Banca Popolare del Lazio, dimissioni lampo e nomine ancora sotto pandemia: ecco l’articolo… “integrativo”

Come ben sanno tutti, e quindi anche gli amministratori della Banca, per l’inserimento di uno o due nuovi membri all’interno di un cda di certo non è necessario che si dimetta l’intero cda essendo previsto l’istituto della cooptazione da sempre utilizzato proprio dai vertici della Banca per sostituire consiglieri dimissionati

Apprendiamo con stupore e con compiacimento che dopo il nostro articolo, nel quale facevamo emergere i presunti reali motivi delle dimissioni di tutto il cda della Banca Popolare del Lazio, il presidente Maria Edmondo Capecelatro sottoscriveva un comunicato stampa definito integrativo, nel quale, sembra quasi nel tentativo di controbattere le supposizioni contenute nel nostro articolo riferiva che le dimissioni di tutti i componenti del Consiglio di amministrazione erano state dettate dall’obbligo di nominare una seconda donna “come ci impone la nuova norma di legge”.

Se è pur vero che la norma di legge impone il rispetto della parità di genere, è invece falso che questa norma sia nuova, al punto che la Banca ha avuto tutto il tempo di inserirla nel comma 2 dell’articolo 30 del proprio statuto “La composizione del Consiglio di Amministrazione deve assicurare l’equilibrio tra i generi rispettando le soglie previste a tal riguardo dalla normativa, anche regolamentare, di tempo in tempo vigente. In particolare, per il primo rinnovo integrale, e comunque entro il 30 giugno 2024, la Società assicurerà che almeno 2 membri del Consiglio di Amministrazione appartengano al genere meno rappresentato”.

In ogni caso, come ben sanno tutti, e quindi anche gli amministratori della Banca, per l’inserimento di uno o due nuovi membri all’interno di un cda di certo non è necessario che si dimetta l’intero cda essendo previsto l’istituto della cooptazione da sempre utilizzato proprio dai vertici della Banca per sostituire consiglieri dimissionati.

Né costituisce elemento dirimente la scadenza congiunta del consiglio della partecipata attesa la possibilità per la Banca Popolare del Lazio di operare come meglio crede in relazione alla partecipazione quasi totalitaria al capitale della Blu Banca.

Né sarà possibile un intervento da parte del Collegio Sindacale su queste decisioni che continuiamo a definire strategiche, dal momento che una delle nove poltrone è stata tirata a lustro proprio per Raffaella Romagnoli, la figlia del Presidente del Collegio Sindacale, di cui tante volte abbiamo scritto in relazione agli incarichi ricoperti contestualmente nella Natalizia Petroli.

Una domanda, che ci ritorna ogni volta alla mente: chi li avrà mai nominati gli attuali consiglieri di amministrazione della Banca? L’assemblea dei soci risponderanno probabilmente i più ingenui. Come già riportato nei precedenti articoli, non una sola volta i soci hanno potuto votare a scrutinio segreto i loro candidati. E quindi, senza poter votare a scrutinio segreto, chi mai li avrà nominati gli attuali consiglieri di amministrazione? Buona Pasqua con le neo quote rosa…. virali.




Banca Popolare del Lazio, dimissioni lampo e nomine ancora sotto pandemia. Quali i motivi?

Il Consiglio di amministrazione della Banca Popolare del Lazio, il cui rinnovo era previsto per il prossimo 2024, si è dimesso il 27 marzo scorso con la conseguenza di dover essere rieletto nella prima assemblea dei soci che è stata prontamente convocata per il 3 maggio 2023.

Perché tanta fretta? Tra le varie supposizioni, il presunto temuto confronto con l’assemblea dei soci che avrebbe comportato un minimo, ma non trascurabile rischio, di non essere rieletti.

Ma c’è anche la variante virale. O meglio il consiglio di amministrazione della Banca Popolare del Lazio ha optato per una sua riconferma per i successivi tre anni potendo usufruire della ormai quasi desueta norma Covid, ancora in vigore fino al 31 luglio 2023, evitando così di veder sottoposto all’esame della platea assembleare qualsivoglia operato. Molti si sono chiesti: è stata utilizzata questa norma per evitare il confronto con i soci? La domanda sembra quantomeno lecita se si circostanzia in un dato di fatto: la perdita di valore delle azioni della Banca Popolare del Lazio che hanno subito un deterioramento dal valore di quasi 40 euro dell’era Mastrostefano a poco più di 15 euro dell’era Capecelatro con un trend in discesa di cui al momento non si vede la fine.

Qualcuno ha ragionato: «Proprio al fine di evitare che qualche cordata potesse presentare una autonoma lista di candidati, hanno affrettato la convocazione dell’assemblea così da escludere di fatto la possibilità di ogni eventuale cordata concorrente». Ma non potendo fare processi alle intenzioni possiamo soltanto ragionare a voce alta. Certo è che come diceva un protagonista della Democrazia Cristiana “A pensar male degli altri si fa peccato ma spesso ci si indovina”.

Ma restiamo ai fatti: per la presentazione delle liste, questo stesso consiglio di amministrazione della banca si è fatto approvare in una assemblea Covid, non in presenza, una norma che richiede la presentazione di una lista dodici giorni prima dell’assemblea corredata da 250 firme di soci per la presentazione.

In pratica se qualcuno volesse presentare una lista di candidati, dovrebbe presentarla entro il 20 aprile 2023 avendo prima di tale data raccolto 250 firme di soci, di cui non si conosce il nome. Una operazione solo formalmente possibile ma oggettivamente pressoché irrealizzabile.

Il tutto trascurando evidentemente lo strumento cooperativistico con cui veniva costituita la Banca la trasparenza invocata dalla Banca D’Italia.

Ma ci sono altre novità su argomenti da noi toccati e per cui avevamo esercitato il lecito diritto di critica (non gradito alla banca che continua a voler chiedere alla testata risarcimenti economici solo perché abbiamo esercitato liberamente un sacrosanto diritto garantito dalla Costituzione italiana).

È stato rimosso dal Cda della banca Alessandro Natalizia, figlio di Giancarlo Natalizia che nei prossimi anni si troverà a difendersi dalle accuse di conflitto di interessi nell’ambito della gestione della Banca.

Al pari si è dimesso con effetto immediato l’Avv. Leopoldo Sambucci, di nomina recente e di cui gli stessi vertici della Banca avevano da sempre speso parole di elogio per la sua competenza.

Tra i nuovi volti che andranno ad occupare una delle nove poltrone del cda, troviamo la figlia del Dott. Carlo Romagnoli, presidente del Collegio sindacale della stessa Banca Popolare del Lazio, coinvolto nella vicenda del conflitto di interessi della Natalizia Petroli per il suo ruolo di presidente del collegio sindacale della stessa mentre Giancarlo Natalizia sembra violasse la norma per la quale è stato inquisito.

Dunque per coloro che volessero vedere il marcio ovunque, sembra profilarsi un sistema consolidato di gestione tesa alla scarsa partecipazione degli investitori/soci della Banca che intanto assistono allo svalutarsi delle loro azioni. Soci, posti nella condizione di non riuscire a esprimere democraticamente la loro volontà. 

Il ricordo, in questo quadro, va ai soci della Banca Valconca che con le proprie forze si sono svincolati dalla sorta di morsa nella quale erano stretti da una parte Banca D’Italia che avrebbe commissariato e dall’altra la Banca Popolare del Lazio che pensava a una fusione con poche vie di fuga a garantire la salvaguardia di una realtà storica per il territorio romagnolo.




Banca Popolare del Lazio, “Banca blu” e Popolare Valconca, operazione andata a male: si salvi chi può ancora uscirne a testa alta

Passata la buriana del 20 novembre, domenica che rimarrà nella memoria per molto tempo, è ora il momento di una più attenta riflessione sul perché sia accaduto che i soci di una “Banchetta” la Valconca, messa con le spalle al muro dalla stessa Banca D’Italia che in maniera definita da molti come strumentale faceva arrivare segnali di un imminente commissariamento, hanno avuto l’ardire di ribellarsi all’abbraccio della grande Banca Popolare del Lazio.

Probabilmente i soci irriconoscenti verso la grande mamma del Lazio, fortemente spalleggiata dalla vecchia (e forse obsoleta) nonna Banca D’Italia, si sono accorti che l’abbraccio era mortale, ed allora devono aver pensato “se si deve morire che ciò avvenga con onore con la schiena dritta e con la consapevolezza di essere morti in battaglia, senza aver ceduto ai “messaggi subliminali” della Banca D’Italia ormai confinata a regista ombra di operazioni sbrindellate che diminuiscono il numero delle Banche in Italia, probabilmente non avendo la capacità di controllarle tutte, qualunque sia il prezzo che gli investitori vengono chiamati a pagare e chiunque sia l’artefice di queste sciagurate manovre.”.

I riottosi soci della Banca Popolare Valconca, che non hanno inteso recitare la parte che un copione già scritto aveva loro assegnato, hanno dunque ritenuto probabilmente, per nulla dignitosa l’offerta formulata dalla Banca Blu (denominazione che a noi ricorda più i pupazzetti di un noto cartone animato), che li relegava al ruolo di sotto-comprimari con un misero 7% del capitale della Banca Blu. Un’operazione messa in piedi dai soliti squali della finanza che, forti di avere alle proprie spalle la madre di tutte le Banche (d’Italia), hanno offerto di scegliere se essere dilaniati dalle loro mascelle oppure da quelle della nonna; facendo credere che il loro morso sarebbe stato più dolce.

Coraggiosi quei soci che senza rimanere anonimi hanno avuto la forza di esprimere liberamente la loro volontà nonostante le pressioni subite ed i rischi a cui si sono esposti. Si sono battuti per la loro libertà e non si può che avere un plauso da tutti coloro che si ritengono uomini liberi.

Al contrario dei soci della Banca Popolare del Lazio che liberi di sicuro non lo sono, basta considerare che i molti o pochi dissenzienti hanno dovuto operare in forma anonima, definendosi impropriamente soci coraggiosi. Coraggiosi sono i soci della Valconca!!!!

Vogliamo sperare che la votazione del 20 novembre non rimanga senza effetti, quale arido esempio della pochezza della nostra organizzazione sociale, che definire civile risulterebbe essere un eufemismo.

Come potrà giustificare di rimanere nel proprio ruolo e non dare immediate dimissioni il direttore Dario Mancini ed il presidente Fabio Ronci dalla Banca Valconca, con tutto il consiglio del quale è componente anche il magnifico notaio Edmondo Maria Capecelatro, anche presidente delle Banca Popolare del Lazio, nonché Vice presidente della Banca blu, alla faccia del rispetto delle numerose norme di legge e di opportunità (interlocking) che hanno tutti contribuito a preparare il lauto pranzo per i padroni della Bplazio.

Come potrebbe non essere interpretato quale voto palese di sfiducia nel ruolo da loro ricoperto, la votazione contraria del 20 novembre su un argomento strategico di tale portata straordinaria. Come non tener conto dei comunicati fatti per favorire un voto favorevole a firma di tutto l’organo amministrativo e come non tener conto delle dichiarazioni del direttore generale che con non poca dose di equilibrismo passava da una posizione all’altra a seconda delle situazioni affermando dapprima che la banca era in buona salute, in seguito che pur essendo in buona salute per poter continuare a esistere non poteva prescindere dall’essere fagocitata dalla Bplazio attraverso la Banca blu, ed in seguito dopo la votazione del 20 novembre sostento che la Banca aveva la forza di procedere da sola!! Quale il futuro di Valconca con una simile classe dirigente??

