che non permette la cattura delle donne in zone di guerra.

L'operazione di Tikrit fa capire come il sedicente califfato dell'Isis possa soccombere davanti all'avanzata congiunta degli aerei americani e dell'esercito iracheno. La strada è ancora lunga, ma la frammentazione delle truppe dell'Isis può portare a dei buoni risultati per le truppe alleate.




YEMEN NEL CAOS: L'ARABIA SAUDITA BOMBARDA I RIBELLI

 

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di Maurizio Costa

Sana'a – La guerra civile in Yemen non sembra volersi fermare. Questa volta, però, all'instabilità del paese si aggiunge una coalizione di paesi esteri che vuole intervenire nella lunga battaglia tra i ribelli Huthi e il governo centrale di Abd Rabbih Mansur Hadi. L'Arabia Saudita, infatti, ha cominciato a bombardare la capitale Sana'a, per cercare di destabilizzare il potere dei ribelli sciiti, che hanno occupato la sede del governo yemenita e hanno messo in fuga il presidente Hadi.

L'attacco saudita – Una coalizione composta da Arabia Saudita, Emirati, Qatar, Bahrain, Kuwait, Marocco, Giordania, Pakistan e Egitto, ha cominciato a radunare le truppe al confine con lo Yemen. Nella giornata di martedì, il governo saudita ha anche bombardato la capitale Sana'a per cercare di colpire le postazioni degli sciiti Huthi. I ribelli non hanno accolto di buon grado questo attacco e hanno comunicato che l'attacco della coalizione trascina la regione in un grande conflitto. Gli Huthi hanno occupato la sede del governo della capitale e hanno anche messo in fuga il presidente Hadi, che in un primo momento si è rifugiato ad Aden, una città sulla costa meridionale dello Yemen.

La fuga di Hadi
– Il presidente, però, martedì è fuggito a bordo di una nave dalla città di Aden, lasciando definitivamente il paese. I ribelli Huthi, infatti, sono arrivati alle porte della città del sud e hanno già cominciato a bombardare il palazzo presidenziale. Messo sotto pressione, Hadi è fuggito velocemente dallo Yemen per non cadere nelle mani dei ribelli. Gli sciiti Huthi possiedono un grande arsenale di mezzi di guerra. Infatti, i ribelli hanno bombardato con i caccia anche l'aeroporto della città di Aden, dismesso da tempo. Gli sciiti sono stati appoggiati anche dai sostenitori dell'ex presidente yemenita Ali Saleh, che nel 2012 si dimise lasciando il potere in mano a Hadi.

Il presidente dello Yemen, durante la fuga da Aden, ha chiesto alla Lega Araba di intervenire definitivamente per cercare di abbattere il potere degli Huthi, che ormai stanno conquistando tutto il paese. L'Arabia Saudita e i paesi che sostengono lo Yemen hanno risposto tempestivamente e hanno cominciato subito a bombardare le postazioni dei ribelli sciiti a Sana'a.

La coalizione saudita è appoggiata dal governo statunitense, che avrebbe creato un centro di coordinamento per fornire armi e aiuti alla Lega Araba. I timori di Obama si riferiscono ad un possibile colpo di stato e a una eventuale guerra civile, che romperebbe la stabilità di un paese che era filo-statunitense fino a qualche anno fa. Tra l'altro, ai problemi che insorgono tra i ribelli Huthi e il governo di Hadi, si aggiunge anche il pericolo Isis, che ha rivendicato l'attentato di qualche giorno fa a Sana'a, che ha provocato più di 140 vittime.

La storia – Lo Yemen ha cominciato a cadere nell'ombra di una guerra civile nel 2012, quando il presidente Ali Saleh lascia la poltrona all'attuale capo di stato, Abd Rabbih Mansur Hadi. Il 22 gennaio del 2015, i ribelli sciiti Huthi fanno un colpo di stato e rovesciano la presidenza di Hadi. Il dissenso tra Huthi e governo continua anche per motivi ideologici. Gli sciiti ribelli, infatti, sostengono che le loro azioni e le loro rivolte nascono perché gli Huthi vengono discriminati soprattutto dal governo, che, dal canto suo, afferma che i ribelli vogliono rovesciare il potere per imporre la propria legge islamica. Dopo la conquista di Sana'a da parte degli Huthi, il presidente Hadi è fuggito nella città di Aden, dichiarata “capitale transitoria”. In questo momento, però, il presidente è fuggito dallo Yemen e Aden cadrà nelle mani degli Huthi nel giro di poche ore.




