CAMPIONATO. IN DIFFICOLTA' LE SUPERFAVORITE

di Silvio Rossi

Sabato pomeriggio, allo stadio Bentegodi di Verona, la Roma non è andata oltre il pareggio contro i padroni di casa, che si erano portati in vantaggio al sedicesimo della ripresa con un gol di Jankovic. La squadra capitolina, che lo scorso anno si piazzò seconda dopo i campioni d’Italia della Juventus, ha pareggiato i conti cinque minuti dopo con un gol di Florenzi dalla distanza.
Se un pareggio, in un campo difficile come quello scaligero, può essere considerato un risultato non certo ottimale, ma comunque accettabile, diverso è il discorso per la partita della vecchia signora, che si è piegata in casa contro una sempre temibile Udinese, che ha espugnato l’ex Stadio delle Alpi, con un gol di Thereau a un quarto d’ora dalla fine.

Una débâcle che non intacca comunque le possibilità juventine di portare a casa il quinto scudetto consecutivo, come dicono gli esperti del settore: “il campionato è ancora lungo”. Certamente però, vedere in difficoltà le due squadre che hanno dominato i due ultimi campionati, costrette dal primo turno a inseguire la squadre vittoriose, fa allargare il campo delle pretendenti alla vittoria finale.
È ancora presto per poterlo affermare, ma se da parte delle due formazioni favorite alla partenza, non vengono prese subito delle contromisure, il vertice della classifica di serie A non sarà una questione a due.




MONDIALI DI ATLETICA A PECHINO. BOLT IMBATTIBILE

di Silvio Rossi

L’assassino torna sempre sul luogo del delitto. Una citazione utilizzata in molti gialli, che descrive la propensione dell’essere umano di tornare nei posti dove hanno vissuto emozioni particolari. Sta succedendo probabilmente la stessa cosa anche a Usain Bolt, il fulmine giamaicano che dal 2008 a oggi ha monopolizzato l’attenzione mondiale sulle gare di velocità.
Il campione giamaicano ha vinto le medaglie d’oro dei 100 e 200 metri alle Olimpiadi di Pechino, e successivamente in quelle di Londra, ha vinto le medaglie d’oro anche nei mondiali a Berlino 2009 e Mosca 2013, mentre a Daegu nel 2011 ha vinto solo la medaglia sulla distanza maggiore, per una squalifica per falsa partenza nei 100 metri.

Ai mondiali di Pechino Usain Bolt è arrivato non in grande forma fisica. Nelle batterie e soprattutto nella semifinale ha stentato, effettuando delle partenze non eccezionali, e riuscendo a qualificarsi senza problema, ma non dimostrando, come in passato, una superiorità senza appelli. Un Bolt più umano, un corridore non insuperabile, ma comunque favorito, assieme allo storico rivale, lo statunitense Justin Gatlin, che dopo i turni preliminari sembra avere più carburante in corpo rispetto al giamaicano.

Alle 15:15 (ora italiana) la finale dei 100 metri ha decretato il suo verdetto: Usain Bolt ha confermato di essere il numero uno, con poco distacco rispetto al suo rivale (9:79 per Bolt, contro il 9:80 di Gatlin), ha vinto la sua ennesima medaglia, correndo soprattutto con la testa, riuscendo a non perdere metri dopo la partenza rispetto al più sgusciante americano, che ha stregato negli ultimi metri, con una rimonta al fotofinish.
L’appuntamento con la storia è rimandato al prossimo anno, a Rio de Janeiro, quando certamente il fulmine giamaicano venderà cara la pelle, per riuscire a portare a casa la terza medaglia d'oro olimpica sui 100 metri, impresa mai riuscita a nessuno.