Un discorso a parte merita il dottor Capecelatro, noto a queste pagine per le sue strepitose azioni a tutela dei propri interessi professionali nella veste di notaio anche quando comportavano effetti negativi sulla Banca di cui era amministratore, per chi non ci avesse seguito vi rimandiamo alle puntate sui casi Ladaga, Di Giacomantonio, Ciarla e chissà quanti altri. Il Presidente della BPlazio, nonché Vice presidente della Banca blu, Dott. Capecelatro, per garantirsi una positiva votazione da parte di quelli che riteneva essere soci mollaccioni della Valconca, pensando di avere a che fare con soci simil-Bplazio, prendeva posizione all’interno del Cda della Valconca nel ruolo di consigliere ma certo non un consigliere qualunque, bensì un consigliere che era anche Presidente della banca Bplazio, nonché Vice presidente della Banca blu, che stava per fagocitare la Valconca stessa; chi avrebbe contraddetto il consigliere/presidente/vicepresidente che un domani, come nel risiko e nelle sue intenzioni sarebbe stato il padrone assoluto??

Avevamo già sollevato un problema di violazione delle norme in tema di interlocking/incastro, ma evidentemente l’affermazione del Giolitti secondo il quale per i nemici le norme si applicano e per gli amici si interpretano è sempre attuale.
Non c’è dubbio, per ciò che abbiamo scritto nel corso degli ultimi anni, che ci siano buoni, anzi ottimi amici alla Banca D’Italia, ne costituisce dimostrazione la mancata sanzione personale a seguito dell’ispezione del 2018, perfino per coloro che in seguito sono stati rinviati a giudizio; non un semplice pisolino giustifica tale comportamento di Via XX Settembre bensì un letargo dal quale neanche il Principe sarebbe capace di risvegliare.

Vale in ultimo una considerazione di umano e civile senso della convivenza e che prescinde da ogni norma di legge: se l’incorporazione era così favorevole a entrambi gli istituti e così trasparente da non costituire un problema di consenso, per quale motivo il notaio-presidente-vicepresidente e consigliere Edmondo Maria Capecelatro sentiva l’esigenza di controllare dall’interno la acquisenda Banca Valconca, era opportuno che rivestisse il ruolo di consigliere nella Valconca dovendola di lì a poco amministrare quale Presidente? Una questione di opportunità e di prudenza avrebbe consigliato di rimanere al di fuori del processo di fusione almeno fin quando non si fosse compiuto; probabilmente un rischio che non potevano permettersi di correre in BPlazio e che hanno al contrario meritatamente subito.

Veniamo alla posizione della Banca blu, quest’ultima Presieduta dal Prof. Cesare Mirabelli già Presidente della Corte Costituzionale, proprio lui che con la sua presenza si è prestato a dare una ripulita alla malandata immagine dei noti Capecelatro/Lucidi/Romagnoli da noi più volte bacchettati con le note inchieste pubblicate (Protercave/Ampla/Natalizia ..), e che ora dovrà assumere le consequenziali decisioni per essersi prestato al gioco di questi bambini capricciosi ai quali la mamma non ha comprato la banca Valconca.

Ci siamo sempre chiesti se il Prof. Mirabelli fosse consapevole del reale motivo per il quale fosse stato scelto a presiedere la Banca blu, non a caso non gli è stata offerta la poltrona di Presidente della BPlazio che vista la sua caratura avrebbe meritato di ricoprire senza essere comprimario di personaggi quali il Dott. Capeceltro e/o il Ragionier Lucidi.

Dopo essersi esposto così tanto nel progetto di fusione ed essere stato mandato all’arrembaggio di una nave che non è riuscito a pirateggiare, dovrebbe avere più chiara la reale motivazione per la quale veniva relegato al ruolo di Presidente di una controllata delle BPlazio, oggi sicuramente ha tutti gli strumenti per comprendere di aver difeso gli indifendibili ed essere stato chiamato, non certo per le sue indubbie capacità e competenze, bensì solo per il ruolo di prestigio ricoperto.

Ebbene Prof. Mirabelli Cesare, se proprio riconoscesse di non avere le capacità e le qualità morali di combatterli, oggi che non può non comprendere di essere stato usato, dimostri di aver meritato il prestigioso ruolo da Lei ricoperto e con un ultimo bagliore di orgoglio dia le proprie immediate ed irrevocabili dimissioni dissociandosi apertamente dai personaggi che pure ha accompagnato per un breve quanto errato percorso di vita ed ai quali non chiederemo le dimissioni perché siamo sicuri che sono diversi da Lei.

Faccia in modo che le sue dimissioni creino un effetto domino che liberi la popolazione dei soci della BPlazio dall’oppressione e consenta loro di esprimere liberamente le loro volontà nella sede assembleare. Venga consentito ai soci di eleggere i propri amministratori senza il condizionamento di un voto palese che deve essere espresso da molti dipendenti, altrettanti soci affidati senza garanzie e solo pochi soci privi di reali condizionamenti.
Siamo sicuri che con un voto a scrutinio segreto, di cui si è persa traccia almeno negli ultimi 50 anni, la gran parte degli odierni amministratori verrebbero mandati a casa.

Certamente questi odierni amministratori della BPlazio non verranno ricordati nei decenni a venire quali lungimiranti e buoni amministratori, ben distanti dalla solidità che il vecchio Presidente Mastrostefano, troppo velocemente archiviato, aveva dato alla BPLazio e che merita ben altro riconoscimento.

Per quello che abbiamo avuto modo di conoscere il Vecchio Presidente aveva creato una piccola grande banca, da tutti rispettata nell’ambiente bancario ed in quello delle Popolari in modo particolare, con un percorso di lenta ma costante crescita; oggi i nuovi amministratori, dopo aver rinnegato il lavoro del loro predecessore, nel tentativo di fare una grande banca hanno fatto piccola la BPlazio da tutti derisa per la gran brutta figura fatta con la votazione del 20 novembre 2022.

Nonostante il breve tempo trascorso, lontani sono i tempi in cui la BPlazio primeggiava in tutte le classifiche nazionali tra le primissime banche italiane, oggi di tutto ciò rimane il ricordo di una Banca del territorio, vicina agli imprenditori ed alle famiglie che in quel territorio cercavano di migliorare la qualità della propria vita.

Oggi non c’è neanche più la speranza di ricostruire una realtà che il territorio in breve tempo ha ormai perduto, consegnandola nelle mani di soggetti che non hanno una visione che non sia quella di appagare il loro desiderio di onnipotenza trascurando le reali esigenze degli investitori che hanno visto scendere in picchiata il valore delle loro azioni da circa euro 40,00 agli attuali euro 17.00 con un trend in discesa inarrestabile e che certamente non si gioveranno della votazione del 20 novembre.




Banca Popolare Valconca, salta la fusione col gruppo Banca Popolare del Lazio: l’analisi di un clamoroso “no”

Blu Banca offriva come biglietto da visita azioni svalutate che oggi ammontano a circa 17 euro cadauna contro i 40 euro di qualche anno fa

È clamorosamente saltata la fusione tra la Blu Banca (gruppo Banca Popolare del Lazio) e la Banca Popolare Valconca. Messi i pro e i contro sulla bilancia (e anche il nostro giornale è uscito con diversi interrogativi sul tema) i soci con la schiena dritta hanno impedito che questo matrimonio si perfezionasse, nonostante il bene placido di Banca D’Italia che in maniera fulminea aveva benedetto l’unione e sembra così voler proseguire a recitare il ruolo da protagonista di una tra le fiabe più famose al mondo: “La bella addormentata nel bosco”. Questo perché mentre dorme o peggio ancora finge di sonnecchiare, il gruppo Bpl continua a fare un po’ come gli pare, tentando gesta che vanno oltre le più temerarie intenzioni.

Blu Banca offriva come biglietto da visita azioni svalutate che oggi ammontano a circa 17 euro cadauna contro i 40 euro di qualche anno fa quando la governance era composta da elementi con la schiena dritta che proprio per questa conformazione sono stati sbattuti fuori in favore di modellanti e accomodanti uomini mutanti (o mutandis) stampati sul modello delle tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo.

Il 50,44 per cento dei soci, pari a 3.586.255 azioni, si è espresso contro la fusione, mentre il 46,74 per cento, pari a 3.323.169 azioni, a favore

«Si tratta di una vittoria abbondante – ha spiegato l’ex presidente Valconca Gianfranco Vanzini in un articolo di Corriere Romagna, contrario al progetto di fusione –. Con questo voto abbiamo sventato la morte della Banca Popolare Valconca. Ora vedremo se riusciamo a farla continuare a vivere», e sull’attuale Cda aggiunge: «Vedremo quali scelte prenderanno, se non faranno nulla oppure si dimetteranno. Certamente, almeno una riflessione dovranno farla».
E adesso Banca d’Italia come si muoverà? Il 5 ottobre scorso aveva rilasciato l’autorizzazione all’operazione di fusione e ora, terminata l’assemblea straordinaria dei soci e raccolto il sonante NO, chissà se la strada indicata verrà definitivamente archiviata (ricordiamo che la fusione era vista da tutti, direttore generale della Valconca Dario Mancini in testa, come l’unica possibile soluzione per dare un futuro alla Valconca).

Ebbene i soci Valconca, diversamente dai tanti Bpl, non hanno digerito la palese malconvenienza del cambio con le azioni Blu Banca. L’ex Vanzini ha spiegato chiaramente come con la fusione, il 93 per cento del capitale sarebbe stato di proprietà dei soci della Blu Banca, mentre ai soci dell’istituto di credito morcianese, sarebbe rimasto un 7 per cento. Un rapporto che si sarebbe senz’altro ripercosso sui dividendi futuri.

Nel frattempo a Mancini sembra non restare altro che addrizzare il tiro. Lui che due anni fa decantava la sana gestione Valconca e il bilancio in buona salute, lui che prima della fusione parlava di situazione compromessa a tal punto da vedere nella fusione la sola via d’uscita. Le sue prime parole a caldo dopo aver incassato la sonante stangata dai soci sono state: «La fusione non è passata e andremo avanti con le nostre forze». (Sicuramente la Valconca andrà avanti ma più di qualcuno non disdegna un periodo di commissariamento letto quasi come il classico periodo di riflessione tra due ex innamorati che preferiscono non rincollare i pezzi di una relazione ormai rotta. Mancini per mantenersi almeno apparentemente coerente ha aggiunto «Il fronte del no ha prevalso ma senza un motivo. Evidentemente la trasparenza non ha pagato. Andremo comunque avanti con forza».

E il presidente della Bpl Capecelatro che si era già “apparecchiato” nel Cda Valconca nonostante l’evidente conflitto d’interessi che cosa farà? Assaporato il pre aperitivo, non ha potuto apprezzare le portate più ricche… i soci hanno tenuto ben salde le redini di una banca che vuole mantenere la propria autonomia senza essere fagocitata da chicchessia o da certi strani soggetti il cui modus operandi poco trasparente è stato già messo nero su bianco in un verbale stilato, sembrerebbe obtortocollo, da Banca d’Italia che ha bacchettato la governance Bpl senza prendere provvedimenti concreti per “punire” gli errori commessi dai singoli. Anzi c’è anche chi aveva il dovere di investigare ma ahinoi, invece, ha trovato un posto sicuro in banca per il suo pupillo. D’altronde non è la prima volta che lo diciamo: «I figli so’ piezz’e core».




Banca Popolare del Lazio, dalla lettera di “soci coraggiosi” alla fusione tra Blu Banca e Banca Valconca

Ancora al centro dell’attenzione del nostro quotidiano la fusione tra Blu Banca – la collegata del gruppo Banca Popolare del Lazio – e la Banca Popolare Valconca. In questa fase il ruolo dei media è importante perché funge anche da archivio storico della cronaca e critica degli ultimi tempi e permette di trarre conclusioni ragionevoli e coerenti con i fatti. Nel caso contrario, con l’appiattimento dei media spesso assoldati ai poteri forti, la memoria svanisce e si resta in balia del buono e del cattivo tempo.
E così, siamo qui a ricordare con tanto di video ritrovato, le parole che neppure due anni fa spendeva per la Banca Popolare Valconca l’attuale direttore generale Dario Mancini che con soddisfazione parlava del rilancio della popolare con la sua identità, appartenenza e valori, parlava di riduzione dei crediti deteriorati di oltre 75 milioni euro e approvazione bilancio con buone prospettive per il futuro da presentare in quella che era la prossima assemblea dei soci.

