Roma: il festival della Diplomazia conquista la medaglia del Presidente della Repubblica

ROMA – Dal 19 al 27 ottobre è tornato a Roma il Festival della Diplomazia, giunto alla sua ottava edizione. Il sistema geopolitico fra interessi nazionali e valori universali – Prìncipi e Princípi: come cambiano le relazioni internazionali quando le leadership populiste si scontrano con i valori di solidarietà e responsabilità multilaterale. È questo il filo conduttore di questa edizione del Festival della Diplomazia, manifestazione diffusa che, con oltre 50 eventi, coinvolge 70 ambasciate, sette università, luoghi di incontro della politica internazionale e prestigiosi partner scientifici. Questa ricca edizione del Festival della Diplomazia intende concentrare la propria attenzione sull’equilibrio che va ricercato tra la legittima aspettativa di leadership nazionali capaci di agire in difesa dei cittadini e leadership capaci di far progredire nel suo complesso l’ordine internazionale nel solco dei valori universali di solidarietà e giustizia.

L’evento alterna in tavole rotonde e incontri specifici alcuni tra i massimi esponenti del pensiero politico e sociale contemporaneo: da Daniel Drezner a Simon Anholt, da Giampiero Massolo a Gilles De Kerchove, passando per Gerald Knaus, Enrico Giovannini, Fernando Reinares, Luciano Pellicani e Michael Klare, con l´apertura lavori affidata a un artista del calibro di Michelangelo Pistoletto, che dialogherà con l´ambasciatore di Colombia. In un´epoca in cui la personalità dei leader mondiali sembra prevalere sull´arte della diplomazia, superando e in alcuni casi calpestando il modello classico della concertazione e della trattativa – con prove di forza e tweet minacciosi – le relazioni internazionali cambiano segnando la crisi della politica e i valori che da sempre caratterizzano le relazioni internazionali. Per riportare al centro il dialogo e il confronto tra i popoli, il Festival schiera una serie di diplomatici, rappresentanti istituzionali, personalità del mondo accademico, insieme ad esperti nel settore finanziario e imprenditoriale che si confrontano alla ricerca di strumenti collettivi, nuove idee e valori condivisi che possano superare l´opposizione e l´ostilità nei riguardi della politica e riaffermare le ragioni della convivenza e dell´integrazione al posto degli interessi nazionali.

Il festival, che per questa sua edizione ha ottenuto la Medaglia del Presidente della Repubblica, è patrocinato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ed ha il contributo della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea. Il programma completo: www.festivaldelladiplomazia.it

Gianfranco Nitti

#gallery-1 { margin: auto; } #gallery-1 .gallery-item { float: left; margin-top: 10px; text-align: center; width: 25%; } #gallery-1 img { border: 2px solid #cfcfcf; } #gallery-1 .gallery-caption { margin-left: 0; } /* see gallery_shortcode() in wp-includes/media.php */

 




1968: l’inizio dell’era inKulturale

Storia di mezzo secolo fa. Altra gente, altri modi di concepire la vita, altra classe politica, un’altra Italia. Qualcuno esalta il progresso, qualcun’altro recrimina il presente, altri sono nostalgici del passato. Non è mai troppo tardi o forse sì? Molti ricordano il programma televisivo curato da Alberto Manzi che nella sua più conosciuta edizione, dal 1960 al 1968, la RAI mandava in onda dal lunedì al venerdì con il sostegno del Ministero della pubblica istruzione. Stiamo parlando d’altri tempi quando si faceva veramente Cultura. Si insegnava agli analfabeti a leggere ed a scrivere. Si avvicinava tanta gente, giovani ed anziani alla letteratura.

Oggi il sostegno del Ministero della pubblica Istruzione è indirizzato verso ben altra cultura. Venne il ’68 e segnò l’era dell’inkultura, aprendo la via all’anticonformismo. Fu allora che la cultura conobbe l’inizio del suo tracollo. Con il fiorire di nuovi talk show, dove il gossip dell’irrazionale e del pettegolezzo è all’ordine del giorno, il paese scivola mortificato verso un domani insicuro. E’ stato instaurato il principio di “uno vale uno e tutto è relativo”. Tutto è importante e niente è necessario.

Una generazione si nutre di conoscenza “copia incolla”. Mentre l’intelligenza artificiale avanza a passi da gigante, quella umana si impigrisce, si addormenta, si atrofizza.
Sta nascendo una generazione che si nutre di informazione e cultura mass mediatica preconfezionata, abbandonando i libri, gli studi analitici, la storia, l’arte, la letteratura classica ed i temi main stream contemplano tutto meno che temi poetici. Generazione tesa verso una cultura prêt-à-porter di facile riferimento offrendo il minimo dispendio intellettivo. Cultura usa e getta, vuoto a perdere, quel che basta per soddisfare il momento dell’interrogazione, della prova scritta.

L’attuale ministro dell’educazione, – Valeria Fedeli – sta considerando di mettere a disposizione degli studenti l’uso dello smartphone. Il ministro probabilmente crede che ciò possa essere una cosa intelligente; considerando che secondo il pensiero dominante “uno vale uno”, il ministro Fedeli potrebbe venire perdonata. E’ l’autostrada dell’inkultura che sta conducendo intere generazioni a un domani di sicuro insuccesso. Nella sua prima classifica mondiale delle scuole perfette, l’Istituto di ricerca inglese The Economist Intelligence Unit colloca l’Italia al 25imo posto nella graduatoria. Ciò, però sembra non impensierire il sottosegretario al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Il sottosegretario, al contrario, si preoccupa di promuovere programmi di educazione al rispetto di genere in tutte le scuole di ogni ordine e grado e raccomanda al Miur l’impegno per raggiungere tali risultati. Gli fa eco il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Valeria Fedeli che in cima al suo pensiero c’è l’educazione alla differenza ed al rispetto dei due sessi, se poi tutti e due i generi, come studenti si collocano al venticinquesimo posto della classifica della scuola perfetta, poco importa.
Le reti televisive, con rara eccezione di qualcuna, sposano il pensiero del ministro, del sottosegretario e ahinoi, di alte cariche delle istituzioni e più che mai la voce di qualche alto prelato. Se ben si scava ci si accorge che la preparazione culturale di costoro è figlia dell’inkultura sessantottina.