NIGERIA: BOKO HARAM SEQUESTRA 500 TRA BAMBINI E DONNE

di Maurizio Costa

Damasak (Nigeria) – I jihadisti di Boko haram, sedicente califfato simile a quello mediorientale dell'Isis, hanno rapito 500 persone, soprattutto donne e bambini. Secondo 'Reuters', i miliziani sono entrati nella città di Damasak, nel nord della Nigeria, e hanno cominciato a seminare il panico.

La città era stata riconquistata a marzo dall'esercito congiunto di Nigeria, Ciad e Niger, che insieme stanno cercando di respingere il fenomeno Boko haram. Adesso, però, i jihadisti hanno deciso di vendicarsi e sono entrati a Damasak, rapendo “506 persone”, secondo quanto riferito da Souleymane Ali, un commerciante del posto.

Ali ha detto che non riesce più a trovare sua moglie e tre delle sue figlie. Boko haram avrebbe radunato donne e bambini nella moschea di Damasak. Dopo qualche ora all'interno del luogo di culto, i miliziani si sono allontanati dalla città, portandosi dietro una folta schiera di donne e bambini. Prima di uscire da Damasak, i jihadisti avrebbero ucciso 50 persone.

I soldati nigeriani, quando sono accorsi a Damasak, hanno trovato 70 corpi in stato di decomposizione sotto ad un ponte, resti di un'operazione di uccisione di massa da parte di Boko haram.

Cos'è Boko haram
– L'organizzazione islamica denominata Boko haram è un sedicente califfato che vorrebbe imporre la religione musulmana in tutto l'Islam e respingere di netto tutte le ideologie e le religioni dell'occidente. Letteralmente, Boko haram significa infatti “l'istruzione occidentale è proibita”. Queste persone rapite saranno utilizzate in maniera differente: i bambini più piccoli saranno istruiti alla “vera religione”; i ragazzi verranno arruolati nelle fila dell'autoproclamato califfato; le donne, infine, verranno usate come schiave o come spose.




LIBIA, BENGASI: KAMIKAZE UCCIDE 6 PERSONE

di Maurizio Costa

Bengasi – Un kamikaze si è fatto esplodere nel centro di Bengasi, uccidendo 6 persone e ferendone 12. L'attentatore ha provocato l'esplosione di un'automobile dopo essersi avvicinato ad un gruppo di soldati libici. A riferirlo è una fonte libica, che ha riportato una nota delle Forze Speciali dello stato nordafricano.

Secondo alcune indiscrezioni, l'autoproclamato califfato islamico dell'Isis avrebbe rivendicato l'azione terroristica di Bengasi su Twitter.

L'attentato avviene proprio nel giorno in cui Bernardino Leon, l'inviato dell'Onu per la Libia, visita Tobruk per cercare di risolvere la crisi libica. Nel paese, infatti, ci sono due governi: uno stanziato a Tobruk e riconosciuto dalle autorità internazionali, e l'altro a Tripoli. Quest'ultimo è appoggiato da una coalizione filo-islamica che, dopo un colpo di stato, ha creato un governo parallelo a quello ufficiale di al-Thani.

Leon è stato accolto da grandi manifestazioni che si sono svolte a Tobruk, perché alcuni libici non vedono di buon occhio l'intromissione dell'Onu nelle vicende statali. L'inviato del Palazzo di Vetro, a margine dell'incontro con alcuni rappresentanti libici, ha dichiarato che c'è bisogno di "un governo di unità guidato da un presidente e un Consiglio presidenziale composto da personalità indipendenti, non appartenente ad alcun partito o affiliate ad alcun gruppo e che siano accettabili per tutte le parti e tutti i libici".