L’INTERVISTA DEL 2020 AL DG DI BANCA POPOLARE VALCONCA

Oggi, lo stesso Mancini pieno di speranze che soltanto due anni fa parlava di rilancio, giustifica la fusione con Blu Banca come se fosse l’unica via d’uscita per garantire un futuro a Valconca che naviga in brutte acque.

Intervista AL DG DI BANCA VALCONCA DEL 2022

Una banca che con la fusione andrebbe a perdere definitivamente la sua identità come del resto ha detto l’ex presidente Valconca Gianfranco Vanzini che stiamo cercando per farci una chiacchierata e anche Federconsumatori Rimini Graziano Urbinati che ha espresso preoccupazione per i soci Valconca e per questa fusione.

L’Osservatore d’Italia con questo “richiamo” giornalistico ha inteso mettere a confronto anche questi due spezzoni di video per capire meglio l’evoluzione di una banca “sana” due anni prima e che due anni dopo si trova talmente sull’orlo del default e che deve affrettarsi a garantirsi un futuro con la fusione con Blu Banca, costola del gruppo Banca Popolare del Lazio presieduta dal notaio Edmondo Maria Capecelatro che con grande sorpresa siede addirittura nel Consiglio di amministrazione della Banca Popolare Valconca. Strane coincidenze. A breve usciremo con una nuova puntata…

DI SEGUITO TUTTI GLI ARTICOLI DE L’OSSERVATORE D’ITALIA SU BANCA POPOLARE DEL LAZIO




Banca Popolare del Lazio, Blu Banca e fusione con la popolare Valconca: scoperto l’arcnano. Chi siede su più poltrone?

La prima settimana di Ottobre è stato ricevuto il provvedimento con il quale la Banca d’Italia ha rilasciato l’autorizzazione alla fusione per incorporazione di Banca Popolare Valconca S.p.A. in Blu Banca S.p.A..

Le società hanno depositato presso ciascuna delle sedi sociali di Blu Banca S.p.A. e di Banca Popolare Valconca S.p.A. la documentazione inerente alla fusione.

Il Consiglio di Amministrazione di Blu Banca S.p.A. provvederà a convocare l’assemblea straordinaria dei soci. Il Consiglio di Amministrazione della popolare Valconca ha già provveduto a convocare l’assemblea straordinaria dei soci, chiamata a deliberare in merito all’operazione di fusione per la data del 20 novembre 2022.

Sono giornate frenetiche in cui se prima, si presume, poteva aleggiare qualche titubanza sulla fusione in qualche recondita coscienza di soci o simpatizzanti della popolare Valconca, pian piano, un passo alla volta, la presunta nebbia sembra essersi diradata in favore di una idea: anziché fare naufragare la Valconca, meglio buttarsi nelle braccia di una banca come Blu Banca (Gruppo Banca Popolare del Lazio) pronta a risollevare le sorti della “malconcia”.

Chi è meglio avvezzo a utilizzare i proverbi direbbe con ironia “chi va con lo zoppo impara a zoppicare”. Ma perché mai tanta ingratitudine? Non è forse Banca Popolare del Lazio l’istituto passato alle cronache per la poliedricità e il trasformismo ma anche per la drastica riduzione del valore delle azioni dall’insediamento dell’ultima governance?

È notizia consultabile e ufficiale che il prezzo delle azioni è sceso dalle quasi 40 euro dell’era precedente all’attuale governance fino a 17 euro e rotti centesimi. Soltanto lo scorso anno la BPL si è trovata a dover rimborsare con 40 mila euro una vittima del cosiddetto “risparmio tradito”.

Non è Banca Popolare del Lazio cui dinamiche di prestiti senza garanzie hanno richiamato l’attenzione della Guardia di Finanza e a scoppio presuntivamente ritardato della Banca d’Italia? Non è la BPL ad aver collezionato una sfilza di mancate dichiarazioni di conflitti d’interesse? Tanto che uno dei consiglieri ha subito un sequestro preventivo penale per ben 2 milioni di euro e il figlio oggi ancora siede nel Consiglio di amministrazione della banca.
Non è la BPL interessata da condanne alla restituzione del valore delle azioni ai presuntivamente malcapitati soci?

Ebbene, in un momento dove chi ha gli occhi foderati di prosciutto, le orecchie turate e le corde vocali sonnolenti (la presunta condotta: non vedo, non sento e non parlo), c’ è un ennesimo paradosso. Ma per farlo ben comprendere occorre declinare i cosiddetti “pezzi da novanta”.

Il presidente di Banca Popolare del Lazio è il notaio Edmondo Maria Capecelatro che si è trovato più volte diviso tra il suo ruolo di notaio e quello di “garante” della banca, chi non ricorda le vicende che abbiamo narrato di Capecelatro che poneva in essere una serie di attività tese a favorire Salvatore Ladaga (un politico locale di Velletri per cui il Notaio presidente ha fatto alienare dal Ladaga in favore della moglie separata tutti i propri beni immobili sottraendoli di fatto al credito vantato dalla Banca) e Italo Ciarla (ex vicepresidente della Banca, oggi presidente Onorario) che prima di far sottrarre i propri beni e dei loro cari dall’aggressione della BPL, pensava bene di citare in giudizio altri istituti bancari (Ex Toniolo) chiedendo la condanna per avergli praticato interessi usurari ed anatocistici.

Ma di situazioni che fanno arrossire i più sprovveduti ce ne sono più d’una. Proseguiamo con un altro membro della governance. Fino a circa due anni fa l’amministratore delegato di BPL era Massimo Lucidi, per intenderci citato in molte nostre cronache per essere cognato di Angela Ghirga socia di maggioranza di una società di mediazione della BPL, oppure lo ricordiamo per aver incoraggiato il finanziamento di oltre un milione e mezzo senza alcuna garanzia a una società di Perugia (la Protercave) di G.C. Lucidi, padre di Fabrizio che all’epoca dei fatti, diviene direttore di filiale della Banca Popolare di Spoleto dove lo stesso G.C. è consigliere d’amministrazione, lo stesso G.C. presidente del Consorzio Apifidi che ha garantito G.C. (se stesso!) e presentato in Banca Popolare del Lazio per l’apertura dei conti quale amministratore della Protercave.

Lucidi si è dimesso dalla Bpl per guidare la controllata Blu Banca. E Ora l’operazione Valconca, una popolare con sede in Emilia Romagna.

Ebbene, guardando la governance della Valconca rimaniamo di stucco: chi siede in consiglio di amministrazione? L’onnipresente Notaio Edmondo Maria Capecelatro!

Chissà se avrà votato a favore della fusione con la controllata della banca popolare del Lazio di cui è presidente?

Chissà se Capecelatro è al corrente che l’art. 36 del “Decreto Salva – Italia” (d.l. n. 201/2011, poi convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), ha introdotto nell’ordi­namento italiano un esplicito divieto di interlocking? Un interlocking directorate può essere definito come il legame personale che si instaura tra due imprese nel momento in cui l’amministratore di una sieda anche nel consiglio di amministrazione dell’altra.

Legami di tale tipo possono presentarsi come orizzontali o verticali, a seconda che le imprese interlocked operino o meno ad un medesimo livello sul mercato e l’art. 36 del Decreto Salva Italia è stato emanato per tutelare la concorrenza nei mercati del credito e finanziari.

Le preoccupazioni in merito alla situazione concorrenziale in tali settori erano state portate all’attenzione pubblica dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) all’esito dell’Indagine Conoscitiva sulla corporate governance di banche e compagnie di assicurazione attive in Italia, nota come IC36. Tale indagine aveva evidenziato come più dell’80% dei gruppi esaminati (pari al 96% dell’attivo globale del campione analizzato) presentassero al loro interno legami riconducibili alla tipologia degli interlocking directorates.

Ma ormai la tanto agognata commissione banche sembra essere un lontano ricordo naufragato nelle primordiali e più buone intenzioni del giornalista Paragone che tra l’altro è stato anche contattato per dire la sua sugli approfondimenti che questo giornale ha fatto su BPL.

Silenzio. Nessun fruscio sulle nostre sequenze. Non ci si sorprende quasi più di nulla. Ma poi, nel caso ci fosse qualche futuro sussulto giudiziario sarebbe difficile dover ammettere che nessuno ne aveva parlato.




Banca Popolare del Lazio, “minaccia” a L’Osservatore d’Italia: O si cancella l’articolo o sono 2mila euro al giorno…

Rispondiamo con chiarezza e senza troppi giri di parole

Il 4 ottobre ci arriva una lettera che non abbiamo problemi a definire “temeraria” dall’avvocato Gianluca Massimei in rappresentanza della Banca Popolare del Lazio per contestare “la natura diffamatoria, sotto plurimi profili, della pubblicazione “Conflitti di interesse, amici delle banche e curriculum striminziti: a.a.a. cercasi Banca d’Italia”.

Una lettera che contesta un articolo pubblicato su questo quotidiano lo scorso 26 giugno ma che arriva a ottobre, in un momento, caso vuole, dove pare ci siano diversi maldipancia dovuti a una operazione (resa pubblica a giugno scorso) in cui la Banca Popolare Valconca viene incorporata in Blu Banca, che fa capo alla Banca Popolare del Lazio.

Immaginarsi dunque quanto possa apparire scomodo, in questo momento, un giornale libero che ha sempre mantenuto la propria indipendenza di pensiero esercitando il sacrosanto diritto di critica e di cronaca. Mettere in luce gli affidamenti dati senza garanzie, il verbale di Banca d’Italia e certe strane coincidenze proprio mentre Blu Banca ingloba una popolare non è il massimo che i soci della Popolare Valconca possano sperare per il loro futuro.

In un momento delicato quindi dove l’operazione di fusione viene sostanzialmente sottoposta al vaglio autorizzativo della Banca d’Italia che L’Osservatore d’Italia ha spesso richiamato nei suoi articoli in quanto ha l’onere di vigilare sul corretto andamento delle banche e che in questi ultimi anni non risulta aver evidenziato le tante criticità rilevate poi in un verbale che all’esito non colpisce la governance della banca Popolare del Lazio facendo un po’ la parte del genitore che fa al figlio disobbediente una sgridata un po’all’acqua di rosa: “Ti sei comportato male, non farlo più e adesso esci pure con gli amici e divertiti!”.

Dopo cosicché le assemblee dei soci di Blu Banca e di BPV potranno pronunciarsi in merito alla medesima subordinatamente al positivo esito del procedimento autorizzativo in Banca d’Italia.

L’avvocato Massimei, dall’alto dell’incarico a lui affidatogli si concede la licenza di scrivere al giornale che “L’Articolo (il nostro articolo di giugno titolato su Banca d’Italia) arreca grave pregiudizio alla Banca, soprattutto per via della grave e notevolissima progressione informativa che la narrativa – ricca di superflue enfasi, sottesi e (poco celate) allusioni – ingenera nel lettore, inducendolo a dubitare della corretta gestione dell’Istituto”. Peraltro appare davvero singolare il fatto che la Banca Popolare del Lazio si faccia addirittura paladina e difensore della Banca d’Italia. E ancor più singolare che nessun fatto narrato nell’articolo in questione è stato contestato come non vero. Insomma anche la banca indirettamente sembra ammettere che non abbiamo raccontato falsità. Basta leggere “la lettera temeraria”.