 

L’insensatezza del 6 politico, istituito negli anni ’70, segnava l’inizio della decadenza del livello scolastico perché fu una vera follia garantire a tutti un voto minimo, indipendentemente dallo studio, dai risultati e dal rendimento. Fu allora considerata dai movimenti studenteschi di estrema sinistra una vittoria. Oggi si stanno raccogliendo i frutti bacati di quella “vittoria di Pirro”.
Sul Corriere della Sera dello scorso 31 maggio, lo scrittore Galli della Loggia ha pubblicato un brano tratto dall’introduzione del suo nuovo libro “Il tramonto di una nazione”.

 

Concludo condividendo la riflessione dello scrittore dove parla degli italiani: “Che vedono ogni giorno scomparire luoghi e figure fino a ieri familiari, svanire principi e istituti, e insieme le più varie appartenenze ideali perdere senso, illanguidirsi e spegnersi. Nel mondo che cambia a un ritmo vertiginoso l’Italia appare avviarsi a un lento tramonto”.
Non è mai troppo tardi, insegnava Alberto Manzi. Le reti televisive sono le finestre della nazione. Spalanchiamole e lasciamo che entri una ventata di aria nuova.

Emanuel Galea




Sepolture ecologiche: il Nemus Aricinum ispira la start-up del Bosco sacro

Il bosco sacro è un luogo di culto caratteristico delle antiche religioni europee, ad esempio di quella romana, greca, celtica, germanica. I Romani davano ai boschi sacri il nome latino di Lucus o Nemus distinguendoli dai boschi privi di valore sacrale che venivano chiamati Silva. Nell’Italia centrale, la cittadina odierna di Nemi, in provincia di Roma nel cuore dei Castelli Romani, richiama nel nome il Nemus Aricinum (“bosco di Ariccia”), antica sede del santuario di Diana Nemorensis. Oggi la start-up di 4 giovani trae ispirazione proprio dagli antichi culti sopra citati e gli intraprendenti ragazzi, grazie al progetto “Boschi Vivi”, si propongono di offrire un’alternativa alle classiche sepolture nel cimitero a cui siamo abituati. Avviato il crowdfunding (la piattaforma per finanziare progetti creativi e innovativi rivolti alla comunità) per raccogliere 10 mila euro di fondi per questo progetto, chiunque può versare la cifra che crede per la messa in opera del Bosco Vivo.

 

E’ già possibile acquistare un posto per il proprio animale domestico o anche per tutta la famiglia, ed i prezzi non hanno nulla da invidiare a quelli dei classici loculi cimiteriali. L’interramento può costare dai 400 ai 3 mila euro, la cifra è resa variabile dal numero di posti per albero che vengono richiesti. Al momento la start-up sta riscuotendo molto successo, essendo stata lanciata da soli 5 giorni, si sono già raccolti quasi 3 mila euro provenienti da ogni parte del mondo.

Niente più lapidi di marmo e fiori di plastica. Per ricordare il nostro caro che non c’è più, faremo visita ad un albero ai cui piedi sono state interrate le sue ceneri. Il defunto rientrerà così a pieno nel ciclo della natura. In Italia alcune aree boschive acquisteranno una speciale sacralità, la prima a rientrare in questo progetto è proprio la Liguria, precisamente a Genova. Il bosco, spiegano i ragazzi ideatori del progetto, si configura come luogo di pace e raccoglimento per eccellenza, atto a dimostrare il fluire della vita lenendo con dolcezza il dolore della perdita: non sono previsti grossi cambiamenti all’ambiente naturale se non per le targhe commemorative. Gli interessati verranno accompagnati in una visita che porterà poi alla scelta dell’albero: l’esemplare potrà essere dedicato ad un’unica famiglia ma sono previsti anche posti “in comunità”, in coppia (albero partner) e quelli dedicati agli amici animali. Una cerimonia suggellerà l’interramento delle ceneri.

L’idea, sicuramente ben strutturata, potrebbe essere un’ancora di salvezza per i molti che desidererebbero, dopo la morte, di poter continuare a fluire nella natura, diventando vita anche nel momento il cui la vita, inevitabilmente termina.

 

Inoltre i vantaggi dell’idea di questa sepoltura ecologica, che già esiste come realtà all’estero, sono tanti: la cooperativa di Boschi Vivi prende in gestione da privati o amministrazioni pubbliche un’area boschiva in stato di abbandono e la ripristina, rendendola fruibile per la comunità grazie alla manutenzione dei sentieri e delle alberature, rientrando poi dei costi grazie ai proventi delle sepolture. Come indicato sul sito, “i prezzi dipendono dal diametro del tronco, dalla posizione e grado di accessibilità dell’albero.”

Giulia Ventura




Italia, Ocse: uno dei paesi con popolazione più vecchia. E nel 2050 sarà peggio

L’Italia è uno dei paesi più vecchi dell’Ocse ma sarà ancora più vecchio nei prossimi anni arrivando nel 2050 ad avere, ogni 100 persone che hanno tra i 20 e i 64 anni, altre 74 over 65. Lo scrive l’Ocse nel suo Rapporto “Preventing Ageing Unequally”pubblicato oggi. L’Ocse segnala che i giovani italiani sempre di più sono intrappolati in lavori “non standard” e trovano difficoltà ad avere un lavoro stabile nel mercato.