PREGHIERA DEGLI ALPINI. LA POLEMICA INUTILE

di Silvio Rossi

Sembra una di quelle bolle mediatiche, che spesso ingigantiscono una falsa notizia, col risultato di generare esternazioni da parte di tutti, politici compresi, che spesso fanno dell’avventatezza una caratteristica della loro comunicazione.
È bastato quindi che qualcuno diffondesse la notizia che il vescovo di Vittorio Veneto avesse censurato la preghiera degli alpini, perché nelle sue parole: “Rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana” si ravvisava una possibile offesa agli stranieri.
Una decisione che sembrerebbe assurda, e proprio per questo motivo, prima di commentarla, meriterebbe un approfondimento, per evitare commenti sbagliati. Un processo di verifica della notizia che però sembra non appartenere al modus operandi di molti politici nostrani.
L’intero centrodestra, con in prima linea Salvini, ha lanciato parole di fuoco contro questa ingerenza della chiesa. Il leader della Lega ha twittato: “VIETATA la Preghiera dell’Alpino a Messa! Pazzesco. La Diocesi di Vittorio Veneto ha proibito la lettura di questo brano alla fine della Messa al Passo San Boldo, tra Treviso e Belluno”.
Poco dopo ha fatto da eco Daniela Santanché, che nella sua pagina ha scritto: “Non si può più recitare la preghiera degli alpini in chiesa perché è offensiva nei confronti degli stranieri #senzaparole”.
Polemiche che hanno stupito il vescovo di Vittorio Veneto, monsignor Corrado Pizziolo, che ha dichiarato a Sat2000: “Io per rispetto alla tradizione che non è neanche troppo antica e facendo leva sul buonsenso delle persone non ho emanato nessun intervento che proibisca o indichi in quale modo dev’essere recitata la preghiera. Sono un po’ caduto dalle nuvole difronte a questa esplosione che mi sembra assolutamente esagerata”.
Sarebbe bastato però informarsi sul testo della Preghiera dell’Alpino, invece di “dare fiato al tweet”, per accorgersi come la versione non accettata dal sacerdote officiante, non sia quella riconosciuta ufficialmente, ma una vecchia versione apparsa subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, e modificata, proprio perché conteneva la frase suddetta, non in linea con lo spirito cristiano, che dovrebbe essere la base perché una preghiera venga letta in una chiesa, nel 1972 dal cappellano del 4° Corpo d’Armata alpino, monsignor Pietro Parisio, che la modificò in: “Rendici forti a difesa della nostra Patria e della nostra Bandiera”. L’indignazione di Salvini e Santanché giunge quindi con la bellezza di quarantatré anni di ritardo.
Ad affermare la modifica della preghiera è una fonte non certo contraria alle penne nere, la storia della preghiera è ben rappresentata nel sito dell’Associazione Nazionale Alpini di Roncegno (vedi link).
C’è da dire che non solo tra i politici di centrodestra c’è stata questa incauta levata di scudi. Anche il sindaco di Treviso, Giovanni Manildo del PD, ex alpino, ha contestato la decisione di non far leggere la preghiera, nella versione non ufficiale.
Troppe volte molti nostro politici si lanciano in esternazioni che, dopo una semplice verifica dei fatti, appaiono perlomeno ingenue. Ci si chiede a questo punto, ma se affrontano tutte le questioni con la stessa leggerezza con cui lanciano i propri strali, come possono prendere decisioni che influiscono sulla vita dei propri concittadini?