Rispondiamo con chiarezza e senza troppi giri di parole:

Quello che abbiamo scritto è fondato, gli articoli non sono “informative” aziendali ma sono scritti proprio per far riflettere chi legge, in pieno diritto dell’esercizio della libertà di espressione e critica. Tanto più se gli ispettori di Banca d’Italia (che dal 15 maggio al 26 luglio del 2018 hanno effettuato una ispezione nella direzione generale di Banca Popolare del Lazio a Velletri ) scrivono nero su bianco che l’attività creditizia di Bpl ha seguito logiche puramente commerciali che hanno comportato l’assunzione di elevati rischi, anche per l’erogazione di finanziamenti al settore agricolo promossa, senza un attento vaglio, con l’intervento di una società di mediazione creditizia (Coopcredit). Gli ispettori di Banca d’Italia, (la stessa che ratifica la fusione di Blu Banca con la popolare Valcanonica) scrivono ancora che gli accertamenti hanno fatto emergere risultanze “parzialmente sfavorevoli da ascrivere ad un sistema di governo inciso da conflittualità interne che, oltre a ledere l’immagine della Banca, hanno compromesso l’efficacia dell’azione di indirizzo gestionale, con negativi riflessi sul presidio dei rischi creditizi e operativi nonché sulla redditività aziendale”. E ancora nelle considerazioni: “Gli organi aziendali (ndr. I vertici della Banca Popolare del Lazio) non hanno assicurato piena trasparenza informativa su potenziali conflitti d’interessi”.

Potremmo continuare ancora con esempi calzanti e circonstanze ma rischiamo di replicare quanto già accuratamente scritto nei precedenti nostri approfondimenti.  E poi, sinceramente, nel 2022 e con una mole di diritto che ci sostiene, perché mai dovremmo giustificare la pubblicazione di articoli critici che non piacciono certo ai diretti interessati ma che sono senz’altro approfondimenti di pubblico interesse e con anche la finalità di rendere un pubblico servizio utile alla società nonché a rendere informazioni utili che difficilmente si trovano sui canali promozionali di soggetti che ovviamente sono interessati a comunicare le loro virtù piuttosto che i chiaroscuri. Noi il bavaglio non lo mettiamo. E ci hanno provato e ci provano ancora.

Risparmiamo la lungaggine dei virgolettati del nostro articolo riportati e contestati e andiamo alla parte che consideriamo più grave e offensiva: la parte della minaccia economica

Per ogni giorno che “disobbediamo” a quanto ordinato dall’avvocato Massimei ci intimano di pagare duemila euro. Una minaccia bella e buona: se non cancelliamo gli articoli sono duemila euro al giorno che dobbiamo corrispondere alla Banca Popolare del lazio.

Non siamo il Tg1 e neppure una testata da migliaia di copie vendute ogni giorno nelle edicole italiane. Siamo però una redazione libera che non si piega ad alcun condizionamento. Forse non siamo troppo “affidabili” per mantenere un silenzio imposto ma siamo onesti nel rispedire al mittente queste offensive missive.

Iniziassero a fare il conto alla rovescia noi non ci pieghiamo a questo deplorevole e condannabile comportamento. Una condotta che ci riserviamo di denunciare alle Autorità competenti perché viola diversi principi costituzionali.

Leggere per credere (pubblichiamo per intero la diffida che ci è arrivata dalla Banca). Tant’è. E come diceva il grande Corrado con il suo bel sorriso aperto nella sua indimenticabile trasmissione “La Corrida”: “Non finisce qui”.




Conflitti di interesse, amici delle banche e curriculum striminziti: a.a.a. cercasi Banca d’Italia

Il fatto non sussiste. Il giudice Ada Grignani ha assolto 14 persone dall’accusa di bancarotta semplice nel processo al Tribunale di Arezzo per le cosiddette “consulenze d’oro” di Banca Etruria. Tra gli imputati anche Pier Luigi Boschi, padre di Maria Elena, che all’epoca dei fatti era vicepresidente dell’istituto di credito aretino.

Per lui il Pm Angela Masiello aveva chiesto un anno di pena. Stessa richiesta era stata formulata per altri tre dirigenti, per gli altri imputati erano state chieste condanne da 8 a 10 mesi. Oltre a Boschi, gli imputati erano Luciano Nataloni, Claudia Bugno, Luigi Nannipieri, Daniele Cabiati, Carlo Catanossi, Emanuele Cuccaro (ex vice direttore generale), Alessandro Benocci, Claudia Bonollo, Anna Nocentini Lapini, Giovanni Grazzini, Alessandro Liberatori e Ilaria Tosti, Claudio Salini. Sono stati tutti assolti con formula piena.

Le indagini erano basate su 4 milioni di euro di incarichi affidati dall’istituto di credito a società specializzate per valutare, analizzare e poi avviare il processo di fusione con un istituto di elevato standing per evitare il crac. A proporre lo scenario della fusione furono le autorità bancarie che avevano individuato in Banca Popolare di Vicenza il possibile partner dell’operazione.

Le consulenze d’oro furono affidate comunque, ma nulla di quanto analizzato e valutato si concretizzò. “E’ emersa una verità scontata – ha affermato Luca Fanfani, avvocato di Cuccaro -, ossia che nel momento in cui Banca d’Italia nel dicembre 2013 impose a Banca Etruria di trovare altro istituto con cui fondersi, la obbligò, ad accollarsi ingenti spese per advisor legali finanziari e industriali, esattamente le spese contestate dalla Procura. Una conclusione ovvia per un processo largamente inutile. Auspico che le novità previste dalla delega Cartabia, a partire dalla possibilità di celebrare processi solo a condizione che vi sia una ‘ragionevole previsione di condanna’ contribuiscano ad evitare in futuro processi come questo”.

Il quotidiano “La Verità”, venerdì 17 giugno 2022 fa un titolo illuminante o quanto meno che fa riflettere: “Com’è fallita Banca Etruria se tutti sono innocenti”. A scrivere è il giornalista Giacomo Amadori “I processi sul crac della Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, più che svelare le vere responsabilità hanno messo a nudo le lacune del nostro sistema giudiziario. Condivisibile in pieno la citazione pasoliniana “Noi siamo un paese senza memoria e i politici ne approfittano. E allora conviene rammentare i fatti ai lettori. Il 3 dicembre 2013 – scrive ancora Amadori – dopo un anno di ispezione, gli 007 di Bankitalia leggono al Cda le conclusioni firmate dal governatore Ignazio Visco e in particolare quanto riportiamo ‘A seguito del progressivo degrado della situazione aziendale, la Banca Popolare dell’Etruria risulta ormai condizionata in modo irreversibile da vincoli economici, finanziari e patrimoniali che ne hanno di fatto ingessato l’operatività”. Per questo via Nazionale riteneva che la popolare dell’Etruria non fosse “più in grado di percorrere in via autonoma la strada del risanamento”.  Le conclusioni (sarebbe da leggere e riportare l’articolo per intero rigo dopo rigo) del collega Amadori sono più che condivisibili.

Insomma sembra di leggere pressappoco un copione simile a quello andato in scena per Banca Popolare del Lazio dove Bankitalia è entrata con i suoi ispettori tra maggio e luglio del 2018. Il verbale è pesantissimo e lo stiamo approfondendo passo dopo passo ma nella realtà tutta questa vicenda tessuta da cui emergono palesi conflitti d’interesse, non ha “colpevoli”. Esistono delitti senza colpevoli? Non si colpiscono i diretti responsabili! E dunque cosa è cambiato. Ci fanno sperare le righe conclusive di Amadori: “I giochi potrebbero riaprirsi (riferendosi a Banca Etruria) a partire da questo autunno quando partiranno i processi d’appello per la bancarotta e per l’azione di rivalsa multimilionaria del curatore fallimentare nei confronti dei membri del Cda”.

A questo proposito ci chiediamo se mai il curatore del fallimento Protercave, che abbiamo provato a contattare con esito negativo – non ha fornito alcuna spiegazione al nostro giornale – dott. Francesco Patumi abbia mai intrapreso una azione a tutela del ceto creditorio del fallimento Protercave aggredendo i vertici della Banca Popolare del Lazio, quantomeno con l’ipotesi di concessione abusiva del credito. Quegli stessi vertici dell’istituto bancario che avevano concesso oltre un milione e 600mila euro senza garanzie ad una società chiaramente in sofferenza già al momento della concessione del credito. Infatti la banca non ha recuperato nulla di quanto concesso.

E ancora oggi ci si chiede se lo stesso Giudice delegato del fallimento Protercave, dott.ssa Stefania Monaldi, si sia interessata a questa vicenda e abbia mai ritenuto di chiedere al curatore per quale motivo non avesse intrapreso azioni a tutela dei creditori della Protercave.

Eppure si sarebbe potuto facilmente accertare che non solo l’affidamento alla Protercave sia stato alquanto “temerario” ma anche che l’iter procedurale sai discutibile quantomeno per il fatto che una Banca che all’epoca dei fatti agiva nel territorio del Lazio si trovava a finanziare una società che operava in Umbria e in totale stato di insolvenza, perdipiù che l’affidamento venne portato all’approvazione del cda della Banca Popolare del Lazio con parere negativo degli organi istruttori.

Una procedura da parte dell’istituto di credito davvero singolare. Perché finanziare una società operante in territorio umbro e senza alcuna garanzia? Non sappiamo rispondere a questi quesiti e soprattutto non riscontriamo alcun approfondimento giudiziario in merito, almeno per il momento. La speranza è che nei prossimi mesi si legga di indagini che vadano a scavare su fatti così rilevanti evidenziati anche nel verbale ispettivo di Banca d’Italia.

Resta comunque il fatto che alle nostre richieste di interviste e/o interlocuzioni con i vertici bancari i diretti interessati rimangono chiusi nel loro silenzio e la risposta è soltanto una: richieste di denaro per presunte diffamazioni a mezzo stampa che poi sarebbero i fatti accertati dal verbale di Banca d’Italia, dalle cronache giudiziarie e dalle varie segnalazioni che pervengono alla nostra redazione.

Ma tant’è… Quindi il giornale prosegue nel fare il proprio mestiere auspicando che altri facciano il loro. E come diciamo sempre, qualora i protagonisti dei nostri articoli ritengano di dover fare delle precisazioni o rettifiche noi siamo sempre a disposizione. Magari arrivassero per permetterci così di continuare a fare serenamente il nostro lavoro che è quello di informare. Quindi, non rimane altro che riportare un’ultima singolare coincidenza, sperando di non essere accusati di “superare la continenza”: All’epoca dei fatti, il figlio del direttore Generale Ragionier Massimo Lucidi è stato assunto nella Banca Popolare di Spoleto che era amministrata da G.C. lo stesso che amministrava la Protercave di lì a poco dichiarata fallita.

Restando in tema di curatori fallimentari, e alla luce della recente sentenza della Corte di Appello di Roma di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo, ci si chiede anche: ma il curatore del fallimento Volsca SPA, Dott. Marco Coculo ha mai proposto una azione a tutela dei creditori della insolvente Volsca fin dalla data dei primi affidamenti? Affidamenti che vennero concessi dalla Banca Popolare del Lazio, come abbiamo già raccontato, solo grazie a presunti buoni rapporti intercorrenti tra l’allora Consigliere della Banca, oggi presidente, Notaio Edmondo Maria Capecelatro e l’allora Sindaco del Comune di Velletri Bruno Cesaroni.

Anche in questo caso i creditori del fallimento Volsca quale tutela hanno avuto da chi è stato chiamato a rappresentarli da quella che oggi appare come una concessione “temeraria”, per non dire abusiva, del credito da parte dei vertici della Banca Popolare del Lazio? Oppure come si vocifera negli ambienti legali e tra i bene informati la Banca Popolare del Lazio ha un canale privilegiato presso il Tribunale di Velletri? Non vorremmo mai crederlo!

Magari se si cerca a fondo si scopre che risulta fondata la notizia che qualche magistrato fosse solito frequentare la tribuna Vip dello stadio Olimpico, ospite del Ragionier Massimo Lucidi (che otteneva gli ingressi da un cliente della Banca), tifoso accanito della “Magica”.

Resta il rammarico e la consapevolezza di abitare in una Nazione in cui è lecito utilizzare milioni di euro non propri per un solo posto di lavoro, magari quello del proprio figlio, mentre ai poveri soci non vengono garantiti neanche i rimborsi del valore delle azioni per fare studiare i loro figli; anche in questo caso fatti salvi i componenti del Cda che si sono visti liquidare in fretta e furia il valore pieno delle azioni del padre deceduto (un altro affidabile a cui riconoscere concretamente la fedeltà).