Il tasso di occupazione tra le persone tra i 55 e i 64 anni è cresciuto di 23 punti tra il 2000 e il 2016 mentre quello dei giovani è diminuito di 11 punti. I redditi di coloro che hanno tra i 60 e i 64 anni in Italia negli ultimi 30 anni sono cresciuti in media del 25% in più rispetto alla fascia di età tra i 30 e i 34 anni a fronte di un gap medio nei paesi Ocse nello stesso periodo del 13%. La povertà relativa in Italia è cresciuta per le generazioni giovani mentre è diminuita per gli anziani.

Già oggi la partecipazione delle persone anziane al mercato del lavoro è maggiore rispetto a quanto avveniva in passato. Tuttavia, continua l’Ocse, non è chiaro se questa tendenza continuerà in futuro. I tassi di occupazione dei giovani sono calati in maniera brusca: -11 per cento. Inoltre, a partire dalla metà degli anni Ottanta, i redditi delle persone tra 60-64 anni sono cresciuti del 25% in più rispetto a quelli percepiti dalle persone con un’età compresa tra i 30 e i 34 anni (contro un aumento media nei paesi Ocse del 13%). Infine, i tassi di povertà relativi sono aumentati per i gruppi di età più giovane, mentre sono calati bruscamente tra le persone anziane.




Ludopatia: l’ennesimo paradosso dello Stato italiano

Il nero in Italia è ovunque. Anche nel gioco d’azzardo. E lo Stato resta a guardare. Nessuno si è filato l’allarme lanciato sui giochi fuori controllo. Una barcata di soldi tirati fuori da Snai, l’associazione di categoria che raggruppa la maggior parte degli operatori nel settore delle scommesse ippiche e sportive, per gridare invano aiuto al governo. Ora, premesso che il gioco d’azzardo non ha ragione di esistere, è un cancro che distrugge uomini, donne, troppe famiglie, che per di più è causato direttamente da chi dovrebbe tutelare il nostro benessere, cioè lo Stato, che è raccapricciante perfino provare a difendere chi lo pratica in modo legale, la realtà non può essere ignorata. Soprattutto quando si tratta di mercato nero, un cancro nel cancro dell’azzardo. Maurizio Ughi, amministratore di Snai servizi, firmatario dell’sos, scrive a caratteri cubitali che “esiste una rete in forte espansione da circa un decennio che vende giochi e scommesse senza autorizzazione dello Stato italiano”.

 

Non fa mai male rispolverare la diagnosi del cancro. Il gioco d’azzardo ha un giro d’affari di 90 miliardi di euro. Quello illegale ne fattura dieci. È la terza impresa del Paese e non conosce crisi. Sono 800 mila i giocatori dipendenti e 2 milioni quelli a rischio. Per la patologia, inserita nei Lea (Livelli essenziali di assistenza), lo Stato non ha mai sborsato un centesimo. Lo Stato (che non è mai stato) ci deve delle spiegazioni. Dispiace sapere che a Milano il Tar ha dato torto al Comune, che saggiamente aveva stabilito orari limitati per le sale slot, dalle 9 alle 12 e dalle 18 alle 23 (che è già un lasso di tempo mostruoso per concedere alla gente di buttare via soldi e cervello). Dispiace anche che il Tar abbia deciso lo stesso a Pavia, altra amministrazione che aveva ridotto l’attività delle macchinette. E dico grazie a quei sindaci che lottano contro la ludopatia. Come quello di Sori (Genova), che ha proposto di scontare del 10 per cento la tassa sui rifiuti ai gestori che eliminano le slot dai locali. Quello di San Giorgio (Mantova), che ha annunciato di toglierle dai centri sportivi. Grazie anche a tutti quelli che aderiscono alla campagna nazionale “Mettiamoci in gioco”, al Movimento “No slot” , a Senzaslot.it (i bar senza slot) e a tutte le altre iniziative nate per contrastare il gioco pericoloso.

 

Assodato è che il gioco d’azzardo, prodotto dallo Stato, viene anche curato dallo stesso con campagne sul divieto di gioco per i minori. È lecito, dunque, pensare che ci sia una contraddizione tra la legalizzazione del gioco d’azzardo e la necessità di tutela e cura per chi si ammalasse di ludopatia? Sembra proprio di sì. Da una parte l’amministrazione centrale non sembra disposta a rinunciare agli introiti che derivano dal giro d’affari di lotterie, “macchinette” e giochi on-line. Dall’altro non può neppure abbandonare a se stesse le vittime di questo meccanismo perverso.

 

Il che è un po’ come dire che lo Stato combatte un nemico che si crea da solo. Infatti il fenomeno non è sempre esistito in queste proporzioni. L’allarme sociale per la ludopatia è un fatto recente. Quindi, si tratta di capire cosa è accaduto negli ultimi anni. Perché la pratica dell’“azzardo”, dapprima sopportata e contrastata, a poco a poco è stata assunta tra le attività promosse e controllate dal settore pubblico? Pare ci sia quasi stato una sorta di cambiamento culturale.

 

Fino ai primi anni ‘90, infatti, il monopolio pubblico del gioco d’azzardo in Italia ha sempre cercato di regolare e “contenere” il fenomeno. Poi è qualcosa è cambiato. La metamorfosi è iniziata con il moltiplicarsi delle incarnazioni dei giochi ufficiali, come il Lotto, con l’espandersi delle scommesse sportive e con il diluvio di lotterie istantanee, “Gratta e Vinci”, “Win for life” e così via. Tutte proposte ben accompagnate da pubblicità accattivanti, che invece di scoraggiare al vizio, da anni invitano gli italiani a sprecare i propri soldi nell’illusione di «vincere facile».
Una propaganda che in un ventennio ha segnato in maniera massiccia la cultura popolare italiana. Ad oggi circa la metà della popolazione è composta di giocatori abituali. Basta passare pochi minuti in un bar, in una tabaccheria, in un autogrill, per rendersi conto di quanto sia diffusa l’abitudine al gioco. Evidentemente, lo Stato considera i prelievi sui giochi una sorta di irrinunciabile “bancomat”, cui ricorrere per fare cassa, e i problemi che ne derivano un inevitabile insieme di effetti collaterali.