CHIAUCI: LA FAMIGLIA DI VINCENZO DONA UN DEFIBRILLATORE

di Silvio Rossi

Un defibrillatore donato dalla famiglia di Carmine di Vincenzo, il sindaco di Chiauci, morto per un malore improvviso lo scorso 17 luglio, al paesino altomolisano. La moglie Lucia e i figli hanno voluto, con questo gesto, legare il ricordo di Carmine col paese che l’ha visto nascere, e che lo conosceva come uno dei più prolifici narratori delle vicende chiaucesi.
Un ricordo che non ha solamente un valore simbolico, ma un preciso senso sociale, la volontà che in futuro si possano salvare vite umane, la voglia che ciò che è avvenuto al loro caro, non si ripeta ad altre persone.
Il defibrillatore, acquistato con la colletta sorta spontaneamente dopo la scomparsa, è stata consegnata dalla famiglia Di Vincenzo al vicesindaco di Chiauci, Domenico Di Pilla, nella serata del 13 agosto, tradizionalmente dedicata alla sagra di “sagne e fagioli”, che quest’anno è stata dedicata alla memoria di Carmine, davanti a una piazza affollata, più che in ogni altra occasione.
Molti amici hanno voluto portare la loro testimonianza, i consiglieri comunali, che in appena un mese avevano avuto la possibilità di apprezzare l’intraprendenza e la volontà del neosindaco di donare una speranza nuova al piccolo paese, i sindaci dei comuni limitrofi, che hanno voluto testimoniare l’affetto nei confronti del loro collega, i suoi concittadini, tanti amici e conoscenti che sono giunti appositamente da Isernia o dagli altri paesi del territorio.
L’architetto Franco Valente, uno dei principali studiosi della storia dell’altomolise, ha voluto ricordare come Carmine l’aveva contattato per venire a raccontare, proprio in questa serata, alcune curiosità sul borgo, perché una sagra non deve essere fine a se stessa, ma deve rappresentare un’occasione per imparare sempre qualcosa di nuovo.
Davanti a un pubblico commosso, hanno concluso la serata il gruppo dei Cap’danniar, storica formazione di musica popolare, della quale faceva parte Carmine, un canto triste e allegro insieme, che ha voluto ricordare l’amico come se fosse stato anche lui a cantare con loro.




ANGUILLARA. LA POSTA (FINALMENTE) RADDOPPIA

di Silvio Rossi

Anguillara (RM) – Il primo a dare la notizia è stato l’onorevole Emiliano Minnucci, ex sindaco di Anguillara, e parlamentare comunque legato al territorio. L’ufficio postale di Anguillara, dal primo di settembre, sarà aperto anche il pomeriggio, fino alle 19:00.
Una buona notizia per i residenti nella cittadina sul lago, che fino a oggi sono rassegnati alle lunghe file per ogni operazione che devono svolgere presso l’ufficio. Si spera infatti che con l’apertura pomeridiana le code si distribuiscano su un orario più lungo, risultando gli sportelli meno intasati.
Con quasi ventimila abitanti, la presenza di un solo ufficio postale (altri centri della zona, come Bracciano e Formello ne hanno due), per giunta con un orario solo mattutino era ormai inaccettabile, un servizio non idoneo per le esigenze di quanti dovevano spedire una raccomandata o pagare un bollettino.
Le richieste alla direzione delle Poste sono state diverse. Un paio di anni fa alcuni cittadini hanno anche realizzato una raccolta firme, per chiedere l’allungamento dell’orario o in alternativa l’apertura di un secondo ufficio.
Abbiamo chiesto al deputato Minnucci, alcune informazioni in merito.

Dell’orario pomeridiano alla posta se ne parla da molti anni.

Vero. La prima richiesta la feci quando ero sindaco, intorno al 2006. Ricordo che allora fu ampliato l’ufficio postale, che era precedentemente in una location non adeguata, con la gente che doveva fare la fila fuori perché il locale era troppo piccolo. Fu spostato l’ufficio, ma allora non fu possibile allungare l’orario.

Ci sono voluti alla fine quasi dieci anni. È sempre così difficile riuscire a ottenere qualche servizio?

Per quanto riguarda la mia esperienza, devo dire che Poste ha risposto abbastanza bene. Da allora, quando appunto fu ampliato l’ufficio, io non ho avuto a che fare con la questione. Mi sono nuovamente occupato della cosa dalla fine del 2014, perché nel frattempo come parlamentare sono stato assegnato alla commissione trasporti, poste e telecomunicazioni, e ho cercato di risolvere il problema che effettivamente a Anguillara era diventato pressante. Devo dire che la direzione di Poste è stata corretta, mi avevano promesso di realizzare il prolungamento entro il 2015, dandomi come periodo previsto l’ultimo trimestre. Alla fine c’è stato anche un leggero anticipo sui tempi.