A questo punto per quanto visto, vogliamo dire ad alta voce a tutti gli amministratori di Banca, sappiate che se utilizzate i soldi che amministrate per ottenere vantaggi personali, magari l’assunzione di un vostro figlio, non dovete temere nulla; tale operazione è spesso ignorata da Banca D’Italia che spesso non sanziona e anche per la Procura non è materia d’interesse ai fini di indagini. Resta il rammarico che per questa concatenazione di eventi, i poveri soci non hanno la concreta possibilità di far valere i loro diritti.

È chiaro che tali operazioni possono essere poste in essere solo se all’interno dei vertici di una qualsiasi Banca si crea un ambiente in cui ciascuno ha fiducia nell’altro. Un ambiente in cui forse, dunque, si viene ammessi solo se si è considerati “affidabili”. Le competenze allora passerebbero in secondo piano?

Tornando a Banca Popolare del Lazio tra i maggiori affidabili, viene in mente la figura del ragioniere Paolo Bologna, cooptato improvvisamente a ricoprire il ruolo di Consigliere. Bologna che come abbiamo potuto apprendere risulta noto negli ambienti veliterni con soprannomi che non riportiamo in quanto difficili da comprendere per chi non è del posto, e comunque non certo riferiti alle sue competenze.

Evidentemente la competenza è inversamente proporzionale alla affidabilità. Si può sopperire alle proprie innate incompetenze con una grande “affidabilità”; se si dimostra di essere pronti a tutto allora non conta se si è incompetenti.

Del resto, che il Bologna fosse quanto meno bancariamente non competente non lo affermiamo di certo noi, basti pensare che se ne accorse perfino la Banca D’Italia.

Chi ha letto il curriculum di Paolo Bologna? Dalla lettura scopriamo che il Bologna in realtà non menziona diplomi da ragioniere ma che ha conseguito nel 1973 il diploma di Geometra, probabilmente titolo di grande utilità in un Cda di una Banca. Dopo cinque anni dal diploma viene assunto alle dipendenze della Ras e solo dopo quasi venti anni, nel 1995, comunica di essersi iscritto quale promotore finanziario della Ras Bank gestendo un portafoglio di circa 15 miliardi di vecchie lire. In seguito divenne componente del Cda della Allianz (Ex Ras). Un geometra che ha lavorato alle dipendenze di una compagnia assicurativa per 25 anni, però evidentemente considerato forse molto affidabile.

Nel curriculum poi non si trova altro, a meno che non costituisca elemento di valorizzazione il fatto di avere due figli laureati, che evidentemente per osmosi, trasferiscono le loro conoscenza al padre geometra. 

Ebbene, nonostante il parere negativo di Banca d’Italia e il voto contrario in Consiglio di ben tre Consiglieri (Pizzuti, Bruschini e Marzullo) su otto il Geometra, che deve avere particolari doti nascoste, sconosciute a noi umani, venne cooptato nel Cda della Banca Popolare del Lazio.

Nessuno si preoccupò neanche del fatto che operando contemporaneamente anche come promotore Finanziario per la Allianz Bank, svolgesse una attività un pochino in conflitto con quelle svolta dalla Banca Popolare del Lazio.  

Ci chiediamo il Geometra, dove avrà indirizzato i propri clienti, nuovi e vecchi, alla Allianz Bank oppure alla Banca Popolare del Lazio?

La Allianz geneticamente Svizzera, è mai stata messa al corrente di questa situazione a dir poco imbarazzante?

Era opportuno che il Bologna venisse cooptato, con il parere contrario del Comitato amministratori indipendenti, al punto che per ottenere il parere positivo ne vennero sostituiti i componenti?

Era opportuno? Rispettava il divieto di interlocking? E se anche lo rispettava era opportuno?

Possibile che non vi fosse nessun altro, con migliori competenze, che potesse assumere il ruolo riservato al Bologna?

Alla fine ci si deve convincere, affinchè tutto abbia una logica, che il Bologna fosse portatore di qualità molto particolari. Proviamo ad capire quali fossero.

Paolo Bologna costituisce una associazione nella quale ricopre il ruolo di presidente denominata Amici BplLazio con sede a Velletri in via dei Volsci, 71 presso lo studio dell’esperto finanziario Enzo Monsignore, venuto a mancare prematuramente.

Monsignore nel 2014 era un sostenitore di Bologna, ed insieme tentavano di fare una scalata ostile ai vertici della BPL. Negli ultimi anni, quando il Bologna evidentemente trovò un percorso bonario di accesso alla poltrona, i due iniziarono ad entrare in contrasto. Enzo Monsignore rimase fedele al proprio credo, il Bologna si trasferì sull’altra sponda.

Ricordiamo che Monsignore, purtroppo prematuramente scomparso, partecipò anche ad una puntata della trasmissione giornalistica condotta dal direttore di questo giornale Chiara Rai diffusa via web Officina Stampa.

L’intervista di Chiara Rai a dottor Enzo Monsignore

Alla costituzione dell’associazione partecipano i signori Gianni Castrichella fornitore delle insegne della Bplazio, Alvaro Gasbarri, collega di lungo corso del geometra Bologna, Giuseppe Pietrosanti, di cui parleremo approfonditamente in altra puntata nell’ambito dell’acquisto da parte della Bplazio della società di brocheraggio acquistata dalla Bplazio alla modica cifra di circa un milione di euro, Mauro Vari, a cui venivano ogni anno regolarmente pagate le oltre seimila copie dei bilanci cartacei che venivano distribuite ai soci in numero di non oltre 6/700, ed altre figure quali il Geometra Franco Pennacchi, tal Roberto Picca, Claudio Corsetti e Vittorio Gabrieli.

L’associazione nel gennaio del 2017 scrisse una lettera al vetriolo rivolgendosi a Banca d’Italia, al dottor Luigi Signorini, all’epoca vice governatore e capo area della vigilanza, lamentando conflitti d’interesse e chiedendo di rimuovere dal Cda l’avvocato Piero Guidaldi, proprio quel Guidaldi che ci risulta sia stato il primo nella storia della BPlazio ed all’epoca unico a dichiarare in Consiglio i propri conflitti di interesse, tanto da essere allontanato da una seduta del Consiglio proprio per aver avuto l’ardire di reiterare un suo conflitto di interesse contro il volere degli “affidabili”, che mai prima di allora avevano  dichiarato i rispettivi conflitti (vedi ad esempio affidamenti Volsca e Protercave).

Sulla vicenda andrebbero nuovamente “tirate le orecchie” alla Banca d’Italia che in tutte le verifiche eseguite nel corso degli anni non si era mai accorta che in una banca del territorio quale BPL con componenti del cda che volgevano le rispettive professioni sul territorio, mai nessuno era incorso in un conflitto di interessi.Doveva essere una lettera anonima a spingere la Banca d’Italia un pochino oltre la superficie dei controlli che eseguiva?

Ed allora ci viene un altro dubbio: quante e quali sono le cose che non conosciamo della Banca Popolare del Lazio e che la Banca d’Italia non verifica in assenza di un aiutino dall’esterno? Ed inoltre: Perché la Banca d’Italia non fa queste elementari verifiche e controlli?

Tornando alle vicende nostrane ci sembra di poter affermare che le grandi qualità del Bologna siano state quelle di esporsi nel chiedere la testa del Guidaldi, torneremo sulle modalità di svolgimento delle assemblee nelle quali il Bologna si faceva portatore di richieste di modifiche dello statuto, senza far “sporcare le mani” ai vertici della BPLazio ed in cambio abbia ottenuto la agognata poltrona.

Del resto, le iniziative proposte dai vertici della Banca per esautorare il Guidaldi sono nel corso degli anni miseramente naufragate; ricordiamo tutti la vicenda che è finita con un clamoroso autogol per la Banca Popolare del Lazio che dopo aver intrapreso una causa contro La Volsca, si è vista condannare alla restituzione dell’importo di oltre un milione e 200mila euro.

Paolo Bologna, infine ha ottenuto la carica di Consigliere di amministrazione della Banca Popolare del Lazio, nominato nell’assemblea dei soci del 15 ottobre 2020 anche presidente del comitato degli amministratori indipendenti. Nel 2017, quando viene a mancare l’allora presidente della Banca Renato Mastrostefano, il Cda decide di nominare presidente il notaio Edmondo Capecelatro (allora vice). Il notaio per coprire il posto di Consigliere del defunto Mastrostefano fa cooptare il Geometra  Paolo Bologna. Ironia della sorte, il Bologna va a coprire proprio il posto del compianto Presidente che mai aveva ceduto alle richieste del Bologna di essere nominato in CDA.

Nel mentre il Ragionier Italo Ciarla ritorna a ricoprire il ruolo di vicepresidente, in barba ai giudizi che aveva promosso contro altre e diverse banche che lo avevano finanziato ed alle quali non era in grado di restituire le somme mutuate ed alle quali aveva trovato utile contestare giudizialmente gli interessi anatocistici.

Lo stesso Italo Ciarla di cui abbiamo accennato anche a marzo del 2019 quando abbiamo dato notizia che all’interno della famosa lettera anonima dei “soci coraggiosi” si evidenzia, tra gli altri, anche il caso di un debitore (consuocero del Ciarla), il quale pur di sottrarre il proprio immobile alla banca che gli ha prestato i soldi, lo vende a un parente stretto che è figlio dell’allora vicepresidente della Banca Popolare del Lazio Italo Ciarla, oggi Presidente onorario dell’istituto di credito.

Vi aggiorneremo anche su questa storia, vi diremo che fine ha fatto l’immobile del consuocero del Ciarla venduto all’asta; vi anticipiamo soltanto che l’immobile del consuocero del Presidente onorario è stato acquistato all’asta dall’unico partecipante: la Banca Popolare del Lazio!!!!!!! Ma guarda un po’ che coincidenza!

Nelle prossime puntate vi metteremo a conoscenza anche della attività che i vertici della Banca stanno ponendo in essere pur di farci tacere, noi unica testata giornalistica che ha il coraggio e l’ardire di sfidare il palazzo… che vengano pure e provino a metterci il bavaglio, ne vedremo delle belle!




Banca Popolare del Lazio, il verbale di Banca d’Italia e i suoi correlati – [Prima parte]

Molto forti le dichiarazioni all’interno del verbale nella voce “considerazioni”

Dal 15 maggio al 26 luglio del 2018 si è tenuta una ispezione di Banca d’Italia nella direzione generale di Banca Popolare del Lazio a Velletri.

Sembrerebbe che la Vigilanza abbia fatto tesoro del famoso contenuto della lettera dei soci coraggiosi, lettera da cui è partita la nostra inchiesta giornalistica, dimostrandone la affidabilità delle affermazioni contenute.

È poco rassicurante e davvero singolare il fatto che Banca d’Italia si sia mossa soltanto dopo che un gruppo di soci autodefinitisi coraggiosi abbia stilato una serie di episodi in Bpl di conflitti d’interesse.

Come possibile che in tanti anni di controlli, Banca d’Italia non si sia mai accorta che nessuno mai all’interno di Banca Popolare del Lazio abbia denunciato un solo conflitto d’interesse in una banca del territorio amministrata da professionisti del territorio. O meglio qualcuno li ha denunciati ma è stato messo alla porta.

Il gruppo ispettivo era formato da Stefano Pagliuca, Giuseppe Bufano, Christian Ricciuti, Ginette Eramo, Giuseppe Quero, Antonio De Rubeis.

Gli accertamenti hanno fatto emergere risultanze “parzialmente sfavorevoli da ascrivere ad un sistema di governo inciso da conflittualità interne che, oltre a ledere l’immagine della Banca, hanno compromesso l’efficacia dell’azione di indirizzo gestionale, con negativi riflessi sul presidio dei rischi creditizi e operativi nonché sulla redditività aziendale”.