 

Un discorso che vale anche per altre deplorevoli dipendenze, come ad esempio quella da nicotina. Ma nel caso delle sigarette, lo Stato vieta la pubblicità. Anzi, da qualche anno ha varato norme stringenti per i fumatori e avviato vere e proprie campagne di contrasto del fenomeno. Se il fumo fa male, non si può dire «fuma responsabilmente». Da un po’ di tempo, invece, alla fine degli spot sui giochi c’è proprio un ipocrita invito alla responsabilità. Quasi che lo Stato voglia pulire la propria cattiva coscienza lasciando ogni colpa al singolo giocatore.È come se dicesse: «se dai retta al mio autorevole e attraente invito a farti male, a perdere la tua salute e il tuo denaro, la responsabilità è solo tua». Comodo vero?

Per meglio comprendere la situazione attuale, analizziamo uno dei giochi più frequenti e che attirano sempre più consumatori grazie alle grafiche accattivanti e all’elevato numero di premi “bassi”: I gratta e vinci, da cui ne deriva anche la pubblicità il quale inno è: “Ti piace vincere facile?” , ebbene sarà davvero così facile?

Il Decreto Legge 13 settembre 2012, n. 158, riporta all’articolo 7 una serie di “Disposizioni in materia di vendita di prodotti del tabacco, misure di prevenzione per contrastare la ludopatia e per l’attività sportiva non agonistica”. Nello specifico, al comma 4 bis, dispone che “La pubblicità dei giochi che prevedono vincite in denaro deve riportare in modo chiaramente visibile la percentuale di probabilità di vincita che il soggetto ha nel singolo gioco pubblicizzato. Qualora la stessa percentuale non sia definibile, e’ indicata la percentuale storica per giochi similari.”
Probabilità media di vincita delle lotterie nazionali ad estrazione istantanea, cosiddette “Gratta e Vinci”: 1 su 3,53. Il valore complessivo medio della restituzione in vincite può raggiungere il 75% dell’incasso. La probabilità di vincita è riferita al numero di biglietti vincenti uno o più premi, tra quelli individuati con i decreti di indizione delle lotterie, rapportato al numero complessivo di biglietti costituenti i lotti prodotti e immessi sul mercato per la vendita, anch’esso definito nei medesimi decreti di indizione delle lotterie. Il numero dei premi non coincide con il numero di biglietti vincenti: ciascun biglietto vincente può contenere uno o più premi.

Dopo questi cenni noi de L’Osservatore d’Italia abbiamo voluto capirne di più provando a chiedere una percentuale di vincite fatte con i Gratta e Vinci, presso una rivendita di tabacchi del centro storico di Potenza, in Basilicata, prendendo in esame i biglietti le quali vincite sono state riscosse in una settimana. Nel dettaglio, raggruppando i tagliandi principali e più venduti, in base al prezzo di vendita, abbiamo ottenuto questi risultati:
20 euro: 1 vincente ogni 2,9 tagliandi;
10 euro: 1 vincente ogni 3,4 tagliandi;
5 euro: 1 vincente ogni 3,9 tagliandi;
3 euro: 1 vincente ogni 4,2 tagliandi;
2 euro: 1 vincente ogni 4,6 tagliandi;
1 euro: 1 vincente ogni 4,9 tagliandi;

Naturalmente la quantità di tagliandi vincenti non è significativa o comunque utilizzabile per determinare una media delle quote dei premi ridistribuiti con i tagliandi vincenti stessi, in quanto frequentemente si sono presentate vincite multiple su alcuni tagliandi. Dopotutto lo scopo del nostro studio (sia sempre chiaro questo concetto) non è quello di stabilire quanto si vince, ma le reali percentuali di probabilità di vincita che si avrebbero comprando un tagliando al giorno e spiegando perché anche in questo caso “Il gioco non vale la candela”. Qualitativamente parlando, il tipo e la quantità di premi presenti su ogni tagliando vincente, per ogni serie di tagliandi, è prestabilito in base al montepremi predeterminato al tipo ed alla serie del tagliando stesso (montepremi = introiti totali di vendita esclusa la quota da riferire a tutte le voci detrattive, cioè AAMS (Azienda Autonoma Monopoli di Stato), costi di organizzazione, produzione e distribuzione, guadagno rivenditori) , ragion per cui è chiaro il fatto che l’incasso dello Stato non sarà mai uguale o inferiore rispetto all’incasso del singolo giocatore.

E’ conveniente fare questo tipo di gioco? Assolutamente no, perchè questo metodo infatti garantisce la vincita con elevate percentuali di riuscita, ma non l’attivo economico, in quanto comprare 5 gratta e vinci da 20 euro comporta una spesa di ben 100 euro, ma il tagliando vincente potrebbe essere di una somma nettamente inferiore, anche di 20 euro soltanto, ed alla fine vi trovereste ad avere speso 100 euro per ottenere una vincita di soli 20 euro. Lo Stato, infatti, prende sempre di più di quello che da, finendo in uno dei conflitti d’interesse più importante della storia, insieme al fenomeno del tabagismo.