MOLISANI NEL MONDO. SUCCESSO PER IL CONCORSO "SHORT FOOD MOVIE"

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BENEDETTA RINALDI SALUTA I MOLISANI NEL MONDO

 

di Silvio Rossi

La sala del teatro comunale di Casacalenda era piena, la prima edizione del concorso cinematografico “Molisani nel Mondo – Short food movie”, dedicata al rapporto che i discendenti molisani hanno col cibo della tradizione, ha appassionato gli spettatori giunti per Molise Cinema, il festival che ha visto una sezione dedicata per l’occasione.

Alla premiazione hanno partecipato il Presidente del Consiglio Regionale del Molise, Vincenzo Niro, e il professor Livio De Santoli, Energy manager della Sapienza e professore presso la stessa università, rappresentante autorevole della categoria “molisani nel mondo”, poiché la sua famiglia proviene da Roccamandolfi, un paese del versante molisano del Matese.

Il video vincitore del concorso, “Amore alla molisana” è un divertente corto di quasi dieci minuti dove passione, modernità e tradizione insieme, hanno creato una simpatica storia attuale, un buona rappresentazione di come le nuove generazioni, che nel caso specifico non conoscono né il nostro paese né la lingua, siano comunque legate alla cucina della tradizione.

Alla premiazione erano presenti la regista del corto, Lucila Iaizzo, una ragazza nata a Buenos Aires, originaria di Vinchiaturo, e le due protagoniste femminili, Rocio Iaizzo e Noelia Sostre, felicissime di aver ottenuto questo riconoscimento. Sono stati segnalati altri video, giunti dalla Gran Bretagna, un divertente riepilogo sulle false notizie che gli stranieri hanno rispetto al nostro modo di mangiare; dal Canada, con una ricetta tradizionale di un piccolo paese molisano ripetuta in famiglia a Montreal, e un video italiano, di Ilaria Iovine, che ha ricordato una leggenda sulla nascita dell’olio di Venafro.
All’inizio della premiazione è stato proiettato un video, in cui alcuni personaggi, tutti legati a vario titolo col Molise, hanno mandato un saluto ai partecipanti. Il primo è giunto da Benedetta Rinaldi, conduttrice di Unomattina Estate, di origine abruzzese, quindi vicina geograficamente alla piccola regione, ma soprattutto volto familiare di “Community”, trasmissione dedicata agli italiani all’estero, quindi particolarmente sensibile nei confronti di quanti rappresentano gli italiani, anche se molto lontani.
Il secondo saluto è di Riccardo Cucchi, caporedattore sportivo di Radio Rai, romano di nascita, ma che ha esordito professionalmente a Campobasso, iniziando la sua attività giornalistica nella locale sede Rai, dove ha lavorato per undici anni, e dove ha stretto una rete di amicizie che spesso rinsalda con qualche “capatina” nel capoluogo molisano.
L’ultimo saluto è di un “Molisano nel Mondo”, il regista e attore Giulio Base, nato a Torino con mamma di Mirabello Sannitico, che ha confessato come, non ricordando le caratteristiche del cibo molisano, questa occasione abbia stimolato in lui una certa curiosità.