Molto forti le dichiarazioni all’interno del verbale nella voce “considerazioni”, una tra tante: “Gli organi aziendali (ndr. I vertici della Banca Popolare del Lazio) non hanno assicurato piena trasparenza informativa su potenziali conflitti d’interessi”.

Poi un’ammissione, oltre a dire che ci si è trovati di fronte a una debole pianificazione strategica, nel verbale si legge chiaramente qualcosa per cui anche L’Osservatore d’Italia ha cercato sempre di capire, sollevando interrogativi. Ebbene gli ispettori di Banca d’Italia non parlano con i condizionali ma dicono che l’attività creditizia ha seguito logiche puramente commerciali che hanno comportato l’assunzione di elevati rischi, anche per l’erogazione di finanziamenti al settore agricolo promossa, senza un attento vaglio, con l’intervento di una società di mediazione creditizia (Coopcredit).

La Coopcredit di cui abbiamo sempre parlato. La Coopcredit che tra i fornitori ha anche Ampla, società di proprietà della sig.ra Angela Ghirga moglie del sig. Roberto Lucidi, fratello del Ragioniere Massimo Lucidi, (amministratore delegato della Banca Popolare del Lazio ai tempi dei fatti narrati), società che si prestava ad emettere fatture di consulenza alla Coopcredit per ottenere il pagamento di una somma che sembrerebbe aver costituito parte delle somme che la Popolare del Lazio riconosceva a quest’ultima società (Coopcredit) per il lavoro definito dalla Coopcredit di intermediazione tra il cliente agricoltore e la banca.

Massimo Lucidi, pochi giorni dopo aver annunciato le dimissioni dalla Banca Popolare del Lazio, è stato nominato amministratore delegato della controllata Blu Banca da gennaio 2021. Il Consiglio di amministrazione di Blu Banca ha eletto presidente Cesare Mirabelli, vice presidente vicario Carlo Palliccia, vice presidente Edmondo Maria Capecelatro (che è anche presidente della controllante), amministratore delegato Massimo Lucidi, segretario Claudio Iovieno. Una gestione che appare sempre portata avanti dagli stessi soggetti che come asserito dal verbale di Banca d’Italia hanno portato avanti una gestione poco trasparente e non solo, perché il viaggio nel verbale di Banca d’’Italia è appena iniziato.

I vertici della Banca Popolare del Lazio come hanno gestito i soldi? Basti pensare che sono aumentati tutti i costi operativi come si legge nel verbale. Ovvero “maggiori spese del personale dovute a riconoscimenti economici ai tre componenti dell’esecutivo (quasi il 25%) mediante interventi strutturali sulla retribuzione (trasformazione di quote variabili in assegni ad personam per euro 224mila, deliberati il 22/12/2016 con il voto contrario dei consiglieri Guidaldi e Bruschini e con le riserve espresse dal presidente del collegio sindacale.

Quello che fa paura è la diminuzione drastica dei soci della Bpl, la banca del territorio. Insomma la drastica perdita di fiducia. Basti pensare che nel verbale viene scritto: “Il capitale sociale è pari a 22,1 milioni e fa capo a 5.646 partecipanti, numero che si è ridotto quasi di mille unità dal 2013.




Banca d’Italia, quelle strane coincidenze e quelle assurde “distrazioni”. Quanto sono tutelati gli investitori?

Le cronache sulle inchieste delle banche intasano i quotidiani, anche quelle che possono sembrare a orologeria contro alcuni ex premier e leader politici di spicco

Continua il nostro viaggio per conoscere da vicino Banca D’Italia, un istituto che di fatto ha l’onere e l’onore di tutelare i risparmiatori. È sempre così? O qualcosa ogni tanto sfugge? Intanto partiamo dal fatto che la Banca D’Italia è quell’istituto che nelle intenzioni dei padri costituenti dovrebbe ergersi a paladino dei deboli e colpire tutti i comportamenti posti in essere dai vertici delle Banche in violazione dei principi di sana e prudente gestione, senza indugio e prima che i risparmi degli investitori si volatilizzino.

Questa policy sembra essersi fiaccata negli ultimi vent’anni e ne sono storia più o meno recente i fallimenti delle più o meno grandi Banche, da ultimo la popolare di Bari, con il solito rimpallo di responsabilità dalla Banca D’Italia alla Procura, dalla Politica alla Banca D’Italia fino ad arrivare a colpire gli unici indifesi: coloro che hanno pagato e continueranno a pagare errori di altri: i soci e gli investitori.

Intanto le cronache sulle inchieste delle banche intasano i quotidiani, anche quelle che possono sembrare a orologeria contro alcuni ex premier e leader politici di spicco, proseguono le vicende delle varie popolari.

Ultime in ordine temporale le vicende giudiziarie legate al crac di Banca Etruria con tutte quelle consulenze d’oro e incarichi dati anche più volte a consulenti e forse amici di che appaiono palesemente imprudenti e non certo frutto di una gestione dei soldi dei risparmiatori degna del buon padre di famiglia. Le consulenze finite nel mirino dei pm vennero affidate da via Calamandrei, sede della popolare, per valutare, analizzare e avviare il processo di fusione con un istituto che poi non si concretizzò.

La fusione con la Banca Popolare di Vicenza, sollecitata dalle autorità bancarie, rimase un’ipotesi. Ma per valutare quella strada sarebbero stati impiegati circa 4 milioni e mezzo nel 2014: consulenze affidate a grandi società come Mediobanca o studi legali. Incarichi, ritenuti inutili e ripetitivi. Anche ai meno avvezzi sembra davvero una condotta imprudente. A chi spettava vigilare?

Soltanto l’anno scorso il collega giornalista Emanuele Bellano ha fatto il punto su una delle molteplici inchieste di Report, tratteggiando vicende vergognose che le banche hanno messo in atto contro i risparmiatori.

Con la crisi finanziaria le banche si sono trovate di fronte a riduzioni dei profitti, perdite e problemi di solidità. I loro consigli di amministrazione hanno dato il via libera a operazioni spregiudicate che hanno fatto perdere decine di migliaia di euro a milioni di risparmiatori.
Nel 2016 Report ha scoperto che Mps, Banca Intesa, Unicredit e Banco BPM vendevano ai loro clienti diamanti per un valore complessivo di circa 1,5 miliardi di euro. I vertici di DPI, una delle due società che vendevano diamanti tramite i circuiti bancari, sono stati arrestati dalla procura di Milano e indagati per autoriciclaggio di varie decine di milioni. E nel 2019, tornando sulla vicenda, Report aveva ricostruito il coinvolgimento dei vertici di alcuni istituti bancari.

Banca d’Italia, nel suo ruolo di vigilanza e di sanzionamento, ha avviato un’ispezione su banca Mps. Che fine ha fatto l’ispezione, a quale conclusione è arrivata? Una testimonianza esclusiva, interna al team ispettivo, rivela a Report il coinvolgimento dei massimi livelli di Mps nel sistema di distribuzione e vendita dei diamanti. Dalla fonte e grazie ai documenti recuperati, Report ha ricostruito le lacune dell’intero sistema di controllo delle banche.
L’attività di vendita dei diamanti, che si è rivelata una truffa, è andata avanti con la complicità di parti importanti del circuito bancario per oltre 3 anni, si è fermata esclusivamente in seguito all’inchiesta di Report, e per l’azione giudiziaria della procura di Milano. L’indagine della Procura di Milano che si è innestata in seguito alla trasmissione del servizio ha portato al recupero di 900 milioni di euro su circa 1,3 miliardi di euro di diamanti venduti. Denaro che, anche grazie alla denuncia di “Report”, è stato restituito agli investitori.

In parallelo, in seguito alla trasmissione del servizio, si è avviata anche un’indagine dell’autorità Antitrust AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) che ha sanzionato le banche coinvolte e le due società IDB e DPI. La sentenza della AGCM, che ha erogato le sanzioni amministrative citate dal Governatore e di cui Report ha dato correttamente conto più volte negli anni, ha citato nelle sue motivazioni per oltre 80 volte la trasmissione “Report” e il suo servizio andato in onda nel 2016, a riprova di quanto sia stato importante il ruolo della trasmissione che ha svolto in modo esemplare la sua funzione di servizio pubblico.

A cinque anni da questa denuncia “Report” ha ritenuto opportuno tornare sulla vicenda essendo entrata in possesso di testimonianze e documenti relativi all’attività di vigilanza e controllo svolti da Banca d’Italia sulla questione diamanti e relativi a Banca Monte Paschi di Siena.

L’inchiesta di Report “The Whistleblower” mandata in onda il 13 dicembre 2021 si è pertanto basata sulla testimonianza di un funzionario di Banca d’Italia, Carlo Bertini, local coordinator del JST (Joint Surveillance Team – team congiunto Banca d’ItaliaBCE, composto da funzionari di Banca d’Italia e funzionari della Banca Centrale Europea) che aveva il compito di vigilare sull’attività di vendita dei diamanti avvenuta da parte della società DPI attraverso la rete di vendita di Banca Monte dei Paschi di Siena.

Alla fine sembra proprio che a pagare per tutta la vicenda di Bankitalia sia stato soltanto Bertini cui è stato notificato il provvedimento adottato dal Consiglio Superiore dell’istituto centrale governato da Ignazio Visco: sospensione dal servizio e dalla retribuzione, per una durata di dodici mesi.

Dunque, che dire? La Banca D’Italia negli ultimi venti anni sembra non aver svolto a pieno la sua mission. Non aiuta il fatto che i poteri politici, di fatto, ne nominano i vertici. Allora ci si chiede: chi decide il buono e brutto tempo?

Non c’è dubbio che il commercio del denaro, attività riservata alle sole Banche, costituisca una fortissima attrazione per coloro che grazie ai nostri voti dovrebbero tutelarci dalle loro stesse spesso corrotte tentazioni, almeno a leggere le cronache quotidiane.

Ogni volta che qualche voce, in un rigurgito di onestà, tenta di ergersi a paladina degli indifesi, viene tacitata, noi stessi de L’Osservatore d’Italia abbiamo subito non poche pressioni.
Ne costituisce chiaro esempio l’oblio nel quale è stata relegata la commissione Banche tanto sbandierata dai nuovi “politicanti” partiti con buone intenzioni e poi piegatesi quasi subito al sistema. Politicanti che con una doppia elle forse apparirebbero in tutta la loro sgargiante indole: “polliticanti”!

Un esempio lampante di strane e incomprensibili affermazioni dell’allora capo della Vigilanza DI Banca d’Italia il Signor Luigi Mariani, contraddittorie e anche un po’ beffarde se non fosse per il fatto che dalle sue azioni ne sono conseguite e ne continuano a seguire enormi perdite per gli ingenui investitori.

Lo stesso Mariani, i primi mesi del 2021 è stato “spostato” alla direzione della sede di Roma con il Sig. Giuffrida, il cui profilo è stato meglio esplicitato dal Fatto Quotidiano nel 2016 (“Giuffrida, laureato in scienze politiche, è un dirigente con una lunga storia e con molteplici interessi. Interessi che in qualche occasione hanno sollevato interrogativi sui conflitti d’interesse reali e potenziali che si potevano determinare per via della sua attività imprenditoriale nel paese di origine, Montevago in provincia di Agrigento. Giuffrida è soprattutto noto per il fatto che all’epoca del processo Dell’Utri venne incaricato dalla procura di studiare l’origine dei flussi di denaro che dettero origine al gruppo Fininvest. Il dirigente, allora a capo della sede di Palermo della Banca d’Italia, concluse il suo lavoro affermando di non poter “risalire in termini di assoluta certezza e chiarezza all’origine, qualunque essa fosse, lecita o illecita, dei flussi di denaro investiti nella creazione delle holding Fininvest” e – chiamato in causa da Fininvest – nel 2007 ha accettato di transare con la società riconoscendo “i limiti delle conclusioni rassegnate nel proprio elaborato e delle dichiarazioni rese al dibattimento”).