Giulia Ventura




Pachino, lotta alla pedofilia: l’impegno dell’insignito Ancri Don Fortunato Di Noto

PACHINO (SR) – Lotta alla pedofilia sempre in primo piano. Don Fortunato Di Noto, presidente dell’Associazione Meter, da anni in prima linea nella individuazione e segnalazione alle forze dell’ordine dei reati a sfondo sessuale con vittime minori nominato Vicario Episcopale per il disagio sociale e la fragilità La nomina è stata annunciata dal Vescovo della diocesi di Noto, Mons. Antonio Staglianò, durante la cerimonia di inaugurazione del nuovissimo Polo formativo ed educativo di Meter Onlus a Pachino (Siracusa), il comune dell’estremo Sud più vicino all’Africa Il Vescovo ha chiarito, alle autorità della Provincia aretusea e di altre città siciliane e alle oltre 500 persone intervenute alla cerimonia, di aver nominato Vicario Episcopale per il disagio sociale e la fragilità don Fortunato Di Noto, per dare una risposta concreta alle esigenze delle persone che versano in una condizione di fragilità. D’ora in avanti le problematiche complesse di bambini, persone vulnerabili e fragili, potranno essere gestite oltre che dall’Ufficio diocesano per la fragilità, anche da un “Vicario Episcopale.”

Il Polo per la formazione ed educazione, si legge in una nota, “è uno spazio armonico multidisciplinare dotato di sale attrezzate ed equiparate ad alti standard tecnici e funzionali. Una superficie interna di oltre 1.500 mq ed un’area esterna di 10.500 mq con una chiara attività di servizi correlati e strutturati tra di loro per dare risposte di aiuto a tutte le esigenze sociali ed ecclesiali. Le attività formative del Polo sono seguite dalle figure professionali di Meter e si avvalgono anche di collaboratori di enti statali e privati di notevole importanza. Il Polo si erge per formare risorse umane di alto profilo, per arginare e rispondere alle problematiche sociali nell’ambito dell’infanzia, dell’adolescenza e della famiglia. Le attività sono studiate ed elaborate per tutti gli interessi sociali”.

Per Meter onlus il Polo “è un ulteriore incoraggiamento ad andare avanti con vigore e forza sulla strada intrapresa. Grazie alla generosità della Congregazione religiosa Suore Adoratrici del Beato Francesco Spinelli, Meter prosegue l’importante impegno intrapreso a beneficio del territorio siciliano, nazionale e internazionale, per l’infanzia, l’adolescenza, le famiglie, le comunità ecclesiali, civili e sociali”. Per l’occasione il presidente del Senato della Repubblica Pietro Grasso, quello della Camera dei Deputati Laura Boldrini, l’arcivescovo di Siracusa, mons. Salvatore Pappalardo, l’ambasciatore Polacco presso la Santa Sede, Janusz Kotański, hanno espresso a don Fortunato Di Noto parole di stima per l’opera che sarà a servizio dell’infanzia e delle famiglie. A Don Fortunato di Noto, insignito dal Presidente della Repubblica della benemerenza di “Cavaliere al Merito della Repubblica” son pervenute le felicitazioni anche dall’ANCRI (Associazione Nazionale dei Cavalieri al Merito della Repubblica) di Catania, con gli auspici per un fecondo ministero pastorale in risposta ai bisogni dei bambini, degli ultimi e dei deboli




Il fumo: un’ipocrisia di Stato

Il primo a fumare fu un inglese, un tale sir Walter Raleigh, che introdusse Il vizio del fumo e quando il suo maggiordomo lo vide, pensando che stesse per prendere fuoco, gli buttò addosso un secchio di acqua gelata! Fu quella la prima doccia fredda del fumatore di tabacco! Da allora il fumo di sigaretta fu in continua espansione; in Francia, un altro saggio, Jean Nicot, da cui il termine “nicotina”, ebbe l’idea di creare la sigaretta, che al contrario del puzzolente sigaro sembrava più conveniente per le signore, infatti la forma più snella si prestava meglio per il fumo delle donne che non era corretto tenessero in bocca un voluminoso sigaro! Fu dunque creata la più micidiale sigaretta.

 

Guai a provare a fumare la prima sigaretta: ne deriva una dipendenza dal fumo che si instaura in breve, e da cui sarà difficile scostarsi. Pertanto è sulla prevenzione che dovrebbero essere spese le energie! Per dare idea del problema diremo che nel mondo fumano un miliardo e cento milioni di persone; (1/3 della popolazione mondiale sopra i 15 anni) di cui circa trecento milioni in Cina (circa 60% maschi e 10% femmine); la maggior parte di questi si trovano nei paesi in via di sviluppo. Un terzo delle donne fuma nei paesi industrializzati ed un ottavo delle donne fuma nei paesi in via di sviluppo. Il più alto tasso di fumatori maschi è in Corea del Sud (68%), il più alto tasso di donne fumatrici è in Danimarca (37%)

 

Uno dei più grandi conflitti d’interesse per lo Stato Italiano è, da sempre, rappresentato dal Tabacco. L’Italia guadagna il 74 per cento del costo del pacchetto. Inoltre lo Stato incassa anche la percentuale destinata al produttore (16 per cento) nel caso in cui la sigaretta venduta e’ quella prodotta dal Monopolio di Stato. Grazie alle tasse delle sigarette nel 1999 sono entrati nelle casse ben 17 mila miliardi. Il Monopolio di Stato si è trasformato in Ente Tabacchi Italiani (ETI), sempre statale ma che ha avviato alla privatizzazione la struttura della manifattura di Stato. Come dichiarato dagli stessi dirigenti dell’ETI in Italia 14 stabilimenti producevano tanto quanto viene prodotto in un solo stabilimento della Philip Morris in Olanda. Il fatto che il tabacco crei posti di lavoro e’ una teoria che spesso ne legittima l’esistenza. Ben poca evidenza viene data al fatto che il tabacco contiene una droga (la nicotina, catalogata come tale dalle autorita’ sanitarie mondiali più importanti), questa droga andrebbe venduta in farmacia come sostanza stupefacente, che crea dipendenza e induce a fumare oltre alla nicotina una quantità di catrame che provoca la morte a 90.000 persone ogni anno in Italia.