Intanto, continuano gli attacchi su Tripoli comandati del capo di Stato maggiore del governo di Tobruk, Khalifa Haftar, che sta cercando di far tornare il governo ufficiale di al-Thani nella propria sede governativa.
 




LIBIA, ONU: "GOVERNO DI UNITÀ NAZIONALE ENTRO QUESTA SETTIMANA"

di Maurizio Costa



Bruxelles – La Libia potrebbe trovare l'unità nazionale entro questo fine settimana. L'annuncio arrivo dal mediatore dell'Onu, Bernardino Leon, che da mesi segue le vicende dell'ex stato di Gheddafi, diviso e conteso da due governi nazionali. "Le cose progrediscono bene – ha dichiarato Leon -, c’è una possibilità di formare un governo di unità nazionale entro la fine della settimana". Queste parole arrivano durante l'incontro con alcuni sindaci di città libiche organizzato a Bruxelles dall'Alto Rappresentante per gli Affari Esteri dell'Ue, Federica Mogherini. "Questo incontro dà l’opportunità di mostrare ai libici che ci possono essere benefici anche prima di un accordo finale" ha concluso Leon.



Anche Federica Mogherini ha parlato della situazione in Libia: "In Libia non c'è nessuna opzione militare. Risolvere la crisi libica è una sfida internazionale e riguarda la sicurezza non solo della Libia, ma anche dell'Europa e dell'Africa". "Siamo al punto di svolta – ha continuato l'Alto rappresentante -. O la Libia riparte ed è in grado di affrontare unita la sfida della sicurezza e del terrorismo, o non resta così: andrà peggio".



Bombardamenti – Intanto, continua l'offensiva del governo di Tobruk, riconosciuto dall'Onu, che sta cercando di riconquistare Tripoli, sottratta al premier al-Thani dal governo antagonista sostenuto da 'Fajr Libya', una coalizione di milizie filo-islamiche che presiedono l'esecutivo non riconosciuto dalle autorità mondiali. Gli attacchi aerei di Tobruk hanno colpito soprattutto l'aeroporto internazionale della capitale e un altro scalo, il 'Mitiga'. L'Onu non approva questi bombardamenti del governo di Tobruk. Bernardino Leon preferisce una soluzione diplomatica che porterebbe all'unità nazionale. Un atteggiamento belligerante del governo di Tobruk potrebbe raffreddare i rapporti con l'Onu, l'unca entità internazionale che potrebbe porre fine al conflitto governativo.



Isis – Oltre al problema dello sfaldamento della Libia, anche l'Isis incombe sul paese nordafricano. "Trasformeremo Sirte in un inferno come Falluja" hanno fatto trapelare su Twitter i miliziani del sedicente califfato islamico. In Libia ci sarebbe un grande contingente di milizie dell'Isis, che vorrebbero creare ancora più scompiglio in un paese diviso come quello libico. Tra l'altro, in Libia ci sono molte basi di addestramento dell'autoproclamato califfato islamico: alcuni terroristi che hanno attaccato il museo del 'Bardo' di Tunisi si sarebbero addestrati proprio in Libia.



Ministro Gentiloni – Il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, è in contatto diretto con Leon per cercare di trovare un accordo tra le due parti.



La storia – La Libia è divisa in due. Il governo di Tobruk, presieduto dal Primo ministro, Abdullah al-Thani, è riconosciuto dall'Onu ed è appoggiato anche dall'Egitto. In questi giorni, questo governo, anche attraverso il capo di Stato Maggiore, Khalifa Haftar, sta bombardando Tripoli per cercare di reinsediarsi nella sede classica del parlamento libico. Nella capitale è presente il governo antagonista e non riconosciuto di Omar al-Hasi, appoggiato da una coalizione filo-islamica, chiamata 'Fajr Libya'.




YEMEN: TRE ATTENTATI KAMIKAZE IN MOSCHEE, 137 MORTI

di Maurizio Costa

Sana'a
– Tre attentati terroristici kamikaze hanno colpito alcune moschee in Yemen. Il primo attacco è avvenuto a Sana'a, capitale del paese, uno nella moschea Badr e l'altro in quella di Al-Hashahush.