Vogliamo credere che l’attuale Capo di Governo, decisamente esperto del mondo bancario, sicuramente avulso dalle logiche avanti descritte voglia mettere seriamente mano al malaffare di cui si alimenta un certo mondo bancario e dare serenità, sicurezza agli investitori, oggi in balia di interessi a loro estranei.

Ma quali sarebbero le dichiarazioni incomprensibili di Mariani? Ebbene egli disse che le segnalazioni ricevute in merito alle posizioni di Salvatore Ladaga e Italo Ciarla non avrebbero violato il principio di sana e prudente gestione, ritenendo valide e sufficienti le giustificazioni del collegio sindacale della Banca Popolare del Lazio, (quello presieduto dal Dott. Romagnoli presidente all’epoca dei fatti anche del collegio sindacale della Natalizia Petroli il cui titolare, Natalizia Giancarlo sedeva al suo fianco in Consiglio di Amministrazione della BPLazio).
Romagnoli riferiva che “dette operazioni sarebbero state antecedenti ai finanziamenti”. Noi che abbiamo svolto l’inchiesta giornalistica, vogliamo sperare che l’affermazione del Collegio Sindacale della BPLazio, fatta propria dal Mariani, sia frutto di sola distrazione, circostanza che pur giustificando l’esito della attività della vigilanza, di certo non fa dormire sonni tranquilli ai poveri investitori.

In realtà dalla nostra inchiesta giornalistica, eseguita con strumenti di gran lunga limitati rispetto a quelli in possesso del sig. Mariani, risultava palese che il Notaio Capecelatro poneva in essere una serie di attività tese a favorire il Ladaga ed il Ciarla e far sottrarre i propri beni dall’aggressione della BPLazio dallo stesso Capecelatro amministrata ed oggi ancora presieduta.
Il Notaio faceva alienare dal Ladaga alla separata moglie tutti i propri beni immobili così sottraendoli al credito vantato dalla Banca; per Mariani sarebbe stato sufficiente andare a leggere l’atto di citazione formulato dalla BPLazio con richiesta di revocatoria del trasferimento dei beni dal Ladaga alla ex moglie ed in seguito la sentenza del Tribunale di Velletri. Quanto all’ex Vicepresidente Italo Ciarla, oggi remunerato Presidente onorario, attore in giudizi per anatocismo ed usura promossi avverso altri istituti di credito, dopo essere finanziariamente caduto in disgrazia, quest’ultimo per salvare la posizione immobiliare dei consuoceri coniugi De Marzi/Masi e con l’ausilio del Notaio Capecelatro, e dopo e non certo prima il finanziamento eseguito ai De Marzi/Masi, per sottrarre beni immobili di questi ultimi alla garanzia del credito della Banca nei loro confronti, in data 6 marzo 2012 fece alienare una loro proprietà al figlio del Vice Presidente Ciarla, nonché genero dei coniugi De Marzi/Masi.
Il ricavato della vendita venne trattenuto dai debitori e non certo versato alla BPLazio per estinguere almeno parzialmente il loro debito ed ovviamente la BPLazio non propose azione revocatoria come nel caso eclatante del Ladaga, per non colpire il figlio di un “illustre” consigliere, anzi clamorosamente lo finanziò con un mutuo necessario al Ciarla Guido per acquistare immaginiamo “fittiziamente” l’immobile di proprietà dei suoceri.

Forse l’allora capo della Vigilanza di Banca d’Italia, il Signor Luigi Mariani, dovrebbe fare un mea culpa, queste operazioni sono state eseguite dopo e non prima dei finanziamenti fatti al Ladaga ed ai coniugi De Marzi/Masi. Forse il Sig. Mariani, o chi per lui, oggi dovrebbe seguire le vicende da noi segnalate e allo scopo vogliamo segnalare, con la speranza che chi di dovere sappia apprezzare e valorizzare, che proprio per la posizione debitoria dei consuoceri dell’attuale e remunerato Presidente Onorario, Rag. Italo Ciarla, ai quali la BPLazio ha già fatto un riconosciuto regalo nel fargli alienare l’unico bene libero da ipoteche, a favore del Sig. Guido Ciarla, ben consapevole all’epoca dei fatti dei debiti intrattenuti dai suoceri con la BPLazio, e sbeffeggiando l’intelligenza di ciascuno di noi per aver seguito la vendita con provvista messa a disposizione dalla stessa BPLazio, ha creduto opportuno fare un ulteriore regalo.Del resto, come dicevamo in un nostro articolo, la giostra gira e si alimenta di queste attività, nessuno la ferma poiché tutti sembrano trarne giovamento e poco importa se qualcuno esagera, nel vorticoso giro di denaro tutto si confonde.Ma non ci distraiamo, non vorremo che il “Sig. Mariano” dovesse assopirsi confondendosi con i sonnacchiosi consigli di amministrazione del duo Capecelatro/Natalizia di cui narrano i ben informati. Ebbene l’unico immobile rimasto di proprietà dei consuoceri del remunerato Presidente onorario Rag. Italo Ciarla veniva posto all’asta e finalmente aggiudicato in data 9 gennaio 2020 per l’importo di € 110.500,00 che a fronte del credito vantato dalla BPLazio (circa €400.000,00) appare ben poca cosa; detratte le spese alla BPLazio venivano attribuite poco più di €86.000,00 con una perdita di oltre €310.000,00, somme di cui hanno goduto la famiglia del consuocero dell’attuale Presidente Onorario e che è stata ripianata sottraendo utili ai soci e valore alla stessa BLazio. Una delle tante operazioni sulle quali il Sig. Mariani non ha creduto fosse necessario indagare e che ci lascia a dir poco basiti.

Ovviamente le sorprese non potevano finire qui.

Bene, in ogni caso, possono affermare i più convinti sostenitori della bontà dell’operazione “Ciarla” posta in essere dai vertici, anche quelli attuali, della BPLazio, un immobile dei debitori (De Marzi/Masi) è stato venduto e la BPLazio ha recuperato almeno €86.000,00. Ottimo vero? Sì, se non fosse per un piccolo particolare. Chi ha acquistato l’immobile all’asta?
L’aggiudicazione all’asta del 9 gennaio 2020 è stata fatta a favore dell’unico offerente, senza il quale il prezzo si sarebbe ulteriormente ridotto: la Banca Popolare del Lazio.
In pratica, ed immaginiamo per non dover buttare fuori di casa i consuoceri dell’attuale Presidente Onorario, la BPLazio con la sua partecipata Real Estate Banca Popolare del Lazio ha acquistato l’immobile espropriato ai debitori De Marzi/Masi, diventandone proprietaria, evitando che la perdita di bilancio aumentasse in conseguenza di ulteriori riduzioni del prezzo d’asta; la BPLazio ha preso i denari dalla tasca destra e li ha messi nella tasca sinistra, rimanendo proprietaria di un immobile che con qualche ulteriore e fantasiosa alchimia, ma sicuramente non sarà così, verrà venduta al miglior offerente, purchè parente ed amico degli esecutati ovvero del loro consuocero, con un mutuo erogato sempre dalla BPLazio e magari con la possibilità di lasciare i vecchi proprietari esecutati nel possesso dell’immobile
Come è possibile che il signor Mariani, seduto a fianco al Sig. Troiani, suo fidato ispettore, non si avvedeva nella sua ispezione della incredibile vicenda Protercave e che una volta denunciata nei dettagli anche da noi, si limitava a giustificare le operazioni non certo di sana e prudente gestione con l’affermazione che essendo la posizione stata svalutata dalla Banca non costituiva un pericolo per il bilancio e quindi non meritava alcun approfondimento o segnalazione.

In pratica affermando indirettamente che operazioni poco chiare sono sane e prudenti se poste in essere in Banche solide mentre le medesime operazioni non lo sono se poste in essere in Banche in difficoltà! Abbiamo appreso una nuova nozione di cui noi non eravamo a conoscenza, che crediamo possa in futuro essere utile per tutti gli amministratori di Banche e per i sempre più spaesati investitori.

Se dovete fare operazioni che definire poco chiare è un eufemismo, fatele in Banche sane, non verrete indagati dalla Vigilanza; guai a fare le stesse operazioni in Banche ormai corrose dalle stesse operazioni fatte quando erano sane.

O meglio, se Voi amministratori dovete fare operazioni “Border Line” fatele fare al Capo dell’esecutivo, cioè al Direttore Generale che sembra quasi essere immune rispetto ai controlli ed alle sanzioni di Banca D’Italia e che Voi amministratori potrete “coprire” in consiglio di amministrazione senza correre alcun rischio nei confronti della Vigilanza. Del resto solo così si può spiegare l’affermazione del “Troiano” il quale riferisce che dall’esame della sofferenza “Protercave” non sono risultati collegamenti con amministratori o Sindaci della BpLazio. E chi ha portato avanti l’operazione Protercave? L’allora Direttore Generale Massimo Lucidi che ha fatto perdere alla BPLazio circa 1 milione e mezzo di euro. Nel frattempo, una strana coincidenza, il figlio del Direttore Generale veniva assunto dalla Banca Popolare di Spoleto nel cui consiglio di amministrazione sedeva il titolare dell’azienda beneficiata dal milione e mezzo di euro perso dalla BPLazio. Poco male se in seguito il Direttore Generale non solo non veniva rimosso dal CDA della BPlazio, ma al contrario si vedeva dapprima aumentare il proprio compenso annuo e successivamente cooptare in Cda e ricevere il ruolo di Amministratore Delegato, è chiaro, almeno al Sig. Troiani ed agli ispettori che si sono succeduti che il Consiglio non aveva alcun legame con la posizione Protercave né con colui che l’aveva posta in essere, il Direttore Generale Massimo Lucidi.

Il Sig. Troiani riferisce altresì che almeno altre due posizioni venivano riscontrate in quanto foriere di grosse perdite ma che non ha riscontrato eventuali responsabilità meritevoli di segnalazione all’autorità Giudiziaria, vedremo se le Sue verranno confermate, del resto anche Protercave non era meritevole di segnalazione.

Per oggi ma solo per oggi, poiché gli argomenti verranno ripresi, vi lasciamo con un’ultima strana coincidenza: in sede di indagini, venne trasferito il Comandante della Compagnia di Velletri della Guardia di Finanza Capitano Graziano Rubino. Il suo trasferimento avviene proprio mentre svolgeva le indagini delegate dal P.M. su Banca Popolare del Lazio e prima del termine del proprio mandato. Ma come detto più volte in questo articolo si tratta solo di strane coincidenze come le ha definite in un suo libro lo stesso Giudice Ayala amico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.




Volsca, i motivi della “disfatta” della BPL

Epilogo di una storia tutta italiana

Il lungo contenzioso tra la Volsca Ambiente e Servizi SPA (municipalizzata che gestisce la raccolta e il trasporto dei rifiuti per vari comuni tra cui Velletri, Albano Laziale, Lariano e da ultimo anche Genzano) e la Banca Popolare del Lazio finisce con una sentenza della Corte D’Appello che condanna l’istituto di credito a restituire alla Volsca circa 1 milione e 300 mila euro, somma che di recente la Banca ha provveduto a restituire.

Si conclude quindi con un nulla di fatto, quello che di fatto è risultato come un tentativo della Banca Popolare del Lazio di avvantaggiarsi rispetto agli altri creditori concorsuali, con un’azione giudiziaria che aveva trovato un provvisorio accoglimento da parte della sezione imprese del Tribunale di Roma.

La sentenza in appello di fine gennaio del 2022, ha dunque spento ogni velleità della Banca, riequilibrato le posizioni giuridiche di tutti i creditori fallimentari, ribaltando completamente quella di I° grado, concludendo in maniera irrevocabile che la società pubblica Volsca Ambiente e Servizi SpA, ha agito in maniera ineccepibile e che la BPL, stando alla decisione dei Giudici, ha intrapreso una causa che ha portato a un “nulla di fatto”, rimanendo sulle spalle dei cittadini le gravose spese di entrambi i gradi di giudizio. Purtroppo, infatti, pur sconfitta, la Banca è stata “graziata” dal pagamento delle spese copiose processuali, una abitudine tutta italiana che tende a moltiplicare giudizi che purtroppo si rivelano spesso inutili e strumentali.

