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Editoriali

L’indissolubile dualismo del massone Antonio De Curtis: in arte Totò

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Antonio de Curtis (riduzione di Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Pofirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio) in arte Totò rappresenta l’indissolubile dualismo di un uomo che ha dato un’impronta indelebile sia nell’arte che nella cultura italiana. Probabilmente è stato questo dualismo ad ispirare Totò quando ha scritto ‘a livella, poesia che induce a riflettere sull’eguaglianza degli individui di fronte alla morte, che “livella” l’umanità con lo stesso peso e la stessa misura.

 

La “livella”, strumento di misura usata da Totò come metafora, è anche un simbolo esoterico della massoneria ed il riferimento al pensiero massonico è evidente per gli esperti in materia, ma non tutti sono a conoscenza dell’appartenenza di Antonio de Curtis alla Massoneria come 30° Maestro Venerabile nella Loggia Fulgor artis di Roma all’obbedienza della Federazione Massonica Universale del Rito Scozzese Antico ed Accettato. Questo particolare della vita di Totò, ritenuto per taluni scandaloso e indicibile, viene spesso omesso dalle sue biografie, nonostante le prove inconfutabili, perché in Italia si è spesso troppo avvezzi a demonizzare o esaltare senza mezze misure certi argomenti, giudicandoli ed etichettandoli con superficialità e mancanza di approfondimento. Le distorsioni di una certa informazione e le devianze utilitaristiche di molti appartenenti a questo mondo coperto dalla riservatezza, hanno sommerso i valori fondanti della Massoneria come la solidarietà e l’altruismo.

Peraltro sono stati molti i personaggi del mondo dell’arte e della cultura a farne parte, nomi famosi come Carlo Alberto Salustri in arte Trilussa, Ettore Petrolini, Ferdinando Russo, Raffaele Viviani, Gino Cervi, giusto per citarne alcuni. Totò ha dato un’impronta del suo pensiero in ogni film e in ogni spettacolo nei quali il comun denominatore era lo sberleffo ai potenti, immaginando un utopico riscatto degli umili. La sua visione del mondo divideva l’umanità in Uomini e Caporali, dove i primi si adattano a situazioni tenendo fede ai propri princìpi e i secondi danno sfogo alle loro frustrazioni prevaricando sui più deboli. La critica borghese fu sempre molto severa nei confronti del grande comico, etichettandolo spesso come un guitto, per assurdo dovette fare i peggiori film della sua carriera per essere apprezzato dalla “critica che conta”.

Uccellacci e Uccellini (1966), Le Streghe (1967), Capriccio all’italiana (1968) ebbero il minor numero di spettatori e gli incassi più bassi di tutti i film che Totò fece nella sua lunga e prolifica carriera, ma per questi fu decretato grande attore anche per la critica del tempo… Forse perché la regia era firmata da Pierpaolo Pasolini?

Vincenzo Giardino

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