Lo Stato preferisce le entrate immediate (i tabaccai a cui spetta il 10 per cento del costo del pacchetto, pagano settimanalmente alla consegna della merce il prezzo integrale delle sigarette che acquistano) senza tenere conto dei costi sanitari che a lungo termine il vizio del fumo provoca. Tra cure per il cancro, asma, bronchiti e giornate lavorative perse la spesa sanitaria determinata dal fumo ammonta a circa 17.000 miliardi l’anno, che corrisponde piu’ o meno alla cifra che lo Stato incassa con le tasse sulle sigarette.
Eppure l’unica droga di stato, la nicotina, non solo viene accettata ma spesso mitizzata dalle industrie che ne traggono profitto economico. Tra queste industrie c’è ancora il Monopolio di Stato che ha cambiato il nome.

 

Prevenire senza guadagnare Come già detto la libertà del fumatore non può danneggiare la salute di chi non fuma. D’altro canto è lo Stato che ha permesso ai fumatori di sentirsi liberi di fumare, anche nei luoghi chiusi: Durante il secolo scorso era possibile fumare addirittura nelle corsie degli Ospedali. La maggior parte dei politici e i mass-media hanno spinto per decenni le immagini del fumo come una semplice e perdonabile espressione comportamentale umana naturalmente viziosa, mai sottolineandone la dipendenza che provoca, e la gravita’ dello “spaccio” di nicotina da parte dello Stato. Una delle cause di morte in ascesa nel mondo e’ il tabacco, unitamente all’AIDS. La prevenzione deve essere diretta ai giovani. Perché l’82 per cento dei fumatori prende il vizio durante l’adolescenza e il numero di giovani che iniziano a fumare e’ in crescente aumento (fonte: Lega Italiana Contro i Tumori).
L’ufficio VI del Dipartimento della Prevenzione, che riceve per conoscenza le segnalazioni del Ministero delle Finanze al Comando Generale della Guardia di Finanza, circa le infrazioni alla norma di divieto della pubblicità dei prodotti di tabacco, anno per anno, non ha visto affluire al suddetto capitolo somme che permettessero negli ultimi anni, la realizzazione di specifiche attività di ricerca e prevenzione.

Questa non e’ ipocrisia di Stato, ma qualcosa di inclassificabile.
1- Si promulga una legge secondo la quale la pubblicità diretta e indiretta ai tabacchi è vietata per legge.
2- Si prevede che la prevenzione e la ricerca per la lotta al tabagismo debba finanziarsi con le sanzioni pecuniarie che dovrebbero essere pagate dai trasgressori. Ci sarebbe già molto da obiettare sul fatto che la prevenzione venga cosi’ poco programmata dal Ministero, facendola dipendere da una variabile esterna e non da una seria programmazione.

 

La faccenda andrebbe interpretata cosi’: chi pubblicizza paga affinchè lo Stato possa controbilanciare. Qualcosa non torna. Le scritte delle sigarette compaiono insieme alle immagini, a colori, dei danni che il fumo provoca, tale prevenzione viene pubblicizzata dallo stesso Stato che vende e pubblicizza anche la sostanza. Le multinazionali del tabacco sponsorizzavano, fino a qualche anno fa, uno degli sport più popolari e seguiti dai giovani, la Formula Uno. Si dice che per diritto di cronaca non si può fare a meno di trasmettere i gran premi. Scavando nella storia abbiamo la sensazione che ci siano troppi interessi. La legge viene presa in giro da quasi tutti i mass-media. Rai in primis,in quanto TV di Stato, tanto per stare al detto: “Se la cantano e se la suonano”.

Troviamo negli archivi della RAI una trasmissione celebrativa sulla Ferrari condotta da Bruno Vespa. Che avrebbe dovuto rispettare una legge italiana e non quella di mercato e chiedere di eliminare dalle Ferrari, da tutto (perchè era ovunque) il marchio “Marlboro”. Certe apparizioni televisive servono soprattutto per il bene degli sponsor, evidentemente. Sprezzanti della legge italiana. O può essere anche in questo caso al diritto di cronaca? La Philip Morris, padrona del marchio “Marlboro”, rappresentava lo sponsor principale della casa di Maranello?
E come giustificare i giornali che “facendo cronaca” inseriscono sempre foto dove sono bene in vista i marchi di sigarette? Basterebbe poco per evitare questa sponsorizzazione “indiretta”.
D’altro canto le multinazionali del tabacco hanno da sempre attivato raffinate campagne marketing al fine di mitizzare il fumo, per renderlo un comportamento umano “figo”, da adulto, utilizzando i miti del cinema e dello sport.