IL PAESE DELLE (NON) REGOLE

di Silvio Rossi

 

Gli italiani, si sa, sono poco avvezzi al rispetto delle regole. Gli esempi che possono essere diffusi sono molteplici, dai regolamenti urbanistici, al pagamento delle imposte, al codice della strada.
Proprio per quanto riguarda la circolazione stradale, gli abitanti del belpaese sanno dare il peggio di se stessi. Il rispetto della precedenza è un opzional sconosciuto, i cartelli di divieto sono interpretati come semplici consigli, spesso anche il rosso semaforico non è un divieto da rispettare assolutamente. La sosta, poi, è l’apoteosi del menefreghismo. La doppia fila è una costante anche nelle zone dove i parcheggi non mancano, ogni angolo di marciapiede libero può diventare buono per la sosta, i posti dei disabili vengono letteralmente assaltati da chi non ne ha diritto.
Ma se in strada, anche per via della possibilità di decurtare i punti sulla patente a chi occupa senza titolo i posti gialli, è meno frequente trovare su questi posti auto non autorizzate, la situazione diventa insopportabile nei parcheggi dei supermercati.
Essendo in genere privati, quindi con problemi per far intervenire la polizia locale, il rispetto dei posti riservati cala drasticamente. Per un disabile che va a fare la spesa, la speranza di trovare il parcheggio a lui riservato risulta spesso vana grazie al menefreghismo altrui.
Accade quindi che, anche chi normalmente nel suo paese è ligio al rispetto delle regole, come avviene regolarmente nei paesi nordici, quando frequenta il nostro paese si abitua presto al vivere senza considerare gli altri meno fortunati. Ecco che quindi, in un parcheggio di un centro commerciale, vediamo un fuoristrada con targa belga, parcheggiato (anche storto, occupando parte della corsia riservata al passaggio delle auto) su un posto riservato, senza l’esposizione del titolo.
Ci si chiede a questo punto se la tanto decantata civiltà di certi popoli non sia solo il frutto della forte repressione che in quei paesi si ha per certe violazioni, e che invece sparisce facilmente quando ci si sposta in nazioni dove tutto viene più facilmente tollerato, oppure se il titolare della vettura in divieto non sia un nostro compaesano emigrato in Belgio, che quando torna nel suo paese natio, oltre alla buona cucina e al sole, ritrova anche le vecchie abitudini?




ROMA, ATAC: FERROVIA TERMINI GIARDINETTI LIMITATA A CENTOCELLE

di Silvio Rossi

Roma – Un’idea scellerata. Così il Cesmot (Centro studi sulla mobilità e i trasporti) ha definito la soppressione del tratto Centocelle – Giardinetti della ferrovia urbana che ha garantito per molti anni la mobilità urbana sulla via Casilina.

Soppressione che è partita dal 3 agosto, poco più di un mese dopo l'apertura del tratto Parco di Centocelle – Lodi della metro C, tratto che comunque non risolve i problemi della mobilità nel settore orientale, in quanto il trasbordo verso la linea A a San Giovanni è poco pratico.
La riduzione del percorso, che nel tratto oltre via Palmiro Togliatti scorre parallelo alla Metro C, è stata decisa nel piano di riorganizzazione conseguente all’apertura del tratto di metropolitana che, giungendo alla stazione Lodi, porta i passeggeri verso il centro cittadino, a pochi passi dalla stazione della metro A San Giovanni, che verrà raggiunta a metà 2016 (ritardi permettendo).
Non è stata apprezzata la decisione di sopprimere il tratto di ferrovia, scelta che dimostra come “da oggi a Roma termina «l’era del ferro» e inizia «l’era della gomma»”. Per fare un confronto recente, a Milano, la linea “5” della metropolitana , recentemente aperta, ha le ultime quattro fermate in direzione San Siro coincidenti con una linea tranviaria, che non è stata però soppressa, così come è avvenuto a Roma.

Ciò che manca, secondo Omar Cugini, presidente del Cesmot, è una strategia da parte di Atac. La decisione improvvisa dimostra che “l’unico interesse di ATAC, complice l’assordante silenzio della Regione Lazio, ormai è la riduzione dei servizi su ferro per concentrarsi unicamente sui servizi con autobus”.