Come può accadere che su una vicenda così visibilmente lineare ci sia stato un primo grado che ha sentenziato palesemente l’opposto del giudizio di appello?

Perché la Banca Popolare del Lazio ha fatto spendere i soldi dei soci, e dei cittadini per una causa che poi si è rivelata infondata?

La sentenza di primo grado è stata decisa nella camera di consiglio del Tribunale di Roma (presidente dott. Giuseppe Di Salvo) e giudice relatore Dott. Guido Romano, quella d’appello dal collegio presieduto dal Presidente dott.ssa Benedetta Thellung de Courtelary e giudice relatore dott.ssa Raffaella Tronci.

I fatti risalgono agli anni precedenti all’amministrazione guidata dall’allora sindaco di Velletri Fausto Servadio

Servadio nel 2008, ha ereditato la società Volsca Ambiente SPA sull’orlo del fallimento con debiti intorno ai 30 milioni di euro, favoriti anche dalla concessione, solo poco tempo prima e cioè nel 2006, di finanziamenti da parte proprio della Banca Popolare del Lazio. Nel 2009, preso atto della insolvenza della società partecipata e della contestuale dichiarazione di dissesto da parte del Comune di Velletri, veniva presentato ed approvato dai creditori, tra i quali anche al Banca Popolare del Lazio, il piano concordatario proposto dalla Volsca SpA.

Il piano proposto e portato a termine dall’allora amministrazione della partecipata, prevedeva la creazione di una nuova società, denominata Volsca Ambiente e servizi SpA che proseguisse, come in effetti accaduto e con risultati ragguardevoli sia dal punto di vista qualitativo che economico, l’attività di raccolta rifiuti, mentre la originaria società avrebbe dovuto procedere alla distribuzione della somme ricavate dagli asset ancora presenti, nelle forme e nella misura approvata anche dalla Banca.  

Tutta la procedura concordataria veniva conclusa sotto il rigoroso e stretto monitoraggio del Tribunale di Velletri e con il voto favorevole della maggioranza dei creditori chirografari, tra i quali la Banca Popolare del Lazio.

Esattamente il 24 maggio del 2010 la Banca Popolare del Lazio Soc. Cooperativa esprimeva voto favorevole alla proposta di concordato preventivo depositata a dicembre 2009 per un credito riconosciuto dagli organi del concordato nella misura di circa un milione di euro.

La nuova Volsca Ambiente e Servizi SPA, nel rispetto del decreto di omologa restituiva alla vecchia Volsca Ambiente SPA in liquidazione la somma di quasi tre milioni di euro quale patrimonio netto, in 72 rate mensili oltre interessi.

Il 4 marzo del 2014 l’Avvocato Piero Guidaldi entra nel Consiglio di Amministrazione della Banca Popolare del Lazio.

Il 27 aprile del 2016 l’Avv. Piero Guidaldi cessa il proprio ruolo di Presidente della Volsca Ambiente e Servizi SPA, un ruolo ricoperto a partire dal 2008 e cioè solo successivamente agli affidamenti concessi dalla Banca Popolare del Lazio alla Volsca nel precedente 2006.

Un’azienda, la “nuova Volsca” che innegabilmente, dati alla mano, l’avvocato Piero Guidaldi ha saputo rimettere in piedi con una gestione onesta e trasparente al punto che prima di lasciare l’incarico, nonostante la inevitabile riconferma da parte degli allora Sindaci, Servadio, Marini e Caliciotti, distribuisce utili per 500mila euro, caso più unico che raro nel panorama nazionale.

Nel dicembre del 2016, la Banca Popolare del Lazio richiede al Tribunale di Velletri la risoluzione del concordato preventivo della Volsca Ambiente SPA in liquidazione e la dichiarazione di fallimento della stessa società.

I ritardi accumulati dalla gestione liquidatoria della vecchia Volsca, inducevamo la Banca Popolare del Lazio, erroneamente sicura di poterne trarre beneficio, a chiederne il fallimento previa risoluzione della procedura concordataria.

Il Tribunale di Velletri nel giugno 2017 dichiarava il fallimento della vecchia Volsca individuando le responsabilità, non nella originaria proposta concordataria valutata anche dalla Corte di Appello favorevolmente, bensì nelle eccessive lungaggini nella liquidazione delle poste attive a favore dei creditori concorsuali.

La BPL, già prima della dichiarazione di fallimento con risoluzione del concordato, si determina nell’agire contro la nuova Volsca Ambiente e Servizi SPA chiedendo il pagamento a quest’ultima, ed in barba al principio della parità di tutti i creditori fallimentari, del finanziamento concesso, secondo molti con troppa facilità, nel 2006 alla vecchia Volsca ormai dichiarata fallita.

Il resto è storia recente, dopo, infatti, una prima sentenza del Tribunale di Roma che condannava la nuova Volsca alla restituzione alla Banca delle somme finanziate (troppo facilmente?) alla vecchia Volsca, interveniva la sentenza della Corte di Appello di Roma che rimetteva la chiesa al centro del paese ordinando di fatto alla Banca di restituire l’importo che nel frattempo era lievitato a circa 1.300.000,00 euro e che veniva obtorto collo restituito.

La nuova Volsca Ambiente e Servizi versata la somma di circa 2.700.000,00 euro alla vecchia Volsca non aveva più nulla a che spartire con la vecchia, ivi compresi i suoi creditori.

Nulla doveva la nuova Volsca e la BPL ha di fatto intentato una “causa persa” in partenza

Un giudizio che, soprattutto dopo la riformata sentenza del Tribunale di Roma, ha visto esponenti anche politici locali esporsi contro gli ideatori della proposta concordataria che, al contrario e nella sostanza ha risollevato le sorti di una società pubblica, i cui costi diversamente sarebbero ricaduti sulla cittadinanza. Tutti questi detrattori sono scomparsi dopo la pubblicazione della sentenza della Corte di Appello di Roma.

In questo gruppo di detrattori si annovera anche il Consigliere Dott. Giorgio Greci che oltre cinque anni fa gridò allo scandalo e definì come tardive le dimissioni di Guidaldi in considerazione dei danni che aveva causato alla società pubblica, certo eravamo in periodo preelettorale, ma la presa di posizione non deve avergli giovato o quanto meno portato fortuna visto l’esito elettorale. Non ultimo il Dott. Valentino Di Prisco attuale Presidente della Volsca, che le cronache ci narrano essere da sempre critico nei confronti dell’operazione concordataria.

Al contrario nonostante la iniziale sconfitta hanno continuato a mantenere la propria convinzione l’attuale Sindaco del Comune di Lariano Caliciotti il quale non è mai arretrato di fronte alla Banca Popolare del Lazio di cui è stato dipendente per molti anni e consulente all’epoca dei fatti, fermamente convinti della bontà del proprio operato i Sindaci Fausto Servadio e Nicola Marini unitamente all’assessore Luca Andreassi, tutti indistintamente ed ingiustamente maltrattati dopo la sentenza del Tribunale di Roma.

Mentre i politici si accapigliavano tra di loro, la Banca Popolare del Lazio godeva di una sentenza che oggi risulta errata e spazzata via in fretta dalla Corte di Appello di Roma che dopo un solo anno ha emesso il fatidico verdetto.

Ci sono tanti paradossi, tanti interrogativi rimasti senza risposta. Ma l’Italia si sa è la patria dei paradossi e spesso di relazioni tanto inopportune quanto lucrose ma soprattutto di conflitti d’interesse.

Visti i fatti succedutisi, ci si chiede quali siano stati i reali motivi che hanno indotto la Banca Popolare del Lazio, una banca che opera nel territorio in cui opera anche la Volsca Ambiente e Servizi SpA, ad aggredire così violentemente ed inopinatamente quest’ultima società, che dopo la richiesta di pagamento dell’importo di 1milione di euro cessava tutti i rapporti con la Banca medesima alla quale nel corso degli anni oltre ad aver versato somme non indifferenti per il servizio reso, aveva anche portato un notevole indotto costituito dagli oltre 120 dipendenti a cui corrispondeva gli stipendi oltre ai fornitori e clienti per un volume d’affari annuo all’epoca dei fatti di circa 10milioni di euro, somme che nel corso del tempo hanno ed avrebbero di gran lunga ricompensato la Banca ben oltre la somma richiesta giudizialmente di 1milione di euro e che neanche ha recuperato.

Solo perdite per la Banca Popolare del Lazio da questa operazione

Perdite costituite anche dalla ridotta ammissione al passivo fallimentare; se infatti in sede concordataria il credito della Banca Popolare del Lazio era stato integralmente riconosciuto dagli amministratori della società nella misura di 1milione di euro in sede fallimentare, quello stesso fallimento voluto proprio dalla Banca, il curatore ha dimezzato il credito vantato dalla Banca, riconoscendo dovuta la sola somma di circa 490mila euro con una evidente perdita. Perdite infine costituite dalle non certo esigue parcelle dei proprio procuratori.

Ed allora cosa ha spinto la Banca ad affrontare un giudizio dall’esito tanto incerto e rischioso quanto sicuramente foriero di perdite prevedibili già prima dell’inizio dello stesso?

Dall’analisi dei documenti un primo elemento lo ritroviamo nell’incarico dato dalla banca ai propri avvocati per intraprendere questa azione contro la Volsca. L’incarico, infatti, non veniva sottoscritto dal Presidente della Banca il compianto Prof. Renato Mastrostefano bensì dal Direttore Generale dell’epoca Rag. Massimo Lucidi, un indizio, forse una prova del fatto che il Presidente dall’alto della propria esperienza e prevedendone gli esiti, non fosse d’accordo nell’intraprendere il giudizio, oppure che sia stato tenuto all’oscuro di questa iniziativa?

Forse una prima risposta ci può essere fornita dal contenuto di una comunicazione inviata alla Banca D’Italia nella quale si segnalavano alcune anomalie, tra le quali gli affidamenti concessi alla Volsca che potevano essere ricondotti nell’ambito di un rapporto privilegiato tra l’allora Consigliere della Banca Notaio Capecelatro e l’allora Sindaco del Comune di Velletri, Dott. Bruno Cesaroni storico cliente del Notaio.

Se ciò fosse vero, il Notaio probabilmente sarebbe incappato nel conflitto di interessi, violazione che si configura quando c’è un danno per la Banca, danno causato solo in presenza di un mancato pagamento e/o recupero dell’intera somma da parte dell’istituto di credito. Qualunque rischio valeva la pena di far correre alla Banca pur di tenere in piedi la fiammella della speranza di poter recuperare l’intera somma dalla Volsca così che non si potesse configurare un danno per la Banca? I cui effetti potessero ricadere personalmente sui singoli attori? In questo quadro generale si potrebbe anche meglio spiegare il perché della mancata sottoscrizione da parte del Prof. Mastrostefano che mai avrebbe esposto l’istituto di credito a rischi inutili per salvaguardare singoli soggetti.

La situazione sembra fosse ben monitorata dalla stessa Banca D’Italia

BankItalia è a conoscenza dell’esito del giudizio e del contenuto della sentenza della Corte di Appello di Roma? In caso affermativo sarebbe interessante capire quali sono i provvedimenti che ritiene di poter adottare, vista l’evidenza dei fatti.

Al riguardo dedicheremo sicuramente un maggiore approfondimento, soprattutto di fronte a fatti che sono stati oggetto di rilievo anche da parte della Procura di Velletri e che sono state attenzionate solo dopo una ormai famosa segnalazione anonima. Una lettera dove si parla addirittura testualmente di un “vecchio ispettore gratificato con una fiammante bmw, pagata da un fornitore storico della banca, pur di ammorbidire le sanzioni elevate”. A questo punto ci mancherebbe soltanto di leggere in qualche altro scritto di “figli di” assunti dagli amici degli amici in quelle stesse banche che invece devono essere “verificate”. Sarebbe davvero un paradosso imbarazzante.