Oggi, si cerca di “mettere le pezze a colori”, in tutti i sensi. Stiamo assistendo ad un meccanismo indiretto di “smitizzazione” del fumo, il quale viene oggi osannato e fatto sembrare pari alla peste nera, mentre lo Stato continua comunque a guadagnare grazie a chi la dipendenza la ha ancora radicata. Questo mercato nel mondo è complesso e variegato: ogni nazione ha le proprie leggi che ne regolano il commercio, la distribuzione e la vendita. Ogni fumatore può trovare il tabacco che più gli piace tra migliaia di referenze ed etichette, così da soddisfare i propri gusti personali, insomma esistono le etichette a colori che rappresentano i rischi, ma rimane una presenza importantissima per i fondi Statali. Padronissimo, ognuno di noi, di voler fumare e quindi diventare impotente, o insomma vedersi ridotta la potenza. Ma non padrone di fumare in auto con minori. L’impotenza, o la minor potenza, degli adulti è una loro scelta, ma la potenza dei minori è un loro diritto. Per non parlare dei feti. Ormai sappiamo che i feti, mesi prima di nascere, sentono la musica che la madre ascolta, gli americani dicono di aver perfino registrato all’ecografia che se sentono musica rock i nascituri muovono i piedini, mentre se sentono musica classica muovono le mani. È stato affermato che, se prima di nascere hanno sentito più volte una canzone e dopo nati la risentono, ebbene, la riconoscono. Sarebbe molto bello se fosse vero. Ma comunque, è bruttissimo che appena nati sentano il sapore di fumo che hanno sentito prima di nascere. La madre incinta non fuma, se ama il figlio che verrà. E dopo non fuma, se ama il figlio appena venuto. E in presenza di una donna incinta non si fuma. Si potrebbe andare avanti: neanche in presenza di figli in età infantile o minorenni. In treno è assurdo che si fumi nelle toilette, dove il fumo impregna l’abitacolo indelebilmente. Adesso le scritte sui pacchetti saranno più chiare: «Il 90% del cancro ai polmoni è dovuto al fumo», «Il fumo può uccidere il feto», «Il fumo causa ictus», segue foto del fumatore in carrozzella. Capirei se fosse una campagna che l’Organizzazione Mondiale della Sanità rivolge ai venditori di sigarette. Ma è una campagna dello Stato, venditore monopolista di sigarette. Allora, perché le vende? La risposta è semplice: Per un tornaconto economico. Se ogni fumatore lo capisse, sarebbe più ricco e sicuramente avrebbe una percentuale di mortalità inferiore.

Giulia Ventura

 

 




Taranto, liceo Archita: i ragazzi della 3/D si ritrovano dopo 50 anni

TARANTO – Si ritrovano dopo mezzo secolo nell’aula Magna di quel liceo che frequentarono nel lontano 1967. Il memorabile evento, per i “ragazzi del ‘67”, si è tenuto a Taranto lo scorso venerdì 13 ottobre nell’aula Magna dell’attuale liceo classico Archita di corso Umberto 106/b. Durante la riunione degli ex allievi della classe 3° D, maturità 1967, si è celebrato un anniversario che ha voluto significare sia un traguardo che una ripartenza.

 

Provenienti dal periodo ‘presidenziale’ dell’indimenticato Felice Medori, i ragazzi del ’67 hanno colto l’occasione per una riflessione su una comune esperienza che li coinvolse e li ha segnati positivamente nelle successive fasi della vita, sia privata che professionale. Dopo un saluto introduttivo del preside Pasquale Castellaneta, c’è stato l’intervento “dell’architino” Giuseppe Mazzarino, autore di un romanzo d’ambientazione anch’essa “architina”. In chiusura, gli ex studenti hanno incontrato gli alunni di una 3° liceale attuale, quasi a significare simbolicamente uno scambio di consegne per i futuri impegni della vita.




Smartphone: attenzione allo stress visivo digitale

Le nuove generazioni arrivano a posare lo sguardo sullo smartphone fino a 80 volte al giorno

 

Nell’epoca in cui viviamo si affaccia ogni tipo di frenesia e qualsiasi forma di ansia. Ci mancava lo stress visivo digitale. Ad oggi è uno dei disturbi più frequenti in particolare tra le nuove generazioni, che arrivano a posare lo sguardo sullo smartphone fino a 80 volte al giorno. Chiamata anche ‘sindrome da visione al computer’, si tratta dell’affaticamento causato dall’uso prolungato di schermi elettronici. Zeiss, gruppo tecnologico attivo nei settori dell’ottica e dell’optoelettronica, in occasione della Giornata mondiale della vista, promossa dall’Organizzazione mondiale della sanità e dall’Agenzia internazionale per la prevenzione della cecità-Iapb, fa luce su questo nuovo fenomeno, evidenziando le cause e proponendo rimedi efficaci per affrontare al meglio lo stress visivo. Per salvaguardare la vista si consigliano dunque una buona notte di sonno, impacchi refrigeranti e ginnastica oculare.

 

Le piccole pause sono il rimedio migliore per far riposare gli occhi. Gli esperti suggeriscono la ‘regola del 20-20-20’: osserva un oggetto a 20 metri per 20 secondi ogni 20 minuti. Inoltre è importante seguire uno stile di vita sano, trascorrendo del tempo all’aria aperta. Fra gli alleati della vista c’è il succo di mirtillo, ricco di antiossidanti. Mentre le cattive abitudini alimentari, con scarso apporto di calcio, vitamine e minerali, possono favorire la progressione di problematiche oculari.

 

Non va sottovalutata la luce solare: con le giuste precauzioni e protezioni, aiuta a sviluppare meglio il bulbo oculare.Lo stress visivo digitale coinvolge spesso chi trascorre più di 7-8 ore al giorno davanti a uno schermo e, solitamente, i primi sintomi si manifestano da uno a 3 anni dopo l’esposizione. I nostri occhi oggi devono imparare a gestire nuovi intervalli di spazi per abituarsi alla distanza alla quale teniamo i dispositivi digitali, che è inferiore rispetto a quella di un giornale o un libro. Sono sempre più costretti a mettere a fuoco diverse distanze e questo mette in grande difficoltà il muscolo ciliare e il cristallino, che devono continuamente adattarsi per assicurare una visione nitida.