“Oggi si inizia dalla giardinetti, – prosegue Cugini – il prossimo passo sarà la soppressione dei servizi lungo la Roma Nord, per terminare a breve con la trasformazione in bus della Roma – Lido, le cui prove di soppressione sono già avvenute in questi giorni quando, invece di cercare di risolvere le criticità di esercizio, si è preferito attivare dei bus integrativi.

Una riduzione, quella della ferrovia Termini – Giardinetti, che non appare ragionevole, infatti dopo l’apertura della metro C, la frequenza del bus 105, che percorre la via Casilina, è stata ridotta, e i mezzi sono affollati come carri bestiame. Considerando che nei mesi estivi gli spostamenti sono inferiori rispetto a quando a settembre riapriranno le scuole, ci si attende presto un collasso dei trasporti pubblici nel settore interessato.




GLI EROI POLACCHI A PESCOLANCIANO, TRA FEDE E LIBERTA'

di Silvio Rossi

Domenica 26 luglio, a Pescolanciano, si è svolto un incontro che ha cercato di ricostruire la memoria del passaggio dei soldati polacchi del II Corpo d’Armata, guidati dal generale Anders, che nel piccolo paese molisano hanno instaurato un rapporto fraterno con la popolazione, dimostrata col dono del quadro della madonna di Chestochowa, che è costudita nella chiesa del San Salvatore. Il convegno, che ha avuto una notevole partecipazione di un pubblico attento, moderato dalla giornalista Simonetta D'Onofrio, ha visto la prestigiosa partecipazione della Console polacca a Roma Agata Ibek-Wojtasik. La ricostruzione storica della vicenda dei soldati polacchi è stata curata da Antonio Plescia, coautore di un documentario sul II Corpo d'armata del generale Anders. Abbiamo cercato di conoscere meglio questa pagina della storia nazionale rimasta oscura per molti anni.

Come è nato l’interesse per la storia dei soldati polacchi in Italia?

Mi occupo della vicenda dei soldati polacchi da anni, precisamente dal 2008, anno di un primo viaggio di ricerca storica a Cracovia. “I senza terra. La storia del II Corpo d’armata polacco” nasce come documentario al termine del Master di Comunicazione Storica dell’Università di Bologna, è un lavoro che ho curato e realizzato insieme a Giuseppe Muroni e a Pasquale De Virgilio. Insieme abbiamo girato l'Italia per raccogliere informazioni e testimonianze, tra le diverse interviste presenti nel documentario quella a Wojciech Narebski, memoria storica e reduce del II Corpo, persona straordinaria che ho l'onore di conoscere molto bene e che il 25 aprile è stato protagonista dello speciale di Rai Uno con Fabio Fazio e Roberto Saviano.

Come nasce questo Corpo d’Armata?

La storia dei polacchi, che ritroviamo a Pescolanciano e dintorni, va dalla spartizione della Polonia del 1939 alla deportazione di civili e militari nei Gulag, dalla nascita del II Corpo in medioriente fino alla Campagna d’Italia, che li vedrà protagonisti sul Sangro, nella decisiva battaglia di Montecassino e nella risalita del fronte adriatico fino alla liberazione di Ancona e di Bologna.

Molti di loro hanno preferito rimanere in Italia alla fine della guerra, come mai?

L' odissea del II Corpo non finisce alla fine della seconda guerra mondiale, la maggior parte dei soldati polacchi, infatti, nel dopoguerra si rifiuterà di tornare in un Paese finito sotto l'orbita comunista preferendo l’esilio. La loro storia arriva a Solidarnosc, a Giovanni Paolo II e al crollo del Muro di Berlino. La piena indipendenza della Polonia, sempre sognata dagli uomini di Anders, rimasti cinquanta anni senza terra, verrà riconquistata solo nel 1989.

Quale lezione ci offre questa vicenda?

L'importanza della memoria e della ricerca storica è inestimabile, comprendere il presente è impossibile senza la conoscenza del passato. Il lungo percorso verso la libertà da parte dei soldati polacchi è un monito ad agire in direzione della democrazia e della giustizia nonostante le difficoltà quotidiane. I polacchi arrivarono a Pescolanciano dopo che il paese era già stato liberato dalle truppe alleate, ma strinsero un legame profondo con la popolazione locale tanto da donare, prima di lasciare l'alto molise e dare l'assalto a Montecassino, un quadro raffigurante la Vergine nera (la Madonna di Chestochowa) da loro profondamente venerata e che già dal XVIII secolo aveva un valore simbolico che andava oltre la religione: rappresentava la resistenza a tutte le oppressioni straniere.

 




MORTA LIVIA DANESE, E' STATA PER 68 ANNI LA MOGLIE DI ANDREOTTI

di Silvio Rossi

Il marito la chiamava “la marescialla”, perché cine tutte le donne della sua generazione, aveva in mano la famiglia, e senza mai esercitare l’autorità, era comunque lei che in casa comandava.
Livia Danese, 93 anni, moglie del sette volte Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, che aveva sposato nel 1945, è morta ieri a Roma, città dove la coppia era nata e dove ha risieduto nei 68 anni del loro matrimonio. Dalla loro unione sono nati quattro figli.
La profonda riservatezza che il politico manteneva sulla sua famiglia, ha caratterizzato la vita di Livia, sempre al fianco del marito nelle occasioni familiari, nelle scelte di vita, ma mai troppo presente nelle cerimonie ufficiali, tanto da far dire a Enzo Biagi «Non c’è aneddotica sulla signora Andreotti».
Forte almeno quanto il suo consorte, dopo le inchieste per mafia, e i processi palermitani, che Giulio affrontò in aula, cadde in una forma di depressione, che ne minò il fisico. Negli ultimi anni era molto malata, tanto da non rendersi conto della morte del marito.
I funerali avverranno domattina presso la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, proprio davanti al palazzo su Corso Vittorio Emanuele II che è stata per molti anni la residenza della famiglia Andreotti.




QUANDO IL LAVORO RENDE

di Silvio Rossi

 

In Italia, molto spesso, il merito non viene adeguatamente riconosciuto. Troppe volte il genio e il mediocre sono seduti uno a fianco a l’altro, e solo pochi addetti ai lavori riescono a riconoscere la differenza che esiste tra questi due personaggi.
Anzi, spesso chi lavora sodo, nel tentativo di rendere lustro al nostro paese, viene tacciato di essere solo un “chiacchierone”, di non fare le cose sul serio, di saper solo fare delle inutili capriole in aria. Ma la persona che ha voglia di dimostrare le sue capacità non si preoccupa delle chiacchiere inutili, continua imperterrita sulla sua strada, nonostante i gufi cerchino di denigrare tutto ciò che fa.
In effetti, l’arte di criticare chi fa le cose meglio di noi, ci caratterizza. Siamo il paese in cui ognuno è più bravo del Primo Ministro, del primario dell’ospedale, dell’insegnante dei propri figli, del commissario tecnico della Nazionale. Siamo un popolo che sa fare pochino, ma che ha la presunzione di poter giudicare tutti.
Invece qualcuno, a testa bassa, contro tutti coloro che, spesso distorcendo la realtà, l’accusa di non saper portare in porto nessun risultato, si mette a lavorare, corregge gli errori, cerca di raggiungere la perfezione.
Ed ecce che, quando ormai si era forse all’ultima seria possibilità, perché le nuove leve spingono per emergere e scalzare chi l’ha preceduti, che il risultato di tanto lavoro si è materializzato tutto insieme. E lo ha fatto a Kazan, una città russa sul Volga, dimostrando a tutto il mondo di meritare la medaglia d’oro.
Se tutti gli italiani imparassero a essere meno bravi nelle critiche, e iniziassero a lavorare sodo, come ha fatto Tania Cagnotto in tutti questi anni, il nostro paese avrebbe molto da ringraziare.