Gli attentati a Sana'a – I kamikaze hanno colpito due moschee della capitale durante il giorno di preghiera. Nella prima moschea, quella di Badr, un attentatore si sarebbe mischiato tra coloro che erano entrati nella struttura per pregare. Dopo poco, il kamikaze si è fatto esplodere all'interno della moschea. Subito dopo, un altro attentatore, mentre tutti sfuggivano dall'interno della moschea di Badr, si è fatto esplodere davanti all'entrata del luogo di culto. Quasi contemporaneamente, sempre a Sana'a, un altro kamikaze si è fatto esplodere nella moschea di Al-Hashahush, nel nord della città.

Le vittime accertate sono 137, ma aumentano minuto dopo minuto. I feriti sarebbero 345. Nell'attacco sarebbe morto anche l'imam della moschea di Badr, Al Murtada bin Zayd al Muhatwari.

Gli attacchi a Saada – Anche nella città che si trova a nord del paese due attentatori si sono fatti esplodere, causando la morte di almeno 15 persone. Uno dei due kamikaze non avrebbe causato vittime, visto che è stato subito identificato e bloccato dalla folla.

L'Isis – L'autoproclamato califfato islamico avrebbe rivendicato l'attentato su Twitter, ma le fonti ancora non sono certe. L'Isis, comunque, ha sempre combattuto la minoranza islamica sciita, che trova rappresentanza negli houthi, che da qualche mese governano lo Yemen dopo aver scalzato il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, rifugiatosi nel sud del paese.

Ci potrebbe anche essere la mano di Al-Qaida, che trova in Yemen una forte roccaforte per i suoi miliziani. Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha condannato fermamente l'attentato: "Tutte le parti devono rispettare gli impegni presi per risolvere le divergenze con mezzi pacifici e dovrebbero impegnarsi in buona fede nei negoziati facilitati dalle Nazioni Unite al fine di raggiungere un accordo".

Se l'Isis avesse raggiunto anche lo Yemen si tratterebbe di una inesorabile avanzata, che, dopo l'attentato a Tunisi, fa sempre più paura al mondo islamico e anche occidentale.




TUNISIA: IL POPOLO DICE NO AL TERRORISMO

di Maurizio Costa

Tunisi – Il popolo tunisino dice no al terrorismo e sfila per le strade della città per far capire che la Tunisia è un paese civile, distaccato dalle logiche dell'Isis o del terrorismo. Con l'occasione di festeggiare il 59esimo anniversario dell'indipendenza del paese, centinaia di persone hanno dato vita a un corteo che ha sfilato per Tunisi. Alla testa della manifestazione un cartellone molto importante e d'effetto: "Il terrorismo non è musulmano né tunisino".

La Tunisia cerca di tirarsi fuori dal problema del terrorismo e proprio in questi ieri è uscita la notizia della presunta appartenenza degli attentatori all'Isis. Il gruppo dell'autoproclamato califfato ha esultato su Twitter dopo l'attentato al museo del Bardo di Tunisi. Secondo fonti locali, le persone che hanno eseguito la strage si sarebbero addestrati in Libia con l'Isis, a Sabrata, Bengasi o Derna, per poi tornare in Tunisia a dicembre.

Intanto, il problema dell'attentato arriva in Consiglio Ue, ma ancora non si sa se si parlerà della strage o dei metodi per attenuare il problema del terrorismo.

Il governo tunisino ha già arrestato nove persone, che avrebbero partecipato direttamente o indirettamente all'attentato. Le autorità trovano difficoltà ad identificare il gruppo di appartenenza dei jihadisti. In Tunisia ci sono migliaia di cellule piccolissime che potrebbero aver fatto questo attentato. L'Isis ha festeggiato su Twitter ma potrebbe essersi trattato di un gruppo misto, formato da Isis o da Ansar al-Sharia. 

La Tunisia potrebbe uscire fuori dall'ondata di terrore così come ne è uscita la Francia dopo la strage di 'Charlie Hebdo'. Il turismo nel paese nord-africano contribuisce per il 20% al Pil nazionale e un calo di turisti potrebbe voler dire una grave crisi per il governo e la popolazione. Il paese dalla costituzione più innovativa del nord Africa è stato colpito duramente, ma la gente comincia già a ripopolare le strade di Tunisi, come se non fosse successo niente.




LA STRATEGIA DI LUPI

di Maurizio Costa

Maurizio Lupi non è indagato nell'inchiesta delle 'Grandi Opere'. Questo dato di fatto non elimina il problema della sua carica: ministro delle Infrastrutture, proprio quel settore coinvolto nei milioni di euro di mazzette pagati per affidare la Tav o la metropolitana di Roma e Milano ai soliti noti. Il problema è che i rapporti clientelari non terminavano nel cantiere dove venivano posati mattoni macchiati dalla corruzione, ma si svolgevano anche nei salotti e durante le sedute di laurea del figlio di Lupi, che avrebbe ricevuto orologi e abiti perché il papà Maurizio, successivamente, avrebbe permesso magari un comportamento non idoneo a Incalza e soci. Questi ultimi, tra l'altro, avrebbero partecipato al discorso del Papa contro la corruzione che dilania l'Italia. Lupi avrebbe detto "non dipende da me". Fino ad ora no, ma un figlio di un ministro che guarda caso va a lavorare presso il super-dirigente del ministero delle Infrastrutture fa storcere il naso. Lupi, in una telefonata a Incalza, avrebbe detto "devi venirti a trovare mio figlio", appena laureato con 110 e lode al Politecnico di Milano. Bisogna andarci cauti con le accuse giudiziarie, ma una telefonata è un dato di fatto, una registrazione non modificabile da nessuno. Maurizio Lupi si è fatto forse prendere la mano e ha provato a piazzare il figlio che avrebbe percepito uno stipendio neanche così alto. Un ministro dovrebbe capire di aver sbagliato, solamente perché il figlio lavorava per un indagato. Preso atto di questo, dovrebbe anche liberare quella poltrona così calda, madre di tutte le corruzioni del ministero. Un ministro 'quadrato', infine, dovrebbe anche dimettersi solamente perché il suo nome è apparso nelle intercettazioni. Oggi è il giorno della decisione e probabilmente Lupi sta perdendo anche l'appoggio di Renzi e Alfano, che hanno paura di far perdere di credibilità tutto il governo. Chi amministra uno stato deve essere un esempio per tutti, anche nei momenti problematici. Il giuramento fatto al momento dell'insediamento sulla Costituzione Italiana vale molto in una carriera politica. Un passo indietro darebbe l'esempio.




STRAGE TUNISI: "DUE ITALIANI MORTI E DUE DISPERSI"

di Maurizio Costa

Tunisi – Cambia il numero ufficiale dei morti italiani nella strage al museo Bardo di Tunisi: secondo Paolo Gentiloni, ministro degli Esteri, il numero dei morti connazionali sono due, mentre altri due italiani risultano dispersi. Le autorità tunisine, in un primo momento, avevano comunicato che le vittime italiane sarebbero state quattro. Invece, Gentiloni, intervistato ad 'Agorà', ha affermato che risultano "due italiani morti e due dispersi".

All'1,55 di questa notte, la nave 'Costa Fascinosa' è ripartita dal porto di Tunisi, contando a bordo 13 persone in meno. Anche un'altra nave da crociera, la Msc, ha fatto tappa a Tunisi ieri, senza però perdere persone. Il team della 'Costa' sta lavorando sul campo e con i vari ministeri per dare il massimo appoggio alle vittime e ai feriti.

Il ministro Gentiloni ha dichiarato che "oggi in Italia tutti i livelli di allerta di mobilitazione delle forze di sicurezza sono al massimo e concentrati sulla minaccia terroristica. Dobbiamo proteggere i nostri confini, i nostri concittadini ed alzare i livelli di sicurezza sui possibili bersagli del terrorismo – continua il ministro – I nostri servizi di intelligence sono attivi, abbiamo rafforzato la presenza navale nel Mediterraneo e finora non esistono elementi di connessione tra fenomeno migratorio e terrorismo, ma nessuno può in teoria escluderlo".

Le vittime ufficiali tra i connazionali sono Orazio Conte e Francesco Caldara.