 

A partire dai 30 anni questi sforzi possono provocare la sindrome da visione al computer, come la chiamano gli esperti. E’ importante quindi conoscerne i sintomi per proteggere la vista. Nella scelta delle lenti, delle montature e dei trattamenti, proseguono gli esperti, è sicuramente fondamentale una consulenza approfondita da parte dell’ottico. Per limitare lo stress visivo provocato da dispositivi digitali e bloccare la luce blu che ne deriva, Zeiss ha sviluppato lenti in grado di assicurare una visione confortevole in linea con il ‘comportamento visivo digitale’, in grado di supportare gli occhi durante l’utilizzo di smartphone e altri device elettronici. Per identificare la migliore soluzione possibile, è fondamentale avere cura dei propri occhi non solo nella Giornata mondiale della vista, ma durante tutto l’anno. Visite oculistiche periodiche in centri specializzati, abbinate all’utilizzo di soluzioni adeguate e uno stile di vita sano, vengono proposte come la ricetta ideale per assicurare un benessere visivo duraturo.

 

Da non sottovalutare un altro fondamentale fattore quello legato alle onde elettromagnetiche. Le onde elettromagnetiche della telefonia mobile e del Wi-Fi sono una struttura composta da microonde e da radiofrequenze. Sono stati misurati livelli allarmanti di radiazioni nelle vicinanze di router Wi-Fi, dei punti di accesso Wi-Fi e di computer portatili connessi al Wi-Fi: ad esempio a 2 metri di distanza sono stati riportati livelli fino a 3.000 μW/m², a 0,2 metri di distanza da un router Wi-Fi invece 8,8 V/m = 205,000 μW/m², mentre da un punto di accesso Wi-Fi sono stati misurati 7,5 V/m = 149,000 μW / m². Un accreditato studio internazionale ha poi misurato 27,000 μW/m² a 0,5 metri di distanza da un computer portatile. Secondo ‘Le Linee Guida della Building Biology Evaluation’, questi livelli (oltre 1.000 μW/m²) sono classificati come una “estrema preoccupazione. Perché? Ciascuna di queste frequenze comporta una tossicità perché stimola la produzione di radicali liberi, interferisce con i geni responsabili della vitalità cellulare e interferisce con il corretto funzionamento di diversi organi, come il sistema nervoso centrale e quello riproduttivo. L’interazione di queste frequenze con i sistemi viventi è grave quando avviene a basse dosi a causa della loro pulsazione, causa di un costante cambiamento di potenziale elettrico a livello cellulare. Sulla presenza ubiquitaria del segnale Wi-Fi va chiarito che, anche se non lo si utilizza, essendo un segnale sempre attivo, continua ad irradiare continuamente coloro che i quali, ignari o meno, si trovano sul suo raggio d’azione, indipendentemente da una connessione in Internet o di una trasmissioni dati attraverso telefonini cellulari, smartphone, computer collegati senza fili o tablet.

Marco Staffiero

 




Violenza sui minori: record nel 2016, 5.383 vittime, 15 al giorno

In Italia quasi mille minori ogni anno sono vittime di abusi sessuali: circa 2 bambini ogni giorno. Ma lo scorso anno si è registrato un vero record: 5.383 minori vittima di violenza, non solo sessuale; si tratta di circa 15 bambini ogni giorno. In sei casi su 10 si tratta di bambine. Un dato che segna un preoccupante 6% in più rispetto all’anno precedente. L’allarme sul fenomeno viene dagli ultimi dati Interforze del 2016, elaborati nel Dossier della Campagna Indifesa di Terre des Hommes (6/a edizione) presentato alla presenza del Presidente del Senato Pietro Grasso.

+12% abusi in famiglia, +23% casi di botte  – La violenza domestica è causa della maggioranza dei reati contro i minori: nel 2016 sono state ben 1.618 le vittime di maltrattamento in famiglia, il 51% femmine, con un incremento del 12% rispetto all’anno precedente. Emerge dal Dossier di Terre des Hommes, messo a punto su dati Interforze, presentato oggi. E’ cresciuto del 23% il numero di minori vittime di abuso di mezzi di correzione o disciplina (266 nel 2016), ovvero di botte che hanno obbligato il ricorso dell’ospedale e la denuncia. Le due fattispecie in calo rispetto al 2015 sono gli atti sessuali con minori di 14 anni (-11%), dove però le vittime sono ancora 366, per l’80% bambine, e la detenzione di materiale pornografico, che segna -12%, con 58 vittime, il 76% femmine.




Palermo, apericena, drink e musica: tutti pazzi per Lùccumarie

PALERMO – Un locale che incontra i gusti di tutti dove trascorrere una piacevole serata: Lùccumarie in piazza Leoni 4 a Palermo è il posto migliore dove si consuma apericena e cocktail di qualità. Amato moltissimo dai giovani Lùccumarie è situato in una ottima posizione e il servizio è di alta qualità data la preparazione della proprietaria Tania, una ragazza molto giovane ma con le idee ben chiare.

Per chi approda a Lùccumarie è impossibile non assaggiare il tagliere Siciliano composto da un paninetto con panelle e uno con milza, patatine fritte, anelli di cipolla, una bruschetta al pomodoro e poi tanti assaggini: dalla caponata, all’insalata di riso e verdure in tutte le salse e poi ancora un assaggio di salsiccia, una puntina di maiale e un mangia e bevi. I prezzi sono accessibili e il servizio impeccabile: non si deve attendere molto per essere serviti!

Ma a Lùccumarie, oltre ai prodotti tipici siciliani e dello stivale, c’è anche cucina messicana e giapponese.Ottima dunque anche la cucina multietnica che propone svariati taglieri per l’apericena con la possibilità di gustare cucine diverse nello stile e nel gusto, tra cui il sushi, maiale sfilacciato, empanada chili, jalepeno.. Inoltre si prepara pasta espressa, piatti di carne, mix do carne grigliata

Insomma si mangia, si beve, si ascolta musica e il divertimento è assicurato Per informazioni contattare il numero di cellulare 324 